Baddesalighes nella storia: mito e realtà, di Luciano Carta

Rubrica: ISTORIAS DE SARDIGNA contada dae Luciano Carta. Sa de Ses.

 

 

1. Realtà e mito di questo luogo attraverso la storia: per una più attenta considerazione delle popolazioni del territorio

 

Chi scrive ha raccontato spesso a voce e per iscritto sulla storia di Baddesalighes, nel territorio montano del Comune di Bolotana, del suo fondatore, dell’ingegnere gallese Benjamin Piercy e delle vicende della sua famiglia legate a questa importante località nel quadro degli itinerari turistici e naturalistici della Sardegna. In questa contributo affronterò brevemente l’argomento, cercando di porre in evidenza le due facce di questa vicenda, che nel titolo ho definito “realtà” e “mito” della storia di Baddesalighes, o, come sarebbe più corretto dire, dell’Azienda Piercy della montagna del Marghine. Il motivo di questa scelta è presto detto.

Negli ultimi anni la pubblicazione delle memorie autobiografiche di diversi componenti della Famiglia Piercy, ha tracciato un quadro di sicuro interesse e anche affascinante di questa storia. Mi riferisco ovviamente al Diario di Florence, terzogenita di Benjamin (cfr. Florence Diary. Il diario di Florence Ada, terzogenita di Benjamin Piercy, a cura di Maria Manca e Christine Tilley, Editrice Taphros, 2006), al Diario di Benjamin Herbert (1870-1941), penultimo figlio dell’ingegnere gallese e dal 1904 titolare e proprietario dell’Azienda del Marghine (cfr. B. H. Piercy, La Sardegna dei miei ricordi, traduzione e note a cura di Raffaele Cherchi, Cagliari, Zonza Editori, 2008) e da ultimo alle le memorie della Signora Giorgina Mameli-Piercy Giustiniani, Tra il Galles e la Sardegna. Storia della Famiglia Piercy (Sassari, Carlo Delfino Editore, 2018), curato da Diego Satta e presentato qui a Baddesalighes-Villa Piercy il 7 aprile scorso.

Si tratta di contributi che hanno molto arricchito la conoscenza delle vicende interne della Famiglia Piercy e indirettamente della storia di questo sito. Tuttavia, secondo il mio punto di vista, tali memorie hanno lasciato alquanto in ombra la storia del territorio e soprattutto degli abitanti di questa regione storico-geografica del Marghine. Si percepisce, cioè, in queste rievocazioni autobiografiche, qualcosa di “mitico”; si percepisce in esse un’atmosfera da “favola reale” di ricchi proprietari inglesi. Né questo è un in sé un difetto: è immancabile che le memorie dei diretti protagonisti ed eredi della Famiglia abbiano questo carattere e queste memorie sono tutte di sicuro interesse. Manca, tuttavia in esse qualcosa di molto importante: il “ruolo”, la “situazione”, “l’impatto” complessivo di questa vicenda sul territorio e sulle popolazioni della regione. La “Storia”, per usare una metafora molto intuitiva, è come una medaglia con le sue due facce: sul dritto reca la “realtà”, sul rovescio reca il “mito”, che è l’equivalente della celebrazione, della “idealizzazione” degli eventi. Mi propongo, con qualche esempio che desumo dalla stampa dell’epoca, mostrare l’una e l’altra faccia della nostra metaforica medaglia.

 

2. Le cinque tappe della storia di questa montagna nei circa cento anni della presenza della Famiglia Piercy

 

La storia della montagna e della regione del Marghine nel periodo compreso all’incirca tra il 1860 e il 1960 deve molto alla Famiglia Piercy. Tale storia può essere suddivisa in cinque tappe e in quattro di esse, nel bene e nel male, l’attore principale è proprio questa Famiglia.

1a Tappa: anni 1870-1888.

 

Sono gli anni in cui l’ingegnere Benjamin Piercy (1827-1888) regala alla Sardegna, nel quadro di un’aspettativa di progresso unanimemente condivisa da tutta l’Isola, il miracolo della Ferrovia, l’infrastruttura viaria che ha costituito uno snodo cruciale per consentire alla Sardegna di entrare nella “modernità”. Il “mito della modernità”, contribuirono ad enfatizzarlo gli stessi Sardi, come segno di riconoscenza e come sincero tributo alle oggettive capacità professionali e imprenditoriali dell’ingegnere gallese.

