Acanta e a tesu, Vicino e lontano, la poesia di Mario Cubeddu premiata in Friuli
Con il breve saggio: La poesia dialettale non è mai stata in Italia così vitale come oggi, ddell’Autore.
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http://www.premiogiuseppemalattia.it/il-premio/le-poesie/le-poesie-2019/
Mario Cubeddu, in piedi, nella sala della Casa Aragonese a Seneghe.
Nel 2017 i responsabili di uno dei più importanti premi di poesia del Friuli Venezia Giulia, il premio Giuseppe Malattia della Vallata di Barcis in provincia di Pordenone, dopo 30 anni di attività hanno deciso di eliminare la sezione in lingua italiana e di riservare il premio alle poesie scritte nei dialetti italiani e nelle lingue minoritarie. Segno dei tempi in un’Italia in cui le differenze si acuiscono mentre avanza contemporaneamente l’omologazione di pensiero e di comportamenti. La poesia dialettale non è mai stata in Italia così vitale come oggi. Il direttore della più importante rivista di poesia italiana sosteneva qualche settimana fa a Seneghe che il maggior poeta italiano vivente è Franco Loi, che per esprimersi ha sempre usato il dialetto milanese. Il premio Giuseppe Malattia ha una caratteristica che manca ai premi di poesia della Sardegna: è stato voluto e viene finanziato dalla famiglia di imprenditori in onore del capostipite Giuseppe Malattia della Vallata che era anche poeta. Pur essendo sostenuto dalla Regione Friuli e dal Comune di Barcis, esso mantiene piena la sua autonomia di scelte. Il friulano è, al pari del sardo, una lingua neolatina riconosciuta come lingua di minoranza dallo Stato italiano. Un riconoscimento tardivo e faticato che si scontra con il predominio assoluto della lingua ufficiale. In Friuli la rivendicazione della lingua parlata dal popolo è stata portata avanti da decenni ad opera di gruppi di intellettuali di ogni livello, dagli insegnanti delle elementari a figure di rilievo universale come Pier Paolo Pasolini. Ciò che forse distingue il Friuli dalla Sardegna in questo campo è la forza e la qualità dell’associazionismo di base. Qui opera da un secolo la Società Filologica Friulana, intitolata a uno dei più grandi linguisti italiani, l’ebreo Graziadio Isaia Ascoli. Essa si è fondata e continua a fondarsi sul contributo delle migliaia di soci che la sostengono, spinti dall’amore per la lingua friulana. Niente di simile è successo in Sardegna, dove la borghesia manifesta, non attaccamento alla lingua e alla cultura del popolo da cui proviene, ma una fortissima propensione all’assimilazione subalterna e alla dipendenza culturale. In Friuli l’attività culturale ha poco di folcloristico ma vive, pensa e opera confrontandosi con la mentalità e i problemi contemporanei. La lingua friulana è strumento per l’oggi, più che nostalgia di un passato spesso frainteso, se non del tutto inventato. E la poesia in friulano ha oggi una grande vitalità. La poesia ha bisogno di parole non consunte, non logorate dalla chiacchiera della comunicazione di massa. La parola alternativa delle lingue altre sembra conservare lo spessore e la profondità del sentimento e dell’inconscio.
In Sardegna la situazione è estremamente fluida e in movimento. Resiste una pratica di poesia diffusa che segue stilemi consolidati. Compone il muratore, compone il pastore, compongono l’impiegato e il medico. Essi hanno come riferimento i classici della poesia sarda. Il poeta più moderno a cui si fa riferimento è probabilmente Peppino Mereu, che non a caso Giancarlo Porcu definisce “l’ultimo” rappresentante di una tradizione. Ma Mereu è morto più di cento anni fa. Quale è la situazione attuale? Dopo Cicito Masala e Benvenuto Lobina (ma il discorso vale forse anche per loro) i nomi degli altri poeti sardi sono conosciuti soprattutto dagli specialisti. I giovani sardi, per la maggior parte dei quali il sardo non è più lingua madre, quale lingua della poesia possono praticare? Può il misero italiano regionale essere la base per una poesia vitale in Sardegna? Può ancora esistere una poesia in sardo all’altezza delle aspirazioni “nazionali” dei sardi? Un poeta usa una lingua personale per esprimere sentimenti ed esperienze di vita universali. Quale è stato l’ultimo (ma c’è stato un primo?) poeta sardo capace di interessare un pubblico più ampio di quello isolano? La poesia sarda ha bisogno assoluto di rinnovarsi, di arrivare alle nuove generazioni, di contagiarle per avvicinarle a nuove forme di poesia. Anche se il loro fosse un atteggiamento “dialettale”, sarebbe comunque positivo. La profondità dell’esperienza umana che solo la poesia è capace di esprimere ha bisogno anche delle nostre parole.
Da due anni partecipo alla selezione del Premio Giuseppe Malattia della Vallata. Nel 2018 sono stato scelto tra i dieci finalisti, quest’anno mi sono classificato al secondo posto. I concorrenti erano 203. Io ho mandato quattro componimenti (in totale la Giuria ne ha ricevuto più di 800), è stato premiato al secondo posto quello intitolato Acanta e a tesu che qui viene riportato:
Acanta e a tesu
In mesu sa corroga
latte bettau a terra de brocca
prena a cucuru, e s’oro treme treme,
deo in mesu meurra furistera
in custa ora ch’est ora de isettu
de tottu su chi torrat in s’aera;
sessat in sa lughi ‘e su sieru
sa gherra, pro dimonios tempus
no tenzo po mi lastimare po ischire
ite ndi faer de su matzamurru
chi mi chi leat a monte
(tenet alas su sentidu)
foras de logu de sas creaturas.
Vicino e lontano
In mezzo la cornacchia
latte versato a terra da brocca
piena sino all’orlo, e l’oro che vibra,
Io in mezzo merlo straniero
in quest’ora che è ora d’attesa
di tutto ciò che torna nell’aria;
cessa nella luce del pensiero
la guerra, per i dèmoni tempo
non ho per compatirmi per sapere
cosa farne della confusione
che mi porta a monte
(possiede ali il sentimento)
fuori dal luogo delle creature.