Fra Garibaldi il sardo universale e Goffredo Mameli martire della Repubblica Romana. Appunti per una storia della loggia sassarese intitolata al poeta della fraternità italiana, di Gianfranco Murtas

 

L’ultimo numero di Erasmo notizie, il mensile informativo delle attività del Grande Oriente d’Italia, riporta qualche trafiletto relativo alle logge giustinianee della Sardegna di un certo interesse per chi ami il genere: l’assemblea plenaria delle maestranze incardinate nelle tre logge denominate Hur – nome di derivazione biblica, indicandosi in essa la patria di Abramo padre comune di ebrei, cristiani e musulmani –, Hiram – altro nome di sentimento veterotestamentario, riferendosi al mitico architetto del tempio di Salomone – e Sardegna (la nostra Sardegna convissuta fra storia e geografia, cultura e mito, che ha ispirato giusto quarant’anni fa l’innalzamento delle ideali Colonne liberomuratorie in quel di Cagliari). Un primo passo, chissà, per un’intesa “federativa” delle tre officine simboliche del capoluogo puntata sui valori di riscoperta dei tre titoli distintivi, singolarmente convergenti.

Un altro breve articolo riguarda la preparazione di un evento che nella sua ispirazione non si discosterà dal precedente: trattandosi infatti dell’incontro delle logge che portano, in Italia e fuori, il titolo distintivo di Giuseppe Garibaldi o di Caprera. Il meeting è programmato a brevissimo (dal 16 al 19 maggio) in Olbia e ne saranno anfitrione le compagini (appunto intitolate a Giuseppe Garibaldi) di Nuoro e di La Maddalena, nonché quella di Tempio Pausania (dantesi titolo di Caprera).

Va detto che circuiti nominali si sono da tempo realizzati con i più vari riferimenti anche ideali, dal Mozart all’Europa, dal Mazzini al Risorgimento, ecc. E circa le logge Giuseppe Garibaldi varrebbe appena ricordare che fin dagli anni ’60 dell’Ottocento – essendo il Generale ancora in vita e in salute – in Sardegna il suo mito venne assunto dalla Massoneria ozierese, che allestì un ensemble (destinato a molte vite fino all’inizio del Novecento) intitolato Leone di Caprera (quel “Leone” che proprio di Ozieri e in quegli anni era stato eletto e rieletto deputato al Parlamento italiano): una insegna che nel 1911 fu poi fatta propria da un cosiddetto Triangolo e poi da una loggia nella sua pienezza rituale postasi all’obbedienza della Comunione scissionista di via Ulpiano (quindi Piazza del Gesù). Essa – la ferana Leone di Caprera maddalenina – fu allora la gemmazione ostile della dinamicissima ed affollata corporazione che i giustinianei avevano approntato nel 1893, con un organico per la gran parte costituito da uomini di mare civili e militari, e intitolata anch’essa, ovviamente, al Generale.

L’ospedale intitolato a un massone, a La Maddalena

Il nome di Giuseppe Garibaldi ritornò a La Maddalena ancora nel 1946 (prima dello… scippo politico social-comunista), con un allestimento materializzatosi attorno all’industriale Giacomo Mordini, carismatico imprenditore di anima liberale e generosa filantropia. Nel 1970, proprio a La Maddalena – e seguendo il doppio esempio cagliaritano (del Binaghi e del Businco) –, ad un massone di antiche simpatie garibaldine fu intitolato anche l’ospedale tuttora in funzione, il Paolo Merlo.

Merlo era stato, negli anni ’90 dell’Ottocento, il medico provinciale di Sassari; morì ancora giovane, nel 1896, lasciando il migliore ricordo di sé sotto tutti i punti di vista. Proprio grazie alla sua iniziativa ed abilità organizzativa, tre anni prima, nel 1893, aveva innalzato le proprie Colonne, nel capoluogo della provincia (Valle del Bunnari e del Turritano), la loggia Gio.Maria Angioy. E andrebbe così ricordato – spostando adesso il focus da Garibaldi alla composita onomastica dei Templi fra Logudoro e Gallura, riviera e montagna del Sassarese – che quella intitolata all’Alternos e quella maddalenina intitolata al Generale, esordienti nello stesso anno e destinate a capitolazione soltanto nel 1925 per la violenta prepotenza fascista, costituirono allora, insieme con la Vincenzo Sulis algherese e la Andrea Leoni tempiese, l’asse latomistico che attraversò l’intero spazio del primissimo Novecento, la tempesta della grande guerra – quando anche quelle compagini patirono gli stessi lutti sofferti dalle consorelle del Cagliaritano –, le inquietudini della smobilitazione nel “biennio rosso” 1919-20, quelle ancora maggiori dettate dalle volgarissime sfide delle squadre dark e poi dall’affermazione del regime di dittatura.

La Vincenzo Sulis recuperava una tradizione che, subito dopo la presa di Roma, aveva visto associate ad Alghero non soltanto due logge entrate nell’infuocata polemica del vescovo Giovanni Maria Filia – la Antro di Nettuno e la Giuseppe Dolfi – ma anche la Fratellanza Artigiana (di mutuo soccorso); l’Andrea Leoni, da parte sua, oltre che celebrare un giovane bersagliere tempiese caduto nella storica breccia, idealmente si rifaceva alla Spartaco, la formazione ripetutamente omaggiata dal famoso e dotto (e potente) sen. Giuseppe Musio, intimo di Asproni parlamentare d’opposizione. Erano i tempi, quelli della Spartaco e del Musio (e magari del Villamarina), in cui la guida della diocesi era stata affidata ad un certo nobilissimo can. Tommaso Muzzetto il quale aveva avuto l’evangelico coraggio di invitare Pio IX alla volontaria rinuncia del regno pontificio… Adesso si preparava, l’Andrea Leoni, a convocare, insieme con la locale sezione della Giordano Bruno, il primo congresso regionale del Libero Pensiero (sarebbe avvenuto nel 1908, presente Sebastiano Satta, secondo alcuni anche Francesco Ciusa).

Anche la loggia sassarese avrebbe avuto un suo ampio campo di iniziativa, fra l’ideologico ed il sociale, in quell’inizio di secolo, non senza patire – bisogna dire anche questo – lacerazioni e rappacificazioni. Perché, cionfra o non cionfra – quella cionfra su cui si è sempre fatta molta gustosa letteratura e che tende a confinarne i portatori nel limbo quasi giocoso del disincanto antiretorico –, i sassaresi sanno coltivare in profondità, quando viene il momento, i loro umori e soprattutto malumori, e così non fu caso raro che anche nella lunga e complessa stagione fra post-risorgimento e giolittismo, grande guerra e vigilia della dittatura, essi abbiano fiorettato e anche sciabolato fra di loro perfino all’interno di assemblee filtrate da rigorismi e aplomb. Tanto più magari, o da quando la grande area democratica erede della sinistra risorgimentale, aveva conosciuto le sue prime fratture, dividendosi fra transigenti e intransigenti, i radicali propensi al ministerialismo e alla corona dai repubblicani di più fedele e continuativa ortodossia mazziniana… Vennero così nel 1903, come prima gemmazione della Gio.Maria Angioy, la loggia Roma, e nel 1911, la loggia Efisio Tola (altro nome simbolo della Sassari democratica)…

Dopo la guerra 1915-18 fiorirono le formazioni scozzesi obbedienti alla Comunione di Piazza del Gesù (che a La Maddalena, come ho già riferito, avevano intanto enucleato una Leone di Caprera dal più anziano ensemble giustinianeo): sbocciarono l’Aurora, la Humanitas, la Caprera (scivolata, quest’ultima, in sgrammaticate simpatie fasciste), fiorirono anche Capitoli ed Areopaghi, accolte rituali invero forse anch’esse più sensibili, nella maggioranza degli appartenenti, alla mobile scena politica del tempo ingrato che non alle figurazioni esoteriche rimbalzate dalla tradizione misteriosofica o alchemica…

Sarebbe stato nel secondo dopoguerra, nell’aprile 1945 precisamente, il ritorno definitivo e stabile dei giustinianei sassaresi: allora essi riattivarono le proprie dinamiche fraternali e rilanciarono il nome glorioso dell’Alternos. In occasione del censimento svoltosi nel 1947, alla Gio.Maria Angioy venne assegnato il numero d’ordine 355 (la conta era partita da Torino e, scivolando lungo lo stivale e risalendo per la Sicilia e Cagliari, era arrivata finalmente a Sassari, appunto 355.a tappa e capolinea della rete nazionale. E 355 è il numero che distingue ancora oggi l’ensemble sassarese, benché più volte, nel corso soprattutto degli anni ’50, essa abbia dovuto procedere a radicali riassestamenti passando, secondo… habitus invalso! per abbattimenti e reinnalzamenti delle Colonne. Sempre nella conferma, però, delle antiche fedeltà).

Quasi immediatamente, dai sassaresi venne allora lo spunto per rilanciare, come per un’abbinata necessaria, anche la Giuseppe Garibaldi maddalenina: appunto come si volessero ripristinare i contenuti fraternali dell’antico privilegiato asse logudoro-gallurese.

