Il I° volume del Carteggio di Giovanni Spano, dI Luciano Carta
Rubrica: ISTORIAS DE SARDIGNA contada dae Luciano Carta. Sa secunda.
1. Quando si parla di Sardegna e Risorgimento, il pensiero corre, in genere, alle tematiche politiche e sociali che hanno interessato la nostra isola in quel periodo, dalla “fusione perfetta” all’abolizione dei residui della società feudale; dalla “questione sarda”, termine sintetico con cui vengono indicate le sofferenze specifiche della Sardegna in stretta connessione con la più generale “questione meridionale”, ai guasti portati da un accentramento statale soffocante; dalla piaga del banditismo agli “stati d’assedio” (si pensi solo ai casi di Sassari e di Oschiri negli anni Cinquanta dell’800); dalla significativa, anche se pagata a caro prezzo, realizzazione delle ferrovie come strumento essenziale per la modernizzazione della struttura economica, ai primi tentativi di sfruttamento delle risorse, in particolare quelle minerarie della nostra isola, ecc. ecc.
Lo stesso avviene quando si guardi ai personaggi risorgimentali più noti. Anche in questo caso l’attenzione degli storici è stata rivolta prevalentemente all’azione politica dei personaggi più noti, sia di quelli che hanno avuto risonanza nazionale sia di quelli che hanno svolto la loro attività prevalentemente in seno all’isola. Così, ad esempio, è stata studiata in modo egregio la figura politica di Giorgio Asproni, l’inflessibile democratico e repubblicano bittese (si pensi solo alla pubblicazione del Diario politico, I vol., Milano, Giuffré, 1974), come è stata adeguatamente studiata l’opera dell’altro democratico e federalista sardo del nostro Risorgimento, Giovanni Battista Tuveri, autore dell’opera Del diritto dell’uomo alla distruzione dei cattivi governi e giornalista indefesso nel denunciare le malefatte dei governi dell’Italia Unita verso la Sardegna (egli è il coniatore dell’espressione “questione sarda” e di lui è stata pubblicata in 6 volumi l’Opera omnia).
Anche sotto il particolare angolo visuale della storia delle idee, si è insistito soprattutto su pensiero politico dei personaggi, come dimostrano anche i recentissimi saggi di Francesco Soddu sui parlamentari sardi (La Sardegna in Parlamento. Carattere e profili di parlamentari in età liberale, Sassari, Edes, 2008) e di Antonello Mattone su Giuseppe Manno (Giuseppe Manno magistrato, storico, letterato tra Piemnonte della Restaurazione e l’Italia liberale, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2009) e come dimostrano altresì le meno recenti pubblicazioni di Tito Orrù su Giovanni Siotto Pintor (Giovanni Siotto Pintor scrittore e uomo politico, Sassari, Gallizzi, 1966) e di Bruno Josto Anedda su Vittorio Angius (Vittorio Angius politico, Milano, Giuffré, 1969).
Minore attenzione è stata dedicata a quei personaggi che gli storici definiscono “minori”, tra i quali, in ambito sardo, possiamo annoverare, oltre a Vittorio Angius, Salvator Angelo De Castro, Francesco Sulis, Giuseppe Todde e il personaggio che ci interessa in questa circostanza: Giovanni Spano. Anche se, per senso di giustizia storiografica, occorre dire che allo Spano sono state dedicate due pubblicazioni collettanee negli anni coincidenti con il centenario della morte (1978), con il numero speciale della rivista “Studi Sardi” (Sassari, Gallizzi, 1981) e il volume di carattere prevalentemente archeologico a cura della Sovrintendenza alle Antichità di Sassari (Contributi su Giovanni Spano, 1803-1878, Sassari, Chiarella, 1979).
Un discorso analogo vale per le fonti attraverso cui sinora è stata ricostruita la storia dell’isola nel periodo risorgimentale. Fatta eccezioni per il Diario politico di Giorgio Asproni, che è di carattere eminentemente autobiografico, le fonti sono nella gran parte quelle che definiremmo “ufficiali”: la documentazione proviene dagli Archivi pubblici e privati, dagli Atti parlamentari e dai giornali quotidiani e periodici.
