La Sardegna e il governo Parri (1945), con Lussu all’Assistenza postbellica e Pietro Mastino al Tesoro con delega ai danni di guerra, di Gianfranco Murtas (nella foto)

 

In anni ormai lontani, quando più forti di oggi sembravano le pulsioni centrifughe di talune formazioni politiche che le declinavano in termini chi di devoluzione, chi di separatismo o indipendenza (federalista) – il che avveniva nel nord padano con i brindisi leghisti dell’acqua zampillante dal Monviso (e, da un certo governo Berlusconi, poi anche irridente al tricolore), ed avveniva in Sardegna con le bandiere dei quattro mori esposte al vento (e nel rilevante ricambio della militanza, anche per fatto generazionale, e però direi soprattutto per il coagulo di nuove suggestioni revanchiste e illusioni d’autosufficienza), credetti mio dovere di democratico prima ancora di studioso di storia politica orientare alcune ricerche sulla partecipazione del Partito Sardo alla “fabbrica della Repubblica”. Della Repubblica italiana, s’intende. Quella che venne (o sarebbe venuta) dal referendum del 1946 dopo i travagli della guerra, dopo i sacrifici inenarrabili dell’antifascismo e della guerra di liberazione, la morte di migliaia di patrioti “che ci credevano”.

In tale contesto venne naturalmente, nel quadro anche dell’esplorazione del rapporto fra sardismo ed azionismo, un certo approfondimento dell’opera legislativo/amministrativa tanto di Emilio Lussu quanto di Pietro Mastino, i due costituenti eletti il 2 giugno in una lista sardista e iscritti a Montecitorio nel gruppo cosiddetto autonomistico comprendente anche i sette deputati del Partito d’Azione – tutte personalità di altissimo livello e culturale e civile – ed il valdostano Bordon.

Un focus speciale lo riservai al governo Parri (precedente alla Costituente) ed alla relazione di questo con la nostra Isola e specificamente con le istanze politico-programmatiche del Partito Sardo d’Azione rappresentate in via ufficiale dalla sua dirigenza.

Fu un lavoro di ricaccio delle cronache di eventi, incontri, accordi, ed anche di discorsi, di pubblici interventi dei quali restava traccia sulla stampa in conversione antifascista in quel 1945 – da L’Isola affidata alla Concentrazione eptapartitica ed alla direzione quotidiana di Arnaldo Satta Branca (in attesa del rilancio de La Nuova Sardegna) a L’Unione Sarda, anch’essa a gestione CLN, a soprattutto Il Solco sardista. E naturalmente a quant’altro reperito in archivi soprattutto privati dei protagonisti di quella ormai remota stagione.

Nel cinquantenario della morte di Pietro Mastino mi è sembrato utile richiamare quelle pagine, stavolta anticipando uno studio più mirato al leader nuorese che spero di poter presentare nei prossimi giorni.

Eccellenze-non-eccellenze al governo

Dopo l’”astinenza” del secondo semestre dell’era Bonomi (un’astinenza condivisa dai socialisti), il Partito d’Azione torna al Governo con i suoi tre esponenti di maggior prestigio: Parri, Lussu e La Malfa. Ed al primo – al “comandante Maurizio” della guerra partigiana – tocca addirittura la presidenza. Una candidatura mediana tra quelle di Nenni e di De Gasperi, spinta da Leo Valiani, un altro dei capi azionisti e partigiani: leader del CLNAI (siamo a meno di due mesi dal 25 aprile e siamo in pieno “vento del Nord”). Una candidatura accettata con maggiore o minore convinzione dall’intera esarchia nazionale.

Un Ministero col liberale Brosio e con Pietro Nenni, socialista, come vice presidenti e competenti, rispettivamente, alla Consulta ed alla Costituente; con i democristiani De Gasperi agli Esteri, Jacini alla Guerra, Scelba alle Poste e telecomunicazioni – e Gronchi all’Industria e commercio; i comunisti Togliatti alla Giustizia, Scoccimarro alle Finanze e Gullo all’Agricoltura; i socialisti Romita ai Lavori Pubblici e Barbareschi al Lavoro e previdenza sociale; i liberali Soleri (poi Ricci) al Tesoro e Arangio Ruiz alla Pubblica Istruzione; i demolaburisti Cevolotto all’Aeronautica, Ruini alla Ricostruzione e Molè all’Alimentazione; l’ammiraglio De Courten alla Marina; e, appunto, gli azionisti Lussu e La Malfa rispettivamente all’Assistenza post-bellica ed ai Trasporti.

Nel programma dell’Esecutivo le iniziative della ricostruzione e la convocazione della Costituente sono i primi impegni. Naturalmente una costituente eletta a suffragio universale «maschile e femminile, diretto e segreto», preceduta comunque da un’assemblea consultiva – giusto la Consulta nazionale, organismo istituito già da alcuni mesi dal Governo Bonomi (con decreto che sarà modificato dal nuovo Ministero) ma non ancora convocato – che per intanto svolga la funzione di coadiuvare e controllare il Governo nella sua attività legislativa.

Altri punti del programma, sul versante politico-istituzionale: «ricostituzione delle amministrazioni comunali e provinciali» tramite comizi elettorali pienamente democratici ed «avviamento verso opportune autonomie regionali»; impiego dei CLN «quali organi consultivi dei prefetti e delle autorità locali»; riorganizzazione dell’«apparato per le sanzioni contro il fascismo» in vista di concludere la epurazione di amministratori immischiati nelle buie trame del regime; riorganizzazione anche delle forze dell’ordine, in uno con «la fine di ogni superstite illegalismo» ed imposizione del «disarmo di tutti i cittadini».

E sul piano della ricostruzione sociale ed economica: contro «ogni possibile riaffermazione di posizioni monopolistiche minacciose per lo Stato e per l’interesse collettivo» ed a favore di un «controllo delle aziende da parte delle varie categorie dei loro dipendenti» al fine primario di non turbare «la capacità produttiva del paese» (comunque in coerenza con il sistema di mercato).

Ancora: restauro della «funzionalità all’attrezzamento e degli scambi e della produzione», stabilità monetaria, gradualismo nell’«assestamento del bilancio dello Stato», recuperi fiscali, lavori pubblici in funzione di difesa dei livelli occupativi, approvvigionamenti che contino sulla comprensione degli alleati.

In sostanza: «Lavoro, disciplina, responsabilità sono le condizioni della nostra resurrezione», sostiene Parri nelle sue dichiarazioni programmatiche rese pubbliche dall’Italia Libera del 27 giugno (1).

Il ministero Parri e le urgenze isolane

Il riguardo che la stampa isolana continua a mostrare verso gli uomini del Partito d’Azione – un riguardo ed una simpatia che non sono veicolati unicamente dalla presenza, nella dirigenza azionista, di un corregionale come Lussu – sembra intensificarsi e prendere nuovo alimento proprio dalla costituzione del nuovo Ministero dell’Italia finalmente tutta libera.

L’ iter che le forze politiche riunite nel CLN centrale hanno seguito per la sua formazione è stato estremamente laborioso ed i giornali sardi – L’Isola soprattutto, meno condizionata dell’Unione Sarda dai patti concentrazionistici – hanno insistentemente sbuffato contro l’insopportabile partitocratismo che è sembrato affacciarsi. E significativo il commento del quotidiano sassarese: «Notevoli correnti dell’opinione pubblica da tempo si manifestano sempre più contrarie alla ulteriore ingerenza dei CLN nella direzione della politica nazionale: queste correnti avranno certo maggiore incremento e favore dal fatto che vi sono ristretti circoli politici e scuole ideologiche non aderenti alle reali effettive condizioni della Nazione che trascurano, nelle loro contese, il fatto che all’Italia occorre subito [...] un governo che abbia autorità e prestigio; un governo di affari, non però di ordinaria amministrazione, bensì di importanza vitale. Si tratta in altre parole di difendere presso le nazioni vincitrici la integrità dei confini metropolitani: di ottenere il loro concorso per ripristinare l’attività produttiva italiana, per riordinare l’economia e la moneta, per scongiurare lo spettro della fame e del disordine, ed ancora rieducare dirigenti e masse ad una forma democratica del costume politico, che non è data solo dalla libertà di discutere e propugnare opinioni discordanti, ma soprattutto deve dimostrare, con le opere, che ogni attività politica si propone come fine l’interesse della collettività e non già quello di singoli partiti» (2).

Ha poi confermato quest’avviso giusto alla vigilia della presentazione della lista dei ministri al luogotenente generale del Regno, denunciando l’esasperata «competizione dei partiti di massa, ansiosi di mettere mano sul timone dello Stato» e di vincere «la gara per la conquista dei posti di comando».

Quindi ha però aggiunto: «Nello sconforto creato dallo spettacolo della sterile competizione apparve quale speranza di un sistema nuovo la designazione di Ferruccio Parri. Il fascismo, per venti anni, ha imposto il silenzio sui nostri uomini migliori, e perciò per molti il nome di Parri potrà apparire nuovo. Tuttavia vi sono coloro che sanno quanto grande valore morale e politico rappresenta per l’Italia che deve risorgere un uomo come Ferruccio Parri.

«Egli offrì, fin dal 1922, una cieca devozione agli ideali di libertà e di giustizia, il sacrificio di se stesso. Venti anni di persecuzione poliziesca non hanno fiaccato la sua tempra di combattente nelle guerre e nella vita civile. Per questo il triste periodo dell’occupazione nazi-fascista lo trovò preparato all’azione di responsabilità e di comando. Ferruccio Parri non fu un partigiano ma fu il capo di un movimento che richiedeva disciplina di comando: egli si è trovato preparato spiritualmente e politicamente al compimento dell’opera di liberazione, come oggi è indubbiamente preparato all’opera di governo» (3).

Finalmente, il 21 giugno il giornale ha dato notizia del debutto del nuovo Esecutivo notando: «Il pubblico si chiederà forse, con qualche sorpresa, se fossero necessarie tante giornate per elaborare una nuova edizione del Governo esarchico. Noi non esprimiamo questo concetto critico perché confidiamo nella persona che è a capo del nuovo Ministero, sapendola in grado, per le sue alte qualità politiche e morali, di imporre nuova forma ed efficacia collettiva all’azione dei singoli ministeri, che, sotto la presidenza dell’on. Bonomi, appariva molto autonoma di fronte alla volontà coordinatrice del capo».

Ribadita l’antipatia per un meccanismo che sembra fatto apposta per esaltare i militanti obbedienti e per emarginare invece le personalità indipendenti (meccanismo solo in parte giustificato dalla «distruzione di tutta la impalcatura del sistema rappresentativo» operata dal fascismo) – L’Isola ha autoassegnato alla stampa il ruolo di canale di «tutte le necessità, le aspirazioni, i voti, le critiche ed, eventualmente, i biasimi» da indirizzare al potere, così concludendo: «Noi siamo certi che a questa attesa non verrà meno il profondo senso politico di Ferruccio Parri, che non è stato mai disgiunto da una grande devozione agli interessi nazionali. Ed è per questo che noi diamo al nuovo Ministero, ed in particolare al suo capo, un cordiale saluto fiducioso».

Di lato al breve editoriale ancora una volta così solidale col premier azionista, il quotidiano sassarese pubblica un lungo articolo di Michele Saba che di questo ricorda il cursus honorum – studi e impegno democratico prima nel giornalismo militante e quindi nella cospirazione politica – soffermandosi sulla esperienza maturata, nei primi anni ’20, nel gruppo redazionale di Volontà. Per concludere: «Parri, che parla poco, che assisteva alle riunioni fra amici chiuso e poco espansivo, dovrà parlare per tutti gli italiani e ricordare che i contadini attendono ancora. E anche gli altri cittadini» (4).

Così dal centro, come anche da destra (ma senza riserve questa volta c’è solo L’Ortobene) e da sinistra (Sardegna Socialista), la stampa isolana guarda, s’è detto, con evidente simpatia a questo nuovo Esecutivo di altissimo profilo politico, guidato da una delle personalità più prestigiose della risorta democrazia italiana. Una simpatia che è anche motivata dalla compartecipazione, come sottosegretari di Stato, di tre “capi”: oltre al sardista Mastino al Tesoro, il democristiano Segni all’Agricoltura ed il socialista Corsi alla Marina.

Di qualche interesse è il commento di quest’ultimo: «Il Governo testé costituitosi è innegabilmente la formazione più organica che il nostro infelice paese abbia espresso dopo il 25 luglio e il disastroso 8 settembre 1943 [...]. Ogni diversa opinione sulle funzioni e attribuzioni dei Comitati di Liberazione ha trovato un punto di definitiva conciliazione nella necessaria autorità dello Stato, la quale deve ugualmente prevalere su tutti e deve esplicarsi attraverso gli organi della Pubblica Amministrazione, la cui epurazione e il cui rinnovamento saranno accelerati [...].

«Nobilmente e seriamente – conclude Corsi – Ferruccio Parri, inaugurando un franco coraggioso parlare, privo degli abusati lenocini e della stucchevole retorica, ha parlato alla Nazione, suscitando negli animi ancora devastati e doloranti da mille sventure e da opposte passioni, il senso della responsabilità civica che forma, veramente e solamente, un popolo. Gli italiani degni di questo nome ascolteranno e seguiranno il richiamo espresso con voce fraterna da un uomo degno. Così salveranno se stessi e l’avvenire del Paese [...]. Il Governo non fa miracoli, ma coordina le energie dei cittadini. E i cittadini debbono sentire la gravità della situazione presente, i molti pericoli che ancora sussistono; debbono rifuggire dai miserabili egoismi, dalle querule richieste: debbono fare, secondo le proprie forze, tutto quello che possono, con animo e volontà solidaristici» (5).

E dal campo sardista? Merita partire dall’antefatto.

All’indomani del 25 aprile ed a ridosso della sollecitazione venuta dai rappresentanti del CLNAI al presidente Bonomi di dimissioni ed alle forze politiche riunite nel CLN centrale di formazione di un nuovo governo «veramente antifascista e rappresentativo delle più vive e sane correnti democratiche del paese», i così scrive Luigi Battista Puggioni ad Emilio Lussu: «Nella imminente revisione dell’indirizzo politico del paese oggi interamente libero pregoti assumere la piena rappresentanza delle aspirazioni del nostro partito esprimendo la volontà del popolo sardo per la sua autonomia in uno stato federale e la sua profonda fede repubblicana sempre animata dal grande spirito di Giuseppe Garibaldi che dallo scoglio di Caprera vigila sui destini della rinascente Italia. Viva l’Italia libera e repubblicana! Viva la Sardegna autonoma!» (6).

Commento redazionale del Solco: «Il nostro partito non poteva e non doveva essere assente, e nessuno poteva rappresentarlo meglio di Emilio Lussu che del nostro movimento ha vissuto tutte le vicende e conosce le aspirazioni più profonde.