Secondo quanto rileviamo da un articolo di cronaca del giornale cagliaritano «L’Avvenire di Sardegna», apparso il 30 luglio 1885, l’Amministrazione comunale di Macomer incaricò l’allora giovane pittore e poeta sassarese Pompeo Calvia (1857-1919) di farne il ritratto, all’interno di un quadro ricco di allegorie, di figure, di paesaggi, di idealizzazioni retoriche relativi all’opera del Piercy, che definiscono in modo plastico la cornice entro cui fu percepito dalle classi dirigenti del periodo e dalle stesse popolazioni l’opera di Benjamin Piercy nel nostro territorio e nella Sardegna tutta.

 

«È un quadro di forma rettangolare – scrive il cronista sotto lo pseudonimo di Gaio –, misura 0.90 x 0.80, eseguito a penna con molta disinvoltura e franchezza […] Fiori e ricami che s’intrecciano a figure, a strisce di paesaggi, macchiette appena accennate. Sul davanti in prima linea, un giovane snello e severo esprimente la scienza, in mezzo a macchine e a strumenti; dietro un colosso d’uomo appoggiato ad un masso granitico, con su incisavi la fama. Di sopra medaglioni figuranti illustri sardi da’ quali si denominano le principali vie di Macomer; nel centro la maschia e severa figura del Sardus Pater. A sinistra il ritratto di Piercy che, somigliantissimo, distacca dietro un fondo arabescato. Più giù una figura barbara e scapigliata di sardo che si erge in mezzo a vasetti di fiori; a qualche distanza la palazzina del Piercy e figurine di cavalieri alla corsa lungo i viali del giardino che vedesi appena delineato. Il quadro è riuscitissimo – concludeva il cronista – e il Municipio di Macomer ebbe nel Calvia un interprete fedele dei suoi sentimenti».

 

Realtà e mito nell’impresa dell’ing. Piercy convivono: è indiscutibilmente “reale”! il grande passo avanti fatto fare alla Sardegna sulla via della modernizzazione; tuttavia questa realtà, eccessivamente mitizzata, non tiene conto che in una società fatta quasi esclusivamente di pastori e contadini, il neonato Regno d’Italia, non avendo altri capitali da offrire, offrì alla Società costruttrice italo-inglese, come parzialissima indennizzo, nientemeno che 200.000 ettari di terreni ex-feudali o ademprivili, ossia circa il 50% dei terreni demaniali di tutti i Comuni della Sardegna e su cui le popolazione da tempo immemorabile avevano esercitato gli usi civici. È questa l’altra faccia della medaglia relativamente alla prima fase dell’impresa della Ferrovia. Per fortuna, all’insipienza dei governanti fece scudo la ribellione delle popolazioni, che si ribellarono all’improvvida volontà del governo di privare le popolazioni dell’uso di un patrimonio tanto cospicuo e necessario per la sopravvivenza.

Nel 1879 l’ing. Piercy, che amava la Sardegna e aveva iniziato a mettere radici a Macomer, acquistò per intero il lotto demaniale della montagna di Bolotana (oltre 2000 ettari) e al tempo stesso ‘azienda di Padrumannu e molti terreni situati nei territori dei Comuni addossati alla catena del Marghine, costituendo così una grande e moderna Azienza agro-zootecnica (attorno ai 4000 ettari) che occupava tutta la fascia montana della nostra regione, dalla Campeda a Sas Costas. Fu questo, probabilmente, il periodo più felice per questo territorio in termini di modernizzazione e di occupazione di forza lavoro per questo territorio. Ciò a condizione che, ancora una volta, non si dimentichi l’altra faccia della medaglia. Infatti, l’altra metà dei terreni ex-ademprivili fu assegnato in proprietà, nei vari Comuni, tra le amministrazioni civiche e i contadini e pastori dei nostri paesi. Molti di loro, infatti, furono ben presto costretti a cedere i piccoli lotti montano perché l’esosità della tassa predale non consentiva loro di essere solventi ei confronti del fisco. I lotti pignorati dal fisco furono in gran parte acquistati dalla Famiglia Piercy e dalle persone facoltose dei nostri paesi. Ciò non toglie, ovviamente, che a Benjamin Piercy vada il merito di aver dato un decisivo impulso anche alla modernizzazione di questo territorio, tanto che i Comuni di Bolotana e di Macomer lo insignirono della cittadinanza onoraria (Bolotana nel 1882, Macomer nel 1885).

