“ORA VI SPIEGO IO CHI È FASCISTA”: EMILIO GENTILE, EMINENTE STORICO DEL VENTENNIO, dialoga con Matteo Fais
Il dibattito in Italia è grave – sovente anche greve –, ma non certo serio, potremmo dire, parafrasando Flaiano. Eppure, in tutto questo gran strombazzare paranoico di pericolo fascista, nazista, fascioleghista – e chi più ne ha più ne metta – ciò di cui si sente maggiormente la necessità è proprio di un poco di serietà, di tornare con i piedi per terra e schiarirsi finalmente le idee. E chi meglio di Emilio Gentile, eminente studioso del Ventennio – il più grande, a dirla tutta –, può giungere in nostro soccorso?! A seguito della pubblicazione di Chi è fascista (Laterza, 2019), un agile dialogo di stampo socratico-platonico, siamo andati a sentire il noto storico in merito alla questione, straordinariamente ancora cruciale nel nostro tempo, di uno spirito del fascismo che si aggirerebbe per il mondo occidentale. Sarà vero o non sarà vero? Per giungere alla parola definitiva, non potevamo che interrogare l’unico oracolo attendibile, quello che non accetta provocazioni, voli pindarici e strampalate analogie. Per il Professor Gentile contano solo i documenti e i fatti, l’idea che, nei meandri della storia, bisogna sempre muoversi con i piedi di piombo. Ingenuità e frivolezze giornalistiche non saranno tollerate. La sua disciplina non ammette deroghe.
P.S: data la grande occasione, abbiamo deciso di raccogliere alcune delle domande poste dai lettori – preventivamente avvisati dell’intervista – e presentarle all’attenzione del Professore. Le troverete in calce al dialogo.
Comincerei con una domanda propedeutica. Credo che, per quel che concerne la storia, l’uomo comune possa sensatamente nutrire dei dubbi affini a quelli che lo turbano in merito alla scienza: come ci sono scienziati che sostengono posizioni antitetiche, così avviene fra gli storici. Ma, come possiamo distinguere uno storico competente da uno che non lo è?
Dal modo in cui affronta i problemi. Lo storico competente dovrebbe mettere a confronto le sue argomentazioni e interpretazioni con i documenti ufficiali disponibili, editi e inediti, e altrettanto dovrebbe fare per quelle altrui. Se dovesse riscontrare delle inesattezze, o lacune, o parzialità, nella documentazione e nella interpretazione che ne viene data, può, a ragione, ritenere che le interpretazioni fornite dagli altri storici non siano corrette e avanzare le proprie.
Quali sono, in estrema sintesi, le principali differenze tra i movimenti populisti attuali, tacciati di fascismo, e il fascismo vero e proprio?
È molto semplice. I movimenti populisti attuali riconoscono il principio della sovranità popolare, si legittimano con il voto popolare e addirittura invocano il principio della sovranità popolare applicandolo nelle forme estreme della democrazia diretta. Il fascismo, tutti i fascismi, negavano tale principio ed escludevano che il popolo potesse autogovernarsi in qualsiasi forma.
In che senso, come lei precisa nel suo libro, l’uso improprio del termine fascismo nuoce alla democrazia?
Nel testo faccio riferimento, soprattutto, al periodo storico in cui la lotta contro il fascismo fu in larga parte indebolita dal fatto che alcuni antifascisti, soprattutto i comunisti, per principio, per teoria, e poi anche nell’azione pratica, consideravano tutti gli antifascisti non comunisti come dei fascisti o semi fascisti, e come tali li combatterono aspramente, per oltre un decennio, fra il 1922 e il 1935. Il caso più clamoroso è quello di Togliatti, il dirigente comunista, che definiva Carlo Rosselli, fondatore del movimento antifascista rivoluzionario “Giustizia e Libertà”, un ricco possidente fascista con una ideologia del tutto simile a quella fascista. Va precisato che Rosselli fu assassinato dai fascisti nel 1937. Ma è fin dal 1924 che Antonio Gramsci, per esempio, riservava l’epiteto di semi fascisti, complici, o fascisti moderati a personaggi come Giovanni Amendola, capo delle opposizioni antifasciste dell’Aventino, più volte aggredito dagli squadristi e morto in esilio nel 1926, anche in conseguenza delle aggressioni subite. Sempre Gramsci considerava semi fascista Turati, il quale morì in esilio, dopo aver lasciato l’Italia durante il regime. Tale posizione, anticipata dai comunisti italiani, diventò poi quella ufficiale dell’Internazionale comunista dal 1929, con la teoria del socialfascismo. Come sappiamo, tra le altre cose, la lotta e l’odio dei comunisti contro i socialdemocratici favorì l’avvento al potere del nazionalsocialismo.
