Libertà

Alla fine del secolo scorso, quando si raggiunse il maggior numero di Stati democratici nella storia umana (o il minor numero di Stati autoritari e totalitari), sembrò che la storica battaglia per i diritti civili e politici — per le libertà — fosse avviata verso una vittoria, lenta ma inarrestabile, poco più di due secoli dopo la sua irruzione, esplosa con forza nel corso delle due grandi rivoluzioni di fine Settecento, quella americana e quella francese. In entrambe, la ricerca di libertà tendeva a coincidere con la limitazione del potere sovrano, fosse quello di un re lontano nella madrepatria come Giorgio III d’Inghilterra o di un inetto sovrano in patria come Luigi XVI. E con la conseguente richiesta di libertà di autodeterminazione dei cittadini, di libertà di parola e di stampa, di associazione e di movimento, ma anche di una separazione tra i poteri e dell’indipendenza della magistratura per ottenere l’habeas corpus e un giusto processo.

Queste prime libertà conseguite dalle grandi rivoluzioni — non per tutti: tra gli esclusi c’erano le donne, i non proprietari, i popoli colonizzati, gli schiavi e le razze ritenute inferiori — sono state a mano a mano incrementate nei due secoli successivi fino a raggiungere l’ondata dei nuovi diritti (di terza o quarta generazione, come li hanno chiamati i giuristi) che hanno riguardato, per esempio e per ricordare solo alcuni temi scottanti degli ultimi decenni, la privacy, le unioni omosessuali, il testamento biologico, l’eutanasia, i diritti per i bambini, quelli per i disabili, la salute, il copyright, l’acqua. La tradizionale distinzione, tra i diritti civili e politici da una parte e quelli economici e sociali dall’altra, ha conosciuto spesso sovrapposizioni e intrecci, che sono apparsi particolarmente evidenti nei confronti delle questioni poste dalle nuove tecnologie e dai pericoli che una loro utilizzazione non controllata potrebbe creare.

La salute odierna delle libertà non è facile da valutare o da riassumere, anche perché varia nelle diverse regioni del mondo. L’Europa continua a essere, per nostra fortuna, uno dei luoghi privilegiati quanto a libertà disponibili e, almeno sulla carta, fruibili da tutti o quasi tutti i cittadini. Lo è meno — basti pensare alla questione dei migranti, lo siano per motivi economici o per sfuggire a guerre e violenze — per tutte le persone, a dispetto di quanto proclamato dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, che già dal 1948 assumeva che ogni persona, ovunque e sempre, dovesse godere dei diritti fondamentali lì elencati. Questa è la maggiore linea di arretramento che è possibile rintracciare dalla fine del secolo scorso, anche se la sua origine, che ha trovato una forte accelerazione nelle crisi migratorie dell’ultimo decennio, va rintracciata nelle scelte di politica internazionale seguite all’11 settembre da parte soprattutto degli Stati Uniti e poi da molti altri Paesi, che hanno posto libertà e sicurezza come diritti fondamentali antagonisti tra cui scegliere, con una ricaduta culturale collettiva che ha messo in discussione principi che sembravano radicati e condivisi (giustificando la liceità della tortura, l’odio etnico o religioso, la sospensione «momentanea» di diritti).

Il rapporto per il 2019 di Freedom House, dal significativo titolo Democracy in Retreat, inizia sostenendo che «nel 2018 è stato registrato il tredicesimo anno consecutivo di declino nella libertà globale» e questo tanto in solide democrazie come gli Stati Uniti quanto in regimi autoritari altrettanto consolidati come la Cina e la Russia. Per quanto la perdita di libertà sia ancora inferiore ai «guadagni» della fine del XX secolo, il modello appare inquietante soprattutto perché molti Paesi che hanno conosciuto la democrazia dopo la fine della guerra fredda sono regrediti di fronte a una crescente corruzione, al peso di movimenti populisti antiliberali, all’incrinarsi dello Stato di diritto. Che in questi Paesi, come Ungheria e Polonia, vi sia un consenso ancora maggioritario verso i rispettivi governi — pur se contrastato da un’opinione pubblica democratica agguerrita — non diminuisce, ma rende ancora più problematica la perdita di libertà che si sta diffondendo.

Se l’affossamento della libertà di stampa avviene spesso non solo con il tradizionale sistema della censura, ma con il ricatto e la violenza (i giornalisti uccisi non sono mai stati tanti come negli ultimi 15 anni), quella di associazione viene spesso messa in discussione (con l’antiterrorismo soprattutto) dal potere politico in modo arbitrario. C’è un terreno, tuttavia, in cui la divisione tra regimi democratici e autoritari sembra meno rivelante, e riguarda l’aumento o la diminuzione di libertà connesse con le nuove tecnologie e il rapidissimo sviluppo scientifico che le prepara e accompagna. La privacy, che era stata uno dei «nuovi» diritti acquisiti, è ampiamente disattesa, come sa bene chiunque si connette con internet, quando non praticamente cancellata. In una discussione su debate.org oltre il 60 per cento dei partecipanti ha risposto positivamente all’affermazione che le tecnologie distruggono la libertà e ci rendono schiavi di stratagemmi di marketing, anche se scienziati, tecnici e filosofi sembrano in completo disaccordo sul grado di maggiore libertà o schiavitù introdotta dalle nuove tecnologie di massa.

La libertà, come ci ricordano spesso le donne, riguarda soprattutto la diversità. E la libertà di essere presenti in posizioni di rilievo da parte delle donne è un’altra delle condizioni che sembrano oggi in discussione dopo i limitati progressi che si erano avuti in passato.

LA LETTURA 28 LUGLIO 2019

 

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