2a Tappa: anni 1888-1904.

 

Dopo la morte di Benjamin Piercy nel marzo 1888 gli eredi si contesero a lungo l’eredità: il figlio maggiore Robert, che alla fine dell’Ottocento risiedeva spesso nelle sue case a Macomer, voleva essere il titolare unico dell’eredità, ma nel 1899 perse la causa. Il rappresentante della Famiglia che governò il patrimonio Piercy in questo periodo fu il secondo dei figli maschi di Benjamin e Sara Piercy: Henry Egerton Piercy (1866-1929). Fu questo, a quanto si desume dalla stampa dell’epoca, in cui l’Azienda di Padrumannu e Baddesalighes balzò spesso all’onore della cronaca. Fu, probabilmente, il perido economicamente più florido: a Padrumannu funzionava un moderno e rinomato caseificio i cui prodotti venivano distribuiti nell’Isola attraverso a stazione interna all’Azienda di Campeda; fu potenziato l’allevamento di cavalli di razza; inoltre fu attuata un’oculata politica di miglioramento delle razze armentizie. Particolarmente avanzato appariva il sistema produttivo attraverso l’utilizzazione di moderne strumenti tecnologici. Tra la villa di Baddesalighes, che Henry Piercy ampliò e modellò a un maniero all’inglese, come appare ancora oggi, e Padrumannu si viveva un’atmosfera da Belle Époque. A partire dal 1892 Benjamin Herbert organizza a Padrumannu tornei di equitazione due volte panno con ricchi premi per i vincitori; la moglie del fratello maggiore Robert, la contessa romana Teresa Margherita Alliata, all’interno delle gare ippiche organizzava eleganti sfilate di costumi sardi con premi per i più belli, indossati da avvenenti ragazze sarde. È però noto che anche la Famiglia Piercy amava indossare i costumi sardi. La stazione di Campeda, distante solo 2 Km da Padrumannu, favoriva l’afflusso di numerosissimo pubblico. Stralcio qualche brano dalla stampa dell’epoca. Dalla “Nuova Sardegna” del 24 marzo 1894:

«Macomer 12 – Ieri hanno avuto luogo le corse a Padrumannu bandite dal signor H. E. Piercy. La giornata era stupenda, e accorse uno straordinario numero di gente dai paesi vicini. Molti si servirono del treno sino a Campeda, altri preferirono fare una cavalcata, altri un’escursione ciclistica. / I palchi a disposizione del pubblico erano zeppi di signore e signorine provenienti dai dintorni, che indossavano stupendi costumi isolani. Non essendo sufficienti i palchi la folla si addensava per un bel tratto attorno agli steccati di cinta della pista. È questa di un’estensione abbastanza vasta (2200 metri di circonferenza, conservata accuratamente. Debbo notare tra i non pochi raditi ospiti il giovane tenente d’artiglieria marchese di Suni, distinto cavallerizzo. Nel palco riservato al comitato sventolava la bandiera inglese e italiana».

 

Credo non sia esagerato dire che Henry Egerton Piercy ha inaugurato la vocazione turistica del nostro territorio.

In quegli anni in cui la Famiglia Piercy era spesso presente a Macomer e nell’Azienda di Padrumannu-Baddesalighes, Macomer era diventata una piccola “Parigi” sarda per i divertimenti e la vita galante che vi si conduceva durante il Carnevale.

Stralcio, dai numerosi articoli a stampa, una cronaca del 30 marzo 1895:

 

«Macomer 28 – L’ultima festa da ballo riuscì brillantissima. Le prime lodi spettano al simpatico direttore di sala ed a colui che eseguì al pianoforte inappuntabilmente scelti balli … a quattro mani, con la signora Gutierrez dagli occhi eri affascianti. / Oltremodo grato fu l’intervento della contessa Margherita Piercy con l’inclita madre sua. Indi la simpatica Luisella Uras, la spiritosa signorina Scarpa, e le sorelle Frolicher abbigliate elegantemente, la cortesissima signora Manconi che fece gustare deliziosi ballabile al pianoforte, donna Carolina Fois dall’abito rosso e nero, le signorine Gandini, Guletti, Zedda, ecc. ecc. Il ballo durò sino a giorno. E ora riposiamoci. Arrivederci a Pasqua».

