Cinema, memoria , identità, di Luisa Saba

“Incontri con il cinema Sardo”. Altura, film di Mario Sequi girato nel 1949, va considerato come la pietra miliare di una nascita letteraria/cinematografica. L’Associazione il Gremio dei Sardi di Roma da tempo dedica i suoi incontri e qualifica le sue attività approfondendo i temi della identità culturale della Sardegna, delle sue origini, dei suoi sviluppi.


L’attenzione alla memoria storica si muove cercando di ripercorrere i cammini della identità dei sardi legandoli a qualcosa che non  sono solo le radici, pur importanti, della tradizione, ma anche i grandi processi culturali che hanno prodotto modi di pensare e comportamenti di rottura con il passato, come è stata indubbiamente la seconda guerra mondiale e le esperienze di migrazione maturate dai giovani sardi che cercavano  in quegli anni fortuna in “Continente”.

Processi culturali costantemente in cammino che la memoria collettiva aiuta a ripercorrere attraverso una serie di strumenti tra i quali il cinema acquista rilevanza sempre crescente, soprattutto in Sardegna, dove la cinematografia si impone sotto forma di linguaggio letterario potente e di grande impatto comunicativo, come dimostrano anche le recenti performance di una nutrita schiera di registi, sceneggiatori e artisti sardi.

Altura, film di Mario Sequi girato nel 1949, va considerato come la pietra miliare di una nascita letteraria/cinematografica che ebbe proprio dal Gremio dei Sardi di quegli anni la sponsorizzazione e parte del sostegno economico. Il Gremio dei Sardi di oggi rinnova quel patrocinio e lo valorizza attraverso la riproposta pubblica del film recuperando il negativo originale, presso un privato, dalla consigliera Franca Farina, responsabile, all’interno dell’Associazione, del progetto-percorso in essere da diversi anni: “Incontri con il cinema Sardo” in collaborazione e anche per conto del Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale dove lei lavora.  Gli “Incontri” rappresentano un approccio, un’attenzione alla memoria collettiva della cultura sarda, organizzati  a Roma nelle prestigiose sedi della Cineteca Nazionale a Fontana di Trevi o nella Casa del Cinema a Villa Borghese, destinati a rassegne, visioni, panoramiche sul cinema sardo e i suoi protagonisti. Con attenzione all’innovazione, alla sperimentazione, ma anche alla memoria, a cui a pieno titolo appartiene  il restauro di Altura di Mario Sequi.

Sin dalla pubblicazione, nel 2015, del libro incentrato sulla storia del Gremio,  ove si rileva la figura del regista Mario Sequi e di un suo film Altura,  prodotto addirittura sotto l’egida del Gremio, a Franca viene affidata dall’Associazione la missione di cercare il film tra quelli in Cineteca. La ricerca si rivela subito quasi impossibile perché lì il film non c’è! Ma seguendo brandelli di notizie e sottili indizi Franca, a conclusione di un lungo e faticoso lavoro, recupera i documenti e le testimonianze dirette necessarie. Ottiene dal privato il film, a precise condizioni morali e storiche e non certo economiche, e la determinante collaborazione della conservatrice Daniela Curro’ e del tecnico Antonio Commentucci. E così ai primi del 2019, finalmente, nella sala cinema del Centro  Sperimentale di Cinematografia è stato possibile visionare il film, alla presenza della conservatrice, dei  tecnici, del regista sardo Gianfranco Cabiddu, della stessa Franca Farina e del presidente del Gremio Antonio Maria Masia. La visione del film, valutata positivamente la qualità, è stata per la prima volta proposta ai soci ed amici del Gremio, in forma pubblica e gratuita, il 27 aprile, nei locali dell’Associazione all’interno della partecipatissima festa istituzionale per i Sardi: Sa Die de Sa Sardigna. E’ stato riproposto a Sassari al Teatro Civico il 26 giugno nell’ambito del tradizionale Sardinia Film Festival in svolgimento in diversi città dell’Isola dal 25 giugno al 7 luglio.