Quasi del tutto assente è stato, nel panorama della ricerca storica isolana, il ricorso ad una fonte importante per la ricostruzione del contesto storico di un determinato periodo e per la comprensione della vicenda umana dei personaggi: intendo riferirmi a quel genere particolare di fonte storica rappresentata dagli epistolari. Chi ha conoscenza della bibliografia storica sulla Sardegna sa bene che i saggi fondati su questo genere di fonte storiografica si contano, per così dire, sulle dita di una mano. Conosciamo due contributi di Silvio Lippi e di Raffa Garzia, pubblicati all’alba del Novecento, rispettivamente sulle lettere di Giuseppe Manno a Pietro Martini e dello stesso Manno a Giovanni Spano; due articoli di Giorgio Rossi, docente del Liceo “Dettori” alla fine dell’Ottocento, relativi al carteggio dell’archeologo bolognese Giovanni Gozzadini e del grande arabista Michele Amari con lo Spano. In epoca più vicina a noi, si possono segnalare i contributi di Alberto Mario Cirese sul carteggio Pitrè-Spano; di Enrica Delitala sul carteggio Spano nel suo complesso; di M. Antonietta Dettori sul carteggio tra lo Spano e il dialettologo Luigi Luciano Bonaparte e il linguista tedesco Hermann Buchholz; di Aldo Accardo sul carteggio Martini-Manno e su quello di Manno con l’allora fidanzata Tarsilla Calandra; e ancora, il saggio di chi vi parla sul carteggio tra Vittorio Angius e Giovanni Spano. Si tratta, come dicevo, di un’attenzione molto limitata a questo genere di fonte storiografica, anzi, diremmo meglio, di un’attenzione del tutto episodica.
2. Arriviamo ora al dunque, cioè all’argomento dei questa mia conversazione: la presentazione di un volume, il primo, nel quale si pubblica un’importante raccolta di lettere, che si intitola I corrispondenti di Giovanni Spano (Nuoro, Ilisso, 2010).
Dalla rapidissima citazione di lavori che ho appena esposto, gli ascoltatori hanno potuto constatare che le lettere relative a Giovanni Spano sono ricordate con maggior frequenza rispetto a quelle di altri personaggi. Quale ne è il motivo?
Il motivo è molto semplice. Il grande archeologo Giovanni Spano, alla sua morte, avvenuta il 3 aprile 1878, ha legato alla Biblioteca Universitaria di Cagliari le corrispondenze private da lui gelosamente custodite. Si tratta di un corpus di circa 3.000 unità epistolari appartenenti a 450 suoi corrispondenti. Anche gli studiosi di fine Ottocento, almeno dal momento in cui il medico olzaese Pietro Meloni Satta nel 1898 ne ha redatto l’inventario, hanno compreso la grande importanza di questo corpus di lettere, che costituisce, come recita il titolo che ho voluto dare al saggio introduttivo a questo primo volume, un vero e proprio “giacimento culturale per la storia della Sardegna”.
Il primo a riproporre l’attenzione su questo epistolario nella seconda metà del Novecento è stato il docente di Antropologia culturale dell’Università di Cagliari Alberto Mario Cirese nell’importante saggio Poesia sarda e poesia popolare nella storia degli studi (Cagliari, Edizioni 3T, 1961). Negli anni del suo magistero cagliaritano, inoltre, il Cirese avviò una trascrizione parziale del carteggio, affidandola ad alcune laureande, che hanno realizzato quattro pregevoli tesi di laurea. L’antropologo abruzzese si proponeva di delineare i rapporti della Sardegna con i nascenti studi demologici dell’Ottocento, riferendosi in particolare ai rapporti tra lo Spano e un riconosciuto maestro di questi studi nell’Italia post-unitaria qual è il palermitano Giuseppe Pitrè.
In seguito, l’idea di una pubblicazione integrale del carteggio rinacque, tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta, nel gruppo di ricercatori e studiosi che faceva capo a Girolamo Sotgiu e alla sua rivista Archivio Sardo del Movimento Operaio Contadino e Autonomistico. Non avendo avuto seguito neanche questo progetto, da quel periodo io andai avanti da solo e ho portato a termine il lavoro nell’arco di un ventennio; ed ora eccomi qui per presentare il I volume della raccolta epistolare.