«Nel nuovo governo democratico e antifascista la Sardegna dovrà essere rappresentata da uomini del nostro partito che costituisce il movimento politico più imponente dell’isola e raccoglie attorno a sé consensi vastissimi; gli interessi della regione, e ve ne sono di urgentissimi, potranno essere difesi solo da uomini che siano vincolati unicamente dall’amore per la loro terra senza subire le influenze e gli ordini delle direzioni centrali dei partiti nazionali. Questa volta staremo più che mai vigilanti, nell’attesa che la corrente autonomista trovi la sua giusta considerazione nella nuova politica nazionale [...].

«Malgrado l’istituzione della Consulta e l’ampliamento dei poteri dell’Alto Commissario, malgrado il proclamato autonomismo di tutti i partiti politici, continua il vecchio, abusato e fascistico sistema delle nomine dall’alto a funzioni importanti del nostro paese, senza la consultazione dei rappresentanti sardi, senza riguardo per i nostri interessi più vitali [...]. Ed allora è giusto che si cominci a far rappresentare la Sardegna da uomini legati unicamente alla Sardegna» (7).

Secondo momento dell’”antefatto”. È l’entusiastico grido di vittoria e di pace che il PSd’A lancia dopo la fine, in Europa, del macello bellico: «Sono i valori dello spirito che hanno trionfato, ché, senza di essi, vano sarebbe stato il gigantesco sforzo industriale che ha apprestato le armi per la vittoria», scrive Il Solco (è ancora evidente la mano di Puggioni) a metà maggio.

«Confessiamolo sinceramente e umilmente; noi non siamo fra i vincitori. I sacrifizi dei partigiani del Nord sono solamente serviti – prosegue il giornale sardista – a riscattare il nostro onore e ad aprirci la via della redenzione, a far comprendere al mondo che il popolo italiano ha ancora la forza e la volontà di rifarsi una vita di decoro [...]. Ma, forse, per tutto questo, i nostri inni per la vittoria hanno una nota di maggiore purezza. Da noi è lontano ogni sentimento di vanità e di orgoglio per il trionfo militare: il nostro animo non è oggi offuscato da passioni nazionalistiche, mentre ci sentiamo purificati dalle profonde pene vanamente sofferte per anni a favore di una causa che non era la nostra, dinanzi alle rovine che abbiamo accumulato con le nostre mani.

«Celebriamo la vittoria, perciò, con senso di universalità e di profonda umanità; e prepariamoci a conquistare, con tutte le nostre forze, quella pace che sarà veramente tale solo se sarà la pace di tutti [...]. Anche in noi si è destata l’ambizione degli uomini delle grandi metropoli, l’aspirazione alla libertà che ci faccia cittadini del mondo, il desiderio intenso per una giustizia sociale che dia al nostro popolo il benessere, la pace e la felicità.

«Grandi cose ci attendono se sapremo mantenere nel nostro animo la purezza di quest’ora solenne, se sapremo comprendere che il grande edifizio della pace fra i popoli ha bisogno anche de-la piccola pietra squadrata dalle mani laboriose dei sardi» (8).

È l’instancabile Puggioni ad assumersi l’incombenza di sensibilizzare il popolo sardista a favore del nuovo governo romano e del suo presidente. «Conosciamo la grandezza morale di Ferruccio Parri e, quale che possa essere il successo che arriderà al suo primo esperimento di governo, noi non dubitiamo che le nobili ed elevate parole da lui pronunziate all’indirizzo del Paese troveranno un’eco profonda nel cuore di tutti gli italiani onesti e pensosi delle sorti del loro paese», scrive sul Solco del 1° luglio.

«Abbiamo finalmente un nuovo Governo nel quale sono rappresentati i maggiori partiti politici con i migliori esponenti. È quanto di meglio si potesse fare in questo momento, quando la stragrande maggioranza del Paese non ha ancora chiaramente manifestato i propri orientamenti e le proprie preferenze», aggiunge il leader sardista precisando che anche il PSd’ A «è modestamente rappresentato, sia pure senza dirette responsabilità [...] perché non ci hanno assegnato che un sottosegretariato. Comunque, anche tale modesta attribuzione dimostra la posizione e la funzione del nostro partito nel campo nazionale».

Illustra quindi la figura del nuovo presidente del Consiglio e commentai l’«apprezzabile programma» da lui esposto «con chiarezza ed onestà» alla radio. «Ferruccio Parri, che per molti è un uomo nuovo, e lo è infatti come uomo di governo, per noi è un vecchio amico ed abbiamo tutte le ragioni per riporre in lui grande fiducia. Egli fu legato a noi ed ai nostri migliori esponenti fin da quando il movimento autonomista sardo era ancora chiuso nelle organizzazioni dei combattenti della prima guerra mondiale, e ricordiamo sempre con simpatia e gratitudine l’aiuto sostanziale che egli diede alla nostra organizzazione cooperativistica; è, come noi, un convinto fautore della urgente necessità della riforma dello Stato su basi autonomistiche, e ritiene che la resurrezione italiana non possa avvenire senza un totale riscatto del Mezzogiorno agricolo. Come noi egli vede la riforma agraria non in funzione di generiche teorie sociali, ma in stretto legame con le condizioni economiche e spirituali degli ambienti in cui dovrà operare. Ma soprattutto noi apprezziamo Ferruccio Parri perché possiede in grado eminente tutte quelle virtù umane di cui ha assoluta necessità, in quest’ora, il popolo italiano: semplicità e chiarezza di idee, onestà morale e intellettuale, ripugnanza per le ideologie e la partigianeria, assoluto spirito di sacrificio, refrattarietà a tutte le forme di demagogia».

E già nel gran comizio di sabato 25 giugno, in piazza Mazzini a Nuoro, queste stesse, press’a poco, sono state le parole di Joyce Lussu: «Il nuovo presidente del Consiglio Ferruccio Parri, del Partito d’Azione, organizzatore della resistenza partigiana nell’Italia settentrionale, è un autonomista, è un amico di Emilio Lussu e della Sardegna» (9).

Con il “comandante Maurizio” una antica solidarietà

Il consenso al Governo e al suo presidente è totale da parte del PSd’A. Così nelle riunioni ufficiali della dirigenza, nei pubblici comizi dei suoi maggiori esponenti, nelle pagine del Solco. L’assunzione di Pietro Mastino al Sottosegretariato al Tesoro – che prelude alla prossima designazione di Puggioni alla Consulta nazionale – è un ulteriore motivo di apprezzamento verso un ministero che può dare molto alla Sardegna.

Ecco la cronaca del “fidanzamento” (e quasi… matrimonio) fra PSd’A e Pd’A nel secondo semestre del 1945, nei mesi, appunto, della leadership del “comandante Maurizio”.

È ancora Macomer la capitale sardista. Giovedì 28 giugno il Direttorio del partito – presenti anche le delegate femminili Joyce Lussu, Margherita Bellieni e Graziella Giacobbe – si riunisce per assumere alcune importanti deliberazioni, fra le quali la nomina della delegazione che andrà in udienza al Viminale e della commissione di studio per lo statuto regionale («studio particolareggiato del concreto assetto che dovrà avere la regione autonoma nel futuro Stato federale nelle sue attività amministrative, economiche e finanziarie»).

Nel comunicato finale così si legge: «[II PSd'A] esprime quindi il più fraterno augurio all’amico on. Mastino, testé chiamato come sottosegretario al Ministero del Tesoro nel Gabinetto Parri. L’alto incarico è il riconoscimento delle alte doti di intelletto e di carattere di Pietro Mastino il quale, insieme con Emilio Lussu, è fra gli uomini più rappresentativi della nostra terra [...].

«Il Consesso invia quindi il proprio saluto al nuovo Governo presieduto da Ferruccio Pani ed al quale partecipano Emilio Lussu e Pietro Mastino, ed esprime la fiducia che il Governo saprà operare nell’interesse del Paese sulla base delle dichiarazioni del nuovo capo del Governo» (10).

Il 5 luglio si svolge a Roma l’incontro fra il presidente e la delegazione dei Quattro mori, che invierà successivamente un dettagliato pro-memoria di cui l’Esecutivo si servirà, fra agosto e settembre, per l’adozione di alcuni importanti provvedimenti finanziari a sostegno dell’economia isolana. Mai come in questa fase politica la Sardegna è stata presente al Governo centrale. E ciò – è evidente – lo si deve alla pressione di Lussu e del Partito d’Azione. Anche la nomina di Puggioni a consultore nazionale si pone, pertanto, come coerente episodio di una rivalutazione che, nella capitale, è stata decisa a favore del PSd’A.

«Siamo l’unico partito regionale ammesso alla Consulta e al Governo», scrive il 19 agosto il giornale sardista, spiegando che «Puggioni è stato designato per volontà espressa dal Partito, anche se per formalità procedurali tale designazione è dovuta avvenire attraverso il Partito d’Azione in base agli accordi esistenti» (11).

Mastino è il primo a congratularsi della nomina («Mentre Partito Sardo designandoti suo rappresentante Consulta Nazionale riafferma volontà autonomia Sardegna, ti giungano affettuosi miei voti et auguri»), seguito subito – a nome dell’intero PSd’A – dal neodirettore regionale Giovanni Battista Melis (subentrato come reggente il 15 giugno) (12); «Tua nomina Consulta Nazionale rappresentante Partito Sardo costituisce garanzia integrale difesa della volontà autonomistica della Sardegna nella preparazione della grande consultazione popolare per la Costituente, realizzatrice ideali comuni perseguiti con intransigente fervida fede» (13).

A festeggiare fra i molti altri – addirittura nell’antivigilia di Ferragosto! – sono gli iscritti alla sezione di Cagliari in una assemblea presieduta da Filiberto Farci e cui partecipa anche l’onorevole sottosegretario, il quale – nell’intervento introduttivo – tende a sottolineare la prioritaria esigenza dell’unità del Partito Sardo in un momento nel quale esso sta assumendo un ruolo nazionale: «perché le disquisizioni e le sottigliezze politiche sono il naturale complemento delle ore tranquille di un paese che viva nella prosperità della pace e dei traffici, intento a un sempre più grande e diffuso benessere; ma sono elementi ben gravi di debolezza e di inferiorità in queste terribili ore in cui il popolo sardo ha bisogno di ergersi compatto e deciso per rivendicare il suo pieno diritto all’autogoverno ed a quella giustizia sociale che deve essere il frutto del suo genio e della sua volontà» (14)

Ma il discorso più importante stavolta è quello di Bartolomeo Sotgiu, la cui parola – nel nuovo quadro politico – assume un’importanza tutta particolare, attesa la posizione “isolazionista” ch’egli ha assunto, or è passato giusto un anno, a Macomer, oppositore fra i più tenaci del patto col Partito d’Azione. Ora invece egli sostiene «la necessità di una collaborazione sui piano nazionale con un partito che ha reso possibile la partecipazione del Partito Sardo al Governo e alla Consulta Nazionale».

«Il Partito Sardo – afferma – è sempre stato indipendente, e lo è oggi più che mai: tale resterà nell’avvenire perché questa è la volontà di tutti i sardisti. Ne sono garanzia il deliberato del Congresso di Macomer che rivendica al Partito il diritto ed il dovere di rifiutare ogni collaborazione allorché siano in discussione gli interessi della Sardegna e possano questi interessi essere lesi; la presenza di uomini come Pietro Mastino e Luigi Battista Puggioni al Governo ed alla Consulta Nazionale; il giornale del Partito che è in mani sicure; il fatto incontestabile che a capo del Partito d’Azione in Italia è un sardista, Emilio Lussu, figlio prediletto della Sardegna, uomo sul quale si può contare in ogni ora ed in ogni evento a venire. Ne è infine suprema garanzia il deliberato del Congresso di Oristano, che impegna il Partito e lo stesso Emilio Lussu a rivendicare l’autonomia della Sardegna di fronte a qualunque organizzazione futura dello Stato italiano [...].

«E se per ottenere tutto questo, che è quello che noi tutti vogliamo e che Emilio Lussu vuole come noi e più di noi, occorre allearsi – aggiunge – con un partito nazionale, almeno sino alla dimostrazione che abbiamo voluto percorrere prima di ogni altra decisione tutte le vie pacifiche per ottenere dall’Italia quel che è nostro e che l’Italia non deve portarci via e per dare all’Italia quel che è giusto dare, perché intendiamo non estraniarci ma anzi legarci alla vita dell’Italia e di tutti i popoli, ebbene, questa alleanza, che rispetta e anzi dà risalto alla nostra individualità ed alla nostra indipendenza, occorre approvarla. Essa ci giova e non ci nuoce, perché la politica è dura realtà e vani sono gli infingimenti e le ostentazioni di verginità se si debbono poi risolvere in un isolamento sciocco e dannoso agli interessi della Sardegna, inviso soprattutto agli Alleati.

«Del resto, che cosa ci han detto tutti gli altri partiti, nessuno escluso? non avete ragione di esistere, scioglietevi e iscrivetevi da noi, all’insegna italiana! Che cosa ha invece detto Emilio Lussu: solo il Partito Sardo d’Azione ha diritto di esistenza in Sardegna, perché solo intende ed esprime i bisogni e le aspirazioni dei Sardi. Lo ha detto e vi si è attenuto. Tanto è vero che il Partito d’Azione in Sardegna riconoscendo la sua inutilità di fronte al Partito Sardo si è autoeliminato. Perché non lo hanno fatto anche altri partiti?

«Io – conclude Sotgiu – per ottenere quel che noi vogliamo per la Sardegna, non mi alleerei solo con il Partito d’Azione, ma, se fosse necessario, con qualunque partito. Però prima occorre dare le prove di sincerità di intenti e la certezza di perfetta identità di propositi che ci ha dato Emilio Lussu. Lasciamo quindi blaterare i nostri avversari e pensiamo piuttosto a dare presto saggio della nostra forza. Noi siamo e restiamo il Partito Sardo d’Azione, un partito che ha dato idee e uomini alla lotta antifascista, al sorgere di “Giustizia e Libertà”, allo stesso Partito d’Azione: un partito, il nostro, che è grande cosa se sapremo unirci al di sopra di ogni piccola questione di persone» (15).

Al congresso provinciale di Nuoro, che è del 15 e 16 settembre, fra i moltissimi altri emergono gli interventi di Gonario Pinna e di Giovanni Battista Melis. Tratte dall’ampio dibattito, ecco appena due battute, una di ciascuno degli oratori, solo per confermare la prossimità ideale e politica fra sardisti ed azionisti, e, contemporaneamente, quel ventaglio di sensibilità (e, quindi, di aspettative e di preoccupazioni) presenti nella dirigenza del PSd’A (16).

