UNA SCUOLA PER FORMARE GLI AMMINISTRATORI PUBBLICI, di Milena Gabanelli e Luigi Offeddu
Anche molti rappresentanti del Governo italiano sono privi di un curriculum adeguato al ruolo. Ma una soluzione è possibile, come in Francia.
Adesso l’Italia ha un nuovo governo. E l’augurio è sempre lo stesso: che sia meglio dei precedenti. Luigi Di Maio è il ministro degli Esteri, quindi gestirà la nostra politica con il resto del mondo. Per questo incarico sarebbero indispensabili due requìsìtì base: conoscere almeno l’inglese, e. qualche nozione sui rapporti di forza. Scrisse che Pinochet dominava il Venezuela ( era un dittatore cileno). Mandò una lettera a Le Monde scrivendo che la· Francia, nata dalla rivoluzione del 1789, aveva una «tradizione democratica millenaria». A Shanghai, chiamò per due volte «Ping» il presidente cinese Xi Jinping. Liquidiamole come gaffe, ma certamente parte male. Ieri il commento dell’agenzia Xinhua, da Pechino ( con cui aveva preso qualche impegno sulla Via della Seta), ·e lanciato da AdnKronos è stato questo: «scelta insolita, mai laureato, competenze linguistiche molto limitate, ha mostrato scarso interesse per le questìonì globali nella sua vita pubblica». E’ tutto vero, ma nel pomeriggio il commento dalle pagine dell’agenzia governativa cinese era sparito.
Fra i nostri politici, la conoscenza delle lingue è scarsa ( «francese scolastico» dichiara per esempio il neomìnistro allo Sviluppo economico Stefano Patuanelli), come pure le esperienze e competenze professionali. Non sono obbligatorie. La maggioranza dei rappresentanti del popolo nasce nella politica e vi cresce dentro. Un dentista deve studiare almeno per sei anni e prendere una laurea prima di poter limare un molare; un architetto non può alzare quattro muri senza avere laurea e abilitazione. Prima di assumere un ruolo di responsabilità devi dimostrare di aver prodotto qualche risultato. Per gestire pezzi di Paese, almeno in Italia, no. Di fatto i criteri di scelta e di arruolamento sono sempre gli stessi: cooptazione, fedeltà personale, convenienza reciproca. E una minaccia alla democrazia pretendere che siano richiesti requisiti di merito o di competenza prima di cedere le chiavi di un ministero, una Regione, un Comune?
Nel governo appena nato, uno dei posti più importanti è quello della prima donna ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli, 44 anni. Il dicastero dovrebbe gestire investimenti già finanziati con 35,5 miliardi di euro per il 2018-2033. Tav compresa. Paola De Micheli ha preso la laurea in Scienze politiche nel 2001. Dal 1998 al 2003 ha presieduto una coop di agricoltori che trasformava i pomodori in conserve, in lotta con la concorrenza cinese, chiusa poi per liquidazione coatta amministrativa con 5.399. 771 euro di perdite. La De Micheli aveva già lasciato la carica, il tribunale di Piacenza comminò un’ammenda di 2.000 euro. L’accusa, distribuzione sul mercato di merci mal conservate. In giudizio, lei sarà assolta. Per tre mesi, andrà a fare la consulente a Urumqi, in Cina, patria dei pomodori cinesì, E poi, verrà nominata commissario straordinario alla ricostruzione post-terremoto. Pochi risultati, ma la colpa è sempre delle norme capestro.
Roberto Speranza, dottorato in storia, mai lavorato nella sanità prima di entrare in politica, diventa ministro della Sanità; Teresa Bellanova, neoministro alle Politiche agricole, sindacalista, licenza media; Enzo Amendola, ministro per gli Affari europei, maturità scientifica, carriera tutta politica. Nella prima legislatura del dopoguerra (1949-1953) il 91% dei deputati italiani erano laureati. Oggi, sono poco più del 69%. Matteo Salvini è stato fuori corso per dodici anni a Milano, poi ha lasciato perdere.