Vale la pena illustrare rapidamente le finalità per cui il gruppo di studiosi raccoltosi attorno al direttore della rivista Girolamo Sotgiu, di cui anch’io facevo parte, si proponeva la pubblicazione integrale del carteggio Spano. L’obiettivo era quello di ripercorrere, sotto il profilo più strettamente culturale e ideale, la storia della Sardegna dell’Ottocento, per verificare come e attraverso quali canali ed esperienze si erano fatte strada, tra gli intellettuali dell’isola, le conquiste del grande progresso scientifico, letterario, storico ecc. di quel secolo; si intendeva, allo stesso tempo, verificare se la lontana “periferia” della Sardegna aveva solo passivamente recepito quel moto progressivo, oppure se aveva dato qualche contributo originale al progresso scientifico europeo.
3. Da questo punto di vista il carteggio Spano sembrava costituire uno strumento valido di conoscenza e di verifica. In esso, infatti, figuravano corrispondenti che, nei diversi ambiti della scienza, della politica, della letteratura, avevano offerto contributi decisivi nei settori specifici di cui erano stati cultori. Cito, un po’ alla rinfusa, alcuni di questi nomi, noti e meno noti, i quali, a studiarli da vicino, risultano essere stati personalità ora importanti ora eminenti nella storia culturale dell’Ottocento.
Si tratta degli epigrafisti e studiosi di antichistica come Theodor Mommsen, Wilhelm Henzen, Michele Arcangelo Migliarini, Carlo Promis, Heinrich Nissen, François Bourgade, Raffaele Garrucci; degli egittologi e studiosi di lingue e culture semitiche come Celestino Cavedoni, Julius Euting, Pier Camillo Orcurti, Albert de Luynes, Amedeo Peyron; di studiosi di tradizioni popolari come Giuseppe Pitrè, Salvatore Salomone Marino, Giuseppe Tigri, Oreste Marcoaldi, Costantino Nigra, Giovanni Battista Passano, Auguste Boullier; di numismatici come Domenico Promis, Antonino Salinas, Vincenzo Pogwisch, Elizabeth Warne, Carlo Strozzi, Giuseppe Romano; di cultori di glittica (lo studio delle pietre incise) e di sfragistica (studio dei sigilli) antica e medievale come i già citati Cavedoni e Orcurti (che si occuparono a più riprese degli scarabei trovati nelle tombe di Tharros), di Gian Francesco Gamurrini (che studiò le iscrizioni figuline delle anfore e manufatti di produzione latina e greca), di Antonio Manno; di etruscologi di fama internazionale e di studiosi del sostrato linguistico osco-umbro, celtico e dei popoli pre-latini in genere, come Gian Carlo Conestabile e Ariodante Fabretti; di illustri paleontologi come Luigi Pigorini, Ulderigo Botti, Ferrando Deo Gratias, Giovanni Capellini; di storici e letterati insigni come Giuseppe Manno, Pier Alessandro Paravia, Atto Vannucci, Nicomede Bianchi, Carlo Baudi di Vesme, Cesare Cantù; di grandi viaggiatori e collezionisti come Alberto Ferrero Della Marmora, Alfonso Garovaglio, Heinrich von Maltzan; di illustri archeologi come Giovanni Gozzadini, Luigi Bruzza, Giovanni Battista De Rossi, Concezio Rosa, Sigismondo Castromediano, Juan Francisco Martorell y Peña; di studiosi di linguistica comparata e lessicografi come Francesco Cherubini, Bernardino Biondelli, Bernardo Bellini, Giovenale Vegezzi Ruscalla, Luigi Luciano Bonaparte, Giovanni Flechia, Isaia Graziadio Ascoli; di importanti personaggi della politica come Emanuele Pes di Villamarina, Luigi Cibrario, Michele Amari, Gabrio Casati, Quintino Sella, Giovanni Lanza. Non meno importante, infine, il fitto scambio epistolare con i più noti personaggi della cosiddetta “rinascenza sarda” pre-quarantottesca, con valenti poeti vernacoli, con letterati e conpolitici sardi del periodo pre e post-unitario, come il già citato Giuseppe Manno, Pasquale Tola, Vittorio Angius, Salvator Angelo De Castro, Melchiorre Dore, Giovanni Siotto Pintor, Giorgio Asproni, Carlo Brundo, Enrico Costa.
