La tarantella di Fisichella: «Non c’è democrazia senza le aristocrazie», di Gian Antonio Stella
«Con Nenni e Togliatti potrei parlare, li capirei e mi capirebbero», dice l’ex parlamentare di lungo corso, già battistrada d’una destra diversa e distinta dal neofascismo missino: «Incido poco? lo so bene, ma ho rispetto di me stesso»
Meglio Pietro Nenni. O addirittura, udite udite, Palmiro Togliatti Togliatti. «Almeno con loro potrei parlare, li capirei e mi capirebbero». Domenico Fisichella, storico, scrittore, già parlamentare di lungo corso, già battistrada d’una destra diversa e distinta dal neofascismo missino («È giusto chiedere alla destra di affermare senza reticenza che l’antifascismo fu un momento storicamente essenziale per il ritorno dei valori democratici conculcati dal fascismo»), già ministro dei Beni Culturali nel primo governo di Silvio Berlusconi, già vicepresidente per dieci anni del Senato, ogni tanto la fa ancora una capatina a Palazzo Madama. Ormai riconosce quasi soltanto certi commessi sopravvissuti ai cataclismi.
Non fa mistero di preferire i costituenti a Salvini
Sospirano insieme: «Ahi ahi…». Si concedono rare confidenze e sospirano di nuovo: «Ahi ahi…». Tempi andati. In cui anche persone distanti potevano trovare cose su cui sentirsi vicine. Perfino amiche. Come gli successe con Mario Melloni, il leggendario Fortebraccio che sull’ Unità non perdeva occasione per prenderlo in giro ma sempre con arguzia leggera, lontana anni luce dalle volgarità di oggi. E un giorno lo abbinava in un’irresistibile tarantella a Pinuccio Tatarella, lui pure deciso a trovar la strada per un’altra destra («Fisichella e Tatarella / trallallero trallallà ») e un altro ritoccava alla Carrozzella Romana: «Fisichella, Fisichella, / com’è delizioso andare in carrozzella / sottobraccio a Fisichella… ». Impensabile, oggi. Va da sé che a uno come Matteo Salvini, la cui idea di destra è immensamente estranea alla sua, lui non fa mistero che preferirebbe appunto «il Pietro Nenni e il Palmiro Togliatti dell’Assemblea Costituente, che avevano un’idea chiarissima dell’Unità nazionale contro orde federalistiche e regionalistiche rappresentate da altri ambienti. Ci sono pagine perfino commoventi scritte da Togliatti su questa unità».
Fisichella con Silvio Berlusconi. Fisichella nel è nato a Messina il 15 settembre 1935 ed è un politico e docente italiano, più volte senatore e ministro per i Beni culturali e ambientali del governo Berlusconi I. Monarchico, è stato cofondatore di Alleanza Nazionale nel 1995 e presidente dell’Assemblea Nazionale del partito fino al 2005, anno in cui l’ha abbandonato
No ai regionalismi, la modernità è l’unità nazionale
Guai a parlargli delle autonomie rivendicate da regioni come il Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna… «La mia idea, e l’ho scritto in tanti libri, è che la tradizione del municipalismo, del regionalismo, del localismo è la tradizione della vecchiezza». Addirittura! «Sì: quella della modernità è la tradizione dell’unità nazionale. Nel momento in cui Alleanza Nazionale (partito che avevo io promosso e battezzato con nome e cognome) decise di tradire l’ideale risorgimentale e di votare la riforma della cosiddetta “devoluzione” io mi alzai in Senato, presi la parola, votai in dissenso e lasciai An». Guai a toccargli il Risorgimento. Guai a toccargli la monarchia. Re Umberto, scrisse anni fa Francesco Merlo, «una volta gli disse: “Quando parlo con lei mi riconcilio con l’Italia”». Tanto che «lo fece senatore del Regno, che è una carica ovviamente simbolica, e lo insignì dell’Ordine dei Cavalieri dei Santi Maurizio e Lazzaro, che vale più di un titolo nobiliare».
Il peso delle élite, ma non di un sistema feudale
L’Italia di oggi non gli piace tanto «ma gli italiani, come tutti i popoli, sono belli o brutti nella misura in cui sono belle o brutte le classi dirigenti. Le élite. Le democrazie possono funzionare se non ci sono le aristocrazie. Non parlo ovviamente di un sistema feudale. Parlo di quelle categorie dello spirito, della cultura, delle professioni, della competenza che hanno la funzione di orientare i popoli. Io sono stato, è noto, un fiero anticomunista. Ma va loro riconosciuto che parlavano di Togliatti come de “il migliore”. Avevano un’idea elitaria della politica. Non passava loro per la testa che ci potesse essere un partito senza classe dirigente». Mai avuto a che fare coi consoli e proconsoli al potere oggi? «Lei sa che io commentavo sui giornali, a quel tempo, tutti i messaggi delle Brigate Rosse. Ne ebbi anche dei problemi. Messaggi, minacce… A un certo momento le autorità furono costrette a proteggermi. Però… Però…». Però? «Però mentre mi minacciavano, mi rispettavano anche… E parlo delle Brigate Rosse!».