 

Negli anni successivi, a partire dal 1897, Henry Egerton Piercy e gli amministratori dell’Azienda del Marghine pensarono di poter beneficiare dei vantaggi offerti dalla Legge 2 agosto 1897 n. 382, la prima «legge speciale sulla Sardegna», poi modificata e integrata nel 1902 e nel 1907 dal ministro dell’Agricoltura Francesco Cocco Ortu (1842-1929). Interpretando a proprio favore, con qualche forzatura alla norma, il progetto di colonizzazione delle campagne, essi favorirono l’insediamento a di due borgate agricole, l’una a Padrumannu e l’altra qui a Baddesalighes, che furono inaugurate nel 1902. Ecco quanto si legge in una breve cronaca della “Nuova Sardegna” del 24 settembre 1902:

 

«Macomer 18 – Ieri presenti l’on. Baccaredda, il prefetto di Cagliari Ciola, l’avvocato Broccardo, ispettore della Banca d’Italia, il professor Masino, assistente della cattedra ambulante di Cagliari e moltissimi altri invitati ebbe luogo l’inaugurazione della borgata “Vila Piercy” in territorio di Padrumanu. / La varietà del programma, pubblicato da tempo nel giornale, fece accorrere sul luogo un enorme concorso di persone da tutti i villaggi, e specialmente dal nostro. / Ricchissima l’esposizione di costumi sardi; giudicati migliori e premiati furono quelli di Thiesi e di Bonnanaro, e ammiratissima la mostra di cavalli stalloni, fra i quali ottenne un premio di 80 lire quello dei signori fratelli Ledda di Bortigali e uno di Tadasuni e uno complessivo di lire 25, due di Bonnanaro».

 

Pochi mesi dopo, con decreto del prefetto di Sassari del 15 gennaio 1903, la borgata di Baddesalighes o Tres Funtanas, costituita da circa 50 case con 97 coloni e 210 abitanti, e quella di Padrumanu, che contava una trentina di famiglie, ottennero il riconoscimento giuridico di “borgate autonome”.  Si legge tra l’altro, nella stampa del 5 aprile 1904:

 

«Villa Piercy, 1 – La borgata di Padrumannu conta una trentina di famiglie, oltre al personale addetto ai lavori delle traversine e del carbone […] L’educazione e l’insegnamento dei fanciulli per le due borgate viene impartita da una maestra elementare retribuita dall’amministrazione; così pure per le funzioni religiose. A disposizione delle borgate vi sono due cantine di generi alimentari, che somministrano a pezzi modesti ed anticipo di viveri. / L’operaio ammalato percepisce mezza paga, e spesso viene generosamente aiutato dalla famiglia Piercy».

 

In data 7 giugno 1904 si legge:

 

«Campeda. 6 – La stazione di Campeda, che pure è un centro di sbarco e di commercio delle varie tenute Piercy e dei vari negozianti, viene dalla direzione delle Ferrovie Reali considerata una fermata di niuna importanza, mentre annualmente dalla stazione partono oltre centomila tonnellate di carbone ed altrettante di scorza, oltre alle traverse, alle derrate ed al bestiame d’ogni genere», ecc.

 

Ecco, per tornare alla nostra analisi, un’altra faccia dello sviluppo economico del nostro territorio: lo sfruttamento selvaggio del patrimonio boschivo, che, iniziato dal conte Pietro Beltrami a metà dell’Ottocento, tanto da essere definito dal Lamarmora «l’Attila dei boschi sardi», veniva continuato dai Piercy, che ne avevano rilevato i beni e l’attività imprenditoriale, impoverendo enormemente le superfici boschive, che l’Angius attorno al 1830 definiva «una continua selva».

 

3a Tappa: anni 1904-1941.

 

Questo periodo coincide con la quasi quarantennale amministrazione dell’Azienda da parte dell’ultimo figlio maschio di Benjamin Piercy: il maggiore Benjamin Herbert, noto Berthy (1871-1943).

