CHENABURA PRO SU TEMPUS BENIDORE – FRIDAY FOR FUTURE – LA SARDEGNA NELLO SCIOPERO MONDIALE DEL 15 MARZO di Federico Francioni
Una data che passerà alla storia – La sfida – Una grande speranza per tutti noi – Unicità e insostituibilità dei luoghi – Il possibile ritorno della peste – La “sarda intemperie” è stata definitivamente sconfitta? – Altre minacce incombenti – Abbiamo bisogno di un New Deal globale partecipato e di uno che sia espressione diretta della società sarda.
Una data che passerà alla storia. Venerdì 15 marzo 2019 passerà alla storia come la giornata dello sciopero mondiale promosso in tutto il mondo dagli studenti contro i cambiamenti climatici ed i collassi ambientali. Certo, dei precedenti non erano mancati, a partire da lotte e istanze di sciopero delineate dalle organizzazioni sindacali contro le multinazionali e per le caratteristiche ormai assunte l’8 marzo dalla giornata delle donne. Ma questo 15 marzo indica una svolta che potrebbe condurci verso un effettivo sciopero generale mondiale di giovani e adulti, la prospettiva per cui lottare con il fine di dare un segnale chiaro a potenti interessi: fino all’ultimo, questi vorranno imporre la logica dei combustibili fossili, i risultati nefasti di una economia cosiddetta lineare, prometeica, in grado di sfruttare, anzi, di stuprare la Terra. Dobbiamo avere piena consapevolezza che ci aspetta una lotta di lunga lena, da condurre inflessibilmente con il metodo della non-violenza – come ci ha insegnato Gandhi – e seguendo specialmente il magistero di Papa Francesco e della sua enciclica Laudato si’.
In questo quadro, la Sardegna, terra martoriata dall’inquinamento, dovrà essere in prima fila, da protagonista.
La sfida. Giovanni Atzeni, di 18 anni circa, sassarese, è stato insignito nel febbraio del 2018 dal presidente Sergio Mattarella del titolo di “alfiere della Repubblica” per aver piantato in Sardegna, nell’arco di sei anni, oltre 400 alberi. Il suo obiettivo è piantarne molti, molti di più! Atzeni è uno dei tanti adolescenti, giovanissimi e giovani che stanno dando una lezione esemplare al mondo, mobilitandosi dappertutto contro i cambiamenti climatici, il degrado ambientale, per la salvezza di donne e uomini, specie animali e vegetali, sempre più minacciate da catastrofi epocali. Un movimento che si può definire davvero grandioso, se si pensa alla coraggiosa sfida lanciata dalle nuove generazioni verso scetticismi, negazionismi interessati, inerzie, connivenze e responsabilità di ogni risma.
Una grande speranza per tutti noi. Simbolo di un’attività che contribuisce a ridare speranza a tutti noi è indubbiamente la quindicenne svedese Greta Thunberg che a Stoccolma sosta ogni venerdì di fronte al Parlamento ed ha partecipato al summit Cop 24 di Katowice, in Polonia. Ma insieme ad Atzeni e Thunberg si potrebbero citare nomi e cognomi di tante ragazze e ragazzi che, dall’Occidente al Terzo Mondo, con grande consapevolezza, per niente condizionati dai paradigmi dominanti e dalle grancasse mediatiche, sono seriamente intenzionati a proseguire nella loro epica battaglia contro le alterazioni climatiche, meteorologiche ed ambientali.
Unicità e insostituibilità dei luoghi. Lo sciopero del 15 marzo segna una svolta che riguarda la Terra e, allo stesso tempo, ogni suo territorio, sede non solo di biodiversità, ma anche di patrimoni geostorici artistici, culturali e linguistici che costituiscono una ricchezza insostituibile per l’umanità. Filosofi, antropologi e sociologi, non certo sospettabili di essenzialismo e di fondamentalismo, hanno messo in risalto il carattere non intercambiabile, irripetibile, delle singole terre e dunque, in un certo senso, la loro sacralità. Nel 2017 l’Alta Corte dello Stato himalayano dello Uttarakhand, nell’Unione indiana, ha decretato che il fiume Gange, con il suo affluente Yamuna, venga equiparato ad una persona umana, con uguali diritti e responsabilità. Si possono citare analoghi, significativi provvedimenti che sono stati disposti in altri paesi. Insomma, la vita del Gange (e non solo) è sacra, così come sacra ed insostituibile è la vita di ogni donna e di ogni uomo.
