LO STILE DI VITA EUROPEO, di JUANLUIS CEBRIAN
La lezione di Luigi Barzini per la presidente della Commissione Europea.
Forse al momento della pubblicazione di questo articolo, la nuova presidente della Commissione Ue avrà già corretto un errore madornale.
Quello di dedicare una vicepresidenza alla pomposa missione di proteggere niente di meno che lo stile di vita europeo. Ma c’è da temere che questo ufficio, responsabile, tra l’altro, delle politiche sull’immigrazione e sull’asilo continuerà, con un altro nome, a essere incaricato di difendere i nostri cittadini dall’immigrazione di massa dai Paesi del Mediterraneo meridionale e dell’Est del continente, che alcuni definiscono invasione.
Colpisce innanzitutto che si dia per scontata l’esistenza di uno stile di vita europeo, perché dal mio punto di vista non è nemmeno facile individuare gli stili di vita in quanto tali. Luigi Barzini, in un memorabile libro pubblicato un quarto di secolo fa, distingueva almeno due tipi di europei: l’Europa del vino e dell’olio (di oliva, naturalmente), sulle rive del Mediterraneo, e quella del burro e della birra, nel Nord. Uno stile,di vita o di qualsiasi altra cosa, implica determinate norme di comportamento, attitudini regolate solo dalla tradizione e che non obbediscono a nessuna clausola scritta. E così le ore di luce del giorno, il clima, il cibo, le relazioni familiari, il tempo libero, l’appartenenza religiosa, le tradizioni culturali e, naturalmente, il vino e la birra, segnano i confini interni dell’Unione, anche tra i paesi Scherigen.
Quando Barzini scrisse il suo libro, l’Europa era ancora l’Europa dei sette, nemmeno la Grecia, il Portogallo o la Spagna vi avevano aderito, e Paesi come l’Estonia, l’Ungheria o la Bulgaria erano lontanissimi dall’immaginare di poter entrare in qualche modo nel club. Vale la pena chiedersi in quale stile di vita sono compresi gli eiropei delle regioni governate per secoli dall’impero ottomano o quelli che hanno subito i regimi comunisti.
Lo stile di vita, se esiste, ha radici locali quando si identifica con le abitudini degli abitanti di un luogo e acquisisce un tono comunitario se è collegato ai desideri spirituali o alle convinzioni ideologiche. Ecco perché, secondo me, è impossibile presumere che esista uno stile di vita comune europeo. Piuttosto, la caratteristica dell’Europa e degli europei è quella di accogliere molti stili diversi, e persino contrastanti, frutto della storia della tradizione e dell’esercizio deÌ potere da parte delle classi dirigenti. E’ quasi uno scherzo, per non dire un idiozia, supporre che la missione della Commissione europea sia quella di proteggere le abitudini, le usanze o le credenze delle centinaia di milioni di abitanti dell’Unione. Ha invece il dovere di applicare le leggi e le direttive sull’immigrazione e l’asilo che ha sviluppato nel corso di decenni. E, soprattutto, il compito imperativo di difendere non tanto uno stile di vita ma le regole di convivenza che includono in ogni caso i valori essenziali della democrazia.
La pacchianata di nominare la persona responsabile delle politiche sull’immigrazione e l’asilo con il termine che stiamo commentando è probabilmente dovuta al tentativo di riconciliare i partiti e i governi xenofobi, come quello di Orban, rispetto alla politica della Commissione in questo settore. Durante il suo mandato Juncker si è mostrato più che tollerante verso le dichiarazioni e le decisioni del presidente ungherese e sebbene l’arroganza di Salvini meritasse rimproveri verbali di indubbia durezza, non si può dire che la loro efficacia andasse oltre la retorica.
Insieme alla Brexit, e direi più ancora della Brexit, l’emigrazione e i rifugiati sono il problema principale della politica europea a breve e medio termine. In realtà il problema non sta proprio nell’immigrazione stessa, necessaria e vantaggiosa per mantenere i sistemi di welfare e il modello di protezione sociale dei Paesi europei, ma nell’assenza di una politica comune che risponda alle questioni sollevate dall’arrivo di migliaia di migranti sulle nostre coste e alle difficoltà di integrazione che incontrano così spesso, dopo essere sopravvissuti al viaggio. Ecco perché vale la pena ricordare che lo stile di vita, si basa sui valori democratici e sul rispetto dei diritti umani, così spesso violati in nome della protezione delle nostre culture autoctone. Che non è minacciato dagli irregolari che mettono in gioco la vita per raggiungere i nostri Paesi, ma dai governanti egoisti e sciocchi, determinati a fermare il flusso migratorio costruendo muri. Se si analizzano le proiezioni demografiche del continente africano, la percentuale di giovani nella popolazione e l’abissale differenza del reddito pro capite rispetto ai paesi europei, è facile capire che solo attraverso accordi che favoriscano la crescita della regione e alleanze politiche che aiutino per stabilire regimi stabili e non corrotti, si può arrivare a una ragionevole regolamentazione dei flussi migratori, altrimenti necessaria per mantenere gli standard di vita (sarà quello a cui si riferiscono quando parlano di stile?) degli anziani europei.
Una politica comune in questo campo è assolutamente necessaria anche se arriva molto tardi. La Commissione e il Consiglio dispongono nel merito di un considerevole patrimonio legislativo e regolamentare, ben orientato in termini di obiettivi, ma è mancata l’attuazione politica. E continuerà così fino a quando i governi nazionali non capiranno che l’habitat in cui sono cresciute le generazioni postbelliche non esiste più. L’unità dell’Europa del futuro, e del presente, si basa sulla sua pluralità (unitas in pluribus). I suoi leader devono impegnarsi per questo scopo nel difendere i nostri diversi stili di vita, nativi o importati, contro i devastanti propositi dei nazionalismi e gli sforzi obsoleti di definire il nuovo uomo europeo.