Perchè Limba, perchè antiga, di Luisa Saba
Eccoci tutti attorno al libro di Antonio che raccoglie Poesias e meledos peri sas àndalas de sa vida, poesie e riflessioni lungo i sentieri della vita, in una elegante edizione della Nemapress, casa editrice algherese-romana di Neria De Giovanni, scrittrice e critica letteraria, che presenta l’opera insieme a il Prof Gaspare Mura, filosofo e accademico.
Neria De Giovanni, Antonio Maria Mazia e Gaspare Mura.
Una tiepida serata di primavera ospita, presso il Gremio dei Sardi di Roma, la presentazione di un’opera di Antonio Maria Masia, Antiga Limba, che numerosi amici e soci sono venuti ad ascoltare, sfidando la difficoltà di attraversare una città bloccata da manifestazioni e da una mobilità disastrata .
Eccoci tutti attorno al libro di Antonio che raccoglie Poesias e meledos peri sas àndalas de sa vida, poesie e riflessioni lungo i sentieri della vita, in una elegante edizione della Nemapress, casa editrice algherese-romana di Neria De Giovanni, editora, critica letteraria, inesauribile scrittrice di Grazia Deledda impegnata nella valorizzazione e diffusione della cultura letteraria sarda. In copertina immagini molto belle, il Nuraghe Majore del sito archeologico di Musellos, una secolare pianta di ulivo della campagna di Ittiri, città natale dell’autore e un quadro del fratello maggiore Salvatore, che rappresenta il mare di Alghero confinante con il golfo di Capocaccia.
L’opera alterna saggi, notizie storiche, brani di autori e commenti sui temi trattati dalle poesie , raccolte in quattro grandi parti scritte in sardo con frontespizio italiano, curato dallo stesso Masia per evitare che una versione libera intaccasse l’integrità del testo originale. Tante e belle poesie rimate, la cui struttura, come dice il poeta Giovanni Fiori nella appassionata prefazione che apre l’opera, si modella sul genere poetico scelto dall’autore per scriverle , o meglio, per cantarle!
Genere poetico appreso e assimilato da Antonio Maria, il bambino Totoi, nella quotidianità di una infanzia vissuta accanto ad un padre ed a uno zio che poetavano mentre lavoravano,componevano in maniera estemporanea ed a un nonno che partecipava attivamente a gare poetiche in lingua sarda. Il linguaggio poetico di Antonio Masia è inverato nel lessico familiare, si rivolge al padre Pedru, ai due figli Pietro e Pietro, il primo volato in cielo a soli 5 anni, al nonno Barore, al fratello Doddore, alla sposaToia. Ad essi ed al paese natio, Ittiri, è dedicata Antiga Limba, opera, dichiara con pudore l’autore : “che ho voluto scrivere per lasciare a mio figlio e ai miei nipoti memoria degli affetti e testimonianza dei miei sentimenti, paventando la possibilità che i ricordi siano dispersi nei self, nelle carte e nei messaggi frammentari che caratterizzano la volatilità della comunicazione virtuale.“
Ecco cosa è Antiga Limba, è il linguaggio del cuore e degli affetti, quella che attraverso un nuraghe ti narra la storia della tua terra, attraverso un ulivo il lavoro di tuo padre e di tuo nonno, attraverso un quadro il ricordo per quel fratello con cui hai diviso la meraviglia di una natura e di un mare che hanno colorato la tua adolescenza e le tue prime esperienze amorose. È la lingua generativa di valori e di parole per narrare il tempo, l’ amicizia, la gioia, il dolore, la vita e la morte. E’ la lingua materna, quella con la quale siamo venuti al mondo, quella tramandataci dai genitori e dagli avi, parlata da ciascuno di noi secondo varianti che possono essere molto diverse tra loro e secondo contaminazioni legate ai contesti territoriali e generazionali, ma impronta delle nostre radici e cuore dei valori che hanno formato la nostra identità.
Il sardo , come dice l’antropologo di Bitti Bachisio Bandinu, ha cominciato a perdere il suo valore di lingua identitaria per coprire un utilizzo strumentale che consentisse ai sardi di integrarsi nella lingua nazionale e traghettare a pieno titolo di cittadini prima nella Italia unificata e poi nella Repubblica italiana.
Tuttavia, mentre l’italiano viene usato nelle Istituzioni, a scuola, nella pubblica amministrazione, nell’esercito, sa Limba antiga è rimasta nei rapporti informali della comunità, nella vita di molte famiglie, soprattutto nei paesi dell’interno, nella dimensione della festa, della poesia. E allora , come dice Antonio Maria a Bandinu nel dialogo-intervista citato nell’opera, il sardo è: come la casa aperta a tutti, ospitale, con la tavola ben apparecchiata memoria della famiglia e degli amici, memoria di quel luogo dove siamo nati.
Anche nelle pagine dedicate a Gramsci, Masia cita la lettera scritta dal carcere alla sorella Teresina, dove il politico le consiglia di coltivare la lingua nativa, non per sottrarla alla assimilazione dell’italiano, ma per contribuire ad accrescere la formazione del carattere e dell’umanità dei bambini con la ricchezza delle tradizioni popolari.
Quindi, professa l’autore, per me “Antiga Limba ‘e s’isula nadia”, è la Sardegna, che da: “ammentos mai drommidos e memorias chi non poto ismentigare”.
Sa Limba Antonio la parla in poesia. Poesia rimata, fonetica di mille musiche, con le cadenze e i ritmi delle modas, dei sonetti, delle ottave, delle terzine, delle quartine, ma soprattutto poesia pensante.