Nel 170° compleanno della Repubblica Romana

Torno al numero di febbraio di Erasmo notizie. Il servizio di cronaca forse maggiormente interessante, anche perché più esteso e dettagliato circa l’argomentazione dei suoi contenuti, è forse quello che riguarda i centosettant’anni della Repubblica Romana, cui non furono estranei, in un modo o nell’altro, i sardi. Ne ho scritto in altre circostanze, ricordando in particolare il quartese Giovanni Battista Capra o magari il maddalenino Giovanni Battista Culiolo o il morese Salvatore Calvia e i prossimi naturalizzati, dico sardizzati, Enrico Serpieri – celebrato (accanto ai figli) anche nel più bel monumento del camposanto di Bonaria a Cagliari – e Bonaventura Ciotti, pure egli uomo di miniera accreditato nei circoli internazionali del suo tempo.

La celebrazione della ricorrenza molte volte giubilare della Repubblica la cui costituzione, che aveva riconosciuto il suffragio universale ed abolito la pena capitale e quella di confisca – era il 1849 e nello Stato Pontificio la mannaia del boia era pratica ordinaria da secoli (e tale avrebbe ripreso presto ad essere, con il ritorno sul trono del papa Pio IX adesso fatto beato!!) –, ha riportato alla memoria e anche al rinnovato sentimento, ovviamente, il nome del nostro Goffredo Mameli, caduto in un’azione di difesa repubblicana, colpito dal fuoco francese. Aveva 22 anni, era figlio di Giorgio Mameli, ufficiale regio di nascita e origini cagliaritane. L’anno prima aveva licenziato il testo dell’“Inno degli italiani”, noto come “Fratelli d’Italia” (insegna fatta propria oggi – che vergogna per i senza-vergogna! – dagli eredi del Movimento Sociale Italiano erede a sua volta dei repubblichini di Salò alleati del Fuhrer e di quanta dittatura fascio-monarchica aveva soppresso, lungo due interi decenni, ogni libertà e la stessa Libera Muratoria, portando la patria alla distruzione della guerra).

Della leggenda mameliana in Sardegna e del “caso Lullin”

Una curiosità. Il piedilista della prima loggia sarda dell’Ottocento – la già richiamata Vittoria all’Or. di Cagliari – comprendeva una personalità ricollegabile, a leggere le biografie del poeta, al mondo mameliano: era Giuseppe Lullin, ingegnere e uomo d’affari pressoché quarantenne, cagliaritano, in gioventù compagno di studi di Goffredo, a Genova. Un compagno-coetaneo, direi, certo amico ma anche concorrente o avversario in amore, nell’amore adolescenziale, e per questo andato in contrasto con lui. Piccole cose, ma simpatiche anche soltanto a richiamarle. Chissà, poi l’episodio della loro disfida non andrebbe neppure classificato come contenzioso amoroso in senso stretto. Gli è che entrambi – al tempo iscritti al primo anno del corso di Filosofia all’università della Lanterna – si erano scazzottati per una infelice battuta pronunciata da Goffredo su una ragazza, Manuela, che Lullin aveva vantato essere la propria fidanzata. «Fidanzata di Lullin e di quanti altri?» sarebbe stata la spiritosaggine di Goffredo, mosso dalla voglia di ridimensionare l’apparente boria del collega. Ne era venuta la reazione violenta di quest’ultimo, e Goffredo era rimasto a terra.

L’indomani però, adocchiato l’avversario in strada, gli aveva restituito pan per focaccia. Colpi molti e forti, troppi forse per venire da un poeta, pochi a pensarli dispensati da un soldato guerriero (quello del Gianicolo). Un drappello delle Guardie nazionali aveva assistito alla scena e separato i due. Ne era seguito un rapido interrogatorio e una segnalazione al censore dell’università: «Lullin Giuseppe. Nato a Cagliari il tre luglio milleottocentoventiquattro. Sono studente del primo corso di filosofia». «Mameli Goffredo. Nato a Genova il cinque settembre milleottocentoventisette. Sono anch’io studente del primo corso di filosofia… E’ stata una lite da ragazzi. Lullin mi aveva dato uno schiaffo, e poi è scappato. Io ho voluto vendicarmi. La colpa è mia, perché l’avevo offeso. Mi dispiace».

Giorgio Mameli, colonnello dell’esercito regio, aveva giudicato l’episodio più con la severità dello sguardo che non con il fuoco delle parole. E subito s’era però attivato per evitare che quella «stupida faccenda» facesse perdere l’anno al figlio e al collega del figlio. Aveva scritto al ministro dell’istruzione, a Torino, e ottenuto che la sospensione comminata ai ragazzi, ridotta a due soli mesi, fosse scontata durante le vacanze estive. Era il 1843.

I Lullin venivano, come famiglia, dalla Savoia, da Chambery, proprio dalla città che nel 1833 – giusto dieci anni prima della scazzottata mameliana – aveva visto il sacrificio di Efisio Tola, imputato di adesione alla mazziniana Giovine Italia. Fatti gli studi, Giuseppe se ne era tornato a Cagliari. Fattosi impresario dalle mille relazioni era stato eletto, nel 1867, forse prima, nel consiglio della Camera di Commercio, fondata di recente da quell’Enrico Serpieri che con Mameli ora 22enne aveva condiviso le ansie politiche e le fatiche militari in difesa della gloriosa Repubblica.

In quegli anni ’60 e primi ‘70, a Cagliari, il consiglio camerale includeva diversi massoni o prossimi tali: oltre a Serpieri ecco infatti Gaetano Rossi Doria, Stefano Rocca e Luigi Dedoni Orrù. ed altri ancora se ne sarebbero aggiunti presto, da Giorgio Asproni j. a Francesco Napoleone e Luigi Cheirasco, da Emanuele Schivo a Luigi Frau Serra, ecc. per non dire del segretario generale, stabile permanente, Giuseppe Palomba. Fra tanti massoni – i primi incardinati tutti nella Vittoria – non fu dunque cosa strana che anche Lullin fosse in partita. Egli fu anche consigliere comunale, e compì anche l’esperienza amministrativa civica insieme con diversi altri liberi muratori entrati poi nel mirino dell’autore dei famosi Goccius

In quella temperie insieme patriottica e modernista, democratica e scientista, di cui la stessa loggia costituiva spesse volte il luogo di elaborazione, una parte, ancorché modesta o marginale, l’ebbe naturalmente anche lui, Lullin, e fu come relatore oltreché come sottoscrittore, insieme con altri Fratelli (da Serpieri stesso a Rocca, da Thermes a Scano ad altri ancora, soprattutto a Emanuele Ravot, magistrato e futuro sindaco della città) della proposta d’istituzione di un “gabinetto anatomico Marini” – del Fratello Marini, potrebbe dirsi –, da sostenere con i bilanci di Comune e Provincia.

Certo fu altro l’approccio dei sassaresi con Mameli o con il suo mito. Anche se, andrebbe subito precisato, qui può tentarsi nulla più di un viaggio per ipotesi od attendibilità.

Da Mameli ad Angioy, la storia nei ripassi sassaresi

Cosa possa aver legato, nel concreto, la memoria mameliana alla democrazia locale e, più in generale, al sentimento dei sassaresi è difficile da immaginare anche se taluni elementi – dalla maggior correntezza delle relazioni di Sassari con Genova alla cittadinanza onoraria offerta dal capoluogo al Generale che era stato il capo delle forze di difesa della Repubblica del ’49, e alla stessa residenza in provincia del Generale (residenza familiare e rappresentanza politica in quel d’Ozieri: ecco Garibaldi che ritorna!) – potrebbero spiegare. Chissà. Mameli come orgoglio sardo e simbolo riconosciuto della corrispondenza isolana alla democrazia risorgimentale. Giusto in quel 1867 che era l’anno di Mentana, con quel che Mentana significava riguardo a Roma capitale sognata, seppure – per causa d’eventi – non più repubblicana ma predicata Savoia.

Se le due logge coeve sorte ad Oristano ed a Nuoro facevano richiamo al sentimento nazionalitario svegliato ed alimentato dalle pergamene d’Arborea ed onoravano Mariano IV e sua figlia Eleonora, trovando il giusto terzo a Cagliari nella compagine dettasi Gialeto, Sassari optava per la storia sofferta e celebrava l’autore dell’“Inno degli italiani” immolatosi per la causa repubblicana, confermando la linea ancora mezzo secolo dopo, ed indicando nell’Alternos il suo santo civile.

Enrico Costa ignorava la cosa, non gli era giunta esatta la notizia relativa a quella loggia, peraltro da collocare precisamente nel 1867 e non, come scrisse, nel 1860.

La cosa forse bisognerebbe dirla così… prendendola proprio dalla fine. Perché furono senz’altro le benemerenze civiche della sopra citata Gio.Maria Angioy e il buon ricordo che ne era rimasto quando l’autore concluse la sua fatica (fu nel 1909, anche se la maggior parte del lavoro venne pubblicata postuma, nel 1937, da Gallizzi) a testimoniare la sua capacità di resistere, per quanto possibile, ad ogni difficoltà interna oltre che esterna, così come lo sarebbe stato in futuro, anche alla crescente pressione del fascismo. Fu questo ad indurre tutti quanti a ritenere che l’“intera” Massoneria della Valle del Bunnari e del Turritano si identificasse in quella formazione di tanta storia: la loggia di Antonio Zanfarino (il nonno del presidente Cossiga) e Pompeo Calvia, di Paolo Camboni e Giovanni Boeddu, ecc. (poi anche di Michelino Conti ed  Annibale Rovasio, e di quegli altri trenta, cinquanta e più del loro stesso valore civile e professionale).

