Il laicato cattolico, di Gabriele Uras
Nell’ultimo numero del PORTICO, settimanale della diocesi di Cagliari, compare una interessante intervista di Mario Girau al vescovo emerito di Oristano Pier Giuliano Tiddia, nella ricorrenza del novantesimo compleanno e quarantaquattresimo dell’ordinazione episcopale, coinvolto nel corso del tempo nell’accoglienza a ben quattro Pontefici in visita nell’Isola, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Papa Ratzinger e da ultimo Papa Francesco, protagonista della vita della Chiesa in Sardegna, come direttore del seminario diocesano, come protagonista del Concilio Plenario Sardo e come vescovo.
Un interessante excursus storico nel quale vengono toccati i principali momenti della vita della Chiesa sarda negli ultimi sessant’anni, tra i quali mette conto richiamare il menzionato Concilio Plenario Sardo, che ha compiuto quasi 20 anni ma è ormai dimenticato, mentre andrebbe ripreso, studiato e finalmente applicato, traendo da esso motivazioni per una rinnovata ed efficace presenza della Chiesa nell’Isola.
Forse è anche merito del richiamo al concilio sardo, evento in positiva continuazione della linea di rinnovamento delineata dal Concilio più grande, il Vaticano II, del pari ricordato dal vescovo Tiddia non senza un ombra di nostalgia e di rimpianto per le grandi promesse non tutte realizzate, se a questo punto l’intervistatore rivolge al presule una precisa domanda sul ruolo dei laici nella Chiesa, questi laici sempre passivi e mai corresponsabili, non si sa bene se per loro scelta o colpa o perché i preti sono restii a fargli spazio.
Ma ecco che Monsignor Tiddia recupera il linguaggio della diplomazia curiale, che non nega la risposta ma dice e non dice, afferma e nega nello stesso tempo, aggrappandosi all’ancora di salvezza della parola “aiuto”, ripetuta due volte, temperata da un altro termine, “fiducia”, che tuttavia non pare sufficiente a liberare il laicato dalla sudditanza verso la gerarchia, non solo nella cose di dottrina, dove è giusto che ci sia, ma finanche nelle questioni di confine, in quelle materiali e terrene dell’amministrazione e dell’organizzazione.
Tutti abbiamo bisogno di aiuto, ma se questo bisogno è visto come strutturale e costitutivo dell’essenza del soggetto, allora è difficile attribuire a questo soggetto le auspicate responsabilità, il positivo coinvolgimento in qualche aspetto o momento della vita della Chiesa in cui il laico battezzato e suo membro qualcosa possa liberamente offrire.
Dice Monsignor Tiddia: i laici devono essere “aiutati” ad assumere responsabilità. Bene, ma hanno sempre e per definizione bisogno di essere aiutati? E come fare quando non hanno bisogno di aiuto e chiedono ugualmente di partecipare?