Ho voluto fare questa rapida enumerazione di uomini di cultura presenti nel Carteggio soprattutto per sottolineare, insieme all’importanza di Giovanni Spano nella storia del nostro “Risorgimento” in senso lato, il significato profondo di quest’operazione editoriale. Questo epistolario sta a dimostrare quanto il rapporto della Sardegna con la cultura dell’Ottocento europeo e italiano sia stato fecondo e costante. Attraverso lo Spano hanno potuto porre radici nel nostro ambiente le scienze e le discipline cui fanno riferimento i corrispondenti che ho citato: ossia, in primo luogo l’archeologia, la dialettologia e la linguistica, la demologia, e insieme ad esse tutte quelle altre scienze cosiddette “ausiliarie” che costituiscono strumenti indispensabili della ricerca storica: la numismatica, la sfragistica, la glittica, la paleontologia, la geologia, ecc. ecc.
È però necessario, a questo proposito, fare un’ulteriore precisazione. In questo ricchissimo dialogo culturale, attraverso lo Spano (ma il discorso non interessa solo lo Spano, anche se per lui vale in modo eminente) la Sardegna ha dialogato alla pari con i dotti d’Europa. Giovanni Spano non ha solo recepito suggestioni, principi e scoperte della scienza ottocentesca, ma ha offerto, attraverso la sua opera, contributi importanti, e direi anche, in qualche settore, fondamentali. Basti pensare al rilievo europeo che ebbero opere come la Grammatica del sardo logudorese (1840) e il Vocabolario sardo-italiano e italiano-sardo (1851-56); alla svolta decisiva nello studio delle civiltà preistoriche assunta dalla pubblicazione della Memoria sopra i nuraghi di Sardegna (1854, 18622a, 18673a), che poneva fine alla lunga querelle circa la funzione di questi tipici monumenti del paesaggio sardo e sgomberava il campo una volta per tutte da una “mitologia nuragica” di cui si era fatto assertore, tra gli altri, il grande amico dello Spano Alberto Della Marmora nel suo Voyage. Basti pensare all’importanza che ha avuto, nell’irrobustimento della scienza archeologica europea, la pubblicazione del Bullettino Archeologico Sardo nel decennio 1855-1864, la rivista mensile unanimemente celebrata in campo scientifico, in particolare dai dotti tedeschi, inglesi e francesi; o, ancora, al decisivo apporto che lo Spano diede con la sensazionale scoperta della Base votiva di bronzo trilingue (latina, greca e fenicia) trovata nel 1861 a Pauli Gerrei (oggi San Niccolò Gerrei), che fu fondamentale per l’interpretazione della scrittura fenicio-punica, una scoperta che senza eccessiva retorica possiamo assimilare alla scoperta altrettanto sensazionale e importante nel campo della scrittura geroglifica e nell’egittologia, della Stele di Rosetta decifrata da Jean François Champollion. Basti pensare, infine, alla rilevanza storica di un’altra grande scoperta dello Spano (1866), la Tavola di Bronzo di Esterzili, documento di grande rilievo nella conoscenza del diritto dell’antica Roma. Fu di rilievo tale, mi piace aggiungere, questa scoperta, che il principe degli storici del diritto romano nell’Ottocento, il grande Theodor Mommsen, con atto di dubbia correttezza, non si fece scrupolo di pubblicarne la decodificazione e il commento della Tavola, sul calco fornitogli dal buon canonico di Ploaghe, prima che questi potesse pubblicare, com’era suo diritto in qualità di primo scopritore, il suo saggio interpretativo negli Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino (cfr. Th. Mommsen, Decret der Proconsuls vons Sardinien L. Helvius Agrippa, in “Hermes”, II, 1867). [Leggere la lettera di Mommsen a Spano del 13 gennaio 186]
Tutte queste scoperte e opere di carattere archeologico dello Spano, non solo contribuirono a elevare il prestigio della cultura della nostra isola, ma si può dire che esse svelarono la Sardegna all’Europa. L’apice di questo prestigio e di questo “disvelamento” della Sardegna, avvenne nell’ottobre del 1871, in occasione del V Congresso Internazionale d’Antropologia e d’Archeologia Preistoriche che si celebrò a Bologna. Lo Spano, che fu posto a capo della delegazione sarda, fu celebrato in quella circostanza come principe e decano degli archeologi d’Europa, e l’esposizione di oggetti e monumenti in miniatura fatta durante il Convegno fu giudicata in assoluto la migliore.