Pinna dice del federalismo, e non manca, ancora una volta, di condannare le tendenze centrifughe dei falsi regionalisti: «Ad un esame obiettivo, tali forze [politiche italiane] non appaiono decisamente determinate e determinanti: vi sono le correnti federalistiche del Partito d’Azione e del Partito Repubblicano, e potenzialmente quelle del movimento siciliano, che però dovrebbe liberarsi dalle sue chimeriche fissazioni separatiste e dalle sue nostalgie feudali…».

Melis valuta, invece, i limiti delle speranze del regionalismo coltivato dal suo partito: «È vero che nel Partito d’Azione vi sono correnti autonomiste e federaliste, rappresentate da Emilio Lussu, vessillifero, glorioso del nostro movimento. Ma non si può dire che esse si siano fissate definitivamente, perché vi intervengono fattori di vita nazionale che rappresentano un peso ed un pericolo per la nostra battaglia e contro cui prendiamo decisamente posizione». Realismo vuole…

Da un congresso “adulti” ad uno giovanile. Venerdì 5 ottobre – l’anno è sempre il 1945 –, ancora a Nuoro, si tiene l’assise provinciale degli juniores del PSd’A. Dibattito, anche questo, come sempre appassionato.

Sul fronte dell’intesa PSd’A-Pd’A merita una segnalazione particolare un passo dell’intervento di Marianna Bussalay, a gran voce sollecitato dall’assemblea che nutre un’autentica venerazione per l’”intellettuale autodidatta” di Orani, per la poetessa e migliore cantora del PSd’A («Viva sos Battor Moros / in issos est s’ispèra / in issos est s’isettu. / Viva sos Battor Moros / sa sarda bandera I comente est in pettus / est pura intro ‘e sos coros … », ha scritto nel 1923)(17).

La Bussalay si diffonde a spiegare la portata ideale e politica del liberal-socialismo, «propugnato in campo nazionale – dice – dal Partito d’Azione, che si ispira al quel movimento di Giustizia e Libertà, nelle cui file militarono i migliori uomini del Sardismo». E già il solo richiamo del fatto di cronaca indica un’opzione, una scelta di campo (18).

Opportuno flashback su Marianna Bussalay, la lussiana oltranzista che mai, però, per il “suo” Lussu avrebbe lasciato il PSd’A. E dell’estate 1944 – dei giorni, press’a poco, del congresso di Macomer – una lettera inviata a Mariangela Maccioni: «Sono in angoscia per la sorte di Lussu in questi giorni. Dirai a Graziella [Sechi Giacobbe] che io spero di non dover discutere con Lui, perché ho bisogno di rinvigorire la sacra fiamma alla sua fede e di seguirlo devotamente, in qualunque modificazione, in qualunque innovamento dal più ampio e moderno respiro; ma purché sia nel partito nostro, nel Partito Sardo, come “sardisti”, non in un partito “italiano” (nazionale), dove saremmo forse ancora “autonomisti”, ma non saremmo più “sardisti”, come tu hai ben detto! Perché militare in un partito “sardo” significa che v’era (oltre ad una necessità di riforme autonomiste dell’intero stato italiano) anche una “questione sarda” di fronte alla Penisola; una passione Sarda, una coscienza Sarda da formare, sia pur per un lontano futuro! E tutto questo crolla nell’ora forse fatidica? Troppo ero abituata ad identificare Lussu, “il Cuore fra i Sardi il più Sardo”, con la Sardegna e col Partito Sardo d’Azione.

«Non capite, amiche mie, che io vivo i giorni più neri della mia vita? Sapete dirmi se nella Concentrazione antifascista di Cagliari, Pintus e gli amici di Lussu abbiano preso posto nel Partito Sardo d’Azione o nel Partito Italiano d’Azione, che vedo entrambi rappresentati? Non oso quasi chiedere!» (19).

Il protagonismo di Luigi Battista Puggioni

Ancora Puggioni e la Consulta. Il leader sassarese interviene il 3 ottobre presentando, nella solenne aula di Montecitorio gremita di diverse centinaia di esponenti di tutte le forze politiche, il suo partito che «rivendica – dice – l’autonomia della regione sarda nel quadro dell’unità nazionale, poiché una vera democrazia non potrà essere realizzata se non si realizzerà un’organizzazione politica capace di fare aderire allo Stato tutti i cittadini italiani».

Afferma di volersi fare voce «del Partito Sardo d’Azione che è collegato al Partito d’Azione da un patto federale autonomista»: ed è questo un ribadire ufficialmente, un’altra volta ancora, la fonte della legittimazione nazionale di un partito regionale che la storia ha votato e continua ora a votare per il riscatto socioeconomico e politico della Sardegna.

Gli argomenti sono i soliti, soliti eppure sempre tutti attuali: il nodo dei nodi che è l’accentramento «soverchiamente burocratico» dell’Amministrazione, e quindi la finanza, e l’agricoltura, l’esigenza di una sfera di competenza giurisdizionale e legislativa… «Noi vogliamo riallacciarci allo Stato italiano non più obbedendo passivamente alle istruzioni che partano dal centro, ma collaborando attivamente con la nostra particolare fisionomia economica, con la nostra particolare genialità. Anche noi abbiamo qualche parola da dire alla civiltà italiana: anche noi abbiamo delle note originali, popolari, sane e feconde da sviluppare…», dichiara l’oratore che rileva come «al movimento autonomistico sardo si ispirano quelle delle altre regioni, che ricercano, attraverso l’autonomia, una maggiore libertà politica e la realizzazione di una migliore giustizia sociale».

La conclusione – sottolineata dagli applausi dell’assemblea (che attende di qui a pochi minuti l’intervento di Parri per la chiusura della sessione) e dai complimenti di adesione di Lussu e Mastino – è degna dell’uomo: «Non si inganni più nessuno che la Sardegna possa essere ancora domani l’isola querula lealmente ligia ad istituzioni monarchiche. La Sardegna oggi, nella sua quasi unanimità, crede nella repubblica, crede nelle istituzioni repubblicane e democratiche» (20).

C’è un commento di Mastino al discorso del suo ottimo compagno ed amico del quale apprezza il progetto autonomistico rappresentato «non come problema sardo o anche solo regionale, ma italiano e nazionale [...]. La regione è stata presentata nella sua forza, ricchezza e varietà naturali, contristata però, ora, ed isterilita da una specie di lenzuolo funebre: l’uniformità delle leggi [...]. Solo lo sviluppo e la vita autonoma delle regioni possono salvare l’Italia dandole una concreta ed effettiva unità, molto diversa dall’attuale, apparente e fittizia» (21).

Data una tale impostazione non sorprende che – proprio nello stesso numero del Solco che ospita il commento dell’on. Mastino – compaia una nota dedicata al separatismo siciliano appena colpito da tutta una serie di pesanti provvedimenti punitivi da parte del Governo: «Il nostro augurio più sincero è che i siciliani intendano come la via da seguire sia quella segnata dal Partito Sardo, il quale ha sempre inteso l’autonomia della nostra isola come una realizzazione da conseguire attraverso una profonda riforma dello Stato, che dovrà essere federale e repubblicano su basi federalistiche [...]. Il Partito Sardo segue tenacemente la propria via facendosi promotore e coordinatore di un grande movimento autonomista federalistico in tutto il Paese; segni molto chiari dimostrano che l’idea suscita consensi in tutte le regioni, e noi siamo convinti che, fra poco, anche la Sicilia sarà sul nostro piano politico» (22).

Nella seduta in cui Luigi Battista Puggioni è stato nominato consultore nazionale il Governo si è anche a lungo occupato della Sardegna. Agosto e settembre sono stati mesi finalmente di adesione del Ministero alle urgenti esigenze dell’Isola.

Dopo che il 21 agosto un summit interministeriale fra i titolari del Tesoro, dell’Agricoltura, dei Lavori Pubblici, dell’Alimentazione e l’intera delegazione governativa sarda – Lussu, Mastino, Segni e Corsi – ha messo a punto un pacchetto di provvidenze speciali per la regione, mercoledì 29 il Consiglio dei ministri delibera di accogliere «tutte le richieste della Consulta sarda, a suo tempo presentate al Consiglio stesso dall’Alto Commissario Pinna, tranne la richiesta del pane, problema che richiede una soluzione nazionale e non solamente regionale», dice Lussu ai giornalisti, al termine della seduta. Ed aggiunge: «I ministri facenti parte del Comitato costituito a suo tempo per lo studio delle richieste sarde si sono ad unanimità trovati in accordo nell’accettarle e presentarle per l’approvazione al Consiglio. Il ministro del Tesoro si è impegnato a stanziare un fondo di cento milioni per il potenziamento dell’agricoltura sarda e per annullare i temuti effetti dell’invasione delle cavallette» (23).

Esattamente una settimana più tardi, il 5 settembre, il Gabinetto approva il decreto recante nuove modifiche nella composizione della Consulta regionale (si va verso l’allargamento dell’assemblea) e del Comitato per la bonifica ed il miglioramento fondiario istituito presso l’Alto Commissariato.

Il ministro Romita, per parte sua, informa che – d’intesa con Lussu e il generale Pinna – ha già predisposto un programma per un miliardo di lavori nel settore delle opere pubbliche d’interesse degli enti locali. Il DLL 22 settembre 1945 n. 675, stanziante la somma globale di un miliardo e cento milioni a favore dell’Isola, uscirà sulla Gazzetta Ufficiale dell’8 novembre (24).

Ancora la Sardegna all’attenzione del Viminale. Per cercare una soluzione al complesso problema dei richiami alle armi di migliaia e migliaia di giovani isolani, a fine mese il presidente Parri ed il ministro della Guerra – presente di nuovo Lussu – ricevono l’Alto Commissario e una delegazione dei consultori sardi (25).

Sulla prima pagina del Solco è uscito da qualche settimana un corsivo: «I nostri giovani richiamati nella penisola sono inquadrati da ufficiali continentali che sono molto infastiditi con loro per aver risposto all’appello così numerosi, costringendoli a restare ancora sotto le armi. Esprimono apertamente il loro disprezzo chiamando i nostri soldati “firmaioli” per far credere che sono in servizio volontario e fare quindi apparire più avvilente il lavoro di ricostruzione a cui sono addetti od il servizio di polizia che sono costretti a prestare. Vigliacchi!

«Le cose sono giunte a tal punto che i soldati si sono ammutinati a Brindisi, chiedendo di essere comandati da ufficiali sardi. In conseguenza il Ministro della Guerra è stato costretto a richiedere al Comando della Divisione “Calabria” di stanza in Sardegna, l’invio di un certo numero di ufficiali sardi da sostituire a quelli continentali nel presidio di Brindisi.

«Il generale Macario, comandante della Divisione, ha passato la richiesta ai Comandi di Brigata, ed a questo punto fa capolino la vecchia mentalità militare. Il comandante del 40° Reggimento di Artiglieria di stanza a Sassari aveva disposto di far partire gli ufficiali giovani in S.P.E. che si trovano in Sardegna dalla loro nomina, dispensando quelli anziani di complemento, quelli con famiglia o che avevano già combattuto su diversi fronti di guerra. Ma il comandante della Brigata, generale Marchesi, non è di questa opinione. [...] ed ha disposto la partenza di alcuni ufficiali di complemento che avrebbero diritto al congedo, che hanno presentato domanda al Ministero e sono attualmente trattenuti per un atto di deferenza al colonnello in attesa dell’arrivo di altri ufficiali…» (26).

I rappresentanti del Governo informano ora che «nessuna disposizione speciale in materia di richiamo esiste per l’Isola, dove le relative operazioni, come del resto in altre regioni dell’Italia liberata, hanno dato i migliori risultati per lo slancio con cui la gioventù ha risposto all’appello della patria. Questo slancio è stato appieno apprezzato dal Governo che ha inteso anche corrispondervi con i provvedimenti di particolare favore disposti di recente per l’isola».

In relazione al «contributo della gioventù sarda all’esercito di liberazione», Parri e Jacini assicurano che «le autorità militari esamineranno con criteri di larghezza le domande di esoneri e di licenze agricole allo scopo di non privare la Sardegna delle braccia occorrenti per intensificare la produzione» (27).

Declina una speranza

Si avvicina la crisi politica. «Il desiderio di uno o più partiti di non presentarsi al giudizio degli elettori portando su di sé il fardello della responsabilità di partecipazione al governo» – come scrive L’Isola –induce all’interruzione della fruttuosa opera del Ministero.

«E bene [...] che l’opinione pubblica in un paese politicamente libero abbia tale peso ed importanza da costringere i singoli partiti a regolare, modificare ed adottare per effetto della sua pressione, i propri atteggiamenti politici»: è un altro passo dell’editoriale di Satta-Branca che attacca, sì indirettamente ma non diplomaticamente, il PLI. Ed aggiunge: «Non basta che le ragioni del dissenso esistano e che esse vengano messe sul tappeto nelle discussioni e nelle trattative fra i pochi iniziati delle conventicole romane: è necessario invece che la nazione tutta sia messa a giorno dei motivi che ispirarono l’attuale comportamento politico di un partito della coalizione, e che si trovino così in grado di formare ed esprimere, a ragion veduta, il proprio giudizio».

Sottolineato (ed auspicato) che «l’attuale mossa politica del partito liberale potrà essere severamente giudicata dall’opinione pubblica», conclude: «Noi non ravvisiamo né abbiamo comunque udito da alcuna parte elementi di critica sostanziale a carico dell’attuale governo. È certo che dopo la pubblicazione dei trattati di armistizio, dopo che gli italiani hanno avuto conoscenza dello stato di subordinazione e di limitazione di poteri nel quale qualunque ministero italiano si trova costretto, tutti convengono che al Governo in carica incombano questi compiti elementari ma difficilissimi: ottenere la sovranità su tutto il territorio nazionale e giungere ad un trattato di pace che elimini la umiliante situazione internazionale dell’Italia, assicurare pane e carbone per l’inverno, conseguire il minimo indispensabile di ripresa dell’economia nazionale» (28). Si tratta di problemi aperti che farebbero tremare le vene ai polsi di qualsiasi responsabile uomo di governo, tranne che ai liberali… Già Il Solco ha pubblicato in prima pagina le dichiarazioni di Parri sull’armistizio e la conseguente «forte limitazione della sovranità, tanto più forte quanto più – dice il presidente – ci avviciniamo alle elezioni, le quali non si possono fare bene se non in un paese che goda della sua piena libertà. Noi non possiamo congedare delle classi [...]; noi non siamo liberi per quello che riguarda il trattamento economico delle forze militari, per quello che riguarda il trattamento dei prigionieri che rimpatriano; noi non possiamo spostare secondo i nostri bisogni e le nostre vedute le unità militari da un luogo all’altro, noi non possiamo naturalmente smobilitare, noi non possiamo disporre dei mezzi militari, neanche di quelli che fabbrichiamo in Italia, nonché di quelli che abbiamo nei nostri magazzini; non possiamo armare le forze di polizia, che non sono convenientemente armate, se non col beneplacito degli Alleati [...]. Non possiamo aumentare ed armare i carabinieri, se non secondo i disegni degli Alleati [...]. Non si può aumentare la Guardia di Finanza [...]. C’è la difficoltà di costituire dei corpi di guardia che sarebbero necessari in questi tempi, [così le] forze ausiliarie, di equipaggiarle ed armarle; ci è proibita l’aviazione civile; ci è proibita perfino nella forma di volo a vela» (29).