Nell’equivoco era caduto, appunto, l’antico e diligente archivista comunale di Sassari, che era poi anche padre di un massone attivo, attivissimo anzi, nella cagliaritana loggia Sigismondo Arquer (il professor Guido Costa, docente di inglese e notissimo fotografo d’arte): in uno dei libri del suo monumentale Sassari aveva collocato la fondazione della Gio.Maria (o Giommaria, come voglia scriversi) Angioy prima ancora dell’unità nazionale, sostenendo anche che essa «morì e rinacque parecchie volte, sempre per opera dei continentali». Aggiunse allora il Costa: «i sassaresi in generale ebbero per essa [la loggia] una qualche ripugnanza, non già per la istituzione in se stessa, ma perché per indole sdegnavano e sdegnano di vincolarsi a società disciplinate da una legge segreta e misteriosa».

Dunque non si trattò del 1860 né si trattò della Gio.Maria Angioy, ed anche il riferimento ai “continentali” andrebbe preso con qualche cautela, pur se pare indubitabile la presenza qualificata, fin dagli inizi, di qualche continentale; sul punto anche il professor Manlio Brigaglia tenne a precisare, nel suo ottimo Classe dirigente a Sassari, da Giolitti a Mussolini (Cagliari, edizioni della Torre, 1979), che «il predominio dei continentali nella prima fase della vita della Loggia [era] legato al semplice fatto della “importazione” della nuova società; in una seconda fase, invece, esso può essere stato il frutto di una deliberata scelta dei sassaresi, che probabilmente, pur senza “sdegnare la segretezza”, per dirla col Costa… preferivano tenersi in secondo piano lasciando ad altri il compito di figurare come dirigenti dell’associazione , ma sfruttandone ugualmente i vantaggi».

Neppure questa chiave di lettura sembrerebbe a me, per la verità, pienamente rispondente alla realtà cittadina, né a quella della belle époque, del passaggio di secolo cioè, né a quella antecedente e tanto meno a quella seguente: ciò nonostante, diversi spunti di pur vaga memoria del Costa, ripuliti dalle sovrapposizioni forse inevitabili, meriterebbero accoglienza. (Una qualche attenzione la meriterebbe comunque il riferimento alla radice continentale non tanto però dei massoni, quanto in generale delle famiglie più in vista per attività professionali o d’azienda. Il professor Brigaglia, riferendosi alle conte dell’Angius e di altri ne enumerò una cinquantina, con provenienza soprattutto dalla Liguria e dal Piemonte… Nel fenomeno complessivo ben poteva entrare quello particolare della loggia apripista!).

L’apripista sassarese fu dunque una formazione di ritualità e giurisdizione fraternale scozzese cui venne allora assegnato, per scelta dei fondatori, il titolo distintivo di Goffredo Mameli.

Di data certa ne è la fondazione, il 30 novembre 1867, e, sempre nello stesso torno di anni, al 15 dicembre 1871 è da ascrivere l’esordio del Sovrano Capitolo Rosa+Croce (destinato ad essere successivamente intitolato al Fratello Gavino Soro-Pirino).

Come due polmoni d’uno stesso organismo

Andrebbe intanto spiegato, in breve, il contesto in cui ciò avvenne, così diverso, anche e soprattutto sul piano corporativo, dal quadro statutario ed organizzativo attuale.

Nell’Ottocento e in tutto il primo quarto del secolo XX le logge all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia erano incardinate in uno dei due riti che reciprocamente si riconoscevano come corpi costitutivi della Comunione nazionale: quello prevalente per dimensioni – lo Scozzese Antico e Accettato, o di perfezione, a schema gerarchico fino al 33° grado – e quello cosiddetto Simbolico, orizzontale, che in sostanza si identificava nei tre gradi iniziali della Massoneria azzurra (Apprendista, Compagno d’arte, Maestro). Quel che distingueva (e distingue) l’un rito dall’altro, a parte alcuni aspetti della ritualità agita nel Tempio, era soprattutto il governo obbedienziale che, nel concreto, doveva combinarsi con quello “terzo” del Gran Maestro e del Consiglio dell’Ordine – il nostro Asproni fu consigliere dell’Ordine! –, con giurisdizione sull’intera Comunione, quota scozzese e quota simbolica. Va da sé che negli organi generali i due riti confluenti funzionavano sì come polmoni d’uno stesso organismo, ma anche come vere e proprie correnti, o lobbies, indirizzando o guidando orientamenti e puntando ad obiettivi sostanziali d’interesse.

Detto in altre parole e guardando alla storia: il Grande Oriente d’Italia nacque a Torino nel 1859 da una iniziativa dei simbolici, connessi alla pratica rituale francese (data la prossimità territoriale e le influenze francofone) dei tre gradi, e con una sensibilità politica liberal-conservatrice e monarchica; già dal ’60 ed a Torino stesso (e poi altrove) si costituirono comunque anche logge di ritualità scozzese caratterizzate da maggiori propensioni democratiche e tendenzialmente (o dichiaratamente) repubblicane, radicali e federaliste, nonché da più marcate aperture alla questione sociale (da cui la promozione del mutualismo, delle società operaie ecc.). Lo sguardo volto da un lato al partito dei cavouriani, dall’altro al partito d’Azione mazziniano e alle sue evoluzioni, lungi però dal determinare… un improprio strabismo, configurava invece una sorta di circolarità, di comprensività ecumenica sul piano civile e politico, tale da legittimare un protagonismo vero e proprio nelle vicende nazionali le quali, dopo l’unità territoriale, imposero grandi sforzi per nuovi ordinamenti amministrativi, giudiziari, scolastici, ecc. Sotto una comune legislazione e in parallelo al suo pur problematico o contraddittorio rinforzo interno (in taluni momenti perfino autoritario), l’Italia consolidava una propria soggettività internazionale, convergendo con quant’altro sul continente europeo andava costituendo l’articolata realtà socio-politica affacciatasi poi nel secolo del modernismo tecnologico e industriale.

Fu detta, la Massoneria, “il partito della borghesia” – così anche Gramsci – o “il partito della nazione”. Entrò, quel partito sui generis, con le sue sensibilità moderate e con quelle avanzate, nella letteratura, coinvolgendo Carducci e Pascoli, d’Annunzio e Quasimodo, Collodi e De Amicis…, entrò nell’arte figurativa e plastica, entrò nel teatro e nella musica, nel melodramma, entrò indirettamente nel costume… Entrò nelle minoranze religiose, soprattutto battiste, entrò nell’imprenditoria e ancor più nella docenza liceale e universitaria, entrò alla grande nella ufficialità delle forze armate, di esercito e marina, nerbo della difesa (allora chiamata, nella declinazione ministeriale… guerra!) espressione della continuità nazionale.

Talvolta, bisognerebbe ricordarlo, gli stessi sodalizi nati con un’impronta conobbero mutazioni profonde e rovesciamenti ripetuti d’indirizzo, come capitò fra gli anni ’50 e gli anni ’60 all’affollata Società di mutuo soccorso… Quanti furono i circoli, le associazioni, i sodalizi in generale in cui gli stessi sassaresi, negli anni un po’ prima dell’unità e un po’ dopo, collocarono o sfogarono la loro volontà di partecipazione! il Nazionale, la Gioventù Sarda, e prima i Buoni Fratelli e i gremi, la Società Costituzionale, la Progressista, il circolo Efisio Tola e l’Aurelio Saffi… Enrico Costa ci impegna alcune pagine del suo Sassari soltanto ad elencarle, senza neppure diffondersi troppo: e nel mezzo ecco cooperative e leghe, sodalizi militari o patriottici, commerciali e ginnici, studenteschi e agricoli, artigianali ed operai… Sarebbe venuta poi, insediata nella mitica Frumentaria, l’Unione Popolare, che qualche parentela, per alcuni aspetti anche avversativa, avrebbe avuto con la loggia nuova di Sassari, la Gio.Maria Angioy destinata a chiudere il secolo e balzare al nuovo… La loggia del 1867 entrava in questo ribollire, in quest’alternanza di alte e basse maree sociali e sentimentali…, così anche quella del 1893 che in Soro Pirino avrebbe avuto il collegamento personale più autorevole.

I due capoluoghi di provincia della Sardegna – Sassari al pari di Cagliari dunque –, come terminali periferici delle amministrazioni pubbliche, furono stazioni di rete quanto gli omologhi centri del continente e della Sicilia, nelle scuole e nelle caserme, negli uffici, nelle accademie, nelle procure e lo furono, in quanto a spazi di vitalità civica e di cultura, e così anche nelle chiese, nei partiti, nelle aziende e negli ambulatori, nei laboratori artigianali o negli esercizi commerciali, negli studi d’arte o professionali privati…

La loggia intitolata a Goffredo Mameli, al pari della subentrante Gio.Maria Angioy, e delle altre consorelle cagliaritane od oristanesi, iglesienti o maddalenine, nuoresi o tempiesi, ecc., rivelò nel suo organico fondativo e in quello sviluppatosi nel tempo – un decennio circa – un arco largo (o relativamente tale) di matrici sociali e professionali, dall’insegnamento all’avvocatura, dalla clinica all’architettura, dalla burocrazia all’esercito al commercio… fissandosi, per il più, nel ceto di mezzo acculturato e civicamente (o politicamente) impegnato. Il tendenziale progressismo della maggioranza dei suoi affiliati giustificava l’appartenenza al filone scozzese, per larga parte condiviso con il resto del circuito obbedienziale isolano (in un cinquantennio furono soltanto quattro o cinque le compagini simboliche, estranee cioè alla Piramide scozzese ed a quei pregnanti giri internazionali da essa derivati).