4. Il 1871 rappresenta, dunque, l’anno in cui Giovanni Spano raggiunge l’apice della fama e il più alto riconoscimento dei suoi meriti scientifici. Nel novembre successivo Vittorio Emanuele II lo avrebbe nominato Senatore del Regno per meriti scientifici e culturali. Il giovane sardo del Logudoro, originario di una famiglia benestante, ma non ricca, di agricoltori e di allevatori, ne aveva fatta di strada!
Il suo itinerario umano e i suoi avanzamenti culturali lo Spano li ha narrati in un’opera autobiografica assai nota, intitolata Iniziazione ai miei studii, che aveva pubblicato a puntate nella rivista sassarese “La Stella di Sardegna”, diretta da Enrico Costa, tra il 1876 e il 1878; essa è stata riproposta recentemente, nel 1996, da Salvatore Tola per le AM&D Edizioni. Le Iniziazioni sono importanti per conoscere il “personaggio” Spano, anche se, trattandosi di un lavoro autobiografico “ufficiale” e redatto negli ultimi due anni della sua vita, non sempre appare del tutto attendibile.
Tra le carte del Fondo Spano conservate nella Biblioteca Universitaria di Cagliari – procedo così ad illustrare brevemente la documentazione contenuta in questo primo volume - vi è anche un voluminoso manoscritto autobiografico intitolato Vita / Studii e Memorie / di Giovanni Spano scritte (sic) da lui medesimo / nel 1856 e segg. / dopo che ultimò il Vocabolario / Sardo-Italiano, ed Italiano Sardo. È questo il primo documento che il lettore troverà in questo primo volume del Carteggio Spano. Ho voluto pubblicare per la prima volta questa autobiografia dello Spano, nonostante l’esistenza dell’altra autobiografia, perché questo testo, oltre ad essere più completo dell’altro, che nella narrazione si ferma all’anno 1868, è più immediato, più sicuro e più ricco di notizie di quanto non lo sia l’autobiografia “ufficiale”. Attraverso essa il lettore, prima di immergersi nella lettura dell’epistolario, potrà ripercorrere, nel tipico italiano regionale dello Spano, le tappe della sua esistenza, descritte in uno stile sempre arguto e spesso molto divertente: dalla nascita a Ploaghe l’8 marzo 1803 agli studi elementari e ginnasiali nel Seminario di Sassari; dagli studi teologici nell’Università turritana all’ordinazione sacerdotale, ricevuta nel 1827; dall’esperienza di insegnamento nelle scuole elementari (allora dette Scuole Normali) nelle Scuole sassaresi di San Carlo nel triennio 1827-29, alla aggregazione al Collegio di Filosofia nell’Università di Sassari; dagli studi di Lingue Orientali alla “Sapienza di Roma – snodo cruciale nella biografia dello Spano – all’insegnamento di Ebraico e di Sacra Scrittura nell’Università cagliaritana, iniziato nel 1834.
Dal 1834 alla fine della vita, si può dire che la biografia dello Spano è caratterizzata, oltre che da importanti riconoscimenti e avanzamenti di carriera, da una curiosità intellettuale irrefrenabile e da un numero impressionante di scritti (il Ciasca enumera circa 500 titoli), il tutto sorretto da una sola e sconfinata passione: l’amore per la Sardegna.
Dopo un decennio di insegnamento, durante il quale pubblicò la Ortografia sarda nazionale ossia Gramatica della lingua logudorese paragonata all’italiana (1840) e aveva ricoperto l’incarico di Direttore della Biblioteca Universitaria di Cagliari (1839-1842), nel 1844 il suo grande protettore e benefattore, il neo-arcivescovo di Cagliari Emanuele Marongiu Nurra, lo creò canonico della cattedrale di Cagliari con prebenda di Villaspeciosa. Poteva così lasciare, senza troppi rimpianti, l’insegnamento universitario e dedicarsi completamente ai suo studi.