Il capitolo Parri si chiude per volontà dei settori moderati che hanno nei liberali e nei democristiani i loro referenti politici. E su di essi – liberali e democristiani che si sono opposti ad un pubblico dibattito in seno alla Consulta nazionale, utile a chiarire le vere ragioni del dissenso – riversa i suoi strali polemici ancora una volta il direttore del Solco nell’editoriale del 2 dicembre (30).

Dopo aver composto un mosaico delle opinioni espresse dai maggiori osservatori internazionali sulle novità governative romane, scrive fra l’altro Puggioni: «Noi siamo per Ferruccio Parri che, onestamente e lealmente, vuol portare il popolo italiano alla Costituente libera e sovrana, e per un Governo di coalizione che eviti al paese una guerra civile, forse fatale, se diviso fra una destra reazionaria ed una sinistra rivoluzionaria, durante il periodo del freddo, della fame e delle nudità dell’inverno.

«Tutto questo non significa che noi approviamo incondizionatamente la politica del Governo [...]. Sul Governo Parri si sono accumulati tutti i gravissimi errori e le manchevolezze dei precedenti governi e dei partiti dell’esarchia, e agli antichi si sono aggiunti i nuovi malanni, mentre è andata sfumando la speranza di una rapida palingenesi. Fu gravissimo errore dei partiti di sinistra l’atteggiamento eccessivamente demagogico e la posa spesso autoritaria, la promessa di mete irraggiungibili nell’attuale stato di cose, la superficialità e la incompetenza nel trattare e nel tentare di risolvere problemi gravi e delicati, la ressa affannosa per la distribuzione delle cariche e dei posti di responsabilità, la precedenza data, con soverchia frequenza, agli interessi di partito su quelli del paese. Errori in cui caddero, del resto, in misura più o meno grande, tutti i partiti al potere.

«I governi succedutisi – prosegue Puggioni – si limitarono a rimuovere alcune grandi responsabili ed a far volare molti stracci, ma lasciarono in piedi quasi tutta l’impalcatura politica e amministrativa del fascismo, poiché ben poche furono le leggi abolite fra le 50mila che il fascismo aveva emanato [...]. Nulla poi fecero per eliminare o ridurre il male maggiore di cui soffriva e soffre lo Stato: l’elefantiasi burocratica.

«Con un’Italia ormai inefficiente, ridottasi in misura notevole in ogni sua possibilità, diminuita nelle sue funzioni politiche e amministrative, i quadri burocratici invece che diminuire sono aumentati, ai vecchi uffici se ne sono aggiunti dei nuovi, e su un bilancio sfiancato grava il fardello di milioni di inutili impiegati, mentre, per converso, il personale è sempre più insufficiente in settori delicati della pubblica amministrazione, quali quelli della giustizia e degli organi finanziari periferici. L’Italia vera fu ignorata da una nuova legislazione uniforme che paralizzò e disorganizzò molte sane iniziative. Il fascismo non fu, così, eliminato, non venne spento il suo spirito avvelenato [...]. In queste condizioni nessun governo poteva utilmente governare [...].

«Ma gli errori possono essere, debbono essere riparati, il Governo deve ricomporsi in unità [...]. Presupposto necessario è che noi dimostriamo di essere uniti nel proposito di costruire un regime democratico. Per noi sardisti la via è semplice e chiara. Noi aspiriamo alla democrazia, alla libertà e alla giustizia sociale, alla rinascita della nostra terra, alla conquista dell’autogoverno dell’Isola».

I sardisti salutano – con un editoriale del Solco che esce, ancora a firma del suo direttore, il 16 dicembre – un premier di cui lodano «altezza morale» e «rigido senso del dovere» come «silenzioso, costante rimprovero per tutti gli ambiziosi e gli egoisti che guardano alla vita politica come ad una fiera ove occorre procurarsi i posti migliori per meglio e più rapidamente godere». Un giudizio, questo, che si combina con quello di Thomas Healy, il corrispondente romano del New York Post, che Il Solco non a caso – nei giorni di vigilia della crisi – ha riportato: «buon senso, intelligenza, onestà alla parola data»; e ancora, significativo, questo passo: «Ha una voce dolce, molto gradevole, che non alza mai. Alla conferenza stampa ha parlato per 55 minuti senza interruzione, senza lasciarsi andare una sola volta in diatribe contro i suoi nemici politici e contro i capi delle Nazioni, che giornalmente insultano l’Italia e pretendono i suoi territori».

E infine, e vale per tutto il resto: «La situazione crea sempre l’uomo, e Parri è nato dal bisogno dell’Italia» (31)

Lealtà piena del PSd’A al presidente-professore. A lui ed al suo partito, benché mai, neppure per un istante, i sardisti cedano, o anche solo siano tentati di cedere al disegno dell’unificazione o dell’assorbimento delle loro strutture in quelle dell’affine partito nazionale.

Bisogna dire però che nell’Esecutivo unificato del Pd’A – unificato tra dirigenza del nord (Al, in sigla) e del centro-sud, dopo che il 25 aprile ha abbattuto ogni residua linea divisoria – è presente anche Pietro Mastino (32). Né questa può classificarsi come una partecipazione giustificata esclusivamente dall’attuale carica di sottosegretario ricoperta dall’anziano ex deputato nuorese, atteso che nessuno degli altri tre vice-ministri espressi dal Partito d’Azione – Ragghianti, Bruno e Rossi – figurano nel lungo elenco di 34 membri del supremo organismo politico azionista. Ma si sa: Mastino aderisce esplicitamente al partito della Spada fiammeggiante, pur non essendovi formalmente iscritto.

A proposito di tessere e di doppie tessere. In linea con l’orientamento emerso nell’ultimo congresso, domenica 4 novembre, a Macomer, il Direttorio regionale del PSd’A – riaffermata «la assoluta autonomia e indipendenza del Partito, che è e resterà fedele al suo programma e alle sue origini» – decide «di non consentire che alcun inscritto, ovunque residente, fatta eccezione unicamente per Emilio Lussu, possa appartenere a qualsiasi altro partito o movimento, sia pure affine. Tutti i sardisti devono essere impegnati soltanto per lo scopo ed i fini che il Partito si propone e che riguardano avanti tutto la difesa della libertà e degli interessi del popolo sardo» (33).

Il discorso sembra fatto apposta per Mario Berlinguer, per Francesco Fancello, per Stefano Siglienti, per Giuseppe Fantoni… Non per Joyce Lussu, che fra le due appartenenze ha scelto quella ai mori bendati!

Sui piano della politica istituzionale, peraltro, il Partito Sardo – che si è proclamato claris verbis federalista e niente meno di questo – si distingue da quello d’Azione, in cui «non può dirsi che il principio sia prevalente», benché sia accolto e sostenuto da «alcuni dei suoi dirigenti, tra i migliori» (34), come osserverà, riprendendo l’appunto di Melis a Nuoro, Puggioni.

I punti di riferimento, ad ogni modo, non sono smentiti. E Parri rimane un fortissimo credibilissimo referente. Fino al congresso azionista del febbraio 1946, quando – appiattendosi strumentalmente sulle posizioni di Lussu, da cui peraltro esso è irrimediabilmente separato sulla cruciale opzione socialista e classista – il PSd’A attacca tutti coloro che si oppongono alle tesi del leader: fra essi Parri, improvvisamente e sorprendentemente accusato con La Malfa di essere «contro le autonomie regionali».

Verrà poi un opportuno chiarimento dell’”imputato”, ma il commento che Il Solco farà seguire alla lettera dell’ex presidente del Consiglio serve di più a mortificare una personalità fino a due mesi prima osannata ed un rapporto che prometteva sviluppi fecondi. Ma qui è Pirandello, o forse meglio Kafka a poter spiegare…

Lussu ministro

Sono i centocinquanta giorni che coincidono con quelli destinati a trasformare il mondo. La firma della carta ONU a San Francisco, il 26 giugno; la conferenza di Postdam – terza della serie, dopo Teheran e Yalta – fra il 17 luglio ed il 2 agosto; gli episodi di Hiroshima e Nagasaki, il 6 ed il 9 agosto; ecc., segnano sul piano politico-diplomatico e su quello militare la conclusione della seconda “grande guerra” e l’inizio dell’era di pace seguendo i paradossali canoni della “guerra fredda”, della libanizzazione del pianeta.

Mentre a Norimberga il 20 novembre si avvia il megalavacro di un’intera contro-civiltà, ogni paese procede alla contabilizzazione dei lutti sofferti in sei anni di terrore: venti milioni in URSS, quindici milioni in Cina, sei milioni in Polonia (un quinto e passa della popolazione), cinque milioni in Germania, 1.800.000 in Giappone, 1.700.000 in Jugoslavia, più di 800.000 in Francia, oltre mezzo milione nel Commonwealth di sua maestà britannica… L’Italia, tra morti e feriti, conta 300.000 vittime. I totali, assolutamente allucinanti, sentenziano: 50 milioni i morti, 35 milioni i feriti, tre milioni i dispersi. E quanti – nel “dopo” – sono i senza-casa, quanti i senza-lavoro, quanti i bisognosi di cure assidue e forse perenni, quanti i giovani bisognosi di riprendere gli studi troppo presto interrotti? Quante le coscienze da risanare e le intelligenze da rimotivare, le personalità da ricostruire?

Dal patto di San Francisco al processo di Norimberga, esattamente da giugno a novembre – e in mezzo gli altri eventi epocali, la drammatica contabilità del “dopo” – si stendono angosciati e speranzosi i centocinquanta giorni del governo della “buona volontà” presieduto da Ferruccio Parri.

Due sardi nel Ministero Parri: Emilio Lussu, titolare dell’Assistenza post-bellica (risultante dall’accorpamento degli Alti Commissariati per i reduci, i prigionieri ed i profughi di guerra), e Pietro Mastino, con la competenza – all’interno del Tesoro – del risarcimento dei danni bellici. Due dicasteri, perciò, totalmente coinvolti nel dramma nazionale, e due uomini, sardi e sardisti – pur nella differente impostazione del credo autonomistico – che esprimono una matura consapevolezza nazionale, una sensibilità straordinaria verso il problema “numero uno” che è l’Italia tout court e non quello, ipoteticamente disgiunto dal problema italiano, della Sardegna quasi enclave nel Paese. No.

In linea col presidente, così propenso (e puntuale) al colloquio con la gente, diretto in piazza o in teatro, o mediato da giornali o dalla radio, anche i ministri concedono spesso – e più spesso ancora sollecitano – interviste alla stampa. Per dar conto all’opinione pubblica della concreta azione amministrativa svolta nel settore assegnato. Così, fra gli altri, Lussu.

Ecco appena qualcuno dei numerosissimi interventi dell’esponente sardista-azionista che ha allestito il suo dicastero nella sede dell’Associazione Nazionale Combattenti, cui è legato da un saldo rapporto che rimonta agli anni 1919-20.

Ai primi di luglio parla con un redattore del Globo, al quale, innanzitutto, spiega che «il nuovo Ministero per l’assistenza postbellica coordinerà l’opera di tutti gli organismi, enti ed associazioni che svolgono la loro opera a favore dei prigionieri di guerra, degli internati civili, dei profughi ed in genere di tutte le vittime della guerra, e lo farà senza tener conto di alcuna distinzione di provenienza, classe o partito».

E aggiunge: «Anche agli operai che si recarono in Germania e rientreranno domani in patria non dovrà essere lesinato l’aiuto perché essi vi si recarono non per simpatia per il Reich nazista, bensì per dura necessità di lavoro e di guadagno». Ma il Ministero non diventerà una megastruttura burocratica: esso «pur unificando tutti gli sforzi nel campo dell’assistenza, favorirà ogni attività in senso autonomistico e le iniziative locali. La sua opera di assistenza non si esplicherà solo con gli aiuti che sarà possibile fornire ai reduci al momento del ritorno in Italia, ma si svolgerà anche e soprattutto organizzando la loro reintegrazione nella vita produttiva del Paese. Questo è uno dei compiti fondamentali assunti dal nuovo Governo».

Lussu illustra quindi alcune iniziative che saranno prese per restituire i reduci al lavoro. Fra esse non mancherà l’attuazione di corsi tecnici, professionali e agrari e la creazione di colonie agricole. Un particolare incentivo sarà dato alle cooperative di produzione e di consumo.

Ma su quali finanziamenti contare? È una domanda che si pone lo stesso ministro, il quale, quantificando le esigenze, così risponde: «La Nazione deve compiere qualsiasi sforzo per venire incontro a questi suoi figli che ritornano, nella grande maggioranza, depressi nel morale, menomati nel fisico e preoccupati di non trovare lavoro e pane. Ancora oggi circa 1.200.000 prigionieri italiani sono dispersi un po’ in tutto il mondo. Il loro ritorno non è prossimo per mancanza di mezzi di trasporto. E vi sono ancora in Germania quasi 600.000 nostri connazionali che versano in una dolorosissima situazione [...]. Oltre ai miliardi per la ricostruzione, decine e decine saranno impiegati a favore dei reduci; e per quest’opera di umana solidarietà l’Italia dovrà essere capace di sopportare i più duri sacrifici» (35).

Qualche settimana più tardi è la volta dell’ANSA. I concetti espressi dal ministro come obiettivi primari dell’intervento governativo, tali da generare un “ritorno” alla stessa collettività, sono stavolta fondamentalmente due: 1)l’ assistenza ai reduci che rimpatriano e sono tempestivamente avviati al lavoro si traduce, nel medio periodo, in un investimento per l’Erario; 2) un’attenzione particolare occorre dare ai bimbi mutilati ed orfani ed agli studenti che rimpatriano: il tipo di assistenza da garantire a queste fasce di popolazione indifesa deve consistere essenzialmente nell’offerta dei mezzi per continuare, attraverso l’allestimento di corsi speciali, nella loro preparazione professionale in vista di un effettivo impiego nel mondo produttivo (36).

A settembre – a circa cento giorni dall’esordio – Lussu può tracciare già un primo bilancio. Finora il portafoglio del Ministero ha stanziato per l’assistenza quattro miliardi di lire. Si è speso per assicurare comunque dignitose condizioni di vita ai «reduci e internati che tornano ed ai partigiani» ancora in attesa di un lavoro. Il Governo sta puntando sui lavori pubblici come volano della ripresa occupativa ed è impegnato a favorire la costituzione di cooperative per la ricostruzione. Ciò anche se è da dare per scontato che presto riprenderanno i flussi migratori verso la Francia e l’America latina soprattutto, per il che sarà assolutamente necessaria «la comprensione degli alleati» (37). Con riferimento specifico alla nazione sorella – che si dispone ad accogliere immigranti italiani dopo aver ceduto prigionieri italiani – non mancherà, da parte di Lussu, l’esplicito riconoscimento al Governo francese che offre «non solo comprensione ma cordialità e gentilezza» (38).