Si tenga conto anche di questo, per dire di Sardegna e d’Italia lungo il viaggio temporale da Cavour a Crispi e Giolitti, fino a Mussolini: che nella convivenza dialettica fra le due anime e/o le due organizzazioni associate nel Grande Oriente un passaggio importante avvenne nel 1865 quando – trasferitasi intanto a Firenze la capitale del regno – la maggioranza espressasi (in sede di Costituente, dell’assemblea nazionale dei Maestri Venerabili o delegati cioè) nella votazione per la gran maestranza e per il Consiglio dell’Ordine fu appannaggio degli scozzesi, quindi della parte progressista della Massoneria italiana. Questa linea caratterizzerà, con maggiori o minori accentuazioni, molti decenni, fino alla capitolazione al diktat fascista e a quanto lo preparò fra perquisizioni di questurini, assalti di facinorosi e incendi appiccati a sedi e biblioteche, violenze personali e perfino assassini. Il nostro Melkiorre Melis, allora giovane poco più che ventenne, montò la guardia armata a Palazzo Giustiniani entrato esso stesso nel mirino delle squadracce.

Precisato il contesto normativo e ambientale e per rimanere in campo di loggia sassarese, resta chiaro che ogni officina liberomuratoria doveva allora, alla sua costituzione, ricevere il placet sia del Gran Maestro dell’Ordine che, in precedenza, del capo del Rito di appartenenza, del cosiddetto Sovrano Gran Commendatore per gli scozzesi, il Presidente per i simbolici.

Questa fu perciò la trafila burocratico-amministrativa cui si sottopose anche l’ensemble della Goffredo Mameli nel 1867: il 25 agosto ottenne il nulla osta preventivo del Supremo Consiglio dei 33 (il summit scozzese) e quattro mesi dopo la bolla a firma del nuovo Magister Maximus Lodovico Frapolli (bella e tragica  figura di democratico che rinunciò al comando del Grande Oriente d’Italia quando decise di confluire con i volontari garibaldini in difesa della Francia repubblicana dopo la sconfitta di Sedan ad opera della Prussia, nel 1870).

Operò di buona lena da subito, la loggia, e nel 1871 ricevette l’autorizzazione all’impianto di un Capitolo R+C, vale a dire di un corpo sovraordinato riunente i Fratelli insigniti dei maggiori gradi (dal XVIII Rosa+Croce agli altri. Soltanto per curiosità si consideri che il Capitolo R+C cagliaritano, quello in capo alla Vittoria, venne deliberato dal Supremo Consiglio nella stessa seduta in cui si votò il nulla osta ai sassaresi: la loggia cagliaritana, nata simbolica nel 1861, era così passata, sei anni dopo, alla ritualità e alla giurisdizione scozzese, ancor più marcando la sua impronta sociale e da subito ispirando, nel concreto, la fondazione di un Ricovero di Mendicità).

Il chiaroscuro della Valle del Turritano

Quando vennero innalzate le Colonne della loggia, Sassari assommava 30mila residenti. Dal censimento del 1861 marcava uno sviluppo demografico piuttosto sensibile, destinato poi a rallentare e quindi riprendersi all’inizio del Novecento. Era sindaco l’avv. Stefano Usai, un liberal-moderato cui sarebbe succeduto un altro liberal-moderato, il comm. Nicolò Pasella. Per qualche mese, nel 1878, l’ufficio sarebbe stato tenuto, in turno virtuoso, da un Fratello, e un Fratello proprio della Goffredo Mameli: il turno di Gavino Soro Pirino, repubblicano sodale e amico di Giuseppe Mazzini e anima grande di Sassari. Tale riconosciuta anche dagli avversari, come si sarebbe dimostrato nel 1883 quando l’intero foro turritano – compresa la quota liberal-moderat e monarchica e/o cattolica – fece fronte comune di difesa per lui nel processo che lo vedeva imputato di vilipendio al re e poi assolto da una corte affascinata anch’essa dal suo superiore carisma morale. Allora, però, la Goffredo Mameli aveva già abbassato le sue insegne…

Vacante la sede episcopale, dopo la morte (avvenuta nel 1864) dell’arcivescovo Alessandro Domenico Varesini – a suo tempo ostile a Giorgio Asproni ancora prete del clero di Nuoro (perché, per qualche anno, il presule venne incaricato anche dell’amministrazione apostolica della diocesi barbaricina) – la città viveva il sentimento cattolico in frequentissima associazione familiare con altre contrarie pulsioni, tanto più scettiche quando combinata con un impegno scoperto, ora nel mutualismo operaio ora nei circoli di democrazia tutti antipatizzanti del papa-re… (Del 1865 è l’opuscolo firmato da Gavino Cugia-Pilo Un ministro protestante in Sassari…, tentativo di prima catechizzazione battista da parte della concorrenza anticattolica).

Con un’economia d’impianto agricolo piuttosto (o relativamente) fiorente, quella dell’agro, fra grano, vino e olio, capace di dar lavoro a un numero imponente di braccianti – quegli zappatori analfabeti che un giorno avrebbero trovato soccorso civico nelle sale dell’Unione Popolare, per alfabetizzarsi e conquistare il diritto di voto –, Sassari della seconda metà dell’Ottocento viveva il suo lento progredire verso gli standard civili del tempo nuovo: con nuove infrastrutture ora di servizio pubblico – dall’acquedotto alle ferrovie –  ora di accompagno al gusto teatrale o musicale dei ceti non soltanto alti, ma anche popolari… Autorevole, nonostante le scarse dotazioni finanziarie, l’università, in specie le facoltà di medicina e giurisprudenza, cospicuo naturalmente il ceto professionale, in specie degli avvocati – una cinquantina gli avvocati accreditati nel foro locale – e quello dei pubblici impiegati, secondo i bisogni di un capoluogo di provincia sede di prefettura e questura, intendenza, provveditorato ecc.

Aveva conosciuto, Sassari, o conosceva negli anni in cui la loggia Goffredo Mameli avviava, con successo o meno, le sue attività, qualche momento d’ottimismo per lo sviluppo economico in generale, con un bello sviluppo del credito (nel tempo, poi, non sempre al meglio impiegato fra commerci e agricoltura): giusto tra la fine degli anni ’60 ed i primi anni ’70 – dopo l’impianto della Banca Nazionale nel regno (quella che sarebbe diventata un giorno la Banca d’Italia, istituto di emissione), di banche e banchi ne erano zampillati quasi una decina, piccoli sì e forse non tutti eccellenti, ma prova provata di uno spirito progressivo degno di menzione. Aveva dato la stura, dopo la Banca del Popolo, quella Agricola Sarda, fondata da Giovanni Antonio Sanna, il padrone delle miniere di Montevecchio ed editore in continente, deputato al Parlamento, sassarese di nascita ma… cittadino del mondo, e con un senso democratico importante, massone dal 1844, iniziato a Marsiglia, nella loggia “de St. Jean”. A lui un giorno sarà intitolato il museo archeologico cittadino.

Le banche erano nate copiose, allora: s’erano presto aggiunti il Credito Agricolo e la Cassa di Risparmio, e il Banco di Sassari, e la Banca Commerciale Sarda, e quella Commissionaria, s’era aggiunto anche lo sportello del Banco di Cagliari, l’istituto cioè fondato nel 1869 dal Fratello Enrico Serpieri…

Come capoluogo di provincia, come centro demograficamente rilevante nel capo settentrionale dell’Isola, come antica sede universitaria, teatro di disputa civica e politica per mille relazioni intrattenute con partiti e movimenti o gruppi d’opinione della penisola, Sassari ancora e soprattutto dopo l’unità d’Italia conosceva anche una ricchezza pubblicistica di prim’ordine, pressoché pari a quella cagliaritana.