Questa tendenza a dare del fascista al proprio avversario, insomma, non è recente, ma di vecchia data?
È quasi contemporanea al fascismo.
Mi tolga una curiosità, cortesemente: la Lega è fascista?
Non può essere considerato fascista un movimento che vuole la secessione, nega l’esistenza della Nazione Italiana e sostiene il principio che bisogna pensare ai propri interessi personali e regionali. Il fascismo, almeno dal punto di vista storico, negava tutto questo. Affermava il primato della Nazione, la subordinazione degli interessi personali, privati, regionali allo Stato totalitario e considerava “sacra” l’unità nazionale.
Lei ha fatto il famoso test che, qualche mese fa, è stato un po’ sulla bocca di tutti, il cosiddetto “fascistometro”?
No, per carità, non mi piacciono i test, di nessun genere. Mi spiace deludere il pubblico, ma non ho neppure letto il libro da cui è tratto. Io mi occupo di storia, non dei giochi quali il “fascistometro”, o “scopri chi è il fascista oggi”. È un mio limite e me ne dolgo.
Io credo che ci sia un gigantesco fraintendimento – molte volte fomentato in malafede – in merito alla questione del razzismo. Mi corregga se sbaglio, ma dichiararsi contrari a un’immigrazione indiscriminata – non stiamo qui adesso a discutere su cosa sia indiscriminato, secondo i vari punti di vista –, coincide con l’essere razzisti? Glielo chiedo perché, stando a ciò che ho capito io, essere razzisti vuol dire: a) ritenere che esistano delle razze; b) asserire che una o più di queste sarebbe superiore alle altre; c) che le razze ritenute inferiori andrebbero eliminate, o quantomeno poste sotto il giogo di quella dominante. Insomma, chi è contrario all’attuale immigrazione è razzista?
Lei ha dato un’ottima definizione di che cos’è il razzismo. Tale idea è stata elaborata nelle democrazie occidentali, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna dalla metà dell’800 fino al ’900. Eppure, questi paesi non hanno mai avuto un regime fascista tranne parte della Francia, dal 1940 al 1944, col regime di Vichy. L’opposizione all’immigrazione è accaduta anche in altri paesi democratici, vedi il caso del movimento denominato “No nothing” che, a metà dell’800, in America, si opponeva non soltanto ai neri, ma anche ai cattolici, alle genti provenienti dall’Europa meridionale, agli irlandesi. A esso seguì, dopo la guerra di secessione, il Ku Klux Klan. Dal 1920, gli USA restrinsero fortemente le porte all’immigrazione. Allo stesso modo, in Francia, dopo gli anni Venti e Trenta, ci fu opposizione all’immigrazione degli algerini. In Inghilterra accadde con i sudditi dell’impero. In moltissimi paesi si è applicata una concezione razzista, per esempio con la sterilizzazione volontaria od obbligatoria in Svezia e Svizzera. Negli USA, tale visione si è diffusa – e ciò è bene precisarlo – molto prima del fascismo. In alcuni paesi è continuata fino agli anni ’80, sempre senza che siano mai stati fascisti. Essere contro gli immigrati non significa per forza essere fascisti, né razzisti. Possono essere molte le ragioni. Se poi si giustifica l’avversione contro l’immigrazione con argomentazioni del tipo “abbiamo troppi migranti che diventano forza lavoro schiavista”, questo non è razzismo. Anche quando si dice “non abbiamo posti di lavoro”, oppure “sottraiamo personale specializzato nei paesi d’origine e lo sfruttiamo nel nostro”, non si tratta comunque di razzismo. Razzismo è quando si afferma che esistono razze superiori e la necessità di proteggersi fino ad arrivare all’eliminazione di quelle considerate inferiori. Ma questo non mi pare che sia l’atteggiamento che hanno coloro che oggi si oppongono all’immigrazione. Ciò non significa che, partendo da tali presupposti, non si possa arrivare ad alimentare pregiudizi che portino a vedere coloro i quali hanno una pelle diversa, una religione diversa o una cultura diversa, come pericolosi corruttori di presunte identità comunitarie o come inferiori. A chi lo fa, peraltro, resta da dimostrare che è effettivamente “superiore”, e in che senso: e questo è un po’ più complicato perché ognuno può ritenersi superiore a un altro.
