Marcello Fois attacca Gianni Marilotti ma rimane sulla superficie, di FEDERICO FRANCIONI
Cosa ci volete fare? Tengo famiglia! – Al dissenso si risponde con l’espulsione – Certo, non si tratta di repressione di tipo staliniano! – Il vuoto di idee, contenuti e progetti negli schieramenti politici - La distruzione di ogni cultura politica organizzativa; per vedere la luce in fondo al tunnel.
Cosa ci volete fare? Tengo famiglia! Nell’articolo Marilotti e il suo giro retorico - comparso su “La Nuova Sardegna” di venerdì 9 agosto 2019 – l’autore, Marcello Fois, ha avuto fin troppo facile gioco nel prendere di mira il voto favorevole di Gianni Marilotti (senatore sardo del Movimento 5 Stelle) al Decreto Sicurezza bis. Con malcelato disprezzo, Fois scrive innanzitutto che il parlamentare proviene “dall’anonimato delle retrovie di vari partiti e partitelli”. Ma non è solo questo il punto: Marilotti, secondo Fois, avrebbe tacitamente invocato la tradizionale logica del “tengo famiglia”; in buona sostanza, vorrebbe, vuole tenersi ben stretta una comoda e lauta poltrona.
In proposito, il senatore ha replicato con una nota, Attacco rozzo a una scelta sofferta, sotto forma di lettera al direttore Antonio Di Rosa, apparsa sabato 10 agosto sullo stesso quotidiano: Marilotti vi sostiene che avrebbe potuto lasciare il gruppo del M5S e trasmigrare in quello misto – passando dall’emolumento di 3.500 euro (tagliato per contributi, restituzioni e spese per eventi ed attività del gruppo parlamentare) a quello, pieno, di 13.500 euro – ma ha preferito non farlo per condurre la sua battaglia interna.
A ben vedere, però, Fois, ancora una volta, non intacca la superficie, non scava, non tenta neanche di approfondire, come si è verificato per altre sue prese di posizione (tralasciamo qui un giudizio sulla sua produzione di narratore che ha avuto riconoscimenti di critica e di pubblico).
Marilotti aveva ribadito la sua opposizione al Decreto che egli stesso ha efficacemente smontato, salvo poi votare a favore del medesimo. Egli ha chiarito infatti che le politiche contro l’immigrazione – che hanno fatto salire vertiginosamente i consensi per Matteo Salvini – sono state in realtà un fallimento; i rimpatri non ci sono stati; gli sbarchi clandestini continuano.
Nella lettera al direttore del quotidiano sassarese, Marilotti ha ricordato che, contrariamente a quanto si verifica nella Camera dei deputati, nel Senato è impossibile disgiungere un voto negativo ad un provvedimento dalla fiducia posta o imposta sull’operato del Governo. Pur ribadendo le sue critiche alla Lega ed a Salvini, nei confronti del quale il M5S – egli ha precisato – mantiene un atteggiamento sostanzialmente subalterno, il senatore sardo si è dunque trovato costretto ad esprimersi affermativamente nella Camera alta, pur avendo in precedenza ottenuto l’adesione della stragrande maggioranza del suo gruppo parlamentare alle seguenti proposte: una politica di cooperazione euromediterranea per promuovere accordi multilaterali di cooperazione a vari livelli onde sostenere le popolazioni africane; cercare di interromperne gli esodi creando un’Agenzia dell’immigrazione; creare corridoi umanitari e favorire i rimpatri degli irregolari tramite reinserimenti nei paesi d’origine.
Al dissenso si risponde con l’espulsione. Lo stesso Marilotti (sul quotidiano sassarese di qualche giorno fa) ha evocato lo spettro, la minaccia dell’espulsione dal M5S. Ora, qui sta il punto: com’è possibile che la manifestazione di un documentato dissenso – ed anche il voto negativo verso una singola legge – possa provocare una siffatta reazione? La lotta politica, da tempo, si è deteriorata parecchio: l’eurodeputata isolana Giulia Moi – anche lei esponente del M5S – è stata, insieme con un altro eurodeputato, Marco Valli, espulsa e ciò, in Sardegna ed altrove, non ha provocato, a parte i social network, uno straccio di dibattito, al di là delle risposte e delle giustificazioni che la stessa Moi ha addotto in favore della sua prassi politica. Eppure la Moi non è una consigliera comunale di Bortigali: lo si dice qui, si badi bene, con tutta la stima e la simpatia per questo centro, pro custa bidda inue, intre sas àteras cosas, est nàschidu in su 1780 Domìnigu Fois, deputadu, giurista, chi podimus cramare “su Cesare Beccaria de sa Sardigna” pro s’òbera manna sua Dei delitti, delle pene e della processura criminale (1817). Comunque, bisogna ribadirlo: stiamo parlando di una deputata del Parlamento europeo.
Si tratta – in questo come in altri casi che accompagnano, fin dal principio, la storia del M5S – di soffocamento del dissenso, una pratica molto grave (rimando ad un articolo del sottoscritto sulla storia dei grillini, apparso in questo stesso sito). Si può formulare un altro esempio: nonostante gli interrogativi posti a suo tempo da “La Nuova”, ben pochi sono venuti a conoscenza dei reali motivi alla base della mancata ricandidatura del senatore Roberto Cotti, altro esponente sardo del M5S. Una spiegazione di ciò va – forse – individuata non solo e non tanto nelle divergenze che sarebbero insorte fra lui e l’ex sindaco di Assemini (nonché ex candidato a governatore regionale) Mario Puddu, quanto nell’impegno intensamente profuso con l’attività parlamentare dallo stesso Cotti. Se così fosse per davvero, si tratterebbe di un caso agghiacciante; proprio la solerzia, all’interno del M5S, può contribuire a metterti in cattiva luce, a suscitare quesiti del tipo: ma costui cosa vuole e, soprattutto, dove vuole andare? Fa tutto per smodata ambizione personale?