A voler limitare il discorso soltanto al decennio circa di vita della Goffredo Mameli, a scavalco appunto di anni ’60-’70, saranno stati quindici, venti e anche più le testate, ora di serie ora una tantum (i famosi numeri unici d’occasione), politiche od amministrative, religiose od umoristiche, professionali od accademiche e letterari che ne avevano popolato l’ideale edicola. Uscirono allora ovviamente gli Atti del Consiglio provinciale (in cui non mancavano di certo i massoni) o, dalla tipografia Dessì, il Bollettino del Comizio agrario circondariale e quello della Prefettura, così come, dalle macchine della tipografia Azara, Il Popolano,  oppure La Discussione (d’area liberale, polemico con la pressione fiscale governativa) o Il Folchetto (d’ambizioni umoristiche) o L’operaio (con intento di promozione mutualistica)… Nei giorni della presa di Roma uscì La Stegghia (“Pulisce cavalli, asini ed altre bestie tutte le domeniche”), pochi anni dopo Il sigaro (“Si fuma ogni domenica al prezzo di centesimi 10. Castigat ridendo mores”)… Assai più qualificato il profilo di La Cosa Pubblica, rimontante agli anni 1874-75, bisettimanale repubblicano diretto da Giuseppe Giordano Sanna, così come quello e La Donna e la civiltà, mensile affidato alle cure di Caterina Berlinguer, repubblicanissima anche lei come Edoarda, sua sorella mazziniana che firmava ne La Giovine Sardegna (ed era letta, si disse, dallo stesso Mazzini)… Apparvero ebdomadari d’ogni tipo, apparve Lingua di miele, a sostegno della causa associazionista in campo sia rurale che operaio e sperava nelle colonie agricole da impiantare nel nord isolano. Uscì, dalla tipografia Turritana, un periodico di medicina e chirurgia dal titolo Il Farina, da Dessì La Provincia di Sassari (politico-amministrativo e letterario) d’orientamento anch’esso progressista; soprattutto apparve, come in un cielo d’attesa, La Stella di Sardegna, un settimanale popolare destinato a lunga vita ed a raccogliere molte e importanti firme isolane e nazionali. Fu poi la volta di La Riscossa ed anche di La Squilla, giornali d’impostazione e interesse o idealità opposte, il primo avversario e il secondo sostenitore della sinistra e anche dell’Amministrazione Soro-Pirino… Ci fu La Gazzetta di Sassari, ci fu La Strenna sassarese e ci fu La Temperanza… il vocabolario offrì nella lunga stagione i migliori suggerimenti al lancio delle testate…

Un decennio di grande storia (e di piccola cronaca) a Tattari mannu

Nelle trecento strade e piazze della topografia cittadina, spalmata pressoché equamente fra rione Levante e rione Ponente, s’animava la vita cittadina fotografata dai versi dei poeti dialettali, servivano la popolazione in larghi orari i pubblici uffici e le scuole, il mercato, le caserme, i ricoveri e gli ospedali (ancora fresca era la memoria dell’ecatombe del 1855: oltre cinquemila i morti di colera!)… Allestita o allestenda la Normale Femminile in via Arborea, così la Ginnastica Sassarese al Giardino pubblico, dove anche ricadeva il regio Orfanotrofio ed il Convitto femminile… In via Carra Piccola si stringevano la Camera di Commercio e il Comizio agrario, nella via Mercato l’Agenzia Imposte e il Ricevitore demaniale, anche l’Ufficio del Registro – per il marchio di Stato! – e l’Ordine degli avvocati ed anche poi il Circolo Sassarese… La regia Procura era riparata nel nuovo Municipio, a palazzo Ducale cioè, così come il Provveditorato agli studi nel palazzo della Provincia, al pari della Prefettura e dell’Ufficio telegrafico, ecc. in piazza d’Italia… In via Firenze l’Intendenza di Finanza, in via Manno il Conservatore delle ipoteche, in via del Teatro l’Istituto tecnico, naturalmente in via Canopolo il liceo e il ginnasio, il club di scherma e ginnastica in via Carlo Alberto… Ponente e Levante si distribuivano il carico e gli onori dell’ospitalità.

Certo, a Sassari come a Cagliari, fra anni ’60 e ’70 (e poi ancora nei primi ’80) si andava per sistemazioni progressive, razionalizzando per il possibile. C’era poi la gran quantità di sodalizi a crescere, implementandosi e spegnendosi e ancora implementandosi come una fisarmonica… La città prendeva la sua misura, riscopriva i microquartieri disegnati anticamente secondo i perimetri parrocchiali (qui San Sisto là Santa Caterina, o San Nicola, o San Donato, o Sant’Apollinare…). Nel largo Azuni si sarebbero concentrati i repubblicani (con la loro consociazione o il circolo Doveri dell’uomo) ed anche i radicali, così qualche società o lega operaia come quella dei coltivatori, o dei muratori, o dei fabbri, lattai e calderai, dei vermicellai e dei conciatori… i sarti in via Rosello, gli agricoltori in via Vittorio Emaunele… l’Operaia femminile in via Arborea (presidentessa donna Edoarda Berlinguer!), l’Operaia di mutuo soccorso in via Buiosa, assieme agli ex militari di bassa forza…

Tutti protagonisti a Sassari. Certo, della città si potrebbe raccontare anche ogni minima vicenda inserendola in un contesto magno, fra coordinate spazio-temporali perfino epocali, e cercare i nessi possibili, gli influssi, le cause e gli effetti… E di eventi più o meno significativi occorsi nell’Isola e magari nel Sassarese e nel suo capoluogo in particolare, nel decennio circa di vita della Goffredo Mameli, se ne potrebbero elencare, ovviamente, di numerosi… Restringendo al massimo se ne potrebbero segnalare almeno una decina: morì a Sassari il sacerdote Salvatore Sassu che istituì con censo testamentario lo storico Orfanotrofio delle Figlie di Maria (poi allargatosi a scuola-convitto per sordomute); compì la sua visita la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle condizioni socio-economiche della Sardegna e Sassari ne fu investita in pieno; sorse in città una Società bacologica, speranza anche economica di una filiera tessile; s’inaugurarono i tronchi ferroviari Sassari-Porto Torres e Sassari-Ploaghe; prese possesso della sua diocesi l’arcivescovo Diego Marongiu Delrio, destinato a lunga vita raggiungendo addirittura il 1905!; morì quel Pasquale Tola che fu giurista e letterato venerato in vita tanto più per le sue abbondanti produzioni storiografiche (nel ’70 era scomparso l’altro grande, il barone Giuseppe Manno); scomparve anche Giovanni Antonio Sanna nel 1875 (e l’anno dopo cadde Giorgio Asproni); s’avviò la demolizione del Castello aragonese nel cuore di Sassari… Ad Ozieri venne eletto e rieletto deputato Giuseppe Garibaldi (era il 1867), a Nuoro scoppiarono i moti di “su connottu” (era il 1868), a Cagliari iniziò le sue pubblicazioni L’Avvenire di Sardegna, il quotidiano di Giovanni De Francesco che avrebbe voluto collegare gli interessi sardi a quelli della colonia italiana in Tunisia (era il 1871)… Le campagne isolane s’infestarono di cavallette facendosi teatro di azioni banditesche a ripetizione…

Sul continente, dopo la confluenza veneta nel regno d’Italia, si giocò la carta romana: nel 1867 i tentativi garibaldini a Mentana e Monterotondo, nel ’70 la partita si chiuse con i bersaglieri del generale Cadorna…

Nasce una loggia

Importa dire qui – ancorché si tratti di una linea interpretativa piuttosto debole, supportata da una documentazione che andrà rinfoltita – che fin dal settembre 1862 si era ipotizzata la fondazione di una loggia massonica all’obbedienza del Grande Oriente Italiano (questa la denominazione ufficiale iniziale): da un anno quasi funzionava quella cagliaritana, intitolata alla celebratissima Vittoria, impiantata da Pietro Francesco de Lachenal, magistrato di Corte d’appello. Ne sarebbe stato dato incarico al professor Antonio Pansa, Oratore della loggia Ausonia, operativa in quel di Torino e forte di molte decine di personalità di primissimo livello nella società professionale, giornalistica ed amministrativa, diplomatica ed accademica o militare della capitale al tempo dell’unità, un po’ prima e un po’ dopo. La cosa, chissà perché (forse per l’improvvisa scomparsa di Pansa), non andò a buon fine, e Sassari dovette aspettare che maturassero le condizioni per entrare anch’essa, al pari di Oristano e Nuoro – che nel 1867 avevano battezzato le loro logge riferendosi alla casa d’Arborea –, nel novero della Massoneria nazionale.

Due nomi tra i fondatori della Goffredo Mameli segnano con la loro umanità l’originale esperienza che gradualmente coinvolgerà fino ad una trentina di attori: tale G. Vergara e Bartolomeo Ortolani. Entrambi anticipano e spiegano, con la propria storia personale, i lineamenti ideali e programmatici della compagine liberomuratoria di cui deterranno il Maglietto.

Vergara, il primo della serie, è il direttore delle carceri sassaresi, ed il suo nome (con quello di Ortolani) figura, in quanto rappresentante della loggia, nell’elenco dei Maestri Venerabili in carica nel lasso temporale 1864-1871 pubblicato da Luigi Polo Friz in diversi suoi studi, rifluiti in una sintesi pubblicata da Massoneria Oggi, n. 4/ 1998.

Alcune iniziative sociali, e specificamente quelle che riguardano il reinserimento lavorativo degli ex detenuti, rimanda intuitivamente all’ufficio e al sentimento civico del Venerabile. Egli è alla direzione dello stabilimento penale proprio negli anni in cui avanzano i lavori del nuovo carcere – quello di San Sebastiano, che dovrà sostituire quell’altro secolare e indegno di Carra manna, intitolato a San Leonardo –, a ridosso delle mura e a un passo dalla nuova piazza d’Italia, che è anch’essa novità di questi tempi, nel riordino e rilancio edilizio che coinvolge tutta Sassari dagli anni seguiti all’unità nazionale e che arriveranno all’abbattimento (scriteriato?) del Castello aragonese per ammodernare poi l’intero nucleo urbano, con palazzi privati e palazzi pubblici. Monumentale e moderno, certo sempre doloroso e ideologico, progettato dal celeberrimo Polani.

Del 1869, quando la loggia è ormai operativa da un biennio quasi, smantella la sua penosa struttura il patibolo in funzione da secoli davanti alla chiesa di San Paolo. Due anni dopo, o press’a poco, San Sebastiano entra in sistema.

