Al cantiere della Repubblica con Pietro Mastino, di Gianfranco Murtas

con saggi di (1) Martino Salis (nella  FOTO qui sotto): «Mastino, un avvocato-super tra Nuoro e Roma».  (2) Giuliano Guida, Martino Salis, Andrea Soddu: «Il “signore della parola” a Montecitorio».


«Amici Sardisti, in un’ora fra le più difficili della vita italiana, in cui la Nazione lotta per risorgere dall’abisso in cui il fascismo e la sua guerra la precipitarono, noi siamo convenuti, dalle città e dai paesi di Sardegna, qui in Cagliari [...] per riaffermare le ragioni di esistenza del nostro Partito e ripetere il grido della nostra passione e della nostra fede: grido di fede e di passione di sardi, grido di fede e di passione di italiani». Così Pietro Mastino all’ottavo congresso sardista convocato nel capoluogo regionale domenica 4 maggio 1947, in costanza di Assemblea Costituente.

«Grido di fede e di passione di sardi, … di italiani». E se è noto l’ “italianismo” di Emilio Lussu, che di questa chiara e netta scelta di campo ideologico, da lui sostanziata di socialismo, ha ben fatto “missione educativa” della militanza dei Quattro mori, certo colpisce – perché taglia corto ad interessate letture sardocentriche del pensiero e dell’azione del top sardista degli anni 1943-46-48 – l’esplicita asserzione di lealismo nazionale in bocca a Mastino, il quale rappresenterebbe la vocazione “isolana” del PSd’A, sarebbe il gran sacerdote del mito della “piccola patria sarda”.

Lussu e Mastino sono stati eletti a Montecitorio con una messe di preferenze personali: 12.853 il primo, 15.934 il secondo. Il Partito era convinto di poterli accompagnare con almeno un terzo candidato, e doveva essere Luigi Battista Puggioni, pure lui in lista fuori ordine alfabetico. Consultore nazionale (nominato dal governo Parri in virtù del patto d’intesa fra PSd’A e Pd’A) egli ha cercato di dimettersi qualche mese più tardi, quando il Partito Sardo, spinto da Lussu, ha accettato che sul merito dello statuto d’autonomia speciale si pronunciasse la Costituente: ma quella nazionale e non quella sarda, sognata e mai esistita. Una capitolazione, a detta del leader sassarese. E comunque Puggioni è finito quinto, con 5.554 voti, alle spalle anche di Titino Melis e di Gonario Pinna, che di voti ne hanno raccolto rispettivamente 9.916 e 7.350.

Membri del cosiddetto Gruppo autonomista, Lussu e Mastino si dividono i compiti fra Commissione ed Aula: più attento alle questioni politiche generali ed all’impianto autonomistico della nuova Repubblica Lussu, maggiormente impegnato sui problemi riguardanti l’ordinamento della Giustizia Mastino.

I rapporti fra loro forse non sono i migliori: c’è colleganza, sembrerebbe non amicizia. Il tono della loro corrispondenza non rivela alcun feeling. Si chiamano e si firmano sempre col cognome. Lo stile asciutto fa pensare che lo scambio sia dovere d’ufficio più che personale esigenza di una verifica dell’uno con le idee ed esperienze dell’altro. È una pista indiziaria, questa, che dovrà essere battuta per la definizione della natura e della qualità del sodalizio.

Due esempi, entrambi dell’estate 1946. È Lussu a scrivere a Mastino che si trattiene a Nuoro. Così il 27 agosto: «Caro Mastino, siccome la conferenza di Parigi deve ancora concludere, non è possibile che l’Assemblea sia convocata presto. Saragat non è ancora rientrato. È mia impressione, riportata conversando un po’ con tutti, che può passare tutto settembre senza Assemblea Plenaria. È tutto un mese destinato al lavoro delle sottocommissioni. Mi pare quindi che puoi disporre del tuo tempo, come ritieni più utile: ciò non toglie che una corsa a Roma la puoi sempre fare, anche per due giorni, per riprendere i contatti.

«Ho parlato anche con Togliatti, che ha conferito con Gronchi a Parigi, compreso Molotov. Niente guerra: non la vuole nessuno, la guerra. E si insultano appunto come fanno al mio paese, quando due litigano a voce alta e non vogliono venire alle mani. Ma la situazione generale è molto confusa.

«Ho visto parecchi leaders socialisti: desiderano liberarsi dell’estrema sinistra filocomunista-fusionista che fa capo a Lizzadri. Ed è probabile che così finisca.

«Se ci saranno notizie extra, che non appaiono sui giornali, ti informerò. Saluta gli amici. Cordialmente tuo Lussu.