Insomma, esiste un partito che possa dirsi fascista, oggi come oggi, diciamo in Italia?
È esistito, in Italia, dal 1946 al 1994, un partito neofascista che è stato presente in parlamento, arrivando a essere il quarto partito nazionale. Sto parlando del Movimento Sociale Italiano. Oggi è scomparso. I suoi eredi si sono trasformati in destra nazionale, hanno ripudiato il fascismo, con Gianfranco Fini, divenendo AN. Potremmo dire, paradossalmente, che Silvio Berlusconi, malgrado tutte le accuse che gli sono state rivolte di apologia del fascismo e di Mussolini per le sue uscite sugli antifascisti in villeggiatura al confino, sia riuscito a disgregare e far scomparire il più forte partito neofascista che abbia mai avuto l’Europa e l’Italia. Comunque sia, gruppi che si sono esplicitamente richiamati ad aspetti del fascismo inteso come regime, movimento, o per i suoi rituali e la simbologia, ce ne sono stati in Italia fin dalla fine del Ventennio. Il neofascismo, poi, è un fenomeno europeo, non solo italiano. Non per questo si può dire, a ogni modo, che ci sia un partito o un movimento che si proponga di ricostituire il partito fascista o il regime fascista. Se ci fosse, dovrebbe essere immediatamente perseguito secondo la Costituzione e la legge Scelba del 1952. Essa descrive con precisione chi può essere considerato fascista e per questi è, infatti, prevista una severa sanzione. Alcuni movimenti, che si richiamavano al fascismo nei passati decenni, sono stati sciolti, proprio per tal motivo. Ce ne sono ancora oggi ma, se non si applica la legge, è forse perché non si ritiene che rientrino nella categoria fascista prevista dalla legge Scelba o perché li si ritiene insignificanti con il loro 0,0 e qualcosa.
Professore, che il fascismo abbia fatto anche cose buone, come sostiene qualcuno, è vero o no?
Cervantes diceva che non c’è un libro così brutto da non contenere almeno una pagina buona. Forse non c’è un regime così orribile da non aver fatto almeno qualcosa di buono. Il nazismo fece le autostrade. Stalin la grande metropolitana di Mosca. Mussolini edificò le città nuove. Dicendo questo, però, non si vuole conferire alcuna giustificazione o legittimazione a sistemi politici che distruggono la possibilità per ogni singolo cittadino, indipendentemente dalla sua condizione sociale, etnica, religiosa e politica, di trovarsi nelle condizioni per sviluppare la propria libertà e personalità.
Tra un paio di giorni, in provincia di Padova se non erro, in un ristorante per la precisione, si terrà una conferenza, organizzata da una casa editrice notoriamente di destra e il partito Fratelli D’Italia, vertente sul tema della dottrina fascista. Professore, un convegno del genere dovrebbe essere proibito, secondo lei, stando alle attuali disposizioni di legge?
Secondo me, nessuno può impedire una conferenza in cui si discute su un qualsiasi argomento, a meno che un determinato raduno non dia luogo ad azioni che mettono in pericolo la democrazia e la libertà. Altrimenti, stabiliremmo il principio che ci sono alcuni temi che possono essere trattati e altri no. Per intenderci, quarant’anni fa, un mio libro sull’ideologia fascista fu additato come un testo che mirava alla riabilitazione del fascismo. Se il principio di cui qui diciamo fosse stato applicato, mi avrebbero probabilmente impedito di pubblicarlo. Naturalmente poi, ribadisco, la libertà d’opinione esiste, ma a questa bisogna far corrispondere anche la coerenza di comportamenti non contrari alla stessa e alla legittima contrapposizione politica. È più che legale, in un sistema democratico, quindi, che possa esserci chi fa un convegno sulla dottrina fascista e chi su quella antifascista.
Domande dei lettori:
Chiedono di cedere e hanno ceduto sovranità. Dicono che siano gli interessi dei mercati a dover decidere e non il popolo (o i governi). Esaltano la capacità e il potere decisionale dei burocrati non eletti, a sfavore di quella popolare. Vogliono un nuovo voto, quando la volontà popolare non rispecchia quelli che erano i propri desideri. Non trova che, se qualcuno assomiglia ai fascisti, questi siano gli europeisti?
