Aristotele e la felicità: chi studia la raggiunge, di Mauro Bonazzi

LEZIONI DI FILOSOFIA di MAURO BONAZZI,in 7 del corriere della sera, 16 agosto 2019

A prima vista è la teoria più assurda, Aristotele stesso è il primo a riconoscerlo. Chiedete, la risposta sarà sempre la stessa. La felicità?Qualcuno magari osserverà che la si raggiunge nell’impegno pubblico, in una vita dedicata al bene  comune. Credendoci veramente?

Gli altri, la grandissima maggioranza, non avranno esitazioni: felice è chi se la può godere-ville spettacolari, frequentazioni esclusive, pranzi e cene nei ristoranti più lussuosi, divertimento tanto e fatica poca, sempre con stile. Eccola, la vita felice. Noi italiani abbiamo trovato persino la definizione perfetta: la dolce vita. Si può desiderare qualcosa di più? Assolutamente sì, replica Aristotele: l’unica vita davvero felice è una vita di studio. Difficile sostenere qualcosa di più assurdo. Ma ha ragione lui, probabilmente.

Intanto bisogna intendersi: qui non si sta parlando di attimi di gioia intensa – a questo, senza quasi rendercene più conto, riduciamo ormai la felicità noi moderni – bensì di una vita felice. Sono due cose ben diverse. Se la felicità potesse rìdursì a momenti di benessere, in effetti, il problema non sarebbe così complicato: qualche momento di entusiasmo non lo si nega a nessuno. Ma bastano questi momenti a rendere felice una vita? No, e il punto, infatti, è un altro. Una vita felice, soddisfatta, è una vita in cui io ho realizzato i miei talenti, ho sviluppato le mie potenzialità, sono diventato quello che volevo e sentivo di essere. Per raggiungere questo obiettivo devo dunque plima capire chi sono. Sembra difficile, ma non lo è.

Aristotele, nato nel 384 a.e. e morto nel 322 a.e., con Platone e Socrate è uno dei padri del pensiero filosofico occidentale

Ogni cosa possiede qualcosa che lo distingue da tutto il resto, e n è la sua essenza, quello che è veramente. È nella natura del coltello tagliare: un pezzo di legno e un pezzo di metallo tenuti insieme da soli non bastano a fare un coltello. Tagliando, il coltello realizza la sua natura di coltello. E noi? Qµello che ci distingue, rispetto a tutto il resto del creato, è il possesso della ragione. L’uomo, l’animale razionale. Quando usiamo il cervello realizziamo dunque la nostra natura di esseri razionali, le nostre potenzialità di esseri umani. Lì è la nostra felicità. Non significa rifiutare il piacere, tutt’altro. Ma una vita dedicata al solo piacere da sola non basta. Cerchiamo anche altro.

La felicità, quella più autentica e duratura, si accompagna a una certa coscienza di sé, alla consapevolezza che si sta vivendo secondo un progetto. Per questo la vita di chi s’impegna è alla fine più soddisfacente: perché sta costruendo qualcosa di umano. E poi, più profondo ancora, c’è il desiderio di conoscere, di capire. La gioia di Einstein, quando scoprì i misteri della relatività – qualcuno la vuole paragonare a una bella cena? Non va mai dimenticato: in tutto questo universo immenso, fino a prova contrarla, siamo gli unici che possono riflettere e pensare, che non si limitano a lasciarsi vivere, ma che possono comprendere quello che stanno facendo e quello che accade. Q!.1esto desiderio di capire, di conoscere, di dare un senso alla nostra esistenza è qualcosa di unico, è solo nostro. Perché siamo qui, da dove veniamo e dove andiamo? Come fare a vivere una vita giusta? Non sono domande semplici. Ma non è proprio in quei momenti che siamo davvero noi stessi? Fatti non foste a viver come bruti/ ma per seguir virtute e conoscenza. Per questo Ulisse si era messo in viaggio. Buoni pensieri, sotto l’ombrellone.

 

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