«PS. Se Melis è a Nuoro, fagli leggere la presente».

E il 4 settembre: «Caro Mastino, la comunicazione che la stampa ha riprodotto sulla convocazione dell’Assemblea in seduta plenaria è arrivata improvvisa da Parigi. Nessuno qui la prevedeva perché, infatti, che si discute mentre la conferenza è aperta? È un provvedimento serio, a Parigi per De Gasperi e Saragat.

«Ho parlato oggi con Terracini (Vice Pres.) e Cosentino (Segret.) i quali non ne sanno molto neppure loro. Pare che De Gasperi vorrebbe la seduta plenaria, breve, un giorno o due, per rafforzare l’autorità del governo di fronte alla conferenza. Pensano che sarà per la prossima settimana, ma esattamente quando non lo sanno. Saragat non è ancora rientrato.

«Comunque, mi terrò al corrente e, in caso d’urgenza, ti telefonerò. Cordialmente tuo Lussu.

«PS. Situazione generale, molto brutta».

Non mancano naturalmente le occasioni di lavoro comune. La presentazione di interrogazioni è la migliore e la più frequente fra esse. Eccone la sequenza, forse non esaustiva, includente anche quelle a firma dei singoli: di Lussu sul licenziamento degli operai reduci alla Manifattura Tabacchi di Cagliari (si otterrà l’invio di un ispettore ministeriale per l’accertamento de visu dei fatti denunciati); di Lussu e Mastino insieme circa la drammatica condizione degli agricoltori, drammaticamente provati dalla siccità e dalle cavallette, ed ancora sulla situazione dei trasporti marittimi Sardegna-continente; di Mastino sull’assurda disparità di trattamento fiscale in materia annonaria (nella regione si perseguono le più modeste evasioni alla normativa, sacrificando umili e bisognosi, mentre sulla piazza di Roma viene concesso il pubblico commercio da tutte le merci sottoposte a vincolo, si legittima cioè il mercato nero); nuovamente di Lussu e Mastino insieme sulla repressione poliziesca dei disordini provocati a Carbonia dai disoccupati, e quindi ancora su siccità e cavallette (risponde il ministro Segni); di Lussu sul disservizio postale nell’Isola; di Mastino circa la sorte delle officine militari di Nuoro (risponde il ministro Facchinetti); di Lussu e Mastino insieme sulle saline di Cagliari; di Mastino sulla linea aerea Cagliari-Roma-Cagliari; nuovamente di Lussu e Mastino insieme sui danni subiti dagli agricoltori nella passata stagione offesa da siccità e cavallette; e, per l’ennesima volta, sulle comunicazioni interne (linee pubbliche automobilistiche).

Nei miei anni nuoresi potei consultare molte carte dell’archivio Mastino custodito con intelletto d’amore e devozione civile dalla famiglia Salis-Offeddu, e Martino Salis – allora giovanissimo ed entusiasta militante della Federazione Giovanile Repubblicana – della memoria di quel suo illustre prozio serbava, nella distanza generazionale, un culto pieno e perfino commovente. Democratico e nuorese, mi verrebbe da dire ripensando alle lontane stagioni di Asproni, dei poeti della protesta sociale, delle punte avanzate dell’intelligenza politica, comprendendo nella categoria anche i Pinna – Pinna padre e Pinna figlio –, per arrivare ai Melis e agli altri con loro.

Chiesi ed ottenni, da Martino Salis allora quindicenne, per un libro ma quasi egli dovesse consegnare il suo tema al professore del liceo Asproni, un ritratto di Pietro Mastino così come a lui (ed a me) appariva compulsando le carte di quel remoto periodo della fabbrica della Repubblica.

Per i suoi stessi buoni uffici, aggregando egli appunto i suoi amici più fidati – fratelli poco più grandi di lui, Giuliano Guida e Andrea Soddu – ebbi quindi un altro contributo, raffinato addirittura, circa il lavoro di Mastino deputato costituente nell’aula di Montecitorio.