Bisognerebbe che questo lettore mi spiegasse che cosa intende per fascismo…
Suppongo lo intenda in senso lato…
Se uno mi chiede, in qualità di ittiologo, quali siano le somiglianze tra il pescecane e l’orca marina, io devo dire che non ve ne sono. L’uno è un pesce, l’altro un mammifero. Se chi domanda, poi, dovesse far presente che entrambi stanno in mare, hanno i denti e sono aggressivi, io continuerò comunque a sostenere, da specialista, che uno è un pesce e l’altro un mammifero. Mi spiace, ma la mia posizione è questa, altrimenti non farei lo storico.
Quanto pesa oggi, nello studio del fenomeno storico denominato “fascismo”, il pregiudizio politico di chi si dichiara antifascista?
Può pesare in chi, antifascista o meno che sia, non studia il fascismo da storico. La storiografia è da intendersi, semplicemente, come conoscenza del passato attraverso i documenti. Non esiste una storiografia fascista e una antifascista, se il modo in cui si affronta il passato è razionale e critico, basato sui documenti. Così come non esiste una astronomia fascista o antifascista.
A differenza di qualunque altro movimento sedicente fascista, Casapound ha sempre dichiarato di essere ispirato allo spirito del primissimo fascismo, ma di essere ben consapevole della distanza storica che divide il movimento dal fenomeno in questione. Per questa ragione ha preso le distanze da denominazioni nette quali “neofascista” o “fascista”, chiarendo che scegliere “fascista del terzo millennio” sarebbe bastato a difendersi dall’accusa di usare il termine in modo inappropriato a distanza di quasi un secolo, senza però disconoscere l’ispirazione di base. Lei crede ci siano sostanziali differenze tra le tre definizioni proposte (neofascista, fascista o fascista del terzo millennio)?
Tutto dipende da cosa si intende per neofascismo e per le altre due denominazioni. Il primo fascismo era un fascismo, come ho detto, riformista, democratico, che voleva il suffragio universale per uomini e donne a 18 anni e l’eleggibilità a 25, oltre a difendere il principio della massima libertà di espressione per ognuno. Per capirci, Mussolini sosteneva che, se qualcuno avesse tolto tale libertà anche al loro peggior avversario, cioè i socialisti bolscevichi, i fascisti si sarebbero battuti per difendere la loro libertà. Non so se sia questo il fascismo a cui si riferisce il vostro lettore.
Mettiamola così, Professore: lei, per quelle che sono le sue conoscenze in merito, come inquadra il fenomeno Casapound?
Non ho molte conoscenze in merito a Casapound. Se si richiamano all’esperienza del fascismo inteso come riferimento alla “civiltà fascista” o alla nazione intesa secondo l’ideologia fascista, allora sono neofascisti. Per il resto, il neofascismo mi pare un fenomeno così variegato al suo interno da risultare di difficile comprensione. Bisognerebbe capire a quale tipo di fascismo facciano riferimento quelli di Casapound perché, in ultimo, se sono contrari a ogni forma di violenza e militarizzazione della politica, gli basterebbe definirsi “democratici”. Per dirla tutta, dal 1946 è esistito un movimento neofascista che aveva al suo interno una destra, una sinistra, un centro. Vi era chi si richiamava al regime, chi alla Repubblica di Salò, chi al corporativismo di Giuseppe Bottai o di Ugo Spirito, oppure allo Stato etico di Giovanni Gentile, chi al tradizionalismo cattolico e chi al tradizionalismo pagano di Julius Evola. Mi dica lei chi era il vero fascista fra tutti questi? (Ride)
A livello di indagine storica, c’è ancora qualcosa da scoprire sul fascismo o possiamo dire di aver chiarito tutto in merito?