Il Fratello Ortolani, ex prete, è un benemerito precursore dell’istruzione tecnica in Piemonte, venuto nell’Isola come rettore del Convitto Nazionale (prima a Cagliari – nel biennio 1862-63 –, quindi a Sassari). Professore di lettere, egli opera intanto per separare nettamente il collegio dal ginnasio liceo (il che sarà formalizzato nel 1865 nello stesso stabile dell’antico e prestigioso Canopoleno). Autore di un dramma teatrale ispirato alle epiche e tragiche gesta di Amsicora – capo dei sardi pelliti alleati dei punici contro l’invasione romana dell’Isola – si segnalerà anche per una performance d’azzardo positivista alla Costituente massonica fiorentina del 1869…

Circa la sua prova letterario-teatrale – l’Amsicora cioè, sottotitolata Supremo sforzo per la sarda indipendenza – dramma tragico, rappresentato al teatro Civico il 27 febbraio 1867 – potrebbe essere utile acquisire alcune notizie che, spiegandone intenzioni e modalità espressive, rivelino l’autore. L’opera venne dedicata «Ai deputati della Sardegna» e specificamente a «il Barone Giuseppe Manno che diede luce ed autorità di vera storia agli incerti racconti delle gloriose gesta di un popolo armigero insofferente di servitù e sdegnoso sempre di essere posseduto» ed a «il Cavaliere Giovanni Siotto-Pintor che con elegante e fina critica dettata da patrio affetto illustrò le sparse opere dei sardi scrittori bella gloria di questo paese ricco di canti e di nobili ingegni». A muovere l’autore, in quanto interprete di «un glorioso fatto della storia sarda», fu uno scopo didattico: «per la sarda gioventù». Un intento meglio spiegato nella prefazione («Ragione del dramma e della via seguita nel suo sviluppo»): «Quello di scrivere per attori adolescenti un dramma il quale, illustrando un fatto glorioso della storia, innamorasse la gioventù allo studio delle cose patrie; un dramma che lasciasse a parte lo sviluppo dei caratteri meno degni e delle passioni che avrebbero potuto essere introdotte, quando si fosse scritto per attori già fatti adulti; un dramma che rendesse più facile e più gradita la scenica produzione, e che domandando ad altre fonti, fuori delle colpevoli passioni, la varietà dei contrasti, e la vivacità del dialogo nulla producesse di basso, d’ignobile, di proditorio; ma tutto ne risultasse rispettivamente buono, commendevole, eccitando solo la commozione di quegli affetti che ci studiamo di promuovere nella gioventù».

Un copione di 87 pagine, con premessa di cenni storici e cinque atti di recitato da quattordici personaggi e da masse indistinte (soldati sardi e soldati romani), quarantadue scene, note storico-critiche a concludere.

Muovendo da queste prime militanze – di Vergara e di Ortolani –, colpisce dunque subito che la loggia sassarese nasca in un solco che è insieme pubblico, di caratterizzazione ideologica, e filantropico. La Massoneria italiana di radicamento post-risorgimentale – tanto nella versione liberale quanto in quella democratica – punta a modellare il nuovo cittadino, l’italiano che riporta la sua matrice territoriale, provinciale o regionale, alla consapevolezza nazionale, ed a questo contribuisce essenzialmente la scuola, e in accompagno l’amministrazione pubblica in tutti i suoi segmenti, in testa a tutto l’esercito chiamato, come detto, in difesa dei confini tanto faticosamente conquistati… Nel mezzo, in attesa che si creino le condizioni per una larga legislazione sociale, ecco il soccorso volontario, una prossimità forse ancora ingessata nelle gerarchie di ceto ma comunque ricettiva di input solidaristici…

In tale contesto e sotto la guida di Luci come quelle sopra menzionate, la Goffredo Mameli s’impegna da subito a soddisfare l’esigenza, da tutti avvertita, di una proiezione pubblica, fuori della Porta d’Occidente, sul piano essenzialmente umanitario e sociale: essa realizza perciò, s’è detto, un efficace patronato finalizzato al rapido e duraturo reinserimento lavorativo degli ex detenuti; promuove (come a Cagliari) l’istituzione di un ricovero di mendicità; avvia le procedure per l’apertura di una banca a largo azionariato popolare. Lo scrive il Bollettino del Grande Oriente d’Italia nel suo fascicolo di marzo-luglio 1869: «Fra le sei Logge di Sardegna si distinsero per opere particolari la Vittoria, Or. di Cagliari, la quale non paga di moltiplicare gli atti di beneficenza, istituì Letture mass., pubblicate dipoi con la stampa a luce universale. La Loggia Goffredo Mameli, Or. di Sassari, che riuscì a costituire una società di patronato per gli infelici che escono dalle carceri, provvedendo al loro miglioramento morale e procurando il più possibile di fornire loro mezzi di lavoro. Per sua cura venne anche istituito un ricovero di mendicità, e iniziata la banca popolare – ed è questa la terza opera eminentemente benefica cui diede vita in soli undici mesi».

Chi partecipa all’impianto della Goffredo Mameli e al suo sviluppo per lo meno nei primi anni in cui essa dà affidamento di potersi stabilizzare nella Valle del Bunnari e del Turritano?

E’ piuttosto difficile, per le note lacune documentarie, ricostruire in pieno il piedilista, ma ciò nonostante può tentarsi un avvicinamento che possa dare una idea credibile della fatica fraternale spiegata in una fase della vita nazionale assai complessa e problematica: fra Mentana e Porta Pia, fra la primazia rivendicata dal governo rispetto all’esercito volontario di Garibaldi, anche nella guida delle azioni militari volte ad acquisire anche Roma e il Lazio – quanto cioè è rimasto dello Stato Pontificio – al regno d’Italia. Vigile e avversario sempre e comunque il ministero francese di Napoleone III (quello stesso Luigi Napoleone che, non ancora imperatore, aveva sconfitto sul campo la Repubblica del 1849 e portato a morte il giovane Goffredo Mameli…).

Girovagando nel piedilista

Un prospetto rimontante agli ultimi anni di attività della loggia enumera diciassette nominativi fra i quali non sono compresi più né Vergara né Ortolani, né è compreso Gavino Soro Pirino che sarà invece della partita e poi fra gli attivi della Gio.Maria Angioy e suo Maestro Venerabile. Neppure sono compresi nominativi che per più ragioni – dall’estrazione sassarese alla tempistica delle loro maggiori attività pubbliche, all’impegno ufficiale nella Fratellanza – potrebbero accreditarsi all’organico: il riferimento particolare è ai parlamentari Pasquale Umana (medico e docente, futuro rettore dell’Università di Cagliari) e Raffaele Garzia (magistrato e prossimo sindaco di Sassari). All’uno e all’altro capiterà di dover rappresentare questa o quella loggia in occasione delle Costituenti: così, ad esempio, nel 1872 la cagliaritana Gialeto o l’ozierese Leone di Caprera…

I Fratelli segnalati con più remoti brevetti di Maestro sono Gaspare Marzola, palermitano di nascita, usciere di prefettura, e Giuseppe Cavanna (di Luigi), sassarese classe 1840, proprietario.

Seguono, registrati tutti come impiegati, Vittore Giunti, modenese classe 1829, Leonardo Carta Pes (di Sebastiano), sassarese classe 1837; Raimondo Pilo, pure sassarese classe 1836; e inoltre Giovanni Alasia (di Giuseppe) professore di retorica, nativo di Racconigi classe 1832; Salvatore Calvia (di Mauro), originario di Mores classe 1822, architetto; Gaetano Passino (di Gavino), cagliaritano classe 1843, avvocato; Gio.Nicola (o Nicolò) Simula (di Salvatore), medico chirurgo e docente universitario.

Di più recente ammissione sarebbero Salvatore Delogu, insegnante e funzionario ministeriale alla Pubblica Istruzione, e Salvatore Musina Dore, avvocato: saranno entrambi Venerabili.

Senza specifiche di calendario (in quanto all’affiliazione) sono elencati altresì Michele Amico (forse Amic), siciliano di Caltanisetta, segretario di Prefettura; Giacomo Pieroni, sassarese classe 1844, avvocato; Gavino Pintus, pure sassarese classe 1841, qualificato ufficiale (forse dell’esercito); Salvatore Sigurani (di Giuseppe), toscano di Prato classe 1840, impiegato; Gavino Solinas (di Antonio), sassarese classe 1837, capitano dell’esercito.

Se di alcuni è al momento piuttosto difficile ricostruire i tratti sociali o professionali, di altri invece – per generosità delle carte a supporto (e ricerca più o meno impegnativa) – la cosa è possibile ed anche gustosa.

Di Salvatore Calvia Unali, sposato con Antonia Diana Casabianca (figlia del noto pittore G. Vittorio Diana) e padre del poeta Pompeo – che sarà celebratissimo autore di Sassari Mannu e numerose altre pubblicazioni nonché Artiere della futura Gio.Maria Angioy – si dirà che, abbandonati gli studi di legge, si iscrisse ventenne all’accademia nazionale di San Luca e quindi alla Sapienza, qui conseguendo i titoli di architetto e geometra. Arruolatosi nel 1848 con altri universitari fra le truppe garibaldine, partecipò anche alla legione dei volontari romani accorsi – come ricorda Dino Manca – «alla squilla dell’“universal chiamata”» in aiuto dell’Eroe dei due mondi. Fu aiutante maggiore di Garibaldi a Luino e Morazzone, venne ferito ad un piede e curato da Ugo Bassi, il barnabita cappellano della legione e destinato a morte per fuoco austriaco nel 1849, dopo la fuga dalle rovine della Repubblica.