Pubblicai questi testi nella collana di “documenti e testimonianze” che nei primissimi anni ’90 esitai per testimoniare, documenti alla mano, quanto radicato fosse stato, nel sentimento prima ancora che nella cultura civile, lo spirito nazionale italiano nella dirigenza sardista così come nella base popolare del partito. Nella stagione difficile ma anche esaltante del seppellimento definitivo della dittatura e della nascita della Repubblica, secondo il sogno antico e profetico di Giuseppe Mazzini, di Carlo Cattaneo, direi anche di Giorgio Asproni e Giovanni Battista Tuveri, di Gavino Soro Pirino, di Pietro Paolo Siotto Elias… L’Italia vissuta da Mastino era, intimamente, quella stessa di Sebastiano Satta e Francesco Ciusa e Giampietro Chironi, così per le radici e le suggestioni dei grandi della letteratura e dell’arte e dello spettro intero della cultura – ispirazioni e produzioni . come per le finezze del diritto, quella stessa – se potessi osare un’incursione nello spirituale religioso – dei santi e delle sante barbaricine o baroniesi; l’Italia ancor più cara al cuore e alla coscienza dei democratici per la testimonianza civile e patriottica dei Giacobbe, dei Borrotzu e dei Mereu, di chi sacrificò anni e famiglia e professione e agi per gli ideali alti dell’antifascismo rimodellati negli impegnativi incroci culturali presenti in Giustizia e Libertà, fra repubblicanesimo, socialismo e liberalismo, spirito regionale aperto e figlio consapevole d’una storia complessa e larga certamente molto più dei nostri ventiquattromila chilometri quadrati.

Eccoli di seguito i vari contributi degli amici nuoresi.

 


Martino Salis: «Mastino, un avvocato-super tra Nuoro e Roma»

«Una mattina di domenica, in un teatro Verdi imbottito di gente, parlavano diversi bardi dell’antifascismo, molti autentici, qualcuno fasullo. Fra gli autentici, nel pubblico, una zucca pelata incorniciata di qualche ciuffetto candido, due occhiali che facevano paravento a uno sguardo un po’ trasognato su una personcina zoppicante e malferma. Era Camillo Bellieni, uno dei cervelli più acuti della storia sarda. A uno dei suddetti bardi, forse a qualcuno dei fasulli, il mite Bellieni a un certo punto ricacciò in gola non si sa bene (o non ricordo io) quale spacconata, alzandosi sulle gambe malferme, e gridando nel silenzio generale: “Evviva i carabinieri del re!”. Il cronista non ricorda se fu l’insigne inventore del buon sardismo ad andarsene da sé, o se furono i soliti zelantissimi neo antifascisti a volerne l’espulsione. So però – il cronista ero io – che per me giovincello e per quelli della mia generazione l’episodio fu un annuncio del gusto che avremmo dovuto prendere alla libertà di gridare anche contro coloro che per vent’anni erano stati costretti a star zitti».

Con questo gustoso particolare aneddotico – emblematico di una certa contingenza storica, ma pure degli eterni dinamismi delle alte coscienze e anche delle minori – inizia un articolo che Aldo Cesaraccio, allora cronista dell’Isola e successivamente caporedattore e direttore della Nuova Sardegna, dedicò, proprio sulla Nuova, il 20 marzo 1979 a Pietro Mastino.

Infatti, subito dopo quella di Bellieni, apre una nuova scena, avvertendo che il movimentato comizio poté riassumere «una linea di grande nobiltà e di cordiale compostezza quando prese la parola il più atteso degli oratori». Mastino appunto.

E scrive: «Lo avevo conosciuto molti anni prima, quand’ero cronista giudiziario. E mi era balzato subito, davanti alla fantasia oltre che davanti agli occhi, come un grande, grandissimo avvocato [...]. Quasi sempre difensore, spesso di cause disperate, ma anche talvolta freddo e lucido accusatore, quest’ometto dalla testa nuda, ancor vigoroso, che non chiamava mai “Eccellenza” il presidente della Corte d’assise, ma sfidava il rituale staraciano chiamandolo seccamente “Presidente”, e teneva sempre in testa il tocco come surrogato della cappelliera mancante, quest’avvocato che non apriva mai il “fascicolo” che aveva davanti a sé [...], ebbene, questo nuorese in toga che usava pochissimi aggettivi anche quando si trattava di sottrarre qualcuno alla pena di morte o all’ergastolo, era anche un politico di grande tacca.

«Quel giorno, nel comizio che condannò al silenzio Camillo Bellieni, me ne accorsi [...]. Dunque, qualunque cosa gli si mettesse fra le mani, si trattasse di difendere Matteotti o di fare la parte civile contro Mussolini, lui era sempre “l’avvocato”. Freddo anche qui, insensibile ai piagnistei che avevano coronato fino ad allora l’usata “perorazione” delle aule giudiziarie? No. A un certo punto a Mastino quel giorno si presentò la necessità di assumere la “difesa” di uno ancora forzatamente contumace, un “innocente”, un grande accusato, Emilio Lussu. Lo fece con una inattesa impennata poetica assolutamente da me giudicata “extra-stile mastiniano”, quando rievocò con splendido accento lirico una barchetta tra i flutti del Tirreno che portava all’esilio, in fuga, una delle vittime della dittatura che come lui aveva lottato per la libertà e per la Sardegna, e il pubblico proruppe in un immenso applauso, di quelli fatti con le lacrime agli occhi, degno di storia perché tanto e tanto diverso da quelli oceanici dietro regia cui ci stavano abituando certe rinnovate “adunate” di “massa”.