Con il Ministero della P.I. l’Assistenza post-bellica sta perfezionando un accordo per la creazione, presso ogni ateneo «ove sia possibile», di «una casa dello studente dove gli universitari che hanno interrotto gli studi per la guerra possano vivere e studiare senza spese sino alla laurea, sotto la guida di insegnanti che sentono profondamente questo problema, e attraverso corsi intensivi con esami da tenere ogni volta che un gruppo risulti preparato». A coloro che, per le ristrettezze del numero dei posti disponibili, fosse preclusa l’ammissione alla casa, il Governo concederebbe delle borse di studio (39)

Intanto a fine mese viene inaugurata, presso l’istituto romano “San Michele”, la Casa dei reduci. Sono per adesso 1.200 posti, che diventeranno presto 2.000. Gli ospiti godranno anche di un servizio di trasporti (40).

Parentesi regionale. A settembre Lussu è in Sardegna insieme con Giuseppe Romita, titolare socialista del dicastero dei Lavori Pubblici. A Sassari, a Cagliari, ad Oristano i due ministri incontrano decine di rappresentanze associative, di delegazioni di partito, di autorità provinciali e comunali. A Cagliari, per esempio, il sindaco Pintus riesce a strappare ai due uomini di governo l’impegno al finanziamento di 120 milioni per l’esecuzione dei lavori presso l’acquedotto di Corongiu ed i serbatoi idrici, nonché per il completamento delle strade e delle fognature cittadine e per la costruzione di case per gli sfollati che rientrano (41).

L’intervento più importante che Lussu pronuncia nell’Isola in questi giorni è sicuramente quello di Sassari. Nel salone dello Sciuti, davanti a numerose rappresentanze delle associazioni di mutilati, combattenti, partigiani, dell’UDI, del CIF, dell’ECA, ecc., presenti fra gli altri Mario Berlinguer, Luigi Battista Puggioni, Salvatore Sale, Francesco Dore ed il sottosegretario democristiano Segni, il vice prefetto Pitzurra riferisce che dall’ottobre 1943 la provincia ha accolto ben 1.200 profughi civili dalla Corsica e che attualmente i profughi sul territorio sono 2.000, 3.100 i reduci e 4.300 i sinistrati. È una massa umana (cui partecipano anche centinaia di soldati smobilitati e di partigiani) che si trova in condizioni di vita veramente pietose: mancano, quasi tutti, di vestiario e di calzature, molti sono malati: tubercolotici, luetici, affetti da gravi disturbi intestinali (quelli che tornano dalla Germania) e da malattie tropicali e dalla malaria (i reduci dall’Africa). V’è penuria di medicinali e di locali adatti agli interventi curativi…

Risponde il ministro, precisando subito di aver disposto già da un mese l’invio di dieci milioni di lire alla Provincia, denaro che finora non è giunto a destinazione «per l’azione sabotatrice di una burocrazia ormai vecchia».

Premesso che le strutture di assistenza dipendenti dal prefetto non hanno ancora dato alcun apprezzabile risultato per una serie infinita di ragioni, egli spiega come punti a snellire l’organizzazione: «La situazione italiana è spaventosa. Si contano – informa – dai due ai quattro milioni di disoccupati. È necessario staccare le organizzazioni assistenziali dalle prefetture, soprattutto per liberare i prefetti – oggi oberati di incarichi – di una delle più faticose mansioni. Io ho deciso di creare in ogni regione e in ogni provincia un ufficio di assistenza post-bellica, con un comitato regionale e provinciale, con un rappresentante delle associazioni (mutilati e invalidi, combattenti, partigiani) e dell’ECA. Questo comitato è a sua volta affiancato da un comitato consultivo del quale fanno parte i rappresentanti delle associazioni e organizzazioni assistenziali minori. L’Ufficio provinciale è retto da un funzionario il quale dipende direttamente dal Ministero e deve esclusivamente occuparsi dell’assistenza. L’organizzazione di questi uffici, che sono sotto l’alta protezione del prefetto della provincia, è completamente autonoma. Il Ministero assegnerà tutti i fondi richiesti. Non sarà lesinato affatto per ciò che riguarda l’assistenza sanitaria ai reduci, ai profughi e ai sinistrati. Saranno aperte case di cura, sanatori, sifilocomi. Sarà requisito questo o quel locale, o quella villa, adattati per essere trasformati in sanatorio o casa di riposo».

Per gli studenti universitari «che tanto hanno sofferto dalla guerra» Lussu ripete di aver progettato l’attivazione di apposite case in cui essi «riceveranno vitto e alloggio gratuito sino al compimento degli studi. Saranno istituiti – aggiunge – corsi universitari accelerati al termine dei quali sarà concesso agli studenti di sostenere gli esami finali o di laurea, senza vincolo di data. Tutto questo, però, affinché non si verifichi il fenomeno dell’altra guerra, dopo la quale ci fu una invasione di professionisti incapaci e impreparati che avevano carpito alla buona fede dei professori lauree e diplomi».

Circa la condizione sanitaria dei reduci, che appare veramente allarmante («è stato accertato che i medici tedeschi avevano inoculato il germe della sifilide a un gran numero di internati a scopo scientifico»), il ministro dichiara che «è stato necessario creare dal nulla una completa organizzazione per la visita e l’accertamento radiologico dei casi di tubercolosi. Fra poco funzioneranno in tutta Italia ambulatori radiologici, presso i quali tutti i reduci saranno visitati e dai quali saranno immediatamente inviati nelle case di cura [...]. Tutti i cittadini debbono concorrere a questa grande opera di risanamento. Si tratta della salvezza di un’intera generazione. I bimbi mutilati, orfani o ammalati a causa della guerra saranno immediatamente raccolti e rieducati, curati e assistiti da una speciale organizzazione presso collegi e case di cura che si stanno celermente preparando».

Riguardo al vestiario ed alle calzature di cui è avvertito grandissimo il bisogno, riferisce essere appena arrivato dagli Stati Uniti un carico di alcune decine di migliaia di balle. Precisa che ciascun appartenente alle categorie “protette” dall’Assistenza postbellica riceverà «un paio di scarpe e un vestito, coperte e medicinali. Nei casi pietosi saranno concessi sussidi e contributi straordinari. Nessuno deve essere dimenticato, nessuno sarà abbandonato. Per ciò ho lasciato ai comitati la massima autonomia. L’assistenza dovrà essere piena, umana, fattiva. E soprattutto dovrà essere apolitica. Non si dovrà chiedere nulla al reduce o al sinistrato o al profugo. Essi sono eguali per noi, sono i nostri fratelli che soffrono e per i quali dovremo fare tutto quello che è possibile fare» (42).

Pochi giorni ancora e le nuove strutture di cui ha parlato il ministro iniziano a prendere corpo. Anche in Sardegna. A Cagliari, in applicazione del DLL 31 luglio 1945 n. 425 è aperto un ufficio regionale, con delegazioni nei tre capoluoghi di provincia. Ad essi, per il tramite delle rispettive organizzazioni, potranno rivolgersi ex partigiani, ex prigionieri di guerra, reduci, militari internati e deportati ora liberati e rimpatriati, nonché l’infinita schiera di sinistrati, e di vittime civili del conflitto (43).

Così per gli studenti. Prende il via la distribuzione delle provvidenze amministrativo-didattiche di competenza del Ministero della Pubblica Istruzione e dei singoli atenei, e quella di mero ordine materiale di spettanza dell’Assistenza post-bellica e delle Opere universitarie. Sono istituiti i primi corsi semestrali (da ottobre a marzo e da aprile a settembre), mentre il Senato accademico dell’Università di Cagliari propone l’estensione dei benefici già disposti a favore dei frequentatori dei corsi accelerati a coloro, sempre delle categorie “protette”, che preferiscano i corsi ordinari (44), e mentre a Sassari vengono aboliti gli sbarramenti dei bienni (ferme restando, naturalmente, le norme sulle precedenze degli esami). Sono aperte le prime case dello studente, le prime mense, iniziano ad essere deliberati i primi sussidi mensili (45).

Sono centinaia e centinaia i sardi che, provocando e soffrendo infiniti disagi a causa della calca, si affollano a Civitavecchia in vista di imbarcarsi alla volta dell’Isola. La penuria dei mezzi di trasporto e le limitate possibilità dello scalo laziale inducono l’onnipresente ed onniprevidente Ministero a disciplinare altrimenti e d’urgenza il movimento. Così si stabilisce di dirottare profughi e reduci dalla «prigionia, deportazione e internamento» al più capiente e meglio attrezzato porto di Napoli, ove sono disponibili anche mezzi offerti dalla Marina militare, e di riservare invece Civitavecchia alla partenza dei soli civili (46).

Ancora Sardegna, almeno come occasione di polemica e di puntualizzazione. C’è una bella lettera che il 30 ottobre il signor ministro Emilio Lussu indirizza a Luigi Barzini jr., direttore della Libera Stampa:

«Il suo pregiato giornale pubblica che il Ministero dell’Assistenza post-bellica ha nominato ispettrici per la Sardegna le signore Lussu e Siglienti, mogli rispettivamente del ministro Lussu e del dott. Siglienti, membri del Direttorio del Partito d’Azione.

«Questo Ministero assume, come ispettori per l’assistenza, funzionari di ruolo e avventizi, oppure delle persone di buona volontà che, gratuitamente, sono disposte ad offrire il loro tempo per andare incontro alle esigenze di assistenza dei nostri concittadini più colpiti dalla guerra. A quest’ultima categoria appartengono le signore Siglienti e Lussu, le quali, con tutte le altre signore del Madrinato e quelle del Comitato femminile dell’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci, non pesano sul bilancio per un solo centesimo, e pagano di tasca propria le spese che incontrano, persino quelle di viaggio.

«Se lei, signor Direttore, a mezzo del suo pregiato giornale, riuscisse a fornire all’opera assistenziale persone disposte a sacrificare le loro giornate a queste condizioni, il Ministero dell’Assistenza post-bellica gliene sarebbe vivamente riconoscente» (47).

Primi di novembre. Intervista al fiorentino Non mollare. «Bisogna che gli uffici che si occupano dell’assistenza siano vicini e in continuo contatto con le categorie da assistere», avverte il ministro, che prosegue: «Non basta per questo che siano decentrati. Nostro principio fondamentale è che siano i rappresentanti delle stesse categorie assistite, che si debbano occupare direttamente del lavoro da compiere. Non si possono appoggiare ai prefetti; i prefetti hanno troppo da fare, i contatti col Ministero prenderebbero troppo tempo. I commissari provinciali debbono tenersi direttamente in contatto con noi. Non si può fare aspettare oltre i limiti dello stretto necessario la gente che ha fame e che ha bisogno di tutto».

Lussu coglie l’occasione, quindi, per dare atto all’UNRRA della concreta comprensione manifestata verso le esigenze delle popolazioni italiane. Sono giunti e continuano a giungere capienti magazzini di indumenti, di coperte, di altri generi di prima necessità. «Tuttavia ciò che ci viene dall’UNRRA è quantitativamente assai inferiore a quello che acquistiamo direttamente dai produttori. Esiste presso il Ministero una commissione per gli acquisti (che decide sempre collegialmente), formata da capi-laboratorio e da tecnici. E poi una commissione di controllo sugli acquisti fatti». Si capisce che Lussu non è per burocratizzare l’Assistenza, ma non di meno egli – da uomo che ha alto il senso dello Stato – è assolutamente rigoroso sulle modalità della spesa del pubblico denaro. «A volte occorre riadattarli. Non si acquista attraverso intermediari. In questo modo si sono potuti risparmiare centinaia di milioni».

Aggiunge ancora: «Il Ministero non fornisce solo dei prodotti di prima necessità, ma anche delle abitazioni che con l’avvicinarsi dell’inverno costituiscono uno dei più urgenti problemi per i reduci ed ex prigionieri che trovano spesso la loro casa distrutta. Provvediamo direttamente mediante baracche e nelle zone ove in seguito alla lotta partigiana le abitazioni sono state distrutte dai tedeschi, ricostruiamo le case. Abbiamo potuto ottenere tutto ciò grazie ad un accordo con il Ministero dei LL.PP.: meglio sempre le case che le baracche, anche se costano di più» (49).

Alle commissioni riunite “Affari politici e amministrativi” e “Lavoro e previdenza sociale” della Consulta, ai primi di novembre illustra la portata del provvedimento adottato dal Governo che comporta un onere di quattro miliardi e mezzo di lire, in larga parte destinati a favorire il riavvio all’occupazione di chi è tornato, dopo tante sofferenze, alla sua città (50)

Intanto anche a Cagliari è iniziata la consegna degli aiuti. In momenti diversi sono pervenute alcune ingenti partite di materiale di soccorso offerto dall’ARFI, l’American Relief for Italy (che – diversamente dall’UNRRA – ha, appunto, finalità di soccorso alle sole province italiane).

Una di queste cerimonie di donazione, forse la più solenne, si è svolta nel tardo pomeriggio di martedì 4 settembre presso il magazzino ENDSI. Presenti l’Alto Commissario Pinna, il prefetto Sacchetti, il presidente della Provincia Serra, il sindaco Pintus, il presidente regionale della Croce Rossa Italiana Cardia; e ancora, in rappresentanza dell’arcivescovo Piovella, monsignor Giuseppe Lepori, il direttore del Comitato regionale ENDSI Vicentini, il sovrintendente alla Sanità pubblica Brotzu, il comandante di Marina Borghi, il rappresentante personale di Mayron Thybr (ambasciatore USA presso la Santa Sede) Barr, sono state consegnate centinaia e centinaia di casse colme di indumenti, di biancheria da ospedale… Dall’Irlanda sono venute alcune tonnellate di zucchero. E ancora ecco ambulanze…

I ringraziamenti di Lepori, di Vicentini e di Pinna, la risposta di Barr. Sullo sfondo, le macerie della città, i bisogni infiniti dei cagliaritani e dei sardi. E i tredici milioni di italiani che risiedono in America e che sono forse la ragione prima di questa mano tesa all’Italia, alla Sardegna e a Cagliari (51).

Il sottosegretariato di Pietro Mastino

È nella seduta pomeridiana di martedì 26 giugno che il Consiglio dei ministri procede – al termine degli estenuanti conciliaboli fra i partiti – alla nomina dei sottosegretari (52), il cui giuramento, ai Viminale, nelle mani dello stesso presidente Parri, avviene due giorni più tardi (53).