Non ha senso parlare di inquinamento, in generale, se la denuncia non investe il Delta del Niger, area fra le più degradate del Pianeta, dove le popolazioni vengono martoriate dall’inquinamento, dagli incendi, dalle mafie, dalla presenza di Shell ed Eni; alti dirigenti del colosso italiano sono sotto processo per un caso di corruzione internazionale, legata al giacimento denominato Opl 245. Scarsissimo è stato lo spazio riservato a questa vicenda dai principali quotidiani italiani e da quelli sardi. Al riguardo risulta dunque di rilievo l’informatissimo volume di Claudio Gatti, Enigate (Paper First by “Il Fatto quotidiano”, Roma, 2018) che documenta anche gli incredibili intrallazzi e i tentativi di depistaggio posti in atto contro il consigliere Luigi Zingales, economista e docente nell’Università di Chicago, che chiedeva un minimo di correttezza e trasparenza ai vertici dell’Eni sulle iniziative dell’azienda non solo in Nigeria, ma anche in Algeria e in Congo. Eppure in Sardegna c’è ancora chi si illude che l’Eni possa dare “crescita”, “sviluppo” e concedere uno straccio di autonomia decisionale alla nostra disastrata isola.
Il possibile ritorno della peste. Nei ghiacci della Siberia potrebbero essere intrappolati i bacilli del vaiolo e della peste bubbonica: lo scioglimento per l’aumento delle temperature potrebbe determinare conseguenze devastanti. Pasteurella pestis è il parassita che normalmente infetta i roditori (il c. d. “ratto delle chiaviche”) e le loro pulci ed in seguito può invadere il corpo umano. Nell’antichità la peste decimò l’esercito ateniese durante le guerre del Peloponneso; nel Medioevo, a metà del Trecento e nei primi anni del secolo successivo, falcidiò le popolazioni sarde e stroncò il sogno dell’indipendenza coltivato dai giudici Mariano IV ed Eleonora d’Arborea, vittime illustri. Nel Seicento la pestilenza fece perdere a Sassari il primato demografico su Cagliari. La Sardegna, che concluse il secolo XVII con un saldo demografico pesantemente negativo, non fu comunque colpita dalla settecentesca peste di Marsiglia e da allora non ha più conosciuto un simile flagello. Tuttavia focolai di peste esistono ancora in alcune parti del globo. Nonostante la moria di tante persone, in Europa e nel mondo, dal Medioevo all’Età moderna, non era allora la vita in tutto il Pianeta ad essere minacciata, per quanto sia indispensabile ricordare che la Terra è stata attraversato da cinque processi di estinzione.
La “sarda intemperie” è stata definitivamente sconfitta? La nostra isola è stata qualificata per secoli come terra malarica per eccellenza. Si parlava comunemente di “sarda intemperie”. La zanzara anofele, si badi bene, non è stata eliminata. In base alla documentazione custodita a Washington, negli archivi della Rockfeller Foundation, si può affermare che nel secondo dopoguerra l’isola fu scelta come cavia: come ci ricordava anche e soprattutto il nostro carissimo e compianto Vincenzo Migaleddu – di cui avvertiamo acutamente la mancanza – esorbitante fu in ogni caso la quantità di DDT (diclorodifeniltricoloroetano) che fu sparsa nelle campagne isolane ed anche sulle case. Fino a non molti decenni fa sulle pareti degli edifici di Sassari (e non solo) si poteva leggere la data precisa dell’irrorazione.
Su queste politiche – e sull’uso forsennato di pesticidi – circostanziate denunce erano state formulate già nel 1962 dall’ambientalista Rachel Carson nella sua profetica opera Silent Spring (Primavera silenziosa), ma a più di cinquant’anni di distanza, questo libro rimane una opportunity lost, un’opportunità, una possibilità perduta, sprecata, come recita il sottotitolo di un saggio di Elizabeth Dobbins, docente di Scienze naturali nella Samford University (Usa), presente a Sassari nel 2017 per il Seminario internazionale “Perspectives on Environment, Social Justice and Mass-media” (ideato dal sassarese Luigi Manca, docente nella Benedictine University, presso Chicago, promosso dall’Ateneo sassarese, dalla Fondazione Sardinia e dall’Associazione sassarese di Filosofia e Scienza, che pubblica dal 2003 la rivista “Mathesis-Dialogo tra saperi”).
