“Il popolo che non fa chiasso salverà l’Europa”, di Emmanuele Michela.

Parla il cardinale Angelo Bagnasco: “l vari sovranismi sono stati snobati, ma erano presenti da tempo. …  Negare un’identità è il modo migliore per farla emergere, talvolta anche in maniera patologica”.  lNTERVISTA AL PRESIDENTE  DEI VESCOVI EUROPEI.

Cinisello Balsamo (Milano). Avrà anche un’età che lo vorrebbe in pensione, ma il cardinale Angelo Bagnasco viaggia come fosse uno studente Erasmus. In pochi giorni è stato a Londra, Edimburgo, Cagliari, Cinisello Balsamo e, ovviamente la sua Genova.

“Ma è come quando un genitore ha i bambini piccoli: si fa fatica, ma è stupendo”, dice al Foglio il cardinale, preso da appuntamenti e incontri in qualità di presidente del Consiglio delle conferenze dei vescovi d’Europa alla vigilia dell’importante voto di fine maggio. E sebbene lo scenario politico sia poco promettente, si dice fiducioso che, stavolta, l’astensionismo non dominerà.

“Credo che queste elezioni saranno le prime a rivestire un significato più alto”, dice: “Cresce l’attenzione dei popoli verso il soggetto europeo e quindi penso che, nonostante ombre e difficoltà, vere o indotte che siano, la gente si porterà alle elezioni con un’attenzione nuova”.

Cosa teme maggiormente?“Che si continui così. Sono convinto invece che ci sarà una capacità nuova di affrontare la realtà europea. Più realista, umile e intelligente. La noto nel fatto che ci sono parecchi dibattiti sul tema, mi trovo invitato in molti posti, e vedo un’attenzione che in passato non c’era”.

Su quali argomenti?

“L’attenzione maggiore, come è naturale, è su tematiche di ordine strutturale e politico, dove si riconoscono aspetti positivi e difficoltà. Euro, No euro, Brexit… Allo stesso tempo, vedo nei dibattiti diverse spinte a guardare più in alto, all’anima, ad approfondire una visione antropologica e sociale. Parlo dell’anima dei singoli popoli, che pur essendo diversi per storia e per vari aspetti, non sono contrapposti. Basta che vengano riconosciuti e rispettati, e questo è il punto più delicato su cui spero il nuovo Parlamento Europeo abbia più attenzione. Serve un’Europa più leggera, quindi più efficace”.

 

Domandiamo a Bagnasco se abbia ancora senso, oggi, parlare di comunità.

“E’ l’unica parola giusta perché dà idea di una famiglia, che non è solo un’unione. L’unione si può fare in molti modi, anche con interessi o leggi. Mentre la comunità è altro: esprime comunione di anime. L’Europa non può essere solo quella dei mercati. E’ certo legittima, l’interesse del mercato è una dimensione essenziale per una comunità europea, ma non può essere il collante di tanti popoli che hanno deciso di camminare assieme”.

 

Come si spiega la crescita di tante forze disgregative, antieuropee o estremiste che si stanno affermando in tutta Europa?

“Vi è un insieme di motivi”, risponde l’arcivescovo di Genova. “Anzitutto le difficoltà che nascono dal vivere della gente e dei popoli. Sono difficoltà di ordine economico e strutturale, debito pubblico, il lavoro. Tutto ciò crea incertezza verso il futuro, uno smarrimento che poi è facilmente cavalcato da chi ne ha interesse. Così si parla del populismo, che è parola che contiene diversi significati. Il populismo si rifà al popolo, che è il grande soggetto del mondo, ma il popolo in questo caso è usato in chiave demagogica. Si parla del popolo, ma non si fa il suo interesse.

Ma perché ci sono questi movimenti?

„Chi governa non deve solo registrare ciò che succede, ma anche interpretare. I sovranismi non sono fenomeno di oggi, ma sono noti da tempo. Andavano presi in considerazione, non snobbati”.

 

L’Europa oggi fatica a fare i conti con l’identità. Vi è chi la trascina in senso esclusivo, chi invece vuole appiattirne ogni caratteristica. Ha ancora senso usare questa parola? Quale significato può avere, oggi?

“Identità è una parola tradizionale, ricca, importante: se uno di noi non ha identità, come fa a vivere? Le diverse identità di nazioni diventano un ostacolo quando si pensa di poterle omologare. Negare un’identità è il modo migliore per farla emergere, talvolta anche in maniera patologica”


E il personalismo cristiano che ha mosso i padri fondatori, è ancora rintracciabile nel contesto attuale?

“Sì, i tratti si notano nell’animo del popolo che non fa chiasso, non è sulla scena ma vive umilmente la sua vita, la sua famiglia, il lavoro, i doveri, il rapporto coi malati o gli anziani. Questa gente è il segno di un’identità che ancora respira cristianesimo. Come diceva Vaclav Havel nella Cecoslovacchia di allora, dobbiamo guardare sotto la schiuma che porta a galla sempre il peggio dell’oggi. Sotto quella schiuma vi è la realtà più vera: certo anche la schiuma è una verità, ma c’è un popolo semplice che, come affermava Dostoevskij, è ancorato alla terra”.

 

Quale contributo può dare la chiesa alla costruzione del bene comune sullo scenario europeo?

“Il cristianesimo sta all’origine dell’Europa, un’origine che la Costituzione non ha voluto assolutamente riconoscere. Per motivi puramente ideologici, perché è un fatto storico e sarebbe solo un atto d’intelligenza riconoscerlo. Invece c’è stato questo pregiudizio, e attenzione perché non è solo questione di parole, ma di un riconoscimento intelligente di ciò che è la storia e di un indirizzo per il futuro. L’Unione europea così sembra nata da un punto zero, che però non è vero: nasce da una storia. Tuttavia i vescovi, oggi, credono nell’Unione europea consapevoli che, come diceva Novalis, se l’Europa diventerà noncristiana non sarà più se stessa. Questo non per ragioni di bandiera religiosa, ma perché se ogni uomo ha una dignità unica non lo deve al Rinascimento ma all’uomo Dio, che è Cristo. Lo affermava Karl Lowith, che era un ebreo, che aggiungeva: laddove il cristianesimo viene meno, viene meno anche l’uomo”.

 

E i cristiani, invece, quale contributo possono dare?

“Non devono avere paura di essere cristiani, là dove si trovano”, risponde il cardinale Bagnasco: “Devono poi creare delle comunità cristiane dove la dimensione della casa sia visibile. La gente oggi ha bisogno di case, ha molte abitazioni ma non case, ovvero luoghi dove trova speranza e accoglienza. Servono case magari piccole, in mezzo a un deserto, ma che oggi possano apparire luoghi di speranza per tutti”.

 

Emmanuele Michela

IL FOGLIO,  15 maggio 2019

 

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