Il film disegna le cornici di riferimento importanti per capire come veniva rappresentata la Sardegna negli anni dell’immediato dopoguerra. Il contributo a questo recupero di memoria viene dall’impegno costante del Gremio sul tema delle sue radici (Sequi regista, Porrino musicista, sono stati soci co-ri-fondatori con il nome Gremio, nel 1948, di quella Associazioni dei Sardi in Roma nata nel 1910 e poi “scomparsa” come tante altre al tempo delle guerre e del regime) come testimoniato appunto dal libro citato a firma del Presidente del Gremio, e dal lavoro silenzioso e tenace di Franca, che spende la sua professionalità, il suo tempo e la sua passione nella individuazione di quei documenti che parlano della Sardegna attraverso quei registi, produttori, sceneggiatori, musicisti, artisti, che hanno rappresentato e rappresentano aspetti  importanti della cultura sarda.

Franca ha lo stile dell’archeologo, dell’intellettuale certosino che scava con pazienza, ricostruisce un puzzle fatto di documenti dimenticati, di raccolta di testimonianze remote, di reperti d’epoca che danno vita ad un opera nuova, una vera copia d’artista, in grado di restituire tutta la bellezza della narrazione delle storie e dei lavori originari, come nel magnifico restauro che Franca ha fatto dell’opera di Rossellini, Roma Città Aperta.

Nel caso di Altura ci viene riconsegnata la testimonianza diretta che riguarda il sodalizio tra Sequi e il maestro Ennio Porrino che cura la parte musicale dell’intero filmato, rappresentando più che la colonna sonora quella voce e quel parlato di cui i protagonisti sono parchi!  Le testimonianze riguardano ancora la scelta delle scene e degli arredi, la raccolta dei permessi che le Istituzioni preposte rilasciavano ai cineasti per vigilare sulla correttezza politica delle diverse parti del film, scrittura, sceneggiatura, dialoghi etc.. La censura esiste anche oggi , ma fa impressione vedere come ai tempi In cui si girava Altura, fosse esercitata direttamente e con particolare attenzione e pignoleria dal sottosegretario alla Cultura che era ai tempi Giulio Andreotti, che interveniva su ogni aspetto dell’opera . La ricerca paziente delle testimonianze ha messo in luce, cosa non semplice dopo 70 anni, l’opera di  Mario Sequi e le sue vicende professionali e quelle  umane.

La vita familiare del regista viene tratteggiata con i ricordi del nipote Marco, che vive a Roma con madre, figlia di Sequi; la sorella di Mario Sequi aveva sposato Giuseppe Borgna (anche lui cofondatore del Gremio), padre di Gianni (noto e rimpianto Assessore della cultura nel comune di Roma e presidente della Fondazione Musica per Roma), mentre il fratello Carlo è il padre del regista teatrale e televisivo Sandro Sequi. L’entourage familiare del regista si muove tra Accademie, teatri, televisione, letterati, operatori culturali, un ambiente stimolante e creativo, come quello della Roma dell’immediato dopoguerra. Un ambiente in cui si matura la formazione professionale di Sequi, che ha come maestro  il grande Silvio D’amico e come interpreti delle sue pellicole icone della nascente industria cinematografica italiana, come Girotti, Roldano Lupi ed Eleonora Rossi Drago che debutta al cinema proprio con Altura.

Ci viene così consegnato con il rifacimento di una pellicola non solo i pregi estetici, gli effetti fotografici,la qualità degli interpreti, ma un vero e proprio pezzo di storia, un quadro etnografico che riconduce ad un clima e ad un contesto che dà quelle chiavi che permettono di collocare l’opera nella memoria della storia del cinema e nella memoria della storia sarda.

La trama di Altura è lineare: il protagonista Stanis Archena, è un giovane andato via dalla Sardegna alla ricerca di fortuna alla vigilia della guerra; parte negli anni 40 e rientra dieci anni dopo nell’isola, deciso a rimanere e a riportare in paese l’esperienza di cambiamento maturata in “continente”. Nel paese natale, un gruppo di stazzi riuniti nella ”cussorgia “ Stanis Archena ritrova una comunità immobile, rassegnata e assoggettata alla prepotenza di Efisio Barra, ricco possidente non del luogo, che si è impadronito di tutte le risorse della cussorgia e tratta i pastori come servi privi di qualsiasi diritto. Ha messo ipoteca sulla casa di Stanis, ma anche sulla vita di Grazia, la più bella giovane del luogo, innamorata e ricambiata da Stanis  fin da quando i due erano  bambini.

