Uno sceriffo per il Far Web. Regolare la rete è ormai indispensabile. Ma non basta a salvare la democrazia, di Gianni Riotta


 

Qualche giorno fa il pioniere del web Tim Berners-Lee, in un’intervista a Luca Fraioli su Repubblica, lamentava lo stato presente di Internet: trolls, disinformazione, strapotere delle piattaforme social, odio, monopolio degli algoritmi. Il dibattito che ne è seguito ha citato il cicaleccio petulante dei siti, la bolla cieca in cui ciascuno di noi discute (o discuterebbe, i pareri sono tutt’altro che concordi con la paura precoce di Nicholas Carr Internet ci rende stupidi?, editore Cortina) solo con i propri simili. Lo scrittore Baricco ha ribadito la sua sfiducia luddista nella invece fiorente cultura digitale, lo studioso Morozov, di solito fosco critico della rete «capitalista», si è per una volta smarcato parlando di web «specchio» dei nostri disagi, non motore.

In realtà l’obiezione radicale da muovere al leggendario Berners-Lee è il vecchio consiglio che i saggi davano – e talora ancora danno – agli animosi adolescenti: «Il miglior modo di procurarsi delusioni nella vita è credere alle proprie, fasulle, illusioni».

Lo sconforto che pullula in troppe analisi sulla cultura digitale è spesso solo frutto della disarmante vacuità teorica con cui la storica rivoluzione web è stata affrontata, nell’accademia e sui media. «Il web pacifista», «il web democratico», «il web dove tutti hanno diritto il parola», il web che, secondo una celebre intervista del fondatore dei 5 Stelle Gianroberto Casaleggio al Corriere della Sera, avrebbe permesso la democrazia diretta, affondando l’establishment politico, è, nel giro di pochi anni, diventato l’odioso strumento dei troll di Putin che diffondono disinformazione da San Pietroburgo, gli strumenti di controllo sociale che i cinesi fanno sperimentare agli uomini forti in Africa e America Latina. Google, Facebook, Twitter, che ai tempi dell’effimera primavera araba assurgevano ad arma popolare contro i regimi, sono ora disprezzate come i marchi di energia e tabacco un tempo.

Siete sorpresi? Solo se dimenticate come tanti, entusiasti in buona fede o spacciatori interessati di propaganda, che il web non era affatto nato per diffondere democrazia, cultura, ciambelle macrobiotiche e pace nel mondo. Era nato dai fondi Arpanet del Pentagono, il ministero della Difesa Usa, rete militare concepita da ambiziosi ingegneri, come Vannevar Bush nel seminale saggio del 1945 As we may think, o tecnologi-filosofi come Shannon e Wiener (a questo proposito andrebbe tradotto il saggio storico di Tomas Rid Rise oJ the machine). L’era digitale è figlia della guerra, non della pace, di ristretti seminari informatici, dell’industria, non di smanettoni bonari in garage. La perduta stagione dell’oro online, che Berners-Lee lamenta, non è mai esistita.

In questa dilagante confusione, che infiniti danni induce in politica, economia e cultura, arriva dunque tempestivo il pamphlet di Christian Rocca Chiudete Internet. Una modesta proposta (Marsilio, pp. 144, € 12). Rocca, inviato del Foglio, direttore del supplemento IL al Sole-24 ore, editorialista della Stampa, è stato tra i primi – pochissimi e irrisi dalle grandi firme – giornalisti italiani a riconoscere nella rete il dna del XXI secolo. Non una «macchina per scrivere» o una «linotype» trasformata in computer e wi-fi, no, un modo diverso di pensare la realtà, viverla, concepire in essa pensieri e identità.

Rocca comprende quel che sfugge a tanti: non esiste una realtà virtuale» opposta alla «realtà reale», i tweet del presidente Trump pesano come un suo decreto di emergenza nazionale, gli algoritrni che decretano chi riceve il mutuo dalla banca, chi passa gli esami di ammissione a un corso universitario, quali malati hanno la precedenza in corsia sono solo una raccolta di opinioni, interessi, convenzioni umane, da rendere trasparenti e diversi, non opera di malefici robot di Intelligenza Artificiale.

«Diffidate … di chi… sminuisce la portata del cambiamento in corso o di chi denigra l’angoscia non solo di un’élite spazzata via … ma ora anche propria di molti dei pionieri della Rete, delusi … dall’ evoluzione della loro creatura» scrive Rocca niente affatto «deluso” dal web, anzi ancora, giustamente, persuaso che abbia “cambiato in meglio la nostra quotidianità«. Come Jacopo Iacoboni, autore di Lesperimento, Rocca vede l’Italia 5 Stelle pervasa da un «algoritrno antidemocratico», e, al tempo di Trump, Putin e Xi Jinping, osserva come la radicalità della politica web sembri favorire populisti e leader autoritari contro tolleranza e dialogo. Il suo saggio si conclude con la proposta di intervento pubblico con “regole nuove, fiscali industriali … anche un algoritmo dell’interesse pubblico e una Costituzione o una Dichiarazione  universale dei diritti digitali”.

Regolare il web, anche con l’antitrust contro le piattaforme, come proposto dalla senatrice Usa Warren, è ormai indispensabile, secondo Rocca. Il tema è maturo ma, al tempo stesso, ostico, come l’Europa ha scoperto stilando i regolamenti Gdpr sulla privacy. Norme su disinformazione o copyrigh sono difficilei da applicare nel mondo, con i cittadini che barattano dati con servizi mentre i regimi impongono il loro controllo informatico, magari con la copertura di spie camuffate da paladini della libertà, vedi Snowden nascosto dagli avvocati Kgb a Mosca.

La crisi delle democrazie, le bugie del Cremlino, l’egemonia cinese non sono state indotte nel XXI secolo dal web che le anime belle considerano panacea dei mali, ma il web le rivela nella loro aspra crudezza. Poiché non potremo “chiudere Internet” e le regole, pur necessarie, non basteranno, il tema strategico dopo l’appassionata arringa di Christian Rocca è: come far prevalere interessi e narrative democratiche online?

Il corriere della sera, 15 marzo 2019

 

Condividi su:

    Comments are closed.