Da Maria Lai a Nivola Gli artisti sardi del ’900 spopolano ancora, di Giacomo Mameli
Gli elogi nelle pagine culturali di tanti giornali del mondo garantiscono un grande ritorno d’immagine a costo zero.
Restiamo alla cronaca più recente con Il Corriere della Sera. Domenica 28 luglio, un articolo di Carlo Vulpio parla di «Sardi e universali come la loro arte. In mostra i figli dell’Isola (e del ’900)». Il Sole 24 ore, nel Domenicale del 21 luglio, con Marinella Venanzi racconta «Tutte le trame di Maria Lai» rievocando «un caleidoscopio di lenzuoli cuciti, tessuti ricamati, libri suturati, fiabe animate e fotografie delle performance. E la sua voce che compare in filmati e interviste». Oppure un articolo di Repubblica, la firma di Simonetta Fiori, su «Maria che cuciva le fiabe» dove «la bambina guarda il nastro azzurro perplessa. Qualcuno tenta di posarlo tra le sue mani in modo da tenerla unita alle case e alla montagna intorno, e al resto del piccolo paese dell’Ogliastra già legato dal filo celeste di Maria Lai. È un filmato del 1981 che documenta il primo esperimento di una cosa senza nome: vent’anni dopo Nicolas Bourriaud l’avrebbe chiamata arte relazionale. Vediamo la bambina imbronciarsi, fissare l’obiettivo spaventata. E forse quella bambina oggi siamo noi, l’Italia impaurita e divisa fotografata dal Censis e dalle società psicoanalitiche, un’Italia a pezzi, disorientata, che ha smarrito l’idea dello stare insieme». E su La Stampa di Torino, in Tuttolibri, Elena Del Drago , scrive che «Maria Lai con i suoi fili tiene unito il mondo» essendo «la madre di molta arte relazionale di oggi». Se varchiamo le Alpi e ci ritroviamo tra le mani un giornale come la Frankfurter Allgemeine Zeitung, leggiamo a tuttapagina (firma di Benjamin Paul) un articolo dal titolo “Die Webstühle der Venus” con un inno all’artista di Ulassai per parlare – con la stupefacente mostra al Maxxi di Roma – dei «Telai di Venere intessuti di storia». Così sul londinese Frieze («Maria Lai: Art Should Astonish!») che significa che “«’arte dovrebbe stupire». O sullo spagnolo El Cultural che Marta Ramoz-Yzquierdo titola «Maria Lai: tejer la mejior de las historias», come fosse la miglior tessitrice di storie dei Cinque Continenti.Si sta assistendo insomma a un trionfo globale degli artisti sardi più grandi del Novecento che hanno vissuto nell’Isola ma anche fuori dai recinti nuragici interpretando la loro Sardegna dove, ancora è fortissima la frase evangelica del «nemo propheta in patria». Artisti quasi tutti del Nuorese, legatissimi alla Barbagia, alla Sardegna di dentro. Certo: Maria Lai spopola in questa estate anche perché è ancora aperta la mostra romana (chissà che cosa succederà tra pochi mesi quando la bambina ogliastrina che “teneva per mano il sole” approderà negli Stati Uniti). Ma la rivalutazione, una sorta di un Nuovo Rinascimento, è quella che dà valore ad autentici geni che, nati sotto il Gennargentu, si stanno imponendo come non mai Oltretirreno e Oltralpe. A Castellabate, nel Cilento, in una mostra curata da Vittorio Sgarbi al Castello fino al 30 settembre, campeggiano le opere di venti artisti sardi della collezione di Stefano e Anna Pia Demontis. Artisti, ha scritto Vulpio sul Corriere, che «sono antichi come la Sardegna e la sua storia. Ma sono moderni come la modernità della Sardegna di cui sono figli, quella appunto del Novecento. Persino quando sono sbarcati ufficialmente in Continente, non hanno mai smarrito il loro significato profondo e autentico». Esternando «un pensiero semplice e diretto che ne è una delle peculiarità più apprezzabili». E vengono portati nell’iperuranio «artisti sardi ma italiani, sardi ma universali con decine di oggetti di artigianato artistico, tessuti, broccati, costumi, ori, coralli, monili». Con Maria Lai troviamo Costantino Nivola con la scultura in marmo bianco di Carrara del 1986 “La madre sarda e la speranza del figlio meraviglioso”. Ma anche il “Ritratto di Sebastiano Satta”, scultura in stucco a marmo di Francesco Ciusa che, dice Vulpio, «rende in maniera eccellente la figura del poeta-pittore-avvocato di Nuoro». Emerge Mario Delitala, il direttore-mito della Scuola del libro di Urbino, con la sua “Donna di Orani”. E qui va ricordata la decorazione del Duomo di Lanusei dove Delitala, tra l’altro, con la Crocefissione, la Natività, la Deposizione, dipinge a metà degli anni Venti, quattro medaglioni della Maddalena peccatrice, pentita, redenta e assunta in cielo, opera tanto eccellente quanto snobbata dai più in tutta l’Isola.Con i due giganti di Orani si impongono “La via dell’Ortobene” di Antonio Ballero, ma anche “Lo sposalizio di Nule” di Giuseppe Biasi e la terracotta “Il bacio” datata anni Venti di Ciriaco Piras. Nel Cilento campeggiano le mattonelle di Melkiorre Melis le cui “Donne” hanno, scrive Vulpio, «gli stessi occhi dell’attrice sarda Caterina Murino, Bond Girl in Casino Royale, un film che Melis e Delitala, morti prima, non hanno potuto vedere». Tutte le mostre di cui abbiamo parlato stanno ottenendo un grande successo di pubblico. È un graditissimo ritorno d’immagine che la Sardegna ottiene a costo zero. Ma è anche uno stimolo (di cui c’è bisogno) per valorizzare, in patria, i nostri veri profeti.
La Nuova Sardegna 29 luglio 2019