SCATTI DI FEDE, la mostra presentata da Maria Michela Deriu
Scatti di fede e’ l’interessante mostra fotografica che troviamo nello spazio Search, Largo Felice a Cagliari. Gli autori: Filippo Peretti e Lucia Musio.
Il Serch era in origine l’Archivio del Comune di Cagliari, oggi e’diventato un suggestivo luogo che ospita mostre, presentazione di di libri e altre attivita’ culturali.
Scatti di Fede sono novanta momenti della nostra religiosita’ e il frutto di quattro anni di un percorso che ha portato Filippo Peretti e Lucia Musio a fotografare luoghi sacri piu’ o meno noti della Sardegna.
Le immagini scavano nell’anima mistica di questa terra dove antichi riti arcaici si fondono con la cristianita’. Il sincretismo religioso della nostra terra precorre odierne tendenze spiritualistiche che tendono a riportare religiosità e natura all’unita. Per queste forse il rito e la tradizione sono ancora piu’ sentiti sfidando cosi’ il trascorrere del tempo.
Religiosita’ complessa quella dei sardi. Basta osservare come i luoghi di culto raccolgono spesso nello stesso spazio pozzi sacri, tombe romane nonché la chiesa agreste del Santo protettore del luogo.
Gli efficaci scatti degli autori non abbracciano un lungo lasso di tempo che, mi pare, va dal 2015 ai nostri giorni. Non e’ lungo lo spazio temporale che divide queste immagini, eppure, forse per la scelta di utilizzare i contrasti tra il bianco e nero, sembrano immagini senza tempo.
Non serve avere una grande immaginazione per trovare in quesi scatti una Sardegna che vive sotto gli occhi di Lawerence e dei grandi viaggiatori che nei secoli passati attraversavano la nostra terra.
La Sardegna fu percorsa da illustri stranieri con lo spirito della scoperta e l’ aspettativa di trovare un mondo esotico e selvaggio.
Bella e in tema la scelta di dividere la mostra in dieci sezioni che seguono il fluire delle stagioni nei diversi periodi dell’anno.
La mostra inizia con la rappresentazione dei Fuochi in onore di Sant’Antonio Abate il 17 gennaio.
”Fogu, Fogu
po su logu;
Linna, Linna
po sa Sardigna”.
Una leggenda narra che, non conoscendo il fuoco, nella Sardegna imperversava il gelo. Sant’Antonio preso a compassione si reco’ all’inferno con il suo maialino. Inutile dire che Lucifero non era d’accordo e sbarro’ l’ingresso al Santo. Il maialino pero’ riusci’ ad intrufolarsi e i diavoli furono costretti a far entrare il Santo che con il suo bastone di ferula riuscì a rubare il fuoco a Lucifero.
Mi viene da pensare: chissa’ se il maialino, sapendo che a causa di questa mirabile impresa sarebbe finito arrosto, diventando cosi’ il nostro piatto nazionale, avrebbe collaborato con tanto entusiasmo con il santo?
La mostra prosegue con immagini che rappresentano i suggestivi riti della settimana Santa. Riti antichi e ”colti” con i loro goccios e la presenza di antiche confraternite che fondono tradizione e strascichi della dominazione spagnola.
Primo maggio: Sant’Efisio dalla partenza fino al ritorno del Santo, grande devozione e sfarzosa esibizione dei costumi da tutta l isola.
I luoghi santi sono disseminati in tutta l’isola. Non esiste borgo che non vanti il suo santuario agreste che vive con la sua magica atmosfera nelle pagine della Deledda.
Selvaggie e coinvolgenti sono le Ardie, spericolate corse a cavallo in prossimita’ della Chiesa del Santo.
La piu’ famosa e’ quella di Santu Antine a Sedilo, ma anche Sindia, Dualchi e Pozzomaggiore possono vantere Ardie di tutto rispetto.