Sui problemi storici non c’è mai qualcosa di definitivo. Si fanno ancora nuove ricerche e si scrivono nuovi libri sull’Egitto dei faraoni, sulla Grecia e su Roma. C’è piuttosto un punto da tenere presente, ovvero che il lavoro della storiografia, almeno per come lo concepisco io, non è la scoperta della verità, ma consiste nella rimozione degli errori storiografici. Faccio un esempio: il fascismo del 1919 è stato visto solitamente come un movimento dal carattere rivoluzionario e anticapitalista. Lavorando su questo tema in maniera più approfondita, rivedendo i documenti, sono arrivato alla conclusione – e cercherò di dimostrarlo in un prossimo libro – che non era né rivoluzionario né anticapitalista. Facendo questo ho rimosso un’errata interpretazione, ma con ciò non pretendo di aver scoperto la verità. Semplicemente invito a leggere i documenti secondo un’ottica meno vincolata a quella fin qui diffusa, vedendo se corrisponde maggiormente alla realtà del passato. La conoscenza storica è sempre un’approssimazione. Nuovi documenti, nuove domande, anche nuovi modi di intendere i problemi storici possono dare luogo a inedite interpretazioni. Ciò, a ogni modo, non necessariamente sconvolge la visione generale, il fatto per esempio che il fascismo fu un regime totalitario. Nessuna prova storica, nessuna documentazione più o meno nuova, potrà portare a dire che si sia trattato di un regime liberale e democratico.
Ciò che spaventa attrae. Quali aspetti del fascismo hanno il più grande potere di attrazione presso le masse?
Non mi sembra che ci siano grandi masse attirate dal fascismo. Coloro i quali vi si richiamano, molto spesso affascinati da aspetti romantici e mitologici che non corrispondono alla realtà fascista, come per esempio il fascismo del ’19 rivoluzionario e anticapitalista, sono piccoli gruppi che non hanno alcuna influenza. Credo che a volte si tenda a ingigantire un fenomeno, in realtà, piuttosto marginale – forse perché fa molto rumore.
Ritiene che nuove forme di totalitarismo possano insediarsi anche nelle attuali democrazie occidentali?
Tutto dipende da cosa si intende per totalitarismo. Se parliamo di regimi a partito unico, che impongono la propria ideologia come una religione politica, penso che non sia possibile immaginare qualcosa del genere. Ormai le forme di comunicazione dimostrano che persino in paesi come la Cina comunista, o la Corea del Nord, bene o male si riesce ad avere una forma di penetrazione di altre forme di cultura, di interesse e anche di altre forme di rivolta, per quanto poi vengano soffocate. Dubito comunque che qualcosa di simile al fascismo possa accadere nelle democrazie avanzate, perché viviamo in un’epoca che ormai riconosce, quasi fosse un dogma, che la sovranità appartiene al popolo, in cui i governi devono essere espressione di questa, venendo periodicamente confermati da una libera competizione politica. Vedere all’orizzonte dei partiti unici mi sembra un po’ difficile quando la nozione stessa di partito come organizzazione di massa è in una crisi che pare irreversibile. Anche lì dove si parla di democrazie illiberali, il partito al governo, che proclama il principio della sovranità popolare, ma non il riconoscimento dell’uguaglianza di tutte le componenti di una collettività, si sottopone regolarmente alla competizione con altri partiti, nelle elezioni politiche, e non le abolisce come è accaduto nei regimi totalitari. Però il futuro è imprevedibile e la storia talvolta riesce a generare situazioni peggiori di quelle del passato. Basti pensare che la Prima Guerra Mondiale fece 10 milioni di morti e, vent’anni dopo, con la Seconda, il numero salì a 50 milioni. E altrettanti forse nelle guerre degli ultimi settanta anni.
È possibile instaurare un parallelismo tra la censura fascista e il fenomeno del politicamente corretto imperante?
No, non sussiste alcun tipo di paragone. Il fenomeno del politicamente corretto fa parte di un costume che si può accettare o rifiutare, fino a quando non viene imposto attraverso un regime che elimina completamente la libertà di espressione. Questo è stato il fascismo, ma ciò non accade neppure nei paesi in cui il politicamente corretto si è fatto più intransigente.
Perché, nel 2019, basta mettere una foto del Duce su qualsiasi libro, calendario, rivista, quotidiano per vedere le vendite incrementare?
Sinceramente non so di quanto si incrementino le vendite di un libro mettendoci una foto di Mussolini in copertina. Non ho dati per poter suffragare la certezza del vostro lettore. Io scrivo libri in cui compare il nome di Mussolini, o la sua immagine, e non mi pare che per questo vadano meglio di tanti altri (ride).
Matteo Fais
Pangea, Posted On Aprile 11, 2019, 9:17 Am