Nella presentazione dell’opera di Masia il Prof Gaspare Mura, filosofo e accademico, figlio di Antonino Mura Ena, considerato il più grande poeta in lingua sarda del secolo scorso, parla di parola poetante e pensante. Cita Heidegger che verso gli anni 50 del secolo scorso ha inaugurato nel pensiero contemporaneo una nuova ontologia della parola e del linguaggio, che vede la fonte primigenia del pensiero vicina alla sorgente poetante e lontana dalla sua sistemazione logico concettuale.
L’intuizione poetica e la meditazione filosofica sono molto vicine e affini, il linguaggio poetico porta sul cammino ermeneutico e sulle riflessioni intorno al senso del percorso di vita, meledos peri sas àndalas de sa vida! Come non vedere che sa Limba è intimamente riflessiva e trasferisce questa riflessività nella poesia: Su tempus, it’est ? Sa vida, unu misteriu? Sa fide e su liberu arbitriu.
La presenza di una poesia pensante, di una filosofia cantata, copre e compensa nella realtà sarda il vuoto di soggetti e scuole filosofiche; l’Isola è una realtà ricchissima di poeti, di pittori, di cantori, di aedi, di facitori di versi. Masia ne ricorda alcuni: Zuseppe Pirastru, su poeta mannu de Otieri, che insegna a poetare al figliastro, suo zio Baingio, che sempre gli regalava carignos e saludos poetende, Maria Carta, cosi bella, cosi mediterranea, madre sarda di tutti i sardi, icona della potenza della voce e della forza della parola sarda, l’ittirese Giovanni Fiori fra i più noti poeti-scrittori contemporanei dell’Isola, Paolo Pillonca, che ha conservato il mistero dei versi a volo…
Placido Cherchi, allievo di De Martino e profondo studioso della cultura sarda, da poco precocemente scomparso, spiega che la Sardegna è una delle zone del mondo più ricca di poeti e artisti poichè il bisogno di esprimersi esteticamente, compresso e spesso stigmatizzato da una Comunità chiusa e rigida, trova nell’arte lo spazio per sublimare i bisogni e per superare i limiti di un rapporto conflittuale tra l’Io e la sua Comunità .
In quale Comunità è nata la poesia di Antonio Masia?
Una Comunità pastorale e contadina, austera e operosa, quella di Ittiri, paese meu a bentu solianu, adagiato su una collina coronata di antichi oliveti”, profumadu che rosa in beranu in una casa dove entravano e uscivano otri pieni d’olio, dove il padre Pietro e lo zio Baingio lavoravano e cantavano poesia in ottava improvvisando a bolu come aveva gia fatto il nonno Barore, stimato poeta di gara ai tempi di Cubeddu, Cucca, Moretti, Andrea Ninniri, nei primi anni del 900.
Anche quando i sentieri della vita lo conducono lontano da Ittiri, sa Limba poetica, il suo lessico familiare, Masia la porta con sè, scandendo con essa i momenti esistenziali più gioiosi o tristi: Tra risos e lamentos, Su dolore, sa pena e sa morte, Chent’annos a tie, le passioni civili: Ómine contivìzadi sa terra, gli affetti più cari messi alla prova da eventi drammatici, come la morte prematura del piccolo Pietro: Sa domo in su chelu, Si podes dali dulche s’anninnia.
Abbiano ascoltato queste poesie dalle voci di Alessandro Pala, per la versione italiana, e da quella di Clara Farina per la versione in Limba. I due artisti hanno dato vita a bolu ad un vero e proprio concerto vocale, nella miglior tradizione della gara poetica sarda de sos poetas antigos e mannos.
Poetare in sardo non è semplice. La esecuzione de su cantigu, nei suoi vari generi, alla nuoresa, a s’othieresa, a chiterra etc, ha regole piuttosto rigide, codificate dalla tradizione, con cadenze stabilite e ricorrenze obbligate, cosi come determinanti sono i vincoli della rima e del metro, l’obbligo del giro ritmico che governa e disciplina il movimento del pensiero. Le variazioni sono consentite solo all’interno e sono la vera cifra del cantore e della sua potenza artistica. Clara è arrivata da Sassari per fare onore al suo amico Antonio, la sua interpretazione è arte nell’arte. Fa piangere, fa sognare, fa pensare, coinvolge, commuove e affascina. Già dai primi versi dei brani che interpreta, Clara riesce a modulare un arco melodico la cui intensità perdura fino alla chiusura della sequenza raccordo. La forza imbrigliante del genere modale niente può contro la ricchezza di movimenti e contro la intonazione appassionata che Clara Farina riesce imprimere ai suoni e ai ritmi di una Limba che ricorda il canto dei tenores, il lamento del flamenco, la nostalgia del nostos. Sì, perchè sa Limba antiga è quel patrimonio di molteplicità fonetiche, lessicali e musicali che ha conservato nel tempo una struttura unitaria, un patrimonio identitario forte e riconoscibile, che ci serve per dare forza alle ragioni di chi pensa che i caratteri di una peculiare unicità, linguistica, ambientale, naturalistica e culturale dia ai sardi il coraggio per aprirsi a nuove esperienze, linguistiche, economiche, relazionali, politiche senza indebolire ma invece arricchendo e facendo crescere un nuovo progetto identitario.
Grazie a chi, come ha fatto Antonio Masia con la sua opera, ci dà la possibilità di tornare sulla nostra Limba antiga, non per ripiegarci malinconicamente nel passato ma per riattraversare i momenti nei quali la lingua della nostra identità isolana si è generata e, attraverso di essa, è in grado di trasmettere quei valori che vorremmo ispirassero la creatività culturale e sociale delle nuove generazioni .
Roma 26.3.2019