Con Pietro Mastino, il Partito d’Azione ha designato Carlo Lodovico Ragghianti alle Belle arti ed allo Spettacolo, Giuseppe Bruno ai Lavori Pubblici, ed Ernesto Rossi alla Ricostruzione.

La prima presentazione all’opinione pubblica del sottosegretario “azionista” che viene dalla Sardegna è quella che, motu proprio, propone Soffia so, il nuovo settimanale umoristico romano, con una vignetta: appunto un mastino a guardia del tesoro. Con un commento: «Un bel compito per un sardo: il male è che il tesoro italiano è costituito dai danni di guerra, che dovrebbero essere sistemati … dal sottosegretario» (54).

Assistito – come capo di Gabinetto – dall’ottimo giudice Giuseppe Meloni, già diretto collaboratore di Mario Berlinguer all’Alto Commissariato per la punizione dei delitti fascisti (55), Mastino lascia Nuoro alla volta di Roma «di malavoglia e con mal garbo», come testimonia Aldo Cesaraccio, epperò spinto da una ragione politica di valore superiore: il dovere del concorso sardista (e cioè della Sardegna) alla risurrezione del Paese, il dovere anche di fornire un contributo operativo-amministrativo all’intesa politica fra Partito Sardo e Partito d’Azione.

Così, il 20 luglio, gli scrive l’amico più caro, Luigi Oggiano: «Io ti seguo con lo stesso sentimento in questa tua faticosa vita nuova romana, con l’intimo orgoglio dell’amico che è convinto come, anche nelle attuali difficilissime circostanze, tu darai prova ed esempio del vero lavoro, del quale hanno bisogno l’Italia e la Sardegna.

«Mi pare di vederti, giorno per giorno, nel tenere ed inspirare, in un ambiente che tutto dimostra come straniato e indifferente rispetto ai mali da rimediare ed alle fondamenta da costruire, il tono, la serietà, la tenacia e la passione, non nel senso del verboso entusiasmo, ma della intensità delle opere, che è determinata dal senso altissimo, e veramente spirituale, del dovere, della preparazione al lavoro e dalla pratica costante del lavoro. Questo tuo esperimento, anche se non ti darà che scarse gioie apparenti, avrà grande effetto e sarà molto valutato in seguito; soprattutto in relazione all’opera che dovrai dare nella difficile “costruzione dell’amministrazione sarda” – e per la stima e l’affetto che tu conosci intendi come per me, nella modesta e quasi… casalinga visione e impressione che io do del problema isolano, e della necessaria sua soluzione, la prova significa preparazione ed istradamento per il grande esperimento» (56).

Come il presidente Parri, come il ministro Lussu, anche Mastino è propenso al colloquio costante con i media, vale a dire con l’opinione pubblica, con la gente.

All’ANSA il 16 luglio precisa che, al Ministero, il suo ufficio «ha lo scopo di studiare e risolvere il problema relativo all’indennizzo dei danni subiti per la guerra da un numero di cittadini che può essere valutato in alcuni milioni» ed evidenzia il duplice aspetto morale/materiale della questione: da una parte, la «manifestazione di solidarietà del Paese verso coloro che sono stati più duramente colpiti dalla guerra» e, dall’altra, «l’aiuto e l’incentivo all’opera di ricostruzione nazionale».

Riferisce che è in istudio una legge destinata a sostituire la vigente normativa (la legge n. 1543), puntando sulla celerità della procedura di indennizzo (salve le disponibilità di bilancio). Una particolare attenzione sarà data – avverte – alle necessità delle industrie danneggiate, la cui ripresa va vista anche in funzione del piano di ricostruzione del Paese.

In ordine agli accertamenti e alla liquidazione, chiarisce che saranno adeguati gli uffici delle Intendenze di finanza. Per le richieste di risarcimento superiori a 500.000 lire, il giudizio sarà di competenza di apposite commissioni provinciali e interprovinciali. Circa infine i danni subiti dai «nazionali profughi dall’Africa italiana e dall’Egeo, come pure dalle regioni occupate dagli jugoslavi», precisa che è in corso preliminare di verifica l’uniformità dei criteri per i risarcimenti da effettuare nelle regioni settentrionali e in quelle centro-meridionali (57).

A fine agosto – dopo una breve permanenza in Sardegna – rende alcune dichiarazioni ancora all’Agenzia nazionale di stampa. Riferisce che i danni bellici più consistenti sono, nell’Isola, quelli subiti da Cagliari «che è una delle città italiane più distratte», e per la cui ricostruzione il Gabinetto sta esaminando un progetto di concorso nazionale. Grave è la situazione anche di Alghero, Olbia, Porto Torres ed Arbatax. Informa che la gran parte delle macerie è stata quasi interamente rimossa e che nel capoluogo regionale «l’azione dei privati e del Genio civile ha anche proceduto a riparare molte case». (Va ricordato che del problema si è trattato – lui presente – anche in occasione dell’incontro, avvenuto il 5 luglio, fra la delegazione sardista e il presidente del Consiglio).

Dichiara poi che la legge del 1940 è stata sospesa e che, in attesa della nuova disciplina, ai privati «si possono dare solo degli acconti a titolo di risarcimento delle perdite dei mobili e delle masserizie. Per tale scopo sono stati assegnati all’Intendenza di finanza di Cagliari 20 milioni di lire» (58). Altri stanziamenti seguiranno, «utili a favorire il fervore di opere che qui è in atto e di cui il merito è soprattutto vostro – dice alludendo ai suoi conterranei – che date l’esempio di quanto in tutte le parti d’Italia dovrebbe farsi per contribuire, con fatti concreti e non con vane parole, alla ricostruzione nazionale» (59). L’impegno verso la regione e la sua capitale è – dichiara Mastino – «legato al posto che occupo ed al dovere che, come sardo, sento di contribuire alla ricostruzione del capoluogo, la cui pienezza di vita non può che costituire uno degli elementi basilari della rinascita generale della nostra isola» (60).

A Cagliari intanto si è costituita, presso l’Agenzia principale della Società Reale Mutua di Assicurazione, la Delegazione provinciale dell’Associazione nazionale fra i danneggiati di guerra (61). Tutto ferve e Mastino accoglie perciò di buon grado l’invito a discutere con gli esperti legali e commerciali – sui cui tavoli hanno iniziato a riversarsi le pratiche da inoltrare agli uffici finanziari – sui vari aspetti della complessa materia degli indennizzi.

I termini generali di questa si pongono in un quadro di possibile contemperamento di esigenze diverse: da una parte il «diritto soggettivo perfetto» al risarcimento del danneggiato (con lo speculare «dovere incontestabile e inderogabile» dello Stato all’indennizzo integrale), dall’altra le gravi ristrettezze del bilancio che impediscono di sovvenire nella misura desiderata.

Scartata l’ipotesi del risarcimento integrale e contemporaneamente disattesa l’illuministica proposta, da qualche parte avanzata, di far tabula rasa, si è ad un certo punto affermato l’orientamento di un «parziale aiuto» per i danni agli immobili, e di un «risarcimento limitato allo stretto necessario», e comunque non superiore nel complesso a 200.000 lire, per i mobili (mobilia, masserizie ed effetti d’uso). Circa le aziende, poi, si è profilato un intervento mirato alla ripresa produttiva (industriale, commerciale o agricola), in vista del vantaggio d’interesse pubblico, incluso l’aspetto occupativo. Questa è stata l’ipotesi Soleri. Scomparso però il ministro liberale del Tesoro, si è proceduto alla riformulazione dello schema finanziario.

Per la ricostruzione degli immobili da parte dei privati si va ora – spiega il sottosegretario – in direzione di abbuoni fiscali come il ripristino dell’esenzione trentennale dall’imposta fabbricati con relative sovraimposte, l’eliminazione del vincolo dei canoni locativi, l’esclusione di ogni e qualsiasi ingerenza del Commissariato per gli alloggi e delle Commissioni edilizie comunali. Gli obiettivi sono il riequilibrio del mercato locativo, dar lavoro alle maestranze edili e garantire commesse cospicue alle industrie di materiali da costruzione ed alle botteghe artigiane.

Mastino precisa che nella definizione di “fatto di guerra” resta categoricamente escluso il furto anche se commesso da militari o sia conseguenza dell’abbandono in cui le città si sono trovate dopo l’evento bellico. E ciò «in quanto il danno risarcibile è quello verificatosi per fatto compiuto da forze armate, coordinato alla preparazione ed alle operazioni belliche ovvero per fatto occasionato dalle stesse; ma non già quello cagionato dal privato profittando della guerra ovvero da militari in proprio».

Conclude riferendosi al disbrigo degli accertamenti – c’è sempre da fare i conti con la lentocrazia in Italia! – per il che assicura di sentirsi impegnato all’adeguamento delle forze di Polizia Tributaria, delle Questure e dei Comandi Carabinieri, nonché degli organici degli Uffici Tecnici Erariali, delle Intendenze di finanza e degli Uffici delle imposte. Aggiungendo anche – da buon autonomista – di ritenere indispensabile «sganciare la Sardegna dalla Commissione compartimentale di Roma e creare a Cagliari una commissione regionale con le stesse mansioni, con competenza esclusiva nell’isola» (62).

Intanto i discorsi procedono sforzandosi di incontrare una sempre maggiore traduzione in fatti ed atti.

10 ottobre. Fra i media l’interlocutore preferito o prevalente è ancora quello ufficiale, l’ANSA cioè. Sullo schema di progetto esaminato, nella sua ultima riunione, dal Comitato interministeriale per la ricostruzione, Mastino fa presente che la linea affermatasi è quella “politica” piuttosto che quella “assistenziale”. Vale a dire quella che privilegia l’intervento finanziario sulle grandi infrastrutture pubbliche compromesse, rispetto alle particolari condizioni dei singoli cittadini, pur meritevoli di pronto e adeguato soccorso. Per conoscere le modifiche effettivamente apportate al progetto Soleri, bisognerà però attendere – avverte – il risultato delle successive riunioni che saranno tenute quanto prima, data l’urgenza di presentare al Consiglio dei ministri il definitivo piano finanziario.

Si tratta di decisioni indubbiamente non semplici. Ogni decisione è frutto di una scelta, ed ogni “sì” è l’interfaccia di un “no” a malincuore detto a qualcuno. Nello stesso Comitato governativo la dialettica sui merito delle scelte non è finora mancata, né sono mancati distinguo e dissensi aperti perfino «su qualche concetto fondamentale» e comunque «sul metodo pratico su cui se ne dovrebbe impostare la soluzione» (63).

Conclusa l’esperienza del Governo Parri, non si conclude quella di Mastino sottosegretario al Tesoro. È del dicembre 1945 un suo articolo uscito sul Solco (64) nel quale l’esponente sardista dà conto dello stato degli studi legislativi sul risarcimento dei danni di guerra, sulla varietà delle proposte che il Sottosegretariato e l’Esecutivo nel suo insieme hanno elaborato o stanno discutendo.

Si tratta di uno scritto ricapitolativo di quanto finora operato: «In una riunione, che già era stata fissata e che Parri avrebbe dovuto presiedere, l’uno e l’altro progetto sarebbero stati riesaminati e, poi, il Consiglio dei ministri, dopo interpellata la Camera consultiva, avrebbe deciso. Si è però avuta… la crisi ministeriale», scrive non a caso Mastino. È sempre la “politica”, o per lei i giochi o gli interessi dei partiti, a rallentare la legislazione e l’amministrazione, ad allontanare infine lo Stato dai cittadini.

Ancora nessuna legge è stata emanata in materia, tale che definisca con certezza, in quale misura e in concreto gli indennizzi che possono aver corso. Perché? Perché tanta lentezza?

Le prime difficoltà al varo di una nuova normativa – considerata l’enormità dei disastri – sono state d’ordine finanziario: «Mentre la guerra 1914-1918 colpì solo tre province – rileva il sottosegretario – e fu possibile risarcire integralmente i danni perché non raggiungevano, in complesso, i cinque miliardi, questa colpì invece quasi tutte le province d’Italia ed i danni ammontarono a parecchie migliaia di miliardi». La divisione del Paese fra sud liberato e nord ancora teatro di guerra ha impedito o ha tardato notevolmente un’indagine quantitativa sull’entità del fenomeno che ormai si potrebbe presumere nell’ordine di circa 3.000 miliardi: «Somma spaventosa – osserva Mastino – quando si pensi che il patrimonio nazionale preesistente all’attuale guerra era valutato in 675 miliardi, per quanto si debba tener conto del fatto che i 3.000 miliardi [...] si riferiscono a moneta svalutata».

Va considerato poi che, oltre ai privati, vi sono le grandi infrastrutture assolutamente necessarie alla vita civile ed economica del Paese (ferrovie, porti, strade, ecc.), su cui occorre intervenire d’urgenza per il recupero di efficienza.

Né sarebbe stato onesto determinare un’aliquota X dl aiuto quando poi le condizioni finanziarie dell’Amministrazione non fossero risultate idonee a provvedere nella misura promessa. «Si presentò quindi la necessità di sospendere l’applicazione della legge 26 ottobre 1940, n. 1543 ed il successivo decreto, tanto più che, a causa del comportamento del governo repubblichino, animato da propositi demagogici più che da preoccupazioni finanziarie, si era verificata una profonda sperequazione fra l’Italia del Nord e quella centro-meridionale, poiché la prima aveva avuto dodici miliardi, a titolo risarcimento danni, e la seconda meno d’un miliardo. L’intervento dello Stato [...] si ridusse alla concessione di acconti, da parte delle Intendenze di finanza, per oggetti dive-stiano, mobilio ed arredi domestici. Alla provincia di Cagliari, ad esempio, furono dati, per pagamento di acconti, 52 milioni, cioè quanti furono richiesti».

Sono finalmente pronti due progetti di legge: quello Soleri, modificato – soprattutto in materia di decentramento degli accertamenti e delle liquidazioni – dal Sottosegretariato, e quello del Comitato interministeriale per la ricostruzione.

Mastino, come altre volte, sostiene l’esigenza della reciproca integrazione dei testi, atteso che il primo tende a sovvenire preferenzialmente il privato cittadino ed il secondo, trascurando il singolo danneggiato, punta piuttosto all’intervento ricostruttivo pubblico. A quest’ultima impostazione (progetto Piccardi) il Sottosegretariato ha avanzato due fondamentali obiezioni ed è su queste che il Governo Parri, messo in crisi dal PLI, avrebbe dovuto pronunciarsi nella sua collegialità. E sono: «1) I danneggiati che intendono riparare o ricostruire la loro casa non potrebbero fare sicuro assegnamento sull’intervento dello Stato, e quindi nei loro confronti la legge sul risarcimento dei danni di guerra non avrebbe che un significato ironico, e solo servirebbe a scoraggiare e ad annullarne l’iniziativa; 2) Per la ricostruzione industriale il solo Comitato interministeriale finirebbe col decidere a quali danneggiati ed in quale misura dovrebbero essere accordati i contributi, con evidente vantaggio di certe regioni ed evidente danno di quelle politicamente meno forti. Anche in questo campo i piani generali, provinciali e di priorità del suddetto Comitato annullerebbero qualunque iniziativa privata».