Assunto per qualche anno nel genio militare come docente di matematica nel collegio di Cherasco, rientrò nella sua casa sassarese, al civico 2 di piazza Tola, per ricevere nel 1855, forse inaspettata e certo onorevole, la visita di Garibaldi. Al Generale rimase sempre fedele e non mancò d’essere alla guida dei suoi volontari così come dei vari sodalizi patriottici che nel giugno 1882 raggiunsero Caprera per i funerali di chi per tutti fu fratello e padre, non soltanto condottiero.

Allievo dell’Antonelli, il grande architetto al quale si deve la celebre Mole Antonelliana in Torino, svolse l’attività liberoprofessionale come architetto fino al 1869 (all’epoca cioè della sua iniziazione fra le Colonne della Goffredo Mameli), fra l’altro firmando il campanile, in stile neoclassico, della secentesca parrocchiale di Mores intitolata a Santa Caterina, in cui sarebbe stato sepolto alla morte intervenuta nel 1909 ad Alghero. S’impiegò anche come insegnante di disegno presso la scuola tecnica governativa di Ozieri, seppure non si trattò di un’esperienza lunga, perché l’istituto venne soppresso – si disse – «per mene clericali e per l’ignavia dei maggioraschi». Nuovamente tornò all’insegnamento nel 1881, all’istituto tecnico del capoluogo e ad un parallelo corso professionale. Per gran parte degli anni ’70 dunque attese agli impegni professionali, nel suo studio di architetto. Lavorò anche alla facciata della chiesa di Ittiri ed al cimitero di Usini. Diversi altri progetti rimasero sulla carta o tradotti soltanto in parte nei monumenti (così, fra i primi, per la parrocchiale di Oschiri e anche, a Sassari, per il monumento ai caduti nelle guerre d’indipendenza, come, fra i secondi, per la chiesa di Santa Croce di Ozieri).

Il figlio Pompeo ne ricorderà l’esempio patriottico e morale in più composizioni, da Pinsendi a Due date: «E hai lassaddu a to’ figliori / l’ideali d’un gran cori, / ed un pezzu di mitraglia / la to’ più bedda midaglia».

Di Alasia sappiamo che ebbe cattedra al ginnasio Azuni, come documenta l’Annuario della Istruzione Pubblica del Regno d’Italia pel 1867-1868; di Giuseppe Cavanna Sannia, invece, che partecipò, nel 1869, alla fondazione anche della loggia ozierese intitolata al Leone di Caprera (mentre altri suoi congiunti furono coinvolti nelle attività delle logge cagliaritane).

Di Gaetano Passino è nota la partecipazione fra gli abozziani della nuova generazione, cioè fra quei liberal-monarchici più impegnati nel rimbalzo delle maggioranze a Palazzo Ducale nel passaggio di secolo.

In Consiglio comunale ebbe una presenza piuttosto prolungata, comunque sempre nello stesso torno temporale, anche Gavino Pintus, solide proprietà a suo conforto, esponente pure egli del partito liberal-moderato.

Qualche incertezza investe Giacomo Pieroni, che potrebbe essere quell’avv. Sechi Pieroni, a lungo consigliere comunale anch’egli – buon terzo nel partito di Passino e Pintus – e poi presidente della Casa di riposo di Sassari. Se così, la sua sassareseria resterebbe certificata dai riferimenti antichi di una famiglia di facoltosi commercianti orefici.

Anche di Gio.Nicolò Simula possono ricordarsi i successi elettorali in quanto esponente politico e consigliere ora comunale ora provinciale, nonché le parallele carriere professioni ed accademiche.

E a proposito di rappresentanza politico-amministrativa. Già dal 1860 i Fratelli (o prossimi tali) presenti nell’aula del Consiglio provinciale (comprensivo dei circondari anche di Nuoro oltreché di Alghero, Ozieri e Tempio) erano piuttosto numerosi, da Gavino Soro-Pirino (all’inizio perfino presidente) a Giorgio Asproni, da Antonio Giuseppe Satta-Musio a Carlo Costa, da Pasquale Umana a Salvatore Maria Pirisi-Siotto, e ancora da Domenico Cabella e poi Francesco Maria Cabella a Gio.Nicolò Simula (appunto), ad Antonio Zanfarino, Francesco Carboni, Gavino Passino, Giacomo Leoni…

Si diceva del Fratello Simula. La sua produzione scientifica era già abbondante quando venne iniziato, e ancor più copiosa e felice, apprezzata nell’ambiente clinico, si sarebbe rivelata successivamente. Al concorso per l’aggregazione al collegio medico chirurgico dell’ateneo sassarese, nel 1864, aveva discusso una tesi sulla Cheratite e principali esiti; aveva fatto seguito con una Risposta al prof. di medicina Giacobbe Ravà e con altri lavori, tutti ovviamente centrati sulla disciplina chirurgica e l’ostetricia, la sua superspecializzazione; il suo repertorio contò così, una dopo l’altra, le… storie, Storia di una ferita da punta e taglio penetrante nell’addome, Storia di una cistovariotomia seguita da guarigione, e via continuando…

Usinese di nascita classe 1836, egli fece carriera come assistente di clinica chirurgica, supplente di medicina operatoria e clinica operatoria, quindi straordinario stabile di ostetricia e ginecologia ecc. (Quando andò a riposo, il rettore Angelo Roth, Fratello della Gio.Maria Angioy e deputato al Parlamento, nonché prossimo sottosegretario alla Pubblica Istruzione, così si espresse: «L’Ateneo perde un valoroso insegnante che, nella sua perenne e sempre prospera maturità, poteva ancora diffondere dalla cattedra, nobilmente e a lungo occupata, tesori di dottrina e di pratica attività. Ma se la Facoltà perde l’insegnante, la Società conserva il pratico zelane e provetto: a lui l’augurio fervido di ancora lunga vita, rallegrata dalla stima che durerà immutata di noi a cui fu venerato collega, e dei discepoli suoi, che avranno motivo frequente per ricordarne la dottrina, lo zelo indefesso e le virtù educative della scuola, nella quale crebbero e si addestrarono ai cimenti dell’esercizio professionale».

In politica conquistò posizioni sul fronte liberale con qualche successivo avanzamento (e messe di preferenze personali) con i garavettiani, in età ormai matura, addirittura nel 1905: nel partito moderato fu consigliere comunale ed anche assessore (della giunta Pitzorno); fu eletto altresì in Consiglio provinciale (dal 1872 e per oltre un lustro) per il collegio Osilo/Ossi.

Personalità certamente centrali, nella compagine, furono Salvatore Delogu e Salvatore Musina-Dore. Il primo, già segretario particolare del ministro dell’Istruzione Michele Coppino (pure lui massone) e capodivisione alla Minerva, preposto giusto alla scuola primaria (e dal 1877 segretario del Consiglio superiore di Pubblica Istruzione), fu anche tra i fondatori della loggia capitolina Rienzi, unitamente al Gran Maestro Giuseppe Petroni (che a Roma, nelle segrete pontificie, aveva trascorso anni e anni di patimenti!): in quella stessa loggia sarebbe stato iniziato, un giorno, anche un futuro Magister Maximus dell’Ordine, Publio Cortini (1953-1956) e prima di lui quel Meuccio Ruini che avrebbe presieduto la famosa commissione dei 75 alla Costituente repubblicana di Montecitorio.

Nel suo Diario, Asproni lo menziona per questioni d’interesse del Fratello Giovanni Antonio Sanna, qualificandolo ispettore scolastico (in missione, nel febbraio 1871, a Roma), soggiungendo più oltre che della sua definitiva sistemazione al ministero di P.I. si stava occupando personalmente trattandone con il ministro… Già direttore delle conferenze didattiche a Cagliari, egli concluse la sua carriera come provveditore agli studi della provincia di Sassari e passò all’Or. Eterno nel 1895, quando la nuova officina locale, la Gio.Maria Angioy, aveva appena iniziato ad operare in città.

Collaboratore di varie riviste letterarie – e, nel novero, di Stella di Sardegna – fra le “glorie” di Delogu potrebbe forse ricordarsi una elegante conferenza da lui tenuta su Dante nel 600esimo anniversario della nascita (il testo venne poi pubblicato a Firenze). Ne propose una propria recensione Filippo Vivanet – che si ritiene appartenente alla loggia Vittoria cagliaritana – esprimendosi in questi termini: «Percorrendo le pagine del Delogu scritte con senso di letterato e con cuore di patriota si debbe riconoscerlo assai famigliare colle opere dell’Alighieri e tenero quant’altri mai di togliere alla figura più luminosa delle lettere italiane quelle macchie che la miopia dei neoguelfi vi volle scorgere. Egli pose mente a chiarire gl’intendimenti di Dante colla storia de’ suoi tempi alla mano, e principalmente colle scorta delle sue opere maggiori e minori, né parci si possa trovare critica più giusta e razionale di questa. Forse avremmo voluto qua e là maggiore eguaglianza nello stile, e meno divagazioni dall’altissimo subbietto per trarne argomento di consigli ai presenti, o pretesto d’invettive e declamazioni ormai troppo ripetute ed intese. Gli atti di riverenza verso i nostri grandi debbono compiersi con calma e serenità, vogliono a senso nostro andare immuni a quelli sfoghi puerili che possono trovare il loro posto in meno solenni occasioni. Ciononostante il lavoro del Delogu è assai pregievole per una conoscenza approfondita del proprio tema e per una larga erudizione la quale non sa divenire pedante. Egli trovò il modo di unire allo stesso tempo l’utile al dilettevole e coloro che acquisteranno il suo opuscolo sapranno di concorrere ad una buona azione dacché il prodotto che se ne ritrae è devoluto ai maestri elementari del circondario di Nuoro» (cf. Rassegna bibliografica dell’Isola di Sardegna per 1866, estratta dall’Annuario statistico e calendario generale del cav. Pietro Amat di San Filippo).