Conclusa la redazione del Vocabolario nel 1851, da quel momento lo Spano si dedicò prevalentemente alle ricerche archeologiche, pubblicando i fondamentali lavori che ho prima ricordato. Parallelamente agli studi e alla fama che questi gli procuravano, si svolse la carriera pubblica dello Spano, grazie anche ad una innata carica di simpatia e a una sapiente gestione dei rapporti personali con le personalità che contano. Grazie all’amicizia con il Ministro della Pubblica Istruzione Luigi Cibrario, egli stesso storico e letterato insigne, nel 1854 lo Spano venne creato rettore del Convitto Nazionale e preside del Collegio di Santa Teresa, le scuole pubbliche di allora, già gestite dall’Ordine de Gesuiti, che diventeranno nel 1865 l’attuale Liceo “Dettori”. Nel 1857, grazie al nuovo Ministro dell’Istruzione Giovanni Lanza, venne nominato Rettore dell’Università di Cagliari, incarico che manterrà fino al 1868, anno del suo collocamento a riposo.
Dopo la nomina a Senatore, una onorificenza che gli darà molti crucci, inizia un lungo e sotterraneo contenzioso con la Santa Sede, la quale non gli consentirà mai di prestare il giuramento di fedeltà al Re, e quindi di prendere possesso del seggio senatoriale, per la sua qualità di sacerdote cattolico. Pur sentendosi in profondo disaccordo con la Curia romana, lo Spano obbedirà al diktat delle alte gerarchie ecclesiastiche. Nelle lettere dell’ultimo volume di quest’opera si potrà constatare, attraverso l’eco che questa dolorosa vicenda personale avrà sui suoi corrispondenti, ai quali egli confidava la sua profonda sofferenza interiore, l’ingiustizia che egli sentiva perpetrata sulla sua persona, egli che era fermamente convinto, come tutto il clero cattolico-liberale dell’Ottocento, della necessità che il Pontificato Romano si spogliasse del potere temporale per meglio adempiere alla sua alta missione religiosa e per meglio rispondere alla mentalità e alle esigenze dei tempi moderni. Si tratta di una dei momenti della biografia dello Spano di più alto contenuto politico e civile, come dimostrano, ad esempio, le lettere di Giorgio Asproni e del capo del governo di allora Giovanni Lanza. [Eventualmente leggere i due brevi passi della lettera di Giovanni Lanza del 26 dicembre 1874 e di Giorgio Asproni del 31 gennaio 1876].
5. Il volume, dopo questa interessante autobiografia, che servirà al lettore per inquadrare nella sua completezza la vicenda biografica dello Spano, raccoglie 233 lettere di 52 corrispondenti, relative al periodo 1832-1842. Si tratta del primo periodo dell’attività scientifica dello Spano, che si conclude idealmente con due pubblicazioni: la Grammatica del sardo logudorese tra il 1840-41 e il poema in ottava rima del racconto, anch’esso in logudorese, della Bibbia (Vecchio e Nuovo Testamento), scritto da Melchiorre Dore, parroco di Posada e zio di Giorgio Asproni, intitolato Sa Jerusalem victoriosa o siat S’historia de su populu de Deus reduida ad poema historicu-sacru (Kalaris, in sa Imprenta Archiespiscopale, 1842).
Nelle lettere dei 52 corrispondenti sono numerosi gli spunti interessanti, in primo luogo le notizie biografiche sia dello Spano sia di alcuni personaggi, soprattutto sardi, come Giorgio Asproni; dello zio di questi Melchiorre Dore; del parroco di Ploaghe Salvatore Cossu, di Pasquale Tola, di Miche Todde, di Vittorio Angius, ecc. Poiché non posso in questa sede soffermarmi sui molteplici aspetti interessanti dell’epistolario, mi limiterò a segnalare a volo tre aspetti: l’aspetto biografico; quello dei rapporti con l’ambiente sardo nella lunga fase di redazione di due opere così importanti nel panorama della storia linguistica della Sardegna, coma la Grammatica e il Vocabolario; infine l’apporto fondamentale, sempre ignorato, dei linguisti “continentali” nella redazione e nella pubblicazione di queste opere, in particolare della prima.
Sotto il profilo strettamente biografico, colpirà sicuramente il lettore un aspetto caratteristico della personalità dello Spano: la sua insaziabile curiosità intellettuale e il desiderio costante di istruirsi, di acquisire nuove conoscenze e, soprattutto, di utilizzarle nella ricerca scientifica.
