Il fascino del complotto, di Marcello Flores

Oggi si fa un gran parlare del «piano Kalergi» (un progetto per favorire l’immigrazione africana e asiatica in Europa e dare origine a una nuova etnia) o del «piano Bilderberg» (che avrebbe imposto al mondo il neoliberismo e favorito le crisi economiche dal 1994 al 2008). È a cavallo della modernità, a partire dalla fine del ’700, che si moltiplicano false congiure e teorie della cospirazione considerate reali o altamente probabili: l’idea che esista un gruppo di individui che, in segreto, domini la politica, la finanza e gli eventi globali della storia da allora non ci ha più abbandonato. Ecco perché.

Cospirazioni, congiure e complotti sono sempre esistiti nella storia. Fra le trame che hanno avuto successo le più famose, nell’antichità, sono state quelle contro Giulio Cesare (44 a.C.) e Caligola (41 d.C.), in tempi più vicini si possono ricordare quelle contro Gustavo III di Svezia (1792), contro gli zar Paolo I (1801) e Alessandro II (1881), contro il presidente americano Lincoln (1865), contro Gandhi (1948), contro John F. Kennedy (1963). Machiavelli riteneva le congiure temerarie e pericolose e pensava fosse questo il motivo per cui «ne nasce che molte se ne tentino, e pochissime hanno il fine desiderato».

I tentativi di cospirazione, infatti, furono molto più numerosi: dalla «congiura dell’harem» contro Ramses III (1155 a.C.) alla «congiura dei paggi» contro Alessandro Magno (328 a.C.), da quella contro Nerone (65 d.C.) a quella contro Domiziano (96 d.C.), dalla cospirazione contro Federico II di Svevia nel 1246, mentre si trovava in Maremma, alla «congiura dei Fieschi» contro l’ammiraglio della Repubblica di Genova Andrea Doria (1547), dalla «congiura delle polveri» del 1606 alla «congiura degli Uguali» (1796) a quella dei Decabristi in Russia (1825).

 

Proprio a cavallo della modernità, tuttavia, dalla fine del Settecento in avanti, sono aumentate — e hanno acquistato spesso rilievo e consenso — le false congiure, le teorie del complotto e della cospirazione che sono state considerate reali o altamente probabili. Anche se, è stato osservato, è l’esistenza di complotti veri (come l’incendio del Reichstag nel 1933 o l’incidente del Golfo del Tonchino nel 1965) a permettere alla gente di credere alle teorie cospirative.

All’inizio del XIX secolo il gesuita Manuel Luengo pubblicò il Diario de 1808. El año de la conspiración, in cui considera l’arrivo a Roma delle truppe napoleoniche e l’arresto di Pio VII al Quirinale, e le traversie della guerra d’indipendenza spagnola, così come l’insieme della storia europea tra fine XVIII e inizio XIX secolo, «il risultato delle cospirazioni di filosofi, giansenisti e massoni».

Già prima un altro gesuita, Augustin Barruel, dal 1788 al 1792 direttore a Parigi del «Journal ecclésiastique», aveva accusato l’illuminismo e la massoneria di aver organizzato il piano che aveva portato alla rovina della monarchia nelle sue Memorie per la storia del giacobinismo, pubblicate a partire dal 1796.

L’idea che esista un gruppo di persone che, in segreto, domini la politica e gli eventi cruciali della storia, da allora non ci ha più abbandonati.

Dapprima si è parlato degli Illuminati (gli Illuminati di Baviera nati nel 1776 sulla falsariga degli Alumbrados spagnoli del XVI secolo o degli Illuminés della Picardia) e poi dei massoni che, al di là delle dispute sulla nascita, proprio nel corso del Settecento trovano il loro radicamento tra le élite di molti Paesi: a essi venivano attribuiti il crollo dell’ancien régime e la vittoria della rivoluzione francese.

È però all’inizio del XX secolo che si afferma la tradizione di potere occulto più diffuso e permanente della storia, quello della «cospirazione ebraica» rivelata dai Protocolli dei Savi anziani di Sion. Circolati soprattutto al termine della Prima guerra mondiale, i Protocolli erano stati «scoperti» dalla polizia segreta zarista, l’Ochrana, che li aveva fatti pubblicare nel 1903 dal «mistico» Sergej Nilus. In realtà, come dimostrò un’inchiesta del «Times» di Londra già nel 1921, si trattava di un falso fabbricato appositamente, che in quel momento si collegava con insistenza alla vittoria bolscevica nella rivoluzione russa. Il «Chicago Tribune» del 19 giugno 1920 titolava un articolo Trotsky guida i radicali ebrei al dominio del mondo, mentre l’industriale Henry Ford, attraverso il suo settimanale «The Dearborn Independent» e numerose interviste, evocava «l’internazionale ebraica: il principale problema del mondo».