Terminata la lunga vertenza sulla successione, nel 1904 Berthy Piwrcy acquistò la prprietà dell’Azienda del Marghine, lasciando a lui i beni del sud dell’Isola, i salti d’Oridda, le azioni nelle miniere e la villa di Porto Pino. L’altro ramo dei Percy, quello di Robert, estromesso dalle altre proprietà, amministrò una fiorente tenuta presso l’attuale zona di Santa Margherita di Pula e di Domus De Maria.

Nell’azienda marghinese il periodo che precedette la Grande Guerra fu di forte tensione e di grande conflittualità tra le popolazioni del Marghine, in particolare quella bolotanese, e Berthy Piercy.

Quale il motivo?

L’enorme aggravio fiscale che l’erezione in “borgata autonoma” di Baddesalighes ebbe sulle magre finanze del paese di Bolotana a seguito dell’esenzione fiscale ventennale di cui godeva l’azienda ai sensi delle leggi sulla colonizzazione delle campagne. . . Leggiamo, da una cronaca della “Nuova Sardegna” del 13-14 settembre 1907:

 

«L’imposta della tassa fuocatico, altra questione spinosa, venne in seguito ad un’altra ingiustizia dell’autorità governativa. / In seguito alla scandalosa proclamazione a borgata autonoma della tenuta Piercy, il Comune di Bolotana veniva a perdere oltre tremila lire d’entrata, e perché il bilancio stesse in bilico non si poté fare a meno di calcare con la odiosa tassa. / La borgata autonoma fu proclamata un cinque anni fa, sempre sotto la stessa amministrazione, e ancora pende sotto giudizio il ricorso per l’abrogazione del decreto [prefettizio del 1903] al Consiglio di Stato». (QB 2012, pp. 151-52).

 

Furono anni di continue proteste popolari e alla fine l’Amministrazione comunale di Bolotana ottenne che l’autonomia della borgata fosse revocata. Questa faccia della medaglia non ci pare risulti descritta nelle memorie di Berthy Piercy, che, bollato dall’opinione pubblica come «nuovo feudatario del Marghine», con l’avvento del fascismo andò sempre più trasformandosi in un latifondista assenteista.

 

 

4a Tappa: anni 1941-1960 circa.

 

Con la morte di Benjamin Herbert nel 1941, l’Azienda Piercy venne ereditata dalla seconda moglie Daphne Beatrice Hardwicke

Con la morte di Berthy Piercy nel 1943 l’Azienda Piercy venne ereditata dalla seconda moglie Daphne Beatrice Hardwicke e dalla figlia Vera Norina Piercy (1896-1979), Donna Vera, che nel 1933 aveva sposato il diplomatico oristanese Giorgio Mameli. La recentissima pubblicazione delle memorie della signora Giorgina Mameli Piercy, figlia di Donna Vera, ci offrono uno spaccato di grande interesse e anche umanamente toccante della Famiglia Mameli-Piercy, gli ultimi proprietari dell’Azienda, che frequentarono abbastanza a lungo la Villa Piercy. Sposata dal 1933 al diplomatico oristanese Giorgio Mameli, Donna Vera, insieme alla figlia Giorgina, visse una vita abbastanza avventurosa e a tratti difficile, nelle varie sedi diplomatiche cui fu destinato il marito, ambasciatore del Regno d’Italia. Fedele al giuramento di fedeltà al Re, dopo l’8 settembre 1943, Giorgio Mameli, allora ambasciatore in Bulgaria, rimase fedele alla monarchia e quindi al Regno del Sud tra il 1943 e il 1945, per cui la Famiglia subì anche l’internamento nella località di Varchetz da parte dei nazisti fino all’arrivo in Bulgaria dell’Armata Rossa nel settembre 1944.

Nel secondo dopoguerra l’Azienda Piercy, pur non abbandonando del tutto la vocazione produttiva agro-pastorale, andò sempre più assumendo la fisionomia di latifondo in gran parte dato in affitto. Era dunque fatale che la proprietà andasse a scontrarsi con la fame di terra delle popolazioni contadine delle nostre contrade analogamente a quanto avveniva in tutto il Meridione d’Italia. Si giunse così all’espropriazione di cospicua parte del patrimonio terriero dell’Azienda, fortemente contrastato dalla proprietà. È in questo contesto che persone anche della mia età poterono ascoltare dalla viva voce di Donna Vera espressioni come: «Fuori dalle mie terre!».