«Questo indomito barbaricino togato, dunque, era avvocato in tutto. Lo fu anche quando, di malavoglia e con malgarbo, entrò nel governo Parri. Ma poi si stufò, perché là dentro non gli facevano fare l’avvocato. Badate: non è una mia impressione; me lo disse in tutte le lettere, la prima volta che venne in redazione e gliene chiesi…». Dalla politica all’amministrazione, scrive Cesaraccio, Mastino è sempre “l’avvocato”.

«In condizioni di difficoltà pubblica, a quanto so, accettò soltanto di tornare alla politica quando con esemplare votazione fu chiamato a fare il sindaco della sua città. Lo avvicinai, allora, alcune volte. Non era affatto contento, ma era ugualmente un leone quando da sindaco doveva fare l’avvocato, si capisce l’avvocato di Nuoro, come lo era stato di tutta la Sardegna nel tempo della giovinezza della nostra isola, quella seguita al massacro della prima guerra mondiale. Poi anche quella parentesi della vita pubblica finì.

«Si racchiudevano in lui, allora, cinquant’anni buoni di autentica storia sarda, specialmente quella più drammatica rappresentata dalla sua sterminata clientela. Gli chiesi un giorno di accettarmi come amanuense disposto a raccogliere sotto dettatura (era un autentico purista nel viluppo sintattico) le sue memorie. “Come politico dovrei parlar male di troppa gente e forse anche di qualcuno che mi fu amico; come avvocato ho rispetto per i miei clienti” e non ci fu verso di fargli dire di più».

Mastino avvocato e Mastino politico. Chi è nato e cresciuto a Nuoro nel mito (e nella casa stessa) di Pietro Mastino può parlarne insieme con confidenza e con timore: confidenza per la consuetudine ormai di letture e di conversazioni su di lui, mai conosciuto – a motivo dell’anagrafe – di persona, ma rifrugato nelle collezioni sparse dei giornali (Il Solco soprattutto) e nell’autentica messe di documenti minutati a mano, ancora in gran parte da schedare (e dattilografare per una più intelligibile consultazione) secondo i tradizionali principi tematici e cronologici, nonché nei racconti di chi lo ha frequentato assiduamente (fra gli altri, forse privilegiato come discepolo, Peppino Puligheddu); e, insieme, timore per la robustezza di una personalità che difficilmente può essere illustrata in poche battute che inevitabilmente si fermerebbero all’aneddotica, certo emblematica ma pure, forse, banale.

* * *

Mastino può essere collocato nella specie estinta dei “maestri” italiani della prima metà del secolo, con una iniziale militanza nei movimenti democratici degli anni intorno alla prima guerra mondiale (con la sequenza liberismo antiprotezionista/meridionalismo regionalista), ed una successiva nell’opposizione politica al regime imperante e prepotente. «… Fu capo riconosciuto del fronte unico antifascista di questa zona, sottoscrittore per le onoranze a Matteotti…», scrive una volta il console comandante la 178.a Legione della Milizia al questore di Nuoro, mentre in un rapporto dell’OVRA datato 1933 – al numero uno dell’elenco dei «più noti» esponenti di un preteso largo fronte di «acidi» e «vili» che «abusano delle loro amicizie e della onestà di certi fascisti tiepidi [...] per sfogare nelle conversazioni quotidiane, nelle famiglie e crocchi, sempre che possano, tutto il loro livore contro il fascismo» è segnalato ancora lui: «Avv. Pietro Mastino, che fu capo riconosciuto del fronte unico antifascista di questa zona ed oggi ne è il capo spirituale per quanto per la moderazione e la prudenza che ha sempre dimostrata possa sembrare del tutto estraneo alla attività politica».

C’è – raccontato da Elettrio Corda nella sua Storia di Nuoro – anche un episodio non meno significativo, accaduto immediatamente prima della “segnalazione” dell’OVRA, che ben rappresenta l’uomo e i suoi due migliori colleghi del foro nuorese: Oggiano e Pinna. Nessuno di loro tre prende la parola quando, durante un’udienza civile, il pubblico ministero ed il presidente del Tribunale commemorano la morte del duca di Genova. Silenzio. Si può parlare anche col silenzio…

Non passa molto tempo che i tre avvocati “silenziosi” vengono sottoposti a procedimento disciplinare con temporanea sospensione dall’Ordine professionale e degradazione – nei ranghi di complemento – da tenente… a soldato semplice (Oggiano perde anche la pensione, risarcimento delle gravi e perpetue menomazioni subite in guerra).