I Protocolli erano stati costruiti sulla falsariga di un romanzo apparso in Germania nel 1868, scritto da Hermann Goedsche col nome di Sir John Retcliffe, e quasi copiato interamente dal libro di Maurice Joly Dialogue aux enfers entre Machiavel et Montesquieu ou la politique de Machiavel au XIX siècle, in cui però a congiurare per il controllo del mondo non erano gli ebrei, ma la politica francese del 1860 e dintorni, l’epoca del Secondo Impero. A rendere I Protocolli nuovamente centrali nella propaganda politica pensò poi Hitler, che ne parlò a

lungo nel Mein Kampf e fece della distruzione degli ebrei l’impegno prioritario del suo progetto totalitario.

Una teoria del complotto che ebbe ampia diffusione fu quella che emerse nel corso dei «processi di Mosca» tra il 1936 e 1938 e, successivamente, nei Paesi comunisti dell’Europa orientale con i processi tra il 1949 e il 1952. Georgij Pjatakov fu, insieme a Karl Radek, il principale imputato del «processo dei diciassette», che si tenne nel gennaio 1937. Leader bolscevico, vicino a Trotsky e poi a Stalin negli anni dell’industrializzazione accelerata, Pjatakov venne arrestato per avere cospirato con Trotsky e con il partito nazista, per prendere il potere in Unione Sovietica rovesciando il governo bolscevico. A credere al complotto non furono solo le autorità sovietiche, ma l’insieme del partito e delle sue organizzazioni, tutti i partiti comunisti nel mondo, e perfino l’ambasciatore americano a Mosca e la stessa moglie di Pjatakov, che dovette presumibilmente ricredersi solo quando venne anch’essa arrestata e inviata nel Gulag.

Nei primi anni della guerra fredda, quelli dei processi farsa a Rajk in Ungheria e a Slánský in Cecoslovacchia, anche negli Usa si diffuse la convinzione di un vasto complotto comunista, che trovò nel senatore Joe McCarthy l’alfiere indiscusso, tanto da dare il suo nome — maccartismo — a quella «caccia alle streghe» che coinvolse non solo chi era stato comunista negli anni Trenta e non lo era più, ma perfino liberal e collaboratori del presidente Roosevelt. Tra i colpiti vi fu l’esperto di Cina Owen Lattimore, consulente di Chiang Kai-shek, accusato di essere la spia più pericolosa dell’epoca. La paranoia di McCarthy lo portò ad accusare i vertici dell’esercito americano di essere coinvolti nel complotto comunista, e questo lo condusse alla rovina grazie all’azione congiunta della stampa libera (Ed Murrow) e del presidente Eisenhower. Poco prima a essere accusato di complotto era stato proprio Roosevelt, ritenuto colpevole di aver taciuto le notizie dell’imminente attacco giapponese a Pearl Harbor, o addirittura di averlo favorito per arricchire le industrie belliche con l’intervento nella Seconda guerra mondiale. L’argomento fu al centro della campagna elettorale del 1944 — e lì l’ipotesi complottista venne sonoramente sconfitta — ma riemerse in seguito avallata anche da importanti storici. A distinguersi tra essi fu Harry Elmer Barnes, che negli anni Venti aveva contestato la «colpa» della Germania nell’aver provocato la Prima guerra mondiale e, da isolazionista convinto, ritenne Chamberlain e Daladier responsabili dell’attacco tedesco alla Polonia nel 1939, terminando la sua carriera da negazionista della Shoah.

Oggi si parla molto del «piano Kalergi» — della volontà di favorire l’immigrazione africana e asiatica in Europa per sostituire le popolazioni locali con un’etnia indistinta e meticcia prona ai desideri consumisti del capitalismo mondiale — che sarebbe stato inventato negli anni venti da Richard Coudenhove-Kalergi, fondatore dell’Unione Paneuropea e antesignano dell’unità europea e di una visione cosmopolita della collaborazione tra i popoli. Oppure si fantastica sul «piano Bilderberg», dal nome del club che organizza annualmente incontri riservati tra i suoi membri, il quale avrebbe imposto al mondo il neoliberismo e le crisi tra il 1994 e il 2008.

Nel 1997 la psicologa Elaine Showalter sostenne che il cospirazionismo rappresentasse per gli uomini l’equivalente dell’isteria per le donne, l’attribuire a forze esterne, nell’era dei mass media e della comunicazione istantanea, i propri problemi psichici.

All’inizio del XX secolo si afferma la tradizione di potere occulto più diffuso e permanente della storia, la «cospirazione ebraica» dei «Protocolli dei Savi anziani di Sion».

la lattura, 28 aprile 2019

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