Il secondo dei personaggi citati, Salvatore Musina-Dore, anch’egli Venerabile pro tempore, fu anch’esso nome piuttosto noto in città e specialmente nel foro. Originario di Nuoro, fu autore di diverse opere, fra monografie giuridiche e Commenti al codice civile di Carlo Alberto (così fin dal 1849), per arrivare a saggi come La Maledetta ossia la Provincia di Sassari: riflessi in risposta a tanti scritti anonimi che si dicono inspirati dalla Deputazione provinciale (datato 1881). Nel repertorio ulteriore delle sue opere andate a stampa, a parte una Storia della lite vertente nel tribunale di Sassari tra il governo ed i soci Salvatore Musina e Proto Tola (datato 1870), anche la monografia Ai signori ministri e deputati della Sardegna (datata 1854): una pubblicazione che rimanda alla esperienza politico-amministrativa di Salvatore Musina Dore (in rapporti con Giorgio Asproni, di cui è traccia nel Diario di quest’ultimo). Egli fu consigliere provinciale dal 1869 (dunque nei migliori anni di vita della Goffredo Mameli) e per un quindicennio addirittura.

Attività e note di brio (e d’ammainamento)

A parte le prime iniziative pro-carcerati e pro-anziani poveri, e quella legata al mutualismo creditizio per i piccoli operatori, in quali campi s’inoltrò la loggia marcando il suo tratto distintivo?

Con la solidarietà, fu l’ideologia a muovere i dignitari e l’intera compagine: una ideologia tutta nel segno di un razionalismo avversario integrale di ogni teismo, tanto che il Venerabile (pro tempore) Ortolani fu fra coloro che, all’Assemblea costituente di Firenze del 1869, giunse a proporre l’abolizione del tradizionale distico decatorio AGDGADU – Alla Gloria Del Grande Architetto Dell’Universo – per sostituirlo con quest’altro d’intonazione tutta positivista: «Alla Gloria Della Patria Universale e Del Progresso Indefinito». Sforzo non coronato da successo, per il quasi unanime rigetto espresso dagli elettori congressuali: 5 voti a favore, 63 contro. Episodio che ben spiega come l’anticlericalismo massonico – in buona misura determinato come reazione dal clericalismo antiunitario del papa-re e del clero obbediente diffuso in tutte le diocesi (numerose delle quali ancora scoperte per la mancanza dei regi exequatur, così – al tempo – anche a Sassari e in mezza Sardegna!) – non trascenda e non si traduca in irreligione. Nonostante anche l’Anticoncilio napoletano dello stesso 1869, risposta polemica all’assemblea episcopale convocata da Pio IX in San Pietro per la delibera dogmatica della infallibilità pontificia!

Se ne potrebbe dire. Ma forse l’aspetto più curioso della vicenda, per restare soltanto alla cronaca, è che l’ondata oppositiva alla proposta di Ortolani fu promossa da un Fratello legato anch’esso alla Sardegna: da quel Floriano Del Zio, professore di filosofia che per alcuni anni aveva insegnato al Dettori cagliaritano e che, tornatosene nella sua Lucania e andato poi a Ferrara, era stato eletto deputato nel 1865. E che nel 1871 era stato perfino eletto Grande Oratore del Grande Oriente d’Italia!

Nel 1870 la loggia partecipò a due collette promosse dal Grande Oriente d’Italia: a pro dei danneggiati dall’incendio di Costantinopoli (£. 50) ed a pro, quindi, delle vittime della guerra franco-prussiana (£. 40). Erano, questi, anni cruciali nella storia della patria, in cui la Massoneria nazionale sviluppò azioni solidaristiche frequenti ed a largo raggio. Si trattava anche di un modo per rinforzare i legami con le Fratellanze, vicine quelle regionali o nazionali, remote quelle estere: nella logica dell’umanitarismo e insieme del patriottismo mazziniano/garibaldino: ogni patria è la mia patria!

Nel dicembre 1871 la loggia generò il suo Capitolo Rosa+Croce, che un giorno sarebbe stato intitolato a Gavino Soro Pirino, per adesso vivo e vivace, carismatico dignitario della compagine. Capiterà anche che loggia e Capitolo intervengano insieme ed affiancati, pur ciascuno con la propria autonomia, ad una delle pressoché annuali Costituenti (o Gran Logge che dir si voglia): sarà così ancora nel 1872, l’anno della morte di Giuseppe Mazzini, quando la convocazione di Venerabili, Saggissimi e/o loro delegati avviene per la prima volta a Roma, patria elettiva di Goffredo Mameli martire della città repubblicana.  Allora la loggia sassarese è rappresentata dal Venerabile Soro Pirino ed il Capitolo dal Fratello Salvatore Delogu (rappresentato della loggia l’anno precedente, alla Costituente chiamata ancora a Firenze).

L’anno successivo la loggia sembrerebbe essere affidata al Maglietto di Salvatore Musina Dore, il cui nome è annotato nell’Almanacco del Libero Muratore, pubblicato dalle logge di Rito Simbolico di Milano.

Tutto è, però, saltuario o intermittente nella Massoneria sassarese come e più che in qualsiasi altro Oriente o Zenit isolano o continentale. Piovono, infatti, le sanzioni, i decreti di sospensione e talvolta perfino di scioglimento di corpi rituali morosi o in troppo prolungata fase di stanca.

Pur con il riguardo delle sole iniziali, i morosi delle diverse logge sono elencati nei Bollettini del 1872 e 1873. Ce n’è di Cagliari (in abbondanza) ed Alghero, Oristano ed Ozieri, Carloforte e Iglesias, Santulussurgiu e Siliqua, Nuoro e Nulvi, Decimoputzu e Monastir e, appunto, Sassari. In verità di sassarese ne sono segnalati soltanto due, chissà se a copertura anche di altri: tali A.F. e F.V.V.

Certo è che le cose marciano lente giù dal 1872-73. In un rapporto pubblicato nel novembre 1872 il deputato del GOI presso le logge sarde così descrive la situazione sassarese, mascherando con l’ottimismo per il futuro la delusione dell’oggi: «A Sassari qualche principio di affievolimento – ma è crisi passeggiera – e mercé le cure sollecite dell’Illustre Delegato e i rimedi che sarà per apprestare la Commissione a ciò nominata, la Loggia Goffredo Mameli e il suo sovrano Capitolo riprenderanno in breve quello stato di energia e di prosperità, che già li fece considerare prossimi a conseguire l’ambito onore di una Delegazione speciale».

La Rivista della Massoneria Italiana, nel suo fascicolo del 16 ottobre 1873, riferisce della sospensione, deliberata dal nuovo Gran Maestro Giuseppe Mazzoni, del Capitolo sassarese (unitamente alle logge Antro di Nettuno e Mariano IV d’Arborea, rispettivamente d’Alghero ed Oristano).

Nel 1874 cessano i riti della Goffredo Mameli, mentre in altri Orienti delle medesime Valli provinciali prendono l’avvio nuove esperienze latomistiche (così a Porto Torres, così a Ozieri, così con un nuovo piedilista ancora ad Alghero, fin giù verso Macomer).

E’ opinione diffusa che i liberi muratori ancora interessati a proseguire la loro pratica fraternale, preso atto della perdita di slancio della Goffredo Mameli, si rifugino nella nuova formazione di Porto Torres, la Domenico Alberto Azuni, da cui poi verrà l’Eroica Macopsissa di Macomer, oppure entrino nell’organico della rinata Leone di Caprera ozierese. Chissà. Purtroppo, allo stato, mancano i documenti a comprovare la bontà delle ipotesi. Peraltro si potrebbe guardare ai percorsi individuali, per capire se la militanza abbia avuto seguito, e quale, oppure no. Certo è che per personalità di prim’ordine, già abbondantemente studiate, come Gavino Soro Pirino, la nuova strada fu la vecchia: l’Apostolo che fu amico di Giuseppe Mazzini riprese alla grande la sua attività pubblica, di missionario del mazzinianesimo e della repubblica e nel 1876 lanciò nel dibattito civico – civile e politico, patriottico e democratico – la Società progressista…

Forse dal 1893, data di fondazione, o dopo, riprese il lavoro umanistico e civile della Libera Muratoria nel Tempio della Gio.Maria Angioy, di cui divenne anche il Venerabile, in sé materializzando così il ponte ideale fra la stagione della loggia apripista e quella della loggia che, insieme con la Sigismondo Arquer cagliaritana, avrebbe segnato più di ogni altra il massonismo della Sardegna otto-novecentesca..

 

 

 

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