In queste manifestazioni cogliamo anche l’aspetto singolare e importante dei sardi col cavallo. Rapporto antico e indissolubile che ha portato i cavallerizzi sardi a diventare in tempi odierni tra i piu’ apprezzati fuori dell’isola.
Crabarissu, crabarissu scruzzu, che rapporto ha con la santita’?
La prima settimana di settembre, all’alba del sabato, i curridoris vestiti con la tunica bianca accompagnano il simulacro di San Salvatore da Cabras fino all’omonimo borgo di San Salvatore di Sinis dove restera’ fino alla domenica successiva, quando tornera’ a Cabras sempre trasportata dai corridori a piedi nudi.
Questa usanza, ora suggestiva, si fonda su un triste capitolo della nostra storia: le antiche incursione saracene.
Cabras è un paese di pescatori, ricco di stagni. Non ci si addentrava nell’aqua per pescare muggini e anguille con le scarpe, ammesso che a quei tempi i pescatori ne possedessero. Per questo, ogni volta che all’orizzonte compariva una nave saracena is crabarissusu scruzzusu correvano a mettere in salvo il Santo.
Coloriti i momenti di aggragazione ne is cumbessias.
Cibo e vino: nulla di meglio per rallegrare la festa del Santo.
Ora la parola agli autori.
Domanda banale ma mai scontata, come e’ nata l’idea? Risponde Filippo Peretti:
Il nostro obiettivo iniziale era semplicemente quello di riprendere in mano il nostro comune hobby giovanile della fotografia.Dopo i primi giri per la Sardegna abbiamo prodotto alcuni video fatti di fotografia in rapida sequenza e quasi subito il nostro interesse si e’ concentrato con grande convinzione sulle feste religiose.
L’idea di realizzare il progetto e’ di mia moglie Lucia. E, grazie all’esperienza maturata da lei in una confraternita a Cagliari, abbiamo scelto di puntare meno sulla spettacolarita’ degli eventi per puntare maggiormente sugli aspetti piu’intimi. Infatti il nostro reportage non e’ tanto sulla festa quanto sulla religiosita’ popolare.
Il vostro e’ un sodalizio totale, per questo avete deciso di non individuare con un nome nessuna delle vostre opere?
Si abbiamo deciso insieme le tappe e il tipo di immagine da catturare.In molte occasioni ci siamo divisi i compiti per coprire meglio l’evento. Scatti di Fede e’un lavoro a quattro mani.
La scelta del bianco e nero, perche’?
Innanzitutto per una preferenza personale che viene da lontano. Ma e’ una preferenza che si e’ imposta a mano a mano che il lavoro andava avanti: il bianco e nero aiuta a focalizzare l’attenzione sul cuore della foto, un gesto, uno sguardo, un’emozione.Che e’ poi il senso del nostro lavoro. Il colore che non puoi scegliere perche’ le nostre sono istantanee, rischia di distrarre l’attenzione dal messagio vero.”
Perche’ chiudere col Cristo morto di Sciola?
”E’una scelta della curatrice della mostra, Paola Mura, che abbiamo apprezzato molto per tre motivi.Il primo e’ la bellezza assoluta della scultura lignea. Il secondo e’ il suo carattere cosi’ profondo, duro, fortemente espressivo, ricco di suggestioni .Il terzo e’ il rapporto di stima e di affetto per l’artista scomparso. Avere una scultura di Sciola assieme alle nostre foto ci ha commosso.
Il Museo Civico di Cagliari, con il suo prestito, non solo ha commosso Filipo Peretti e Lucia Musio, ma ha reso possibile che tante persone si possano avvicinare ai Cristo morente.
Questa scultura non rapresenta l’effige classica di uomo sulla soglia di spirare l’ultimo respiro, ma l’artista, con forza, pare che dallo stesso ulivo, simbolo della natura, voglia trasmettere tutta la struggente sofferenza che dà vita a un Cristo morente.
Natura, spirito, vita e morte. Sciola ha immortalato cosi’ la religiosita’ dei sardi.