Spinto da questo insaziabile desiderio di istruirsi, nel giugno 1831 lo Spano decide di intraprendere un avventuroso viaggio nella capitale della cristianità per frequentare le lezioni di Lingue Orientali (Ebraico, siro-caldaico, aramaico, arabo e greco) e di Archeologia alla “Sapienza”. Sarà il periodo di formazione romano, durato tre anni, a introdurlo nel campo degli studi linguistici e archeologici. [Se si dà l’opportunità, segnalare qualche passo “divertente” e arguto sia dell’autobiografia, ad es. la “villanella” romana dell’uva, sia delle lettere, come ad es. il racconto delle esequie di mons. Navoni, arcivescovo di Cagliari].
Rientrato da Roma con le “patenti” di professore di Ebraico e Sacra Scrittura nel 1834, lo Spano iniziò il suo decennale insegnamento all’Università di Cagliari. Tuttavia egli sentiva impellente il desiderio di perfezionare i suoi studi. Così nella primavera del 1836 egli volle intraprendere un viaggio di studio per recarsi in Germania onde venire a contatto con i nuovi indirizzi della critica biblica e della linguistica comparata. Un’epidemia di colera scoppiata a Trieste gli impedì di penetrare in territorio germanico. Ciononostante, durante una lunga peregrinazione durata 17 mesi, egli si incontrò, nelle più importanti città della Penisola, dal Piemonte alla Campania, con numerosi dotti letterati, epigrafisti, ebraisti, grecisti e archeologi, con i quali intesserà rapporti epistolare nei decenni successivi. Da questo viaggio di studio egli rientrerà a Cagliari solo alla fine di agosto 1837, costretto ad abbandonare Napoli a causa dell’epidemia di colera.
Nel 1838-39, oltre a dedicarsi all’insegnamento universitario, lo Spano perlustrò in lungo e in largo la Sardegna centro-settentrionale con il precipuo scopo di acquisire sul campo il maggior numero possibile di notizie sulle varianti del logudorese e raccogliere una messe imponente di vocaboli, al fine di utilizzare il materiale per redigere la Grammatica e il Vocabolario [leggere eventualmente qualche episodio, ad es. quello del fabbro di Orgosolo]. Le due opere linguistiche non nacquero, dunque, solamente sui libri e sulla magra tradizione letteraria vernacola – che pure egli utilizzò, grazie anche all’aiuto di Pasquale Tola – ma presero forma dall’indagine diretta sul campo: ciò che costituisce, per quei tempi, un’innovazione metodologica di grande momento. Un lavoro di questo genere presupponeva una forte collaborazione da parte dei “parlanti”. Orbene, chi aiutò lo Spano in questa difficile impresa? Lo aiutarono, in primo luogo – insieme alla gente delle campagne, ai contadini, ai pastori, agli artigiani – soprattutto i parroci di tutti i paesi del Logudoro e un numeroso manipolo di poeti e poetesse vernacoli, tutti fedelmente ricordati e citati nella Parte Seconda della Grammatica. È grazie a questo apporto collettivo che lo Spano riuscirà a pubblicare la Grammatica nel 1840 e dieci anni dopo il Vocabolario.
Altro aspetto interessante dell’epistolario: con diversi amici parroci del Logudoro – che come sappiamo usavano il vernacolo per la predicazione “dal pergamo”, come scrive lo Spano, ossia nelle prediche della messa domenicale – egli intrattenne una corrispondenza in sardo logudorese. Tra questi, due soprattutto vanno ricordati per la padronanza della lingua che essi dimostrano nelle loro lettere: Salvatore Cossu parroco di Ploaghe e Melchiorre Dore parroco di Posada. [eventualmente proporre qualche breve brano delle lettere].
In seguito lo Spano si avvarrà di questo stesso rapporto diretto con la gente dei villaggi dell’interno, con i “rettori” e prinzipales dei paesi, quando rivolgerà la sua attenzione all’archeologia. Saranno due possidenti di Pauli Gerrei e di Esterzili, ad esempio, a fornirgli le due sensazionali scoperte della Base trilingue e della Tavola di Esterzili (per la cronaca e per la storia, il notaio Michele Cappai gli fornì la Base trilingue nel febbraio 1861; il cav. Giovanni Antonio Cardia scoprì la Tavola di Esterzili nel marzo 1866).