 

 

5a Tappa: 1950-1960 circa.

 

Su queste segmento conclusivo delle vicende dell’Azienda Piercy sono in grado di offrire qualche elemento di novità che forse non dispiacerà di conoscere agli amanti della nostra storia locale. Quel processo, che poi ha dato, nel bene e nel male, un volto nuovo all’economia agricola e zootecnica della Sardegna, occorre ricordare che non interessa la sola Sardegna, ma interessa l’Italia intera e s’inscrive nel disagio economico e sociale del secondo dopoguerra – ma un discorso analogo si deve fare per il primo dopoguerra, anche per sottolineare che quell’evento ha profonde radici nella nostra storia. Quell’evento s’inscrive, dicevo, nella fame di terra da parte dei contadini senza terra e dei pastori senza pascoli.  Una vicenda, dunque, che fa parte della storia nazionale e ha una precisa denominazione: la RIFORMA AGRARIA – ma è più corretto dire la RIFORMA FONDIARIA – avviata con i decreti a firma dei Ministri dell’Agricoltura Fausto Gullo, Antonio Segni e Amintore Fanfani, tra il 1944 e il 1953. Dalla Val Padana all’Italia Centrale, dal Meridione alla Sicilia e alla Sardegna, fu messo in atto un grande progetto di valorizzazione delle terre incolte, di limitazione del latifondo, di creazione della piccola proprietà contadina, di bonifica delle campagne, che fu veramente epocale.

Nel nostro piccolo, anche Bolotana e i centri del Marghine furono partecipi di questo importante processo di ammodernamento dell’agricoltura, prima con la protesta sociale dell’occupazione delle terre, poi con gli espropri che colpirono tanti latifondi di tutta l’Italia.

È pertanto storicamente sbagliato ricondurre ad una dimensione locale o ad una dimensione strettamente personale, familiare o comunale, questo processo di trasformazione, che fu allo stesso tempo di portata politica, economica e sociale.

Il primo passo di questo processo di acquisizione dei territori appartenenti all’Azienda Piercy, fu l’acquisizione da parte del Comune di Bolotana, nell’estate-autunno 1950, dei 372 ettari del tancato “Sa Serra”, grazie al contributo dei cittadini e all’impegno del sindaco di allora Giovanni Maria Bussa.

Subito dopo, nell’ottobre 1950, fu varata la cosiddetta “Legge Stralcio”, che in Sardegna affidava all’ETFAS il compito di predisporre i piani di esproprio dei terreni, piano che fu completato il 31 dicembre 1951. Nei mesi successivi avvenne l’espropriazione effettiva dei terreni, che interessò anche l’Azienda Piercy.

A questo proposito occorre sfatare un altro mito. L’esproprio dei terreni non interessò solo il Comune di Bolotana, anche se in termini di ettari espropriati e acquisiti alla mano pubblica tramite l’ETFAS, i terreni ricadenti nel territorio comunale Comune di Bolotana furono in quantità molto molto più cospicua rispetto a quelli ricadenti nel territorio degli altri Comuni.

I quattro Decreti di esproprio di terreni appartenenti all’Azienda Piercy a firma del Capo dello Stato Luigi Einaudi, controfirmati dal Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi e dal Ministro dell’Agricoltura Amintore Fanfani, recano tutti la data del 28 dicembre 1952 e interessano terreni ricadenti nel territorio dei Comuni di Macomer, Bolotana e Bortigali.

1) Con il DPR N. 4153 venivano espropriati ettari 236.55.65 ubicati nel territorio di Macomer, il cui reddito dominicale era di £ 14.241,07, con indennità di esproprio calcolata in £ 5.486.141,40, «salvo sua determinazione definitiva» (cfr. G. U. N. 19 del 24.01.1953, Suppl. Ord. N. 2). Tali terreni erano tutti intestati «alla ditta Piercy Vera Norina fu Beniamino maritata Mameli».