Il paesaggio di Altura, reso magistralmente evocativo da una fotografia in bianco e nero firmata da Piero  Portalupi mostra una landa della Gallura brulla, priva di vegetazione, dominata dalle imponenti rocce di granito  (Rocce insanguinate sottotitolo del film) contro le quali si stagliano solitarie figure femminili che trasportano con equilibrio danzante l’acqua in catini di sughero, uomini con il fucile a sorvegliare le pecore in un silenzio accompagnato dalle musiche di Porrino, le spoglie piccole case di pietra, sulla cui porta si evidenziano i segni della campagna di disinfestazione realizzata con il DDT, con cui gli USA avevano “innaffiato” l’isola cercando di eliminare la malaria. Ad Altura gli unici mezzi di comunicazione sono rappresentati dai muli e dai cavalli, questi ultimi destinati solo agli uomini del padrone e allo stesso che dal  cavallo non scende quasi mai, a marcare la sua superiorità di censo e potere! Gli interni delle abitazioni mostrano ambienti spogli, eccetto quello della famiglia più benestante, la zia Malena di Grazia, dove spiccano i cestini di asfodelo, una macchina Singer  vicino ad un arcolaio, altre suppellettili “buone”, oggetti e costumi che dopo qualche anno scompariranno del tutto anche dalle abitazioni dei benestanti,  trasformati dal tritacarne del gusto globalizzato che piegherà lo stile sardo ai gusti di un jet set internazionale affamato di consumi  e folklorismo di maniera. Sarà proprio il mondo arcaico nel quale è ambientato Altura, la Gallura, ad essere investito dalle trasformazioni economiche e sociali  di un turismo aggressivo e vistoso che trasformerà la zona più arretrata del Nord Sardegna in quella della Costa Smeralda, ambita dai milionari di mezzo mondo. Quando  Mario Sequi punta la macchina da presa su questa terra non immaginava certo quale sarebbe stato a breve il suo cosiddetto sviluppo dorato!

Altura come la vediamo è chiusa nel perimetro della cussorgia, quel particolare istituto consuetudinario che attribuiva la proprietà dei terreni e delle pecore ai singoli pastori che se la  tramandano da padre in figlio! La cussorgia costituisce il cerchio dentro il quale si svolge la vita degli abitanti, contesto rigido, controllato dalla tradizione e da  Efisio Barra, uno straniero che si è arricchito nel tempo di guerra, a cui nessuno osa ribellarsi; la cussorgia è fine a se stessa, senza aperture con il “fuori”, in essa non si  vedono né un sacerdote nè un carabiniere, poiché l’autorità, sia morale che civile, è rappresentata dal vecchio patriarca Gonario, custode di una legge non scritta ma fortemente radicata nel sentimento della comunità, “su connottu” , che riconosce valore a costumi consolidati nel tempo e per certi aspetti immutabili. In questo universo simbolico il Sacro e i suoi riti sono incorporati nelle festa che scandisce i momenti più importanti della vita collettiva nonché di quella individuale, con canti, balli e costumi che, come si vede nel fidanzamento di Efisio con Grazia,  ne celebrano la coralità e la sacralità. La stessa Grazia fa parte di un  mondo chiuso, di cui accetta le leggi con sofferenza e dolore, senza tuttavia riuscire a ribellarsi. La sua speranza di libertà è legata alle sorti di Stanis, quando pensa che l’amato abbia lasciato Altura la giovane  si riconsegna vittima rassegnata al perfido Efis.

Nella storia raccontata sono significative altre due figure, Bachis l’amico di Stanis dalla fiducia incondizionata e Napoleone il marginale, poeta per quale  “ad Altura non ci sono fiori, ma rocce!” e che preferisce la compagnia della pecora Caterina a quella dei suoi simili  Napoleone pagherà con la vita l’adesione alla forza visionaria riposta nel cambiamento proposto da Stanis. Ma di quale cambiamento si tratta? Stanis, come ebbe a dire lo stesso regista commentando la sua opera, “… si inserisce nel conflitto che storicamente ha contrapposto i pastori ai latifondisti, la sua è una battaglia di giustizia sociale, torna per tentare di cambiare rapporti iniqui e portare in Sardegna diritti che ha visto affermarsi altrove e pensa possano migliorare la vita della sua gente”.