Tuttavia siamo ben lontani dal poterci proclamare con sicurezza esenti dal pericolo di un ritorno della malaria. Il riscaldamento climatico infatti può determinare condizioni più favorevoli alla riproduzione della zanzara anofele che vive nelle regioni più calde e che trasmette la malattia. Ad ogni grado in più nell’aumento della temperatura l’insetto può riprodursi 10 volte più rapidamente.
Altre minacce incombenti. Il permafrost del Mar glaciale artico contiene 1.800 miliardi di carbonio, più del doppio di quello che oggi è sospeso nell’atmosfera terrestre. Con lo scioglimento dei ghiacci, quel carbonio potrebbe evaporare sotto forma di metano, 34 volte più potente dell’anidride carbonica ai fini del riscaldamento globale.
In Alaska scienziati e ricercatori hanno scoperto tracce dell’influenza denominata spagnola che spense circa 100 milioni di persone, circa il 5% della popolazione mondiale: un numero di morti 6 volte superiore rispetto a quello causato dall’immane carneficina della Prima guerra mondiale in cui persero la vita quasi 14.000 sardi. La spagnola non fu che l’epilogo di devastazioni, privazioni, indigenze e crisi causate dal conflitto.
Nella giungla del Costarica, dove l’umidità supera il 90%, camminare all’aperto, quando la temperatura supera i 40 gradi, significa morire nel giro di poche ore. Nel Salvador, ¼ della popolazione maschile soffre di malattie renali croniche, probabilmente a causa della disidratazione che colpisce soprattutto i lavoratori nelle campagne. Karachi, in Pakistan, potrebbe diventare ben presto inabitabile per il caldo. Il Barhein oggi è uno dei paesi con le temperature più elevate del Pianeta, ma il caldo e l’umidità possono giocare brutti scherzi anche in Qatar (com’è emerso, fra l’altro, dal commento ad un articolo di Enrico Lobina, pubblicato sul sito della Fondazione Sardinia).
L’aumento della temperatura provoca il calo della produzione cerealicola proprio in quelle parti del mondo che, più di altre, riforniscono tutti noi. Ascende già a 800 milioni il numero complessivo di persone denutrite.
L’acidificazione degli oceani per l’assorbimento di carbonio ucciderà intere popolazioni di pesci, per non parlare dei rischi legati all’innalzamento del livello delle acque. Sono 600 milioni le persone che vivono a meno di 10 metri sopra il livello del mare.
Abbiamo bisogno di un New Deal globale partecipato e di uno che sia diretta espressione della società sarda. Ai movimenti che possono e devono svilupparsi sempre più impetuosamente – a partire dall’odierno sciopero mondiale degli adolescenti, dei giovanissimi e dei giovani – la Sardegna può, deve dare un suo decisivo contributo.
Stephen M. Gardiner, docente di Filosofia nella Washington University, ha da tempo proposto di istituire un’Assemblea costituente internazionale che affronti, in primo luogo, il problema della divaricazione fra il potere delle generazioni attualmente fornite di decisionalità e le nuove leve che corrono il rischio concreto di subire i danni maggiori di un Pianeta alterato.
Si è più volte parlato di inderogabilità di un New Deal globale incardinato, dal piano economico-produttivo a quello socioculturale, su una radicale riconversione in chiave ecocompatibile che, si badi bene, non è materia riguardante solo esperti, ambientalisti e formazioni politiche verdi, ma ognuno di noi: infatti, come ha egregiamente chiarito Naomi Klein, in Una rivoluzione ci salverà, è in gioco la vita, la sopravvivenza della specie umana sulla Terra.
La Sardegna può e deve partecipare, per il proprio vitale interesse, a questo grande sommovimento mondiale, elaborando dal basso un proprio New Deal che rappresenti un inequivocabile segnale di rottura con i combustibili fossili (metano e metanodotto compresi), con i monopoli, con i gruppi politici dirigenti della penisola e con i loro teracos; per dire basta all’inquinamento di Porto Torres, Ottana, aree minerarie dismesse, servitù militari caratterizzate dalla presenza di uranio ed altri veleni; per dare vita ad una economia circolare, ad un nuovo, originale laboratorio di agricoltura, pastorizia, turismo e piccola industria, tutto ciò verso cui la nostra isola può manifestare una naturale inclinazione e vocazione.
Pro sighire in custa carrela, antzis, in custu istradone mannu, diat èssere indispensàbile torrare a s’idea de un’Assemblea costituente natzionale sarda, resurtadu de moimentos cun capatzidade de partire dae su bàsciu, pro fraigare unu progetu de liberatzione, pro bessire dae una conditzione de incuinamentu e terachia: non bi la faghimus prus a li sustènnere.