Fabiana Dadone, 35 anni, laurea in Giurisprudenza, da curriculum «praticante avvocato abilitato al patrocinio», nessuna «funzione o attività imprenditoriale o professionale» dichiarata alla Camera il 17 maggio 2017. Le è stato affidato il mastodonte del ministero della Semplificazione. Prima di lei lo stesso ministero era toccato al dentista leghista Roberto Calderoli, e a Marianna Madia, laureata in Scienze politiche e a 34 anni ministro: «Porto in dote la mia inesperienza», disse. Se fossero nati in Francia, avrebbero dovuto frequentare la “Grande Ecol” o Scuola Nazionale di Amministrazione fondata nel 1945 da De Gaulle, 10.645 iscritti nel 2016. Cura la selezione dei quadri politici, economici e amministrativi, fornisce la maggior parte dei «grand commis», dei dirigenti dei partiti, e dei componenti dei governi; quattro presidenti, otto primi ministri e segretari di Stato, e anche Macron. Vi si accede mediante concorso, dai 18 anni in poi si è già inseriti nei meccanismi di selezione.
La Gran Bretagna ha scuole come l’Istituto del governo locale, che forma i gestori dei conti pubblici o della sanità. La Germania la scuola di Kehl, 70% donne che studiano pubblica amministrazione e all’iscrizione diventano già funzionari pagati. In Finlandia, i quadri si formano all’Istituto della pubblica amministrazione, che coinvolge tutti i ministeri. In Danimarca, i Centri per la valutazione delle competenze individuali formano il personale della pubblica amministrazione a tutti i livelli. Anche in Italia c’è la Scuola Nazionale del- 1′ Amministrazione, fondata nel 1957, dipende dal Consiglio dei ministri. Fra gli ultimi corsi di studio : «Come redigere il piano di prevenzione della corruzione», «Ufficio stampa e media relations», «Esperto in protocollo e cerimoniale». La scuola vanta diversi scambi internazionali. Non tutti, forse, ad altissimo livello. Ultime delegazioni ricevute in visita ufficiale: Istituto cinese del Chengdu, Collegio nazionale del Pakistan, comune di Namyangja (Sud Corea), Istituto diplomatico della Georgia, accademia Ho Chi Minh del Vietnam. Ecco, si potrebbe cominciare a portare questa scuola all’altezza dei modelli europei sopra citati. E magari con l’obbligo di transitarvi, prima di ammìnìstrare la cosa pubblica.
Il corriere della sera 6 settembre 2019
By Mario Pudhu, 10 settembre 2019 @ 14:24
… e nos faghet meraviza chi medas ‘politici’ siant ignorantes? Proite, sas criaduras de tres e bàtoro annos no zogant a babbos e a mamas, a mastros de iscola, a dutores, a preíderos, chentz’àere mai istudiadu a propósitu? A ‘politici’ nono, no mi ndh’at mai capitadu de criaduras zoghendhe a ‘politici’, fintzas ca sa ‘politica’ est cosa cumplicada che a peruna ‘professione’ e no bi cumprendhent una cibudha mancu sos mannos (chi difatis votant comente si zogat a “puntare”: si inzertas essit sa caramella, e mescamente cun s’idea-abbitúdine “Deo ti apo votadu, como pessabbei tue. Deo sigo a drommire”. O sinono cumprendhet a chie votare si li at promissu carchi cosa. O si est de famíllia. O de bidha.
A ‘politici’ zogant sos prus ‘cabosos’: medas pro passione tzivile, ma medas de prus ca sunt ‘esperti’ in donzi cosa, lestros pighendhe, botosos, totu pinnicas e trassas, furbos (s’arte de sos Italianos, su credo de “ti frego”, “fesso chi è onesto”), cara manna, ma no de sola, ruja solu ca sunt sanos, educados e de peràulas a rios. E unu esércitu de candhidados podent èssere solu “cacciatori di voti” e mancari faghent catza bona, cacciano numerose prede.
Tzertu, a èssere professionistas in carchi cosa de istúdiu, preparados, onestos, àbbiles e abbistos e sérios no bastat. E si pro bínchere fit bastadu a tènnere resone!…Ma a fàghere “corto circuito” PoliticaPotere diventat s’arte de ischire chircare votos ebbia. s’únicu iscopu de sa ‘politica’. Gai a contare si podet contare meda (votos e incàrrigos) ma pro fàghere ite e comente?
Azis a nàrrere: Ma!… E tenides resone: “Non fare di ogni erba un fascio”. Imparamus però a èssere sérios comintzendhe de nois etotu e candho damus su votu deleghendhe unu candhidadu depimus ischire chi si de unu depimus e semus meres de pretènnere est de nois etotu e si amus irballadu… perseverare diabolicum est.