Il buio biblico parla di angoscia e di speranza. Conversazione tra MARCO RIZZI e SOPHIE LANGENECK

Un verso dal libro del profeta Isaia, «A che punto è la notte?» (21,11) è l’occasione per la meditazione che la pastora valdese Sophie Langeneck ha tenuto  nell’ambito di Torino Spiritualità. Abbiamo discusso con lei sulle tematiche evocate da quel passo biblico.

MARCO RIZZI — Nel primo capitolo della Genesi, il giorno e la luce non sono il primo prodotto della creazione. Al contrario, quando in principio Dio creò il cielo e la terra, «le tenebre ricoprivano l’abisso», mentre la terra era informe e deserta. Solo l’irrompere della luce scaturita dalla parola creatrice di Dio — Fiat lux! — permette di distinguere il giorno dalla notte, la luce dalle tenebre: per questo la luce è cosa buona agli occhi del Creatore. Tuttavia, per il suo carattere primigenio, la notte — il nome assegnato da Dio alle tenebre — costituisce un’esperienza ineludibile per l’uomo e manifesta nel corso dei vari libri biblici un carattere ambivalente, quale spazio di paura e di abbandono, ma anche di speranza e di attesa fiduciosa. SOPHIE LANGENECK — Si dice che la notte porti consiglio, che nella nostra società sia l’unico spazio di decantazione del pensiero, il solo spazio di riposo. Eppure la notte è anche il tempo di attesa dell’alba, le tenebre sono luogo dell’immobilità in vista della luce, che è fonte di vita e di chiarezza. Al buio ci troviamo faccia a faccia con i nostri dubbi, le nostre paure. Il profeta Isaia ci racconta di una sentinella nel Paese di Seir a cui qualcuno grida nella notte, interrompendo quell’immobilità palpabile dell’oscurità. Il suo grido fa breccia nell’attesa, rompe il silenzio e apre una nuova prospettiva, scopre l’alba. Quella voce interrompe l’immobilità dell’oscurità gridando: «A che punto è la notte?». La sentinella risponde: «Viene la mattina, viene ancche la notte. Se volete domandare, domandate pure, tornate ancora».

MARCO RIZZI — Il rimando a Isaia permette di cogliere una differenza fondamentale tra l’esperienza della notte e delle tenebre come sembra declinarsi nel mondo di oggi e quella presente nella narrazione biblica. Sia come momento di speranza, sia come momento di angoscia, per l’uomo contemporaneo la notte è esperienza individuale, soggettiva, che ci allontana dagli altri e ci consegna a noi stessi. Al contrario, nelle parole del profeta l’attraversamento della notte e delle tenebre assume costitutivamente una dimensione collettiva: sempre nelle parole di Isaia, non a caso modellate su quelle della Genesi, è il popolo ebraico a sperimentare gli effetti di una nuova creazione: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse». Del resto, la sentinella del Paese di Seir sperimenta la notte, proprio perché nella veglia vigila sul suo popolo.

SOPHIE LANGENECK — Isaia in questo dialogo mette in scena la realtà del popolo di Israele deportato a Babilonia. Quel grido nella notte sono le parole del popolo esule, stanco, sfinito e frustrato dalla vita a Babilonia. Il popolo d’Israele non vede l’ora che la notte finisca per fare spazio alle sicurezze, alla gioia del giorno. Questa notte deve proprio passare. Il popolo implora Dio di far finire quella lunghissima notte e Isaia annuncia, attraverso le parole della sentinella, che Dio mantiene le promesse, che bisogna avere pazienza, non arrendersi, tornare a domandare, interrogare Dio, fino a quando il giorno spunterà e la notte sarà finita. Quel grido è il nostro nelle notti di attesa e negli angoli angusti e tenebrosi delle nostre esistenze. «A che punto è la notte?», grida l’operaio di turno all’altoforno. «A che punto è la notte?», grida il giovane che sta facendo baldoria in giro per locali. Lo grida la mamma che sta cullando il neonato, se lo chiede l’infermiera di turno o l’uomo che soffre d’insonnia.