«Da professore, mi confrontavo con i ragazzi anarchici»
Sta dicendo che i Salvini e i Di Maio non hanno rispetto per alcuno? «L’altro giorno incrocio una signora. Un’ex allieva: “Ah, professore! Si ricorda?” Le era rimasto impresso come fossero possibili discussioni infinite con dei ragazzi anarchici. Io ero il docente, loro gli studenti. Si discuteva, ci si confrontava. Oggi non saprei con chi potrei discutere. È così: non saprei con chi discutere. Perché oggi c’è gente che alle tre dice una cosa e alle quattro ne dice un’altra, del tutto diversa. Senza il minimo imbarazzo. Non c’è alcuna progettualità». Solo social, social, social. Che lui, descritto da Filippo Ceccarelli come uno «strenuamente, pomposamente, aristocraticamente professorale», mai si sognerebbe di frequentare. Parole, parole, parole. Un diluvio. «Sono dell’opinione che la vera autorità parla poco. Chiaro? Parla poco. E questo va detto per tutti i “partitanti”. Avere una certa parsimonia nell’uso delle parole significa che, prima, un po’ si è riflettuto».
Detto questo, assicura, sa benissimo che tutti sono così chiacchieroni che «nella politica di oggi se non parli tanto non esisti. Io faccio il contrario. Taccio. Ma esisto lo stesso. Incido poco? Lo so. Ma posso contare sul rispetto di me stesso». Benedetto da una pensione come ex docente ordinario e da un’altra come ex parlamentare, dice di sentirsi tutto fuorché un pensionato: «Leggo. Cammino e leggo. Leggo sempre». Lo dice con un pizzico di malizia, come a sottolineare la differenza con la classe dirigente al potere assai meno attenta a dotarsi di un minimo di buone letture. «Se i libri servono? So che Camillo Benso di Cavour leggeva molto. E così Vittorio Emanuele Orlando. E Winston Churchill. Perfino Benito Mussolini, e dico Mussolini, leggeva. In francese, in inglese, aveva imparato addirittura a leggere in russo… Ora, non dico che avere studiato molto sia sufficiente a costruire un leader politico. Contano anche tante altre cose. Qualche libro, però…».
Il coprriere della sera, 21 giugno 2019
By Mario Pudhu, 9 luglio 2019 @ 08:36
«Guai a parlargli delle autonomie rivendicate da regioni come il Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna… ”La mia idea […] è che la tradizione del municipalismo, del regionalismo, del localismo è la tradizione della vecchiezza”. […] quella della modernità è la tradizione dell’unità nazionale».
Okeja: «tradizione dell’unità nazionale» = «modernità». Comente si faghet a no li dare resone? Si no sunt Itàlia sas regiones italianas (cussas mescamente chi at fontomadu, sos ‘cadhos de punta’, e totu sas àteras puru), chie, tandho, tiat èssere sa natzione Itàlia?
Fisichella za no tenet motivu de faedhare de peruna «rivendicazione» de sa Sardigna de sos bàtoro drommidos, a bortas totu su prus preocupados (si capitat chi abberint un’ogru e sonni sonni) si “le altre regioni” cherent issas puru… e segant sas ancas a nois ca tandho “se tutti vogliono”… comente faghet s’Itàlia a nos acuntentare totugantos? Fermi e zitti tutti! E sinono sighit comente at fatu de candho cust’Itàlia est nàschida coment’e Istadu.
Fisichella faedhat de sa “rivendicazione” de su Vèneto, Lombardia, Emilia-Romagna e, a pàrrere meu, sos Italianos de s’Itàlia ndhe podent fàghere su chi lis paret e piaghet e lis andhat menzus.
Ma Fisichella a l’at a ischire chi sa Sardigna est atesu de s’Itàlia 180 chilómitros de mare in sos duos puntos prus acurtzu gràtzias a un’istória geológica de milliones de annos? E chi un’istória de zente curtza pagos séculos l’at istratzada dae manos a nois Sardos e l’at posta in manos anzenas?
O cufundhet s’istória de sa zente cun s’istória geológica, tantu tutto fa brodo pro cudhos chi sos contos los cherent comente lis torrant a contu e àteru no cherent cumprèndhere?
A l’ischit e cumprendhet chi Sardigna e Sardos semus una natzione in manos de s’Istadu italianu / Itàlia, o ischit e cumprendhet chi semus «una regione» de s’Itàlia in su ‘giogu’ de cufúndhere Regione/RAS e regione? Sa Sardigna regione de ite? O isse puru est cumbintu chi s’Istadu italianu/Itàlia est fizu «del Regno di Sardegna» (a su de tres ‘passos’) postu in manos de sos Savoia/Piemonte e cunfusu cun sa Sardigna e natzione sarda (sempre in su ‘giogu’ de la nuit tous le chats sont gris)?
Postu chi sos Sardos curremus a faedhare e fàghere sa libbertade e responsabbilidade personale e colletiva chi nos pertocat de diritu e de dovere pro no sighire in su giogu de sas mascaredhas e innantis chi sa Sardigna essat unu desertu de zente, bona e apilliosa solu pro sos “safaristas” e pro sos turistas, tiat èssere interessante e responsabbilmente zustu e rispetosu a ischire ite ndhe pessat Fisichella, si no est isse puru in su ‘giogu’ a cufúndhere.
E meda de prus tocat chi l’ischemus sos Sardos diplomados e laureados a ignorantes in d-un’iscola italiana fata a cumandhu de Màssimo D’Azeglio, faghindhe sempre a “italiani” fintzas sos Abbissinos a su tempus de sa “civiltà” de fascística memória sighida apustis puru in su chi de colónia l’est abbarradu a s’Itàlia in tempus de demogratzia. E nois, incantados si no sàbios, amus imparadu a ammachiadura.