Mastino sardista, senza dimenticare la propria estrazione politica, opera con forte consapevolezza dei suoi doveri, di cittadino e di esponente di partito, verso la collettività nazionale. La sua cultura od ideologia – in cui risalta la componente “liberale”, cioè l’attenzione privilegiata ai diritti, anche proprietari, dei singoli – lo porta ad un approccio più sociale-assistenziale che non, se così può dirsi, strutturale alla questione dei danni di guerra che veramente investe ogni sede di dibattito nell’Italia dell’immediato secondo dopoguerra.

Ecco, le funzioni governative a Pietro Mastino così come il seggio di Montecitorio a Luigi Battista Puggioni (che nella Consulta partecipa ai lavori della Commissione finanze, quella presieduta da Siglienti) – a parte ovviamente il rilievo ministeriale e politico tout court di Lussu – sono tutti episodi che hanno contribuito al consolidamento del rapporto PSd’A-Pd’A il quale ha, come conseguente pratico risvolto, un apprezzamento finora sconosciuto della Sardegna a livello governativo. Livello che, in questa fase, significa legislazione ed amministrazione insieme.

Va detto chiaramente che tale inedita operazione di valorizzazione dell’Isola nella strategia politica nazionale è tutta interna a questo nuovo sodalizio interpartitico, sicché di essa – trattando della generale intesa sardisti-azionisti – vale la pena di ricostruire alcuni passaggi particolarmente significativi.

I dossier sardisti

Giovedì 5 luglio 1945. Giusto un anno dopo il congresso che ha sancito la volontà dei Quattro mori di stipulare un accordo permanente col partito della Spada fiammeggiante.

A Roma, adesso, a colloquio con uno dei massimi esponenti azionisti – cui è toccato da appena qualche settimana di prendere la guida del Governo – il Partito Sardo d’Azione si presenta col suo vertice: con Lussu sardista-azionista, innanzitutto, e con il sottosegretario Mastino, il direttore regionale Puggioni e Gonario Pinna, ed ancora con Giovanni Battista Melis e Salvatore Sale (65).

Siamo qui – dicono gli esponenti sardisti – spinti «esclusivamente» dalla fiducia ispirata dalla persona del presidente «e dalla presenza al Governo degli amici Lussu e Mastino». Sono le prime battute, insieme cordiali e prudenti, per non dire quasi diffidenti, della delegazione di un partito tanto generoso nella rappresentazione della spiritualità regionale quanto tradizionalmente avaro di riconoscimenti verso i fratelli maggiori della cultura politica nazionale…

Parri è un premier che aborrisce farsi chiamare “sua eccellenza” ma che, piuttosto, preferisce – lui che è stato per tanti anni ormai solamente il “comandante Maurizio” – il titolo di professore, che sente identificarsi nella missione civile esemplarmente svolta negli anni della gioventù, e smessa troppo presto a causa d’una… imperdonabile ed imperdonata omissione riguardante gli onori anniversari alla marcia su Roma. Al primo sardismo – è lui stesso a ricordarlo ed è peraltro notorio – è stato legato attraverso l’esperienza combattentistica e l’appartenenza al gruppo redazionale di Volontà, lo stesso che fu di Cino d’Oristano alias Francesco Fancello. Alla Sardegna – attraverso anche la colleganza ideale coi compagni di Giustizia e Libertà e del Partito d’Azione (Stefano Siglienti per primo) – ha conservato la sua amicizia.

A lui, ora, al presidente-professore, i rappresentanti del PSd’A espongono dunque – con la certezza di un ascolto attento ed interessato – tutte le urgenze economiche, sociali ed amministrative che gravano sulla Sardegna. E sanno anche di poter ottenere concreti impegni risolutivi, per il breve non meno che per il medio e lungo periodo. Parri non è un professionista della politica, nel senso del demagogo e del millantatore. Ma è un mazziniano che tiene, in capo alla sua tavola dei valori, il senso del dovere e della verità, della responsabilità e della equanimità.

Una relazione scritta accompagna il dibattito (e sarà tradotta nel pro-memoria di cui si è detto). In premessa è la conferma del motivo ispiratore della politica sardista: «La condizione prima ed essenziale per la rinascita della Sardegna è l’attuazione di un’ampia forma di autogoverno dell’isola». E di qui la prima richiesta: «un ampliamento dei poteri dell’Alto Commissariato», con la facoltà da concedere al suo titolare di «partecipare alle deliberazioni del Consiglio dei ministri su tutte le materie che interessano la Sardegna, affinché l’isola non sia posta di fronte a provvedimenti dannosi ed inattuabili senza esser stata preventivamente informata». Ed anche con l’assunzione di un ruolo come di crocevia istituzionale obbligato per le comunicazioni tra uffici periferici ed uffici centrali dell’Amministrazione statale.

Il cahier è lungo, complesso, documentato. A cominciare dagli approvvigionamenti alimentari. Le scorte di grano bastano ancora per due settimane: «per salvare il popolo dalla fame è indispensabile l’assegnazione di 72mila quintali di grano al mese». È urgente risolvere il problema delle sementi, anche per foraggio, dei concimi e degli attrezzi e macchine agricole, «con eque distribuzioni delle assegnazioni americane. Tutti gli aiuti perderanno di efficacia – aggiungono gli esponenti del Partito Sardo – finché non si guarderà all’agricoltura con criteri regionali e non si consenta agli interessati di studiare e regolare sul posto i propri problemi».

Trasporti via mare. «Il movimento di merci e passeggeri da e per la Sardegna gravita prevalentemente attorno a Roma, Livorno, Genova e quindi l’imbarco e lo sbarco a Napoli, con l’attuale difficoltà e costo dei trasporti terrestri, appesantisce in forte misura tutti i costi. Mantenendo in vigore l’attuale linea Cagliari-Napoli, è urgentemente indispensabile provvedere a riattivare la linea quotidiana Olbia-Civitavecchia, per merci e passeggeri, con almeno 300 posti giornalieri, oltre a una linea quindicinale Porto Torres-Livorno-Genova, facendo precedere la ripresa del servizio da una rapida ricostruzione delle banchine danneggiate dai bombardamenti e dalla rimozione del naviglio affondato». Occorre anche riesaminare «i noli ed i diritti di carico e scarico».

Trasporti aerei. «Solo recentemente è stato disposto un servizio settimanale Bracciano-Cagliari e ritorno. Il prezzo del biglietto, per la sola andata o per il solo ritorno, è stato imposto in 4.450 lire e a favore dei civili sono stati riservati solamente tre posti, mentre gli altri sono a disposizione dei ministeri militari. Perciò il servizio attuale, sia per la scarsità dei posti che per il prezzo elevatissimo, affrontabile solo dai ricchi, è praticamente inesistente». Le tariffe dovranno stabilizzarsi entro un massimo di mille lire. È altresì indispensabile avviare una tratta bisettimanale Fertilia-Roma che si aggiunga ad una linea quotidiana, auspicabilmente la Ostia-Cagliari.

Trasporti interni. «Numerosi carri ferroviari e littorine sono stati asportati dalla Sardegna. Nello stato attuale del materiale rotabile e per l’insufficienza del combustibile, le ferrovie possono effettuare solamente trasporti di grano e farina. In questo stato del servizio ferroviario, gli scambi ed i trasporti interni della Sardegna debbono effettuarsi con automezzi. Dolorosamente l’isola è stata spogliata della maggior parte dei propri automezzi, prima dai tedeschi e poi dalle autorità militari italiane e alleate, e dal 1942 non riceve più alcuna assegnazione di gomme e di pneumatici». Indispensabile è poi l’aumento della dotazione del carbone estero.

Industria. Urgono adeguate assegnazioni di soda caustica, legnami, estratti concianti, vetro, ferro, solfuro di carbonio e – per le raffinerie dell’olio e la trattazione delle sanse – trielina. Occorre anche ottenere dagli alleati «che hanno monopolizzato tutta la produzione, una maggiore assegnazione del carbone del Sulcis alle industrie sarde in genere ed a quelle elettriche in particolare; fissare un costo notevolmente inferiore per il carbone assegnato alle industrie sarde». Agli artigiani necessitano adeguate forniture di materiale elettrico e di carburo di calcio. Appare altresì indifferibile provvedere ad una maggiore assegnazione di abiti e calzature di provenienza ENDSI. Ciò perché «le condizioni dell’economia sarda, il diverso grado di inflazione monetaria tra Sardegna e Continente, non consentono al lavoratore sardo l’acquisto sul mercato libero».

Università. Premessa l’esigenza della salvaguardia di entrambi gli atenei, appare necessario integrarli con le facoltà di studio ancora mancanti. «Nell’isolamento della regione» le due università «rappresentano i soli centri vivi di cultura».

Richiami. La protesta, a tale riguardo, è la più vivace. Sono stati richiamati ben 22mila giovani sardi, mentre è notorio che l’appello è stato disatteso in massa in altre regioni. È necessaria la loro smobilitazione e «l’archiviazione di tutti i processi per diserzione». (La questione non appare di semplice soluzione. Ancora a dicembre il direttorio del PSd’A punterà i piedi chiedendo al Ministero De Gasperi il ritorno a casa delle migliaia di giovani coscritti sardi assegnati in bassi servizi di corvée – tipo “marocchini”, come anche essi vengono sprezzantemente appellati – in varie piazze del continente. È da gennaio che in Sardegna c’è la “rivoluzione” contro la leva di massa. Non sono mancati – proprio a gennaio – gravi disordini, perfino con l’assedio all’Unione Sarda, cui ha risposto il “sardista” Cesare Pintus – sindaco ma ancora redattore al giornale – opponendo un fermo “no” alla forzosa pubblicazione di un documento. A settembre, a due mesi dall’incontro col presidente Parri, un comitato interpartitico si costituirà a Cagliari, promosso da sardisti, comunisti, socialisti, partigiani e Camera del lavoro, per far pressioni sulla Consulta in vista di ottenere risposta chiara alle esigenze rappresentate).

La disattenzione dei vari governi circa le condizioni dell’Isola obbliga ad esprimere vivissimo rammarico perché dalla Sardegna si sia costretti, ancora una volta, «a venire a Roma per invocare d’urgenza provvidenze che un governo nazionale in tempi più ordinari avrebbe dovuto attuare senza speciali sollecitazioni».

«Nessuno deve pensare, – afferma la delegazione sardista – e gli italiani dovrebbero ricordare sempre, che la Sardegna non richiede la propria autonomia per gretto spirito regionalistico [...]. Autonomia significa [per i sardi] realizzazione concreta di libertà, possibilità di creare in Sardegna maggiore intensità di vita e di produzione con il moltiplicarsi di nuove e fattive energie, ri-nascita di una nuova e migliore vita morale [...]. Occorre libertà di fare, di creare, di produrre, di lasciare libero sfogo alle iniziative private, le sole che, nella carenza dei poteri dello Stato, possano offrire un rimedio ai mille mali di oggi».

La parola è adesso al presidente-professore. L’impegno a fare per l’Isola è pieno, ma nel quadro del “fare” per l’Italia intera: «Non tutto quanto richiesto potrà essere dato, ma il possibile sarà dato subito». E, s’è visto, manterrà la parola. Amico sincero della Sardegna, Parri si conferma «sostenitore convinto» della battaglia democratica ed autonomistica del PSd’A».

Dice ancora il presidente-professore: «Occorrerà lavorare, non disperare, e sapere talvolta anche sorridere». Il suo triste sorriso rivela però, ad un tempo, la grave consapevolezza delle difficoltà presenti e l’orgoglio di essere al proprio posto, per la giusta battaglia.

La parte dell’Alto Commissario

Aggiornamento della situazione a tre mesi dall’incontro del Viminale e, adesso, alla vigilia della caduta del Ministero che – nei limiti del possibile (ed è un possibile stretto) – i suoi impegni verso la Sardegna ha cercato di mantenerli.

A fine ottobre l’Alto Commissario dà conto, in una conferenza-stampa, dello stato dell’economia isolana. II Bollettino di Statistica che frattanto viene pubblicato integra le risultanze offerte all’opinione pubblica dal generale Pinna (66).

Statistiche civili e statistiche economiche definiscono il quadro di gravissima crisi che ben rappresenta la Sardegna degli anni del secondo conflitto mondiale fino, appunto, al 1945. Le risultanze demografiche, intanto: la popolazione residente sfiora ma non raggiunge le 1.200.000 unità.

La curva riguardante matrimoni, nati vivi e mortalità nei capoluoghi isolani riflette le dimensioni quantitative dell’emergenza bellica, dello sfollamento e del successivo graduale rientro della popolazione.

Valga Cagliari, che più di ogni altra città della regione ha conosciuto le sinuosità delle situazioni presentatesi nel lustro più inquietante del secolo. I matrimoni qui sono stati 904 nel 1942, 395 nel 1943, 531 nel 1944; nel primo trimestre del 1945 sono stati 155 (a fronte dei 190 e dei 57 rispettivamente del 1943 e del 1944).

I nati vivi sono stati 3.705 nel 1942, 1.312 nel 1943, 2.148 nel 1944, 1.001 nel primo trimestre del 1945 (i corrispondenti dati trimestrali del 1943 e del 1944 furono rispettivamente 824 e 449).

E la mortalità: 2.597 casi nel 1942, 1.736 nel 1943, 1.778 nel 1944, 509 nel primo trimestre del 1945 (a fronte dei 610 e 410 del corrispondente trimestre del 1943 e del 1944).

Anche il costo della vita è stato pesantemente condizionato dalla contingenza bellica. La relativa stabilità dei prezzi nell’Isola in confronto con l’elevata inflazione scatenata sui continente (il differenziale fra 1938 e 1943 è stato del 54 per cento nella regione e dell’81 per cento nella penisola) rischia ora, con la progressiva integrazione delle economie, di essere definitivamente compromessa con l’importazione del fenomeno inflattivo in Sardegna.

Per cinque anni la vita è costata qui meno che in qualsiasi altra parte d’Italia. Epperò adesso – fra 1943 e 1945 (giugno-luglio) – l’indice è volato a 2.080 (giugno) e 1.964 (luglio), che pur restando il più basso fra le regioni centro-meridionali non può non sconvolgere assetti del mercato locale abituato a dinamiche soft.

Ecco, per alcuni generi di prima necessità, le variazioni dei prezzi (fatto sempre 100 il dato-base del 1938 ed appaiati fra loro i livelli di giugno/luglio 1945): pane, pasta, olio, zucchero sono andati a 814/815 nel mercato legale ed a 7.223/6.189 nel mercato nero, che rappresenta un indice fra i più alti del Paese (come mercato nero la Sicilia è a 4.534/4.234).