2) Con il DPR N. 4156 venivano espropriati ettari 1034.17.58 intestati, si legge nel Supplemento alla Gazzetta Ufficiale, «alla ditta Piercy Daphne Beatrice fu Beniamino», tutti ubicati nel territorio comunale di Bolotana, il cui reddito dominicale era di £ 53.475,11 e il prezzo di espropriazione veniva calcolato, salvo rettifica, in £ 21.661.839,90. Dunque una parte molto consistente dei possedimenti erano intestati a Daphne Beatrice Lloyd Hardwicke, sposata da Herbert Benjamin in seconde nozze nel 1909, la quale, pertanto, non poteva essere «fu Beniamino», ma era figlia del defunto maggiore Hardwicke Lloyd Hardwicke.

3) Con il DPR N. 4157 venivano espropriati ettari 397.36.77 ubicati nel territorio comunale di Bolotana e intestati alla ditta Piercy Vera Norina in Mameli, con reddito dominicale di £ 16.201,12 e indennità di esproprio do £ 6.312.925,05.

4) Con il DPR N. 4158 venivano espropriati ettari 206.97.69 ubicati nel territorio comunale di Bortigali e intestati «alla ditta Piercy Vera Norina fu Beniamino», con reddito dominicale di £ 23.032,92 e indennità di esproprio do £ 8.276.426,50.

I terreni espropriati comprendevano diversi fabbricati rurali, una cospicua quantità di pascoli arborati, numerosi pascoli aperti, un numero minore di incolti produttivi e qualche seminativo.

In territorio di Macomer i tancati e gli appezzamenti erano ubicati nelle località di Sedda ’e Rughes, Muràine, S’Istriscia, Abba Sabrasta e Pranu Mannu.

In territorio di Bortigali i tancati erano quelli siti nelle località di Matta Lunesu, Chercu Arcàdu, Padru Mannu, S’Ena ’e Padru Mannu e Su Au de sa Donna.

In territorio di Bolotana i terreni comprendevano queli ubicati nelle località di Antunnàles, Su Chivàrzu, Sos Cumpènsos, Bantìne Cruo, Funtana ’Ona, Sos Bilighozòsos, Su Zaramontèsu, Sos Calarìghes, Camorra, Oseddo, Prunìzza, Benàle Litos, Zuncos, Chentu Tràzzos, Santa Maria ’e Saùccu, Su Meuddìnu, Binza ’e Pranu.

 

 

3. Conclusioni

 

La storia più recente è sufficientemente nota. L’Azienda Piercy venne in parte privatizzata e in parte acquisita alla mano pubblica dopo gli anni Ottanta del Novecento. Ed è grazie all’acquisizione da parte della mano pubblica se noi possiamo oggi visitare e godere di questo patrimonio naturalistico inestimabile. Mi sia consentito a questo proposito sottolineare l’impegno appassionato di un amministratore pubblico che mai nelle diverse manifestazioni che si sono tenute in questo sito è stato ricordato: si tratta del Presidente della Comunità Montana ragionier Romano Benevole, che nei decenni scorsi ebbe un ruolo determinante nell’acquisizione alla mano pubblica della Villa e del Parco di Baddesalighes.

Concludendo, mi pare che la storia e le vicende dell’Azienda Piercy, considerata sia nel periodo in cui fu gestita dai suoi legittimi proprietari nel corso di circa cento anni sia nel periodo in cui cospicua parte di essa fu espropriata e acquisita dalla mano pubblica, contenga un importante insegnamento di cui far tesoro, perché la storia per sua natura è sempre “magistra”, ci insegna sempre qualcosa. Questa storia, cioè, mi pare che ci insegni che il territorio va sempre visto senza soluzione di continuità, senza parcellizzazioni di mera appartenenza, e che per la sua più proficua utilizzazione esige che i singoli Comuni si sforzino di far sì che esso venga unitariamente e collettivamente gestito a vantaggio di tutte le comunità del Marghine, in primo luogo; ma, più in generale della società nel suo complesso, senza distinzioni di campanilistica appartenenza, come patrimonio produttivo, ambientale e culturale aperto alla fruizione della comunità umana.

 

 

 


[1] Questo testo costituisce una revisione dell’intervento dell’autore in occasione della manifestazione “I Giardini storici della Sardegna”, svoltasi a Baddesalighes il 27 maggio 2018.

 

 

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