Così Mastino spiegherà il suo agire: «Quale la causa? Non è certamente da trovare nel comportamento del sottoscritto, poiché, per una serie di ragioni [...] che si possono riassumere nella condizione che gli è stata fatta, ed in cui viene tenuto dal 1924 in poi, nessuno in Nuoro poteva ritenere che gli spettasse di parlare, e per conseguenza sorprendersi del suo silenzio. Il sottoscritto fu dal novembre 1927 diffidato a non occuparsi di politica, segnalato ai vari uffici di Questura sempre che parta da Nuoro, regolarmente pedinato quando si reca in Continente.

«Tutto è notorio, e se egli, in tali condizioni, avesse creduto di dover intervenire nella commemorazione, mentre non fu mai neanche, come ufficiale in congedo, invitato ad una cerimonia ufficiale, ad esempio alla commemorazione della celebrazione della Vittoria, avrebbe certo destato molta sorpresa e rappresentato in certo senso una nota inopportuna».

Eletto deputato a 36 anni, nel 1919, per la lista dei combattenti, e confermato alla Camera – dopo la costituzione del PSd’A – nel 1921, con 14.817 preferenze, e nel 1924, con 7.106 (ma la competizione è stata semimanomessa dal fascismo), è fra i parlamentari aventiniani. In Parlamento è per circa tre anni collega di gruppo di Lussu.

Accostare la sua figura a quella di Lussu significa accostare due personalità che hanno in comune soprattutto la Sardegna vista come oggetto di meditazione e come interlocutrice, quasi si tratti di una persona (Mastino, poi, ama la comunicazione come valore e senso del vivere). Quelli iniziali tra i due leader sono rapporti di grande amicizia e di intesa per il raggiungimento degli obiettivi sardisti, attraverso una lotta alla quale entrambi dedicano tutte le loro forze intellettuali.

Negli anni del primo fascismo (fino cioè al 1925-26) Lussu frequenterà assiduamente Nuoro e il suo punto di riferimento fisico privilegiato è proprio la casa del suo autorevolissimo collega e compagno, dove all’incirca mensilmente si tengono le riunioni degli oppositori. L’amicizia personale si combina perfettamente con la solidarietà ideale e di partito. (Di riunioni in casa Mastino – questa però di appena due giorni dopo la “marcia su Roma” – ce n’è una particolarmente interessante, appendice del congresso sardista, il terzo, svoltosi a Nuoro sotto la presidenza, appunto, di Mastino, e che si conclude con l’elezione di Luigi Oggiano a nuovo direttore regionale del partito. All’ordine del giorno dell’assise – e anche della successiva riunione “domestica” – i rapporti fra PSd’A e fascismo. Tutti, anche quelli che vestiranno presto la camicia nera, si dichiarano “oppositori”. Qualcuno ipotizza di combattere il fascismo… occupando Cagliari, qualcun altro di dividere l’isola in quattro distretti da affidare ad un dirigente sardista pronto alla lotta anche armata…).

Mastino è nel collegio di difesa di Lussu dopo l’uccisione del giovane Battista Porrà, nell’ottobre 1926. È noto che Lussu sconterà, per circa un anno, carcere preventivo a Buoncammino, prima del confino a Lipari, da cui fuggirà, dopo circa due anni, con Rosselli e Nitti. Di questo periodo (marzo 1928) è la lettera che sua madre invierà al duce per chiedere la grazia. Un’azione che egli non gradirà tanto da scrivere all’avvocato Luigi Calabresi: «Il contegno dei miei amici politici (compreso Mastino, compreso tu ed altri) è stato, negli ultimi tempi, troppo remissivo e accomodante. Accomodante non per calcoli personali, opportunisti, ma per compiere il miracolo di potermi essere utili. A ciò si aggiunga il contegno cretino dei miei parenti…». Anche in questo comportamento, che Lussu – di altra formazione e di altro carattere – non apprezza, c’è il Mastino avvocato, realista, misurato, esperto navigatore nel mare del possibile.

La ripresa dell’azione politica, dopo la caduta di Mussolini, vede Lussu e Mastino – pur all’interno dello stesso partito e pur confermandosi l’un l’altro stima, rispetto e anche affetto – su fronti opposti. A dividerli è il socialismo.