Certo, non si tratta di repressione di tipo staliniano! Teoricamente, astrattamente, il M5S potrebbe (da sottolineare il condizionale) consolarsi e tentare – vanamente – di farlo con molti di noi affermando che il dibattito rimane pur sempre aperto e che, insomma, non si tratta di una repressione di tipo staliniano. All’interno del suo stesso partito, Stalin sterminò bolscevichi ed antifascisti di provata fede, russi e non, fra i quali vanno annoverati coloro che non erano assolutamente suoi oppositori (si rinvia al tremendo caso di Serghiej Kirov, segretario a Leningrado, che non si era sicuramente schierato con Trotskij, vicenda di cui tratta diffusamente Robert Conquest, in Il grande terrore, pubblicato nel 1968 e ristampato anche recentissimamente). Avete mai saputo di ampie ed approfondite riflessioni su questi ed altri tragici eventi ad opera di un partito che pure intendeva ridefinire, rifondare l’idea di comunismo?
Al di là di questa e di altre considerazioni di tipo storico-politico, rimane la questione centrale che si è aperta dopo la caduta del muro di Berlino e dell’Urss: al crollo teorico-politico del comunismo storicamente realizzato ha corrisposto la pressoché totale afasia anche delle forze socialdemocratiche e riformatrici, forse perché – si può ipotizzare – in Italia, più che altrove, dotarsi di un’efficace strategia di riforme significherebbe attrezzarsi efficacemente per andare ad un durissimo scontro con poteri e fronti che puntano al mantenimento dell’assoluto immobilismo politico: si pensi alla drammatica estate del 1964, al Piano Solo, al generale dei carabinieri Giovanni De Lorenzo che fa visita al presidente della Repubblica Antonio Segni nel palazzo sassarese di viale Umberto (si rinvia agli appassionanti e documentati volumi di Mimmo Franzinelli, del nostro Salvatore Mura, nonché ad un articolo di chi scrive, comparso in questo sito). Per non parlare infine del “trattamento” giudiziario e carcerario che lo Stato italiano ha riservato agli indipendentisti sardi (nodo quasi sempre trascurato dalla stessa, composita area).
Il vuoto di idee, contenuti e progetti negli schieramenti politici. Fois – con altri scrittori ed intellettuali isolani, come Flavio Soriga – si è speso in appelli e dichiarazioni di voto a favore del Partito democratico: ma essi non hanno chiarito per quali motivi, per quali elementi di linea politica, di strategia, invitavano ad indirizzare così il suffragio elettorale. Il loro collegamento col Pd rappresenta allora un aggancio – custa borta lu chèrgio nàrrere in inglesu – una connection with the power?
In occasione delle ultime scadenze amministrative, il Pd ha perso il controllo di Cagliari, Sassari ed Alghero: ebbene, tali gravi sconfitte non hanno dato luogo al benché minimo tentativo di autocritica, di rilancio e discussione per mettere a punto un’efficace risposta all’evidente crisi d’identità di un partito da sempre senz’anima (nonostante gli sforzi in direzione opposta compiuti, fra gli altri, da Luigi Manconi, già senatore e sottosegretario di Stato). Del resto, Antoneddu Cabras – da tempo impegnato con Carlo Cimbri (cagliaritano, amministratore delegato di Unipol Banca e di Sai Assicurazioni) a mantenere una quota consistente nella Banca popolare dell’Emilia Romagna – non ha interesse alcuno a suscitare una disamina teorico-politica appena seria all’interno del Pd: ciò infatti comporterebbe il rischio di un allentamento del suo controllo. Di recente non si sono più tenute neanche le cosiddette “Tramatze”, cioè le riunioni di vertice del Pd – per i riassetti degli equilibri di potere interni – finite, almeno in un caso, con spintoni ed insulti.
La distruzione di ogni cultura politica organizzativa; per vedere la luce in fondo al tunnel. La globalizzazione, il processo di finanziarizzazione del capitale internazionale hanno da tempo piallato, asfaltato, schiacciato la dimensione politica. La cultura dell’organizzazione è stata distrutta. Dagli effetti di questo processo non sono esenti neanche gli indipendentisti sardi. Mentre la Lega preme sulla pancia dell’elettorato, M5S e Pd dimostrano di non avere assolutamente un nuovo modello di società da comunicare, se non altro alle rispettive basi. In Sardegna non esiste una forza in grado di raccogliere attese ed istanze provenienti dal basso, di rielaborarle, di verificarle ed arricchirle nel rapporto vivo con lo stesso tessuto sociale, al fine di costruire un progetto. Questa parola giunge sgraditissima alle orecchie delle oligarchie politiche autoreferenziali dominanti che hanno chiuso le sedi ed impediscono qualsiasi dibattito che potrebbe delegittimarle. Il Pianeta è minacciato dalle ricorrenti e sempre più allarmanti alterazioni climatiche e dal degrado ambientale ma di questo, ai ceti dirigenti sardi e della penisola, poco o nulla importa.
Un’alternativa a tale stato di cose può essere innanzitutto rappresentata da un ripensamento della forma-partito, per quanto non sia certo indispensabile insistere nell’uso di questo termine. Distinguendo tra partiti e movimenti, in ogni caso forme stabili e durature di organizzazione politica vanno ex novo costruite, piattaforme teoriche e strategie vanno elaborate, un nostro New Deal locale interrelato con uno globale va definito per avviare un processo storico-politico contro i meccanismi della dipendenza economica e della subalternità culturale, per l’emancipazione e la liberazione della società sarda e di tutti i popoli della Terra, a cominciare da quelli del Terzo Mondo.