Stanis è la figura su cui è centrata la storia raccontata in Altura, storia di un ritorno a casa, tema antico e ricorrente nella poetica isolana. Ritorno plasticamente rappresentato dalle inquadrature del mare, che, come recita la voce fuori campo, da millenni battono le coste della Sardegna e ne segnano la insularità,  l’isolamento, la mancanza di confini, la lontananza dal “Continente “. Il ritorno di Stanis  non è un gesto epico  un ritorno romantico, una “recuida” di vecchi migranti, bensì la scelta di chi, avendo lasciato  la Sardegna  per cercare migliori condizioni di vita e di lavoro, ha incontrato invece guerra e sfruttamento. “Mi sento piu vecchio di un vecchio nuraghe, dice Stanis ripercorrendo le strade sterrate e polverose che lo riporteranno ad Altura, ma sento in me anche  una nuova forza! “ La forza gli viene da una coscienza di giustizia sociale e di diritti maturata nell’esperienza continentale che vuole spendere nel paese natio. Non è tornato di passaggio o perché non ha fatto fortuna, come qualcuno gli rinfaccia, ma perché vuole cambiare la condizione della sua gente! Stanis è cambiato già nell’abbigliamento, che, pur senza ostentazione, è un abbigliamento urbano, mentre ad Altura tutti vestono ancora con ” cambali” e “berritta”.

A Stanis la esperienza fuori dalla Sardegna ha allargato  la visione del mondo e gli ha fatto capire che per cambiare bisogna rompere l’isolamento, sia quello fisico che quello culturale. Il primo cerca di affrontarlo recuperando i pezzi di un vecchio camioncino, che rimette in funzione per trasportare i bidoni con il latte dei pastori fino alle cooperative rompendo il monopolio padronale della raccolta. Il secondo isolamento, quello culturale, è più difficile da combattere, perché si basa su un sentimento di comunità sul quale i pastori di Altura hanno costruito i fondamenti della propria immagine ed hanno elaborato le regole che ne discendono. Una comunità chiusa, che può essere regressiva, come cerca di spiegare Stanis disegnandola sulla terra con un cerchio limitato da  diverse pietre, se non si caccia via la  pietra macigno, ovvero il padrone Efisio, che domina su tutti con la prepotenza ed il ricatto .”Regole che è meglio non cambiare, sostiene il vecchio saggio custode della tradizione, meglio non perdere il poco che si ha, perché chi vuole uccidere le serpi distrugge l’orto! “

Efisio gioca facile sulla paura dei pastori, prepara un attentato con dei sicari che sparano sul camioncino che trasporta il latte, riuscendo così a stroncare il progetto di Stanis. Nell’ imboscata muore Napoleone ma rimane ferito anche uno dei sicari, che vigliaccamente Efisio nasconde perché non si scopra la sua  personale responsabilità nell’attentato. Quando però l’inganno viene scoperto ed Efisio viene braccato nella fuga, Stanis chiede ai suoi paesani di evitarne l’esecuzione, di difendersi dall’ingiustizia senza commettere altre ingiustizie. Insieme al messaggio  a rompere l’isolamento fisico e culturale, a superare la debolezza e la rassegnazione a cui porta un’economia ferma a comunità chiuse rapporti individuali, l’altro messaggio di Stanis/Sequi, un messaggio ancora più forte, è quello di avere il coraggio di uscire dall’arcaico codice barbaricino e di rinunciare alla vendetta se si vuole arrivare ad un vero cambiamento di  giustizia nei rapporti sociali.

Succederà? Il messaggio è attuale anche 70 anni dopo la realizzazione di Altura: come sono state affrontate  le sfide dell’isolamento? L’insularità della Sardegna è una risorsa per la protezione della sua biodiversità, della sua esclusiva ricchezza naturalistica ambientale, della sua cultura agraria, oppure il pretesto per la creazione di paradisi  turistici artificiali, di installazioni industriali  devastanti e di occupazioni militari lontane da occhi indiscreti? La lotta di classe che contrapponeva i  pastori di Altura e gli Efis di allora paradossalmente era piu affrontabile di quella che devono sostenere oggi gli allevatori sardi contro le multinazionali senza volto, come dimostrano le tragiche vicende del latte inutilmente versate nelle strade di Sardegna nell’inverno del 2019  il sentimento “comunitario” sardo, che tanti dibattiti ha provocato sul fronte culturale e politico sardo è rimasto circoscritto ad una visione egotica, individualista e/o clanica della società, oppure si è evoluto verso forme di responsabilità collettiva più aperte e partecipate? Altura sarebbe stato una miniera di spunti per una generazione, come la mia, cresciuta nella formazione al cineforum! Oggi essa è un prezioso documento per chi crede che il cinema possa aiutarci a partire dalla memoria per farci comprendere il presente .

 

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