Nonostante queste divergenze di vedute, nel 1943 – quando Lussu propone di unire il Partito Sardo con il Partito d’Azione, Mastino (ed il suo gruppo con lui) aderisce con entusiasmo, perché crede che questa unione possa portare un utile alla Sardegna; tuttavia, con molta “furbizia” e comunque con abile tatticismo politico – nonostante abbia aderito al Partito d’Azione – non prende mai la tessera del partito “italiano”, tenendo in tasca sempre e solo quella del PSd’A. Afferma che lui, restando sardista, aderisce al Partito d’Azione. Punto e basta.

Così nel 1945 – quando Lussu diventa ministro dell’Assistenza post-bellica in esclusiva rappresentanza del Partito d’Azione – si sottolineerà che Mastino assume il sottosegretariato al Tesoro in rappresentanza del Partito Sardo.

L’incarico governativo di Lussu e Mastino suscita molto entusiasmo tra la popolazione isolana, poiché si vede nei due leader la legittima e migliore proiezione della Sardegna politica in Italia. Ne è dimostrazione la messe di lettere (centinaia) giunte a Nuoro, dove oltre agli auguri di rito vengono espressi anche suggerimenti e consigli per la concreta risoluzione della “questione sarda”.

Ma la parentesi ministeriale di Mastino si chiuderà presto, data la difficoltà di combinare l’incarico politico con il proprio vero mestiere, ch’egli sente come la sua prima pelle: il mestiere di avvocato.

Lussu impone due crisi parallele al Partito Italiano ed a quello Sardo. La sua visione politica si radicalizza in senso socialista, discostandosi da quella di quasi tutti gli altri dirigenti sardisti (compreso Mastino), e tutti li unisce in una delle sue battute crudeli e semplificatrici, in uno dei momenti di più acuta tensione con il suo partito: «Il PSd’A è la clientela dell’onorevole Pietro Mastino a Nuoro: cinquemila assoluzione in Corte d’Assise in quarant’anni di professione. È la clientela, più modesta, dell’ottimo Luigi Oggiano. È la clientela di Puligheddu. È la clientela di Piero Soggiu nella città di Arborea. È la clientela di Anselmo Contu, che a Lanusei splende come un faro su tutta l’Ogliastra. Ed è la clientela della famiglia Melis, che da sola vale quattro buoni avvocati… Il Partito Sardo d’Azione potrebbe tenere comodamente le sue riunioni in una sala del Palazzo di giustizia». (È curioso: a Mastino l’accusa d’esser… avvocato era stata rivolta, un quarto di secolo avanti, il 27 febbraio 1924 per la precisione, anche dal quotidiano dei “fasciomori” cagliaritani Il Giornale di Sardegna: «l’ape regina della scheda, dai mille compari di battesimo»).

Lussu afferma l’equazione “sardismo uguale socialismo” mentre Mastino – e gli altri con lui – afferma esattamente il contrario: il Partito Sardo si propone il miglioramento e l’elevazione del popolo nelle sue categorie contadine, operaie, pastorali, ed è per questo che ha avuto notevoli affermazioni di consenso popolare, ma il suo “socialismo” non è quello dottrinario e canonico. Del resto, anche nel 1919, quando sorse il PSd’A, il PSI esisteva già da quasi trent’anni ed era anzi nel suo maggior rigoglio. Se il Partito Sardo avesse avuto lo stesso programma o si fosse ispirato agli stessi principi, non si sarebbe pensato a fondarlo, poiché sarebbe bastato a quelli di fede socialista iscriversi ad esso.

Quanto Mastino dice sul rapporto tra sardismo e socialismo ha un grande valore politico ed è univocamente interpretabile: egli fa capire che il PSd’A non attraversa alcuna crisi d’identità, in quanto, appunto, il suo programma di fondazione rimane attualissimo e coincide sì per certi aspetti (ma con chiari e particolari limiti) con quello del PSI, però è sostanzialmente diverso: i principi d’autonomia presenti nel PSd’A – e cioè la riflessione politico-istituzionale e la volontà di lotta per la riforma dello Stato in senso regionalista o federalista – non sono condivisi, né sono sentiti come prioritari e dirimenti dal socialismo italiano.

In un articolo dell’agosto 1948 uscito sul Solco a proposito di “Sardismo e Socialismo” (così il titolo), contestando l’obiettivo di apparentamento del Partito Sardo col Partito Socialista Italiano (in cui Lussu è confluito coi resti del Partito d’Azione), Mastino scrive fra l’altro: «Perché dunque il Partito Sardo dovrebbe scomparire? Ha forse raggiunto gli scopi che si proponeva?