MARCO RIZZI — Nel racconto biblico, però, la risposta tarda a giungere o, come nel caso della sentinella di Seir, non arriva proprio. Anche quando sembra farsi presente un segno di conforto, spesso non riesce a sciogliere l’angoscia delle tenebre. Nella notte del Getsemani, Gesù stesso prega in preda all’angoscia, ma neppure l’apparizione dell’angelo inviato per confortarlo riesce a placarla; anzi, annota Luca, il suo sudore si trasforma in gocce di sangue. È significativo che gli evangelisti pongano in risalto la solitudine di Gesù, abbandonato dai discepoli incapaci di vegliare con lui. Sembra che nel racconto biblico, del Nuovo Testamento in particolare, l’unico atteggiamento possibile sia quello di chi resta vigile nella notte per sorprendere il ladro, che non sa quando si appresti a svaligiargli la casa. Siamo condannati a vivere in una condizione di perenne, angosciosa attesa, circondati dalle tenebre, aspettando una risposa che però può avere solo carattere provvisorio, sfuggente? Domandiamo ancora, torniamo dalla sentinella di Isaia, ma non troviamo requie.

SOPHIE LANGENECK — La risposta non è rassicurante, non ci risolve niente, apre solo la possibilità di un’ulteriore attesa, questa volta di una risposta più certa, concreta, definita. Eppure non possiamo smettere di gridare a Dio dal profondo delle sofferenze, delle fatiche delle nostre vite: a che punto è la notte? La lettura del testo biblico, può aiutare a esprimere quel grido a Dio, e a restare in dialogo con lui. Per la spiritualità della Chiesa valdese e per la teologia riformata la fede nasce e può essere fortificata dal confronto puntuale e sempre attuale con il testo biblico. Non è un caso che questo passo abbia ispirato molte riletture, anche profane, una delle più famose è quella del cantautore Francesco Guccini che ne riprende la musicalità dell’ebraico nella canzone Shomer ma mi llailah.

MARCO RIZZI — Un’altra celebre rilettura ha avuto invece un carattere tutto politico. Commemorando Giuseppe Lazzati, nel maggio del 1994 Giuseppe Dossetti citò questi versetti di Isaia per denunciare quella che definiva la «decadenza globale» dell’Italia, all’indomani della vittoria elettorale di Berlusconi che inaugurò la cosiddetta «seconda Repubblica». Lasciando da parte ogni giudizio sulle valutazioni allora formulate da Dossetti, che prima di abbracciare la vita monastica era stato influente uomo politico democristiano e membro della Costituente, vale la pena di ricordare come egli affiancasse al passo di Isaia quello del salmo 139 (il De profundis): «L’anima mia attende il Signore più che le sentinelle l’aurora». Così lo commentava Dossetti: «Pur non guardando al passato, e senza stabilire alcun confronto col tempo di prima, e pur guardando avanti verso il mattino, la sentinella è ben consapevole che la notte è notte». Ancora una volta, però, il testo biblico lega il destino individuale a quello del popolo: il salmo, infatti, si conclude con l’affermazione per cui «Dio redimerà Israele da tutte le sue colpe». Forse, il testo di Isaia ci richiama al compito più urgente per superare la notte: riscoprire la dimensione comunitaria, verrebbe da dire sociale, dell’attesa, allargando lo sguardo, sia pure senza moralismo, oltre il ripiegamento individuale, che pare contrassegnare il presente.

SOPHIE LANGENECK — Aspettare l’alba può però essere anche un tempo rivelatore, in cui prendere maggiore consapevolezza delle tenebre, in cui esplorare l’oscurità con la salda prospettiva dell’alba. Le tenebre minacciose del presente possono essere già rischiarate dalla luminosità dell’alba che verrà, perché sappiamo già che prima o poi ci sarà. Così le tenebre più fitte possono essere indagate e vissute non solo come opprimenti. Possono invece essere rischiarate dalla luce della conoscenza e dalla relazione con Dio. Un po’ come se a interrogare la sentinella fosse il popolo sparso nel mondo che chiede a Dio la fine dell’oscurità, pur riconoscendo nell’oscurità anche una parte di sé stesso. La società civile, le comunità di cui facciamo parte, fossero anche solo i gruppi che frequentiamo, nuoto, ballo latino-americano, yoga, il gruppo di book crossing, la scuola dei figli, la chiesa, l’oratorio possono essere lo spazio in cui provare a esplorare le tenebre, in cui interrogare il buio e chiedersi a che punto è la notte? Senza smettere mai di domandarsi fino a quando il presente e le sue sofferenze e fragilità offuscheranno la luce del mattino che ci è promessa, in cui entreremo in un regno senza potere e corona in cui Dio governa con suo figlio Gesù Cristo?

La domanda alla sentinella nel libro di Isaia «A che punto è la notte?» offre lo spunto per un dialogo tra Marco Rizzi, docente della Cattolica, e la pastora valdese Sophie Langeneck, che terrà una meditazione sul tema a Torino Spiritualità. I lati oscuri delle nostre vite ci interrogano sull’esigenza di riscoprire una dimensione comunitaria

  • La lettura 22 Sep 2019

 

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