Sarebbe però un imperdonabile errore di valutazione ritenere che le due opere linguistiche dello Spano – ma il discorso vale anche per gli altri aspetti della sua molteplice attività scientifica – nascano in ambito e con un angolo visuale meramente localistici, pur con tutti i limiti di localismo che pure esse denotano. Nell’elaborazione delle due opere lo Spano dimostra in primo luogo, come abbiamo accennato, di possedere un metodo innovativo e sicuro nella ricerca; inoltre nella redazione egli si sforza di stare al passo con le teorizzazioni più avanzate della linguistica pre-ascoliana in Italia. Sino ad oggi, infatti, non era noto che la Grammatica nacque con l’imprimatur di uno dei più importanti lessicografi dell’Ottocento: il milanese Francesco Cherubini. L’epistolario ci rivela che, terminata la stesura della Grammatica, nel marzo 1840 lo Spano, prima di darla alle stampe, si reca a Milano proprio per discutere dell’opera con il Cherubini; solo dopo l’incontro con il Cherubini, rientrato a Cagliari nel giugno successivo, egli iniziò la stampa della Parte Prima dell’opera. E fu grazie al Cherubini, e anche grazie a un importante letterato sardo, Vittorio Angius - che si trovava in quel periodo a Torino e aveva contatti con l’ambiente intellettuale subalpino e milanese – che lo Spano inizierà un fruttuoso rapporto epistolare sulle tematiche linguistiche con un altro importante cultore di questi studi, anch’egli operante a Milano: Bernardino Biondelli, autore dell’Atlante linguistico d’Europa. Attraverso il Biondelli, poi, l’opera dello Spano verrà segnalata da Carlo Cattaneo, nel saggio, apparso sul “Politecnico” nel 1841, dal titolo Di varie opere sulla Sardegna (saggio poi ristampato qualche anno dopo dal Cattaneo con il titolo Della Sardegna antica e moderna, che è il titolo sotto cui noi lo conosciamo). Ancora, fu grazie a questi contatti che lo Spano iniziò, a partire dal 1841-42, un lungo rapporto epistolare (in assoluto il più corposo, il più denso di indicazioni bibliografiche e di riflessioni di carattere linguistico, il più esteso nel tempo, essendo durato dal 1842 al 1875) con un altro cultore di linguistica comparata: il torinese Giovenale Vegezzi Ruscalla, che sarà il primo recensore della Grammatica in un periodico letterario. Tramite questi linguisti, lo Spano, oltre un decennio dopo, entrerà in corrispondenza anche con il più illustre linguista italiano dell’Ottocento, Isaia Graziadio Ascoli, il teorico del “sostrato linguistico”.
Questi dati essenziali non ci debbono sfuggire per valutare correttamente la figura e l’opera dello Spano e le sue “aperture” alle conquiste della scienza ottocentesca, anche in questa fase di carattere squisitamente linguistico.
Da qui discende la caratteristica più importante dello Spano, che definirei un sardo che più sardo non si può, e che però ha sempre avuto la rara capacità di “aprirsi” alle correnti più vitali della scienza della sua epoca e ad “amalgamarle” intelligentemente con la cultura sarda, la quale è tale in virtù del suo rapporto con l’ambente suo proprio e allo stesso tempo per il suo rapporto con l’esterno, in un processo di relazione dinamica con le altre culture, in un processo di osmosi culturale, caratteristica propria di ogni cultura e di ogni lingua.
Un grande “maestro di sardità”, al quale tutti siamo debitori, ha accreditato la tesi della “costante resistenziale sarda”; il teorema implicito in questa visione è la convinzione per cui, secondo una abusata metafora, “il nemico viene sempre dal mare”. Questo epistolario e tutta l’opera e la personalità dello Spano a me pare stiano a dimostrare la fallacia di questo teorema. Questo epistolario dimostra, attraverso la significativa figura del canonico Spano, che non bisogna avere paura del presunto nemico che verrebbe sempre dal mare. Spano ha saputo confrontarsi e arricchirsi con i dotti del suo tempo, con coloro che, secondo la metafora, venivano dal mare. In questo modo egli ha arricchito la cultura sarda, ha corroborato l’identità culturale sarda; ma allo stesso tempo ha arricchito le culture dei presunti nemici che venivano dal mare, senza alcun senso di inferiorità o di ostilità.
Ecco, e chiudo davvero, il grande insegnamento che viene già da questo primo volume del Carteggio Spano, che si farà più robusto e più convincente nei volumi successivi: l’identità culturale vera, mi si passi il termine, è “meticcia”; in altri termini, è frutto di una autentica “osmosi” tra le culture.