«La Sardegna rappresenta sempre, nel coro delle altre regioni italiane, l’infanzia abbandonata; basti dire che i suoi figli, poiché le vie dell’emigrazione sono chiuse e l’arruolamento nel corpo degli agenti di custodia, od in quello della P.S., non può accoglierli tutti, vivono sulla malaria, traverso cioè la benefica azione dell’ERLAAS. Non per questo però il Partito Sardo ha un programma separatista, o pensa di isolarsi politicamente [...]. Né deve scomparire solo perché la battaglia è dura e la meta lontana».

E conclude citando Guido Dorso: «Anche se una intiera generazione dovesse esaurirsi nell’agitazione di questo problema secolare, in maniera da riuscire ad imporlo all’attenzione di tutti gli italiani, e potesse, nel suo declinare, assistere ad un trionfo soltanto ideale perché effettuato dalla generazione seguente, avrebbe sempre bene meritato dalla Patria, sacrificando le fortune personali al grande compito d’immettere finalmente il Mezzogiorno nella lotta politica italiana». Parola di Dorso. E parola di Mastino.

 

Giuliano Guida, Martino Salis, Andrea Soddu: «Il “signore della parola” a Montecitorio»

La Costituzione della Repubblica, in vigore dal 1° gennaio 1948 e da troppi oggi considerata obsoleta e superata, fu elaborata in un fervente clima di rinnovato impegno politico da un’Assemblea nella quale sedettero personalità di prezioso spessore politico, culturale e sociale.

La Sardegna, Nuoro in particolare, contribuì con i suoi uomini migliori: da Antonio Segni a Salvatore Mannironi e Francesco Murgia, da Emilio Lussu sino a lui, Pietro Mastino.

Pietro Mastino, il finissimo avvocato nuorese che già fu deputato al Parlamento nel 1919, 1921, 1924 e scissionista aventiniano, venne eletto all’Assemblea Costituente a larghissima maggioranza nel 1946.

Alta e differenziata, come alto e differenziato era il livello della cultura sua, fu l’opera di Pietro Mastino nel palazzo di Montecitorio.

Nell’approntare con minuziosa attenzione sfumature e virgole della Carta Costituzionale Mastino rivelava la complessa stratificazione del sicuro ingegno della anima nuorese della più bell’acqua.

Nel ricordo che di Lui diede Giuseppe Sanna (La Nuova Sardegna, 24 agosto 1970) si celebra l’eleganza assoluta e massima dell’uomo colmo di letteratura, si rimpiange il «signore della parola», lo squisito gusto di chi seppe concepire la dolce fusione di pratica politica e incontrovertibile onestà.

Mastino fu uomo attentissimo all’equilibrio dei poteri della nuova Repubblica, alla quale dedicò con veemenza la sua opera.

Nel discorso pronunciato dinanzi all’Assemblea Costituente il 6 novembre 1947 egli riconobbe l’insostituibile ruolo del sistema giudiziario, dalla cui bontà si evince il grado di civiltà di una nazione.

Persuaso che la Costituzione avesse ruolo primario ma non esclusivo nei quadro delle fonti dirittuali, Mastino auspicava una precisa regolamentazione degli argomenti specifici nei codici di procedura e di diritto.

Nel suo aleggiare sul dettato, da gran conoscitore dell’universo giuridico, si oppose alla enunciazione di principi quali il diritto di ricorso in Cassazione e l’esecutorietà di sentenze definitive; soprattutto però emendò con successo l’art. 94 del progetto, suggerendo l’eliminazione del riferimento alla coscienza dei magistrati giacché presupposto di indole morale da non includersi in una raccolta di princìpi giuridici.

Avversò la dipendenza della pubblica accusa dal potere esecutivo commendata da Leone sancendo, con l’emendamento 99 bis, la totale indipendenza del giudice dal vincolo gerarchico. Il magistrato è funzionario nobile e degno cui in virtù di ciò deve essere garantita un’indipendenza economica che lo salvaguardi dalle troppe tentazioni di chi sia «tra mille difficoltà» finanziarie.

Altro emendamento di Mastino fu volto alla tutela del giudice con la concessione dell’immunità, con procedimento analogo a quello riservato ai parlamentari. Contrario alla magistratura elettiva egli si oppose anche, qui purtroppo senza successo, alla nomina per scelta politica di parte del Consiglio Superiore della Magistratura, come atto contrario alla già sancita indipendenza magistratuale.

Propose l’abolizione di tribunali speciali e argomentò con saggia e inavversabile logica giuridica la necessità di una Cassazione unica, in conformità al principio della certezza del diritto per una eguale, uniforme e stabile interpretazione della legge.

La sua aristocrazia intellettuale lo portò poi a scagliarsi contro la diretta partecipazione del popolo ai collegi giudicanti. L’ immissione di cittadini pur probi, tra i giudici togati rispecchierebbe, per Mastino «un’infiltrazione di tendenze demagogiche», giacché l’espressione della volontà popolare nell’ amministrazione della giustizia sarebbe già compiuta nell’informare le leggi all’attualità della vita del paese, nell’adeguarle alle mutate condizioni oggettive, nel vivificare l’intero corpus legislativo.

Particolare attenzione dedicò poi al problema delle competenze delle Assise e dei Tribunali, alla ricerca di un criterio di migliore e più funzionale amministrazione. Propose all’ Assemblea come criterio discriminante la competenza, la natura dei reati più che il criterio quantitativo delle pene stesse: ancora una volta l’illustre avvocato concesse possibilità di appello a chi fosse incorso nelle maglie della Giustizia.

La vis polemica del penalista-costituente affrontò ogni argomento sull’ordinamento giudiziario come emblema della maturità della nazione, perché «è giusto che la giustizia porti la sua luce benefica indistintamente verso tutti ed in tutte le regioni».

La tornata del 24 ottobre 1947 vide Mastino muovere i rilievi sulla procedura per la messa in stato di accusa del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri stessi per reati commessi nell’esercizio della loro funzione, da attuarsi, a suo parere, da una sola delle due assemblee legislative.

La seduta dell’Assemblea Costituente del 2 dicembre 1947 lo portò invece a tutelare e difendere la collaborazione delle regioni in seno alla Corte Costituzionale.

Espresse poi parere favorevole alla possibilità del privato cittadino di eccepire questioni di incostituzionalità come motivo di fusione del singolo alle istituzioni.

Il pregevole contributo di Mastino al dettato costituzionale si esplicò anche e soprattutto in riferimento all’ordinamento regionalistico dello Stato: esperto regionalista egli intervenne nella seduta del 4 dicembre 1947 per la normativa oggi esposta negli artt. 126 e 132 cost. in relazione allo scioglimento dei consigli regionali e alla formazione di nuove regioni.

Chiese quindi che il diritto del cittadino alla difesa dagli abusi di potere venisse ampliato dal dovere delle tutele dell’ordinamento vigente, riuscendo così formulato: «Il cittadino ha il diritto e il dovere di difendere le libertà fondamentali, i diritti garantiti dalla Costituzione e l’ordinamento dello Stato».

Strenuo sostenitore dell’autonomia regionale, osteggiava l’indipendenza statuale, sempre fermamente convinto che solo con una vera autonomia la regione Sarda avrebbe potuto risolvere la complessa specificità dei suoi problemi.

A chiunque ritenesse l’Autonomia lesiva dell’Unità d’Italia e pericolosa per la coesione del popolo Mastino obiettava che è proprio l’accentramento a minare i sentimenti di dignità e libertà della nazione, proprio «quell’accentramento che fa sì che il governo centrale emani leggi che riguardano regioni lontane, leggi che rimangono inapplicate perché non seguite da un adeguato stanziamento di fondi; quell’accentramento per cui il Parlamento non ha modo di conoscere i diversi problemi e se li conosce non ha tempo sufficiente per occuparsi di tutti. Vi è una scala di priorità, nell’esaminare e nel valutare i problemi, ed è in questa scala che rimarranno per ultimi proprio quelli che riguardano le regioni povere, le regioni misere. Questi sono i vantaggi dell’accentramento. Contro questo accentramento intendiamo insorgere, non contro l’unità».

Egli sostenne anche la necessità di una riforma agraria; non tuttavia una riforma uguale per tutte le regioni che non tenesse conto delle specificità: una riforma siffatta non farebbe il vantaggio della regione né della nazione né delle classi che invece dovrebbero rimanerne avvantaggiate.

La parentesi di Mastino costituente non deve però essere considerata di maggior rilievo della sua lunga carriera di avvocato, legislatore e intemerato antifascista.

L’opera e l’impegno di Pietro Mastino presso l’Assemblea Costituente induce alla riflessione giacché egli in quella Assemblea credette con vivissima speranza: nei suoi discorsi però non smise mai di essere avvocato, l’avvocato dei Sardi che si esprimeva con un linguaggio dotto e popolare insieme, affascinando e nelle aule di giustizia e nei palazzi romani.

Per ognuno di questi motivi Pietro Mastino non deve né potrà essere dimenticato; certi che il suo lavoro, la linearità logica del pensiero, il fascino sorgivo della sua arte dialettica ispiri, foscolianamente, “a egregie cose”.

 

 

 

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