Il rapporto fra mercato legale e mercato nero è particolarmente significativo dello stato dell’economia in questo momento, che coincide poi esattamente con l’esordio del Governo Parri. Valgano i seguenti due esempi relativi a generi primari (pane e pasta), riproposti per tutti e tre i capoluoghi provinciali, che pure risentono in misura assai diversificata degli effetti di guerra e dell’importazione dell’inflazione, attesa la struttura dei comparti dell’offerta e della domanda nel territorio di competenza. (La successione dei valori è la seguente: 1938, luglio 1945 per mercato legale, idem per mercato nero).

Pane. Cagliari: 1,99; 16; 99. Sassari: 2; 16; 90. Nuoro: 1,74; 16; 28. Pasta. Cagliari: 2,45; 22; 100. Sassari: 2,50; 22; 80. Nuoro: 2,73; 22; 40.

Nella sua conferenza-stampa (67), l’Alto Commissario tocca tutti i punti caldi della condizione socio-economica regionale. Parla diffusamente dei comparti – produzione e commercializzazione-esportazione – del cuoio e del sughero, della lana e del bestiame, settori tradizionali dell’economia sarda, ma anche e soprattutto di trasporti interni ed esterni e di alimentazione, e di UNRRA ed ENDSI. Le comunicazioni sono forse il vero e fondamentale punctum dolens, il fattore frenante della ripresa e dello sviluppo dell’economia regionale dopo la batosta bellica che ha sconquassato i mercati ed isolato ancor più la Sardegna.

Seguire queste conferenze-stampa che l’Alto Commissario Pinna ha la sensibilità politica di convocare con una certa periodicità è un po’ come tastare il polso, quasi momento per momento, della società e dell’economia della Sardegna in rapporto (non necessariamente di sintonia) con le dinamiche del “vasto mondo”.

Molte delle insufficienze e delle contraddizioni denunciate dallo stesso rappresentante del Governo in occasione dell’insediamento della Consulta regionale, domenica 29 aprile, o portate all’attenzione del presidente Parri dalla delegazione sardista, giovedì 5 luglio, trovano conferma in questo ennesimo aggiornamento, autentico bollettino dei mali ma anche delle speranze dell’Isola.

E dunque, nel concreto. Trasporti. Desta preoccupazione il contingentamento dei combustibili. L’assegnazione, da parte degli Alleati, di 10.700 tonnellate mensili di carbone Sulcis non serve che alle Ferrovie meridionali in quanto esse solo sono attrezzate con caldaie d’acciaio non corrodibili dallo zolfo. Per le tratte servite da altre società ferroviarie viene utilizzato il carbone Cardiff di cui giungono in Sardegna mensilmente 2.000 quintali.

Circa i trasporti rotabili, va considerato che da ben sei anni non giungono rifornimenti di gomme né di pezzi di ricambio. Le linee servite bisettimanalmente dai 38 autobus rimasti efficienti (gli altri 110 del parco macchine giacciono inutilizzabili nelle officine-rimesse) sono la metà – 45 in tutto – di quelle servite prima della guerra.

Sempre per deficienza di gomme e di pezzi di ricambio, in circolazione sono il 30 per cento dei mezzi pesanti – che erano 178 – ed il 60 per cento di quelli leggeri, che erano 1.015.

Nelle tre province sono autorizzate a circolare 864 vetture (547 a Cagliari, 207 a Sassari e 110 a Nuoro) e 387 motocicli.

Dopo aver respinto la richiesta di una cessione parziale dei mezzi disponibili ed averne anzi fatto prelevare ben 2.000, la Commissione Alleata ha di recente deliberato l’assegnazione di cento autoveicoli (di cui 90 destinati ad enti ed uffici di pubblica utilità), promettendone un’altra trentina.

Anche nei trasporti da e per la Sardegna – marittimi ed aerei – la penuria dei vettori incide in misura quasi insopportabile sui pur elementari equilibri dell’economia in ripresa e sulle stesse esigenze civili della popolazione.

In quelli via mare la riduzione delle frequenze è verticale e costringe la Sardegna in un isolamento quasi totale. Dalle cinque linee funzionanti prima della guerra, capaci di un trasporto mensile di 25.000 persone, ora si è scesi a due linee e ad un volume di 5.000 viaggiatori. E quindicinale la tratta Cagliari-Napoli (550 passeggeri) e bisettimanale quella Olbia-Civitavecchia, di cui insistentemente si chiede la cadenza giornaliera (750 passeggeri).

Nei cieli sono quotidiane le linee Cagliari-Centocelle e Fertilia-Roma (questa con idrovolanti e ad esclusivo servizio di Stato, compreso quello postale), ma rispettivamente per quattro soli giorni la settimana e per due. Il servizio è svolto da militari che riservano ai civili due o tre posti. Un’inezia. Si spera nella prossima entrata in viaggio degli aerei tipo “82″ capaci di una ventina di posti.

La crisi alimentare è l’altro aspetto inquietante del momento. Le esigenze mensili sono— relativamente ai cereali – di 62.000 quintali di grano e di 14.500 di orzo. Il meccanismo che è stato attivato per lo stoccaggio e la distribuzione del grano o della farina provenienti prevalentemente dall’America è il seguente: la Federconsorzi provvede a sue spese al trasporto del prodotto fino ai molini e da questi ai magazzini comprensoriali; da qui ai vari centri provvedono i singoli comuni con propri mezzi. E stata attivata anche una cassa-conguaglio per mantenere l’uniformità dei prezzi fra le diverse zone dell’Isola.

Ultimo capitolo “forte”: l’assistenza. L’UNRRA ha garantito finora – con assegnazioni di forniture alimentari (zucchero, grassi, farina e legumi) – 47.756 persone, prevalentemente vecchi, bambini, malati e gestanti. A Carbonia ha attrezzato con 200 letti un centro ospedaliero voluto dall’Alto Commissariato. In tutta la regione sta poi per dare inizio a una gigantesca campagna antimalarica finanziata dalla Fondazione Rockefeller, che allo scopo ha già stanziato 3 milioni di dollari, cui la stessa UNRRA ha aggiunto, di suo, un altro milione in materiale sanitario.

Da parte dell’ENDSI è stata già effettuata una assegnazione di 130.000 pacchi di vestiario (ciascuno con due abiti), di 5.000 coperte, di 6.164 kg. di caffè (per esclusivo uso degli ospedali), di 19 casse di prodotti chinacei, e di 14 di atebrina. Più recentemente è stata disposta una assegnazione supplementare di 50.000 pacchi con promessa di quasi immediato bis.

Note

(1) Cf. Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia moderna, vol. XI, Feltrinelli, Milano 1986. Sull’indirizzo politico e sulle dichiarazioni programmatiche del Ministero Parri cfr. anche il volume antologico Ferruccio Parri, Scritti 1915-1975, Feltrinelli, Milano 1976;

(2) Cf. L’Isola, 9 giugno 1945;

(3) Cf. L’Isola, 19 giugno 1945;

(4) Cf. L’Isola, 21 giugno 1945. Gli editoriali dell’Unione Sarda dedicati all’esordio del nuovo Esecutivo, entrambi a firma del direttore Giuseppe Musio, sono del 22 e del 27 giugno 1945 (titoli: “il nuovo governo” e “Lavoro”). Il 27, in particolare, L’Unione scrive: «A Segni, a Corsi, a Mastino, uomini che tutta l’Isola ama e stima, il nostro saluto cordiale. Ad essi, che con Emilio Lussu rappresentano degnamente la Sardegna nel nuovo Ministero, non si possono chiedere miracoli: ma non è lecito dubitare che essi terranno presenti le esigenze e gli interessi di questa nostra terra, specialmente in tempi così tristi come gli attuali». Circa l’attenzione che L’Unione Sarda dedica al nuovo premier è da segnalare l’editoriale del 16 giugno 1945, che riprende dalla Nuova Europa del 6 maggio l’articolo “Parri” a firma di Mario Vinciguerra;

(5) Cf. Sardegna Socialista, 8 luglio 1945;

(6) Cf. Il Solco, 6 maggio 1945;

(7) Ibidem;

(8) Cf. Il Solco, 13 maggio 1945;

(9) Cf. Il Solco, 1° luglio 1945;

(10) Ibidem;

(11) Cf. Il Solco, 19 agosto 1945;

(12) Cf. Il Solco, 17 giugno 1945. Scrive il giornale sardista: «Alla fine della seduta L. Battista Puggioni ha pregato di essere esonerato dalle funzioni di Direttore Regionale essendo suo intendimento dedicarsi con maggiore intensità alla propaganda e alla direzione del giornale. Poiché, malgrado le insistenze degli amici, l’avv. Puggioni ha persistito nel suo proposito, il Direttorio, dietro proposta dell’avv. Bartolomeo Sotgiu e dell’on. Pietro Mastino, ha affidato la reggenza del Direttorio, in via temporanea e fino al nuovo Congresso Regionale, al vice direttore avv. G.B. Melis. L’on. Mastino, a nome del Direttorio, ha espresso all’avv. Puggioni la gratitudine del Partito per l’opera appassionata da lui svolta per l’organizzazione e la condotta politica del movimento dal giorno della sua ricostituzione ad oggi. Si è poi stabilito che l’avv. L.B. Puggioni continui a far parte del Direttorio, come direttore del giornale di Partito»;

(13) Cf. Il Solco, 19 agosto 1945;

(14) Ibidem;

(15) Ibidem;

(16) Cf. Il Solco, suppl., 30 settembre 1945;

(17) Cf. Raffaello Marchi, “Marianna Bussalay”, in Memorie politiche (di Mariangela Maccioni), Edizioni della Torre, Sassari 1988, pag. 176;

(18) Cf. Il Solco, 14 ottobre 1945;

(19) Cf. “Due lettere di Marianna Bussalay”, in Memorie politiche (di Mariangela Maccioni), cit., pag. 183;

(20) Cf. L’Isola, 4 ottobre 1945 e Il Solco, 14 ottobre 1945;

(21) Cf. Il Solco, 14 ottobre 1945;

(22) Ibidem;

(23) Cf. L’Isola, 30 agosto e 1° settembre 1945 e Il Solco, 9 settembre 1945;

(24) Cf. L’Isola, 6, 21 e 26 settembre 1945;

(25) Cf. L’Isola, 30 settembre 1945;

(26) Cf. Il Solco, 22 luglio 1945. Vedi anche l’edizione del 23 settembre dello stesso giornale che, in prima pagina, pubblica il seguente trafiletto titolato “Il Partito Sardo per il congedo dei richiamati”: «A far parte della Commissione nominata dalla Consulta Regionale per trattare col Governo per il congedo dei richiamati sardi il Direttore Regionale ha designato L. Battista Puggioni quale rappresentante del partito. Siamo sicuri che L. Battista Puggioni il quale, dalle colonne del Solco, ha diretto tutta l’appassionata campagna a favore dei richiamati, affiancando efficacemente l’opera delle masse del partito, insieme con gli altri rappresentanti nominati dalla Consulta, saprà parlare con decisione e illustrerà efficacemente la situazione sarda in ordine ai richiami ed al trattamento inflitto ai nostri giovani. Dalle decisioni immediate che il Governo saprà e vorrà prendere dipende l’ulteriore azione del nostro partito e del Comitato di Agitazione che già è stato costituito». Sul trattamento imposto i soldati sardi in continente, vedi anche, sullo stesso giornale sardista del 2 settembre 1945, il redazionale “Marocchini”;

(27) Cf. L’Isola, 30 settembre 1945;

(28) Cf. L’Isola, 24 novembre 1945;

(29) Cf. Il Solco, 28 ottobre 1945;

(30) Cf. Il Solco, 2 dicembre 1945;

(31) Cf. Il Solco, 16 dicembre 1945. La battuta del giornalista Thomas Healy è sul numero del 28 ottobre 1945. Sull’apprezzamento politico del Ministero Parri da parte del PSd’A vedi anche Il Solco, 9 dicembre 1945. Esso pubblica altresì i testi dei discorsi tenuti da Puggioni, Melis e Joyce Lussu in un “convegno di popolo” svoltosi a Cagliari domenica 2 dicembre.

Se a fine aprile (cf. L’Unione Sarda, 1° e 3 maggio 1945 e Il Solco, 6 maggio 1945) Pietro Mastino ed Emilio Lussu hanno anticipato col grande comizio del largo Carlo Felice a Cagliari il proprio ingresso nel governo nazionale che si sarebbe costituito di lì a poche settimane, sono ora, nello stesso luogo e davanti ad una folla non meno numerosa, il responsabile del giornale, il direttore regionale del partito e la compagna del leader carismatico del sardismo… azionista, a chiosare quell’esperienza, difendendo il valore democratico del Ministero Parri e le sue istanze fondamentali, in primis la convocazione della Costituente.

«La crisi è maturata nel chiuso delle conventicole romane, fra gli intrighi dei gabinetti ministeriali e dei circoli giornalistici, senza alcuna rispondenza al sentimento popolare», dice Puggioni, che non manca – ancora una volta – di confermare la sua stima per il presidente del Consiglio ed il suo Governo: «Parri è nostro vecchio compagno di fede, amico della prima vigilia della battaglia sardista, è un sincero autonomista, profondamente devoto alla causa della democrazia»;

(32) Cf. Giovanni De Luna, Storia del Partito d’Azione, Feltrinelli, Milano 1982, pag. 304. Cfr. anche Giancarlo Tartaglia, I congressi del Partito d’Azione, Edizioni di Archivio Trimestrale, Roma 1984, pag. 116;

(33) Cf. Il Solco, 11 novembre 1945;

(34) Cf. Il Solco, 23 dicembre 1945;

(34) Ibidem;

(35) Cf. L’Isola, 4 luglio 1945 e L’Unione Sarda, 6 luglio 1945;

(36) Cf. L’Isola, 7 agosto 1945 e L’Unione Sarda, stessa data;

(37) Cf. L’Isola, 14 settembre 1945 e L’Unione Sarda, 13 settembre 1945;

(38) Cf. L’Isola, 4 novembre 1945;

(39) Cf. L’Isola, 19 luglio 1945;

(40) Cf. L’Isola, 30 settembre 1945;

(41) Cf. L’Unione Sarda, 6 settembre 1945;

(42) Cf. L’Isola, 4 settembre 1945;

(43) Cf. L’Isola, 16 settembre 1945 e L’Unione Sarda, 14 settembre 1945;

(44) Cf. L’Isola, 9 ottobre 1945;

(45) Cf. L’Isola, 16 settembre 1945;

(46) Cf. L’Isola, 5 ottobre 1945;

(47) Cf. L’Isola, 31 ottobre 1945;

(48) Cf. L’Unione Sarda, 4 novembre 1945;

(49) Cf. L’Isola, 4 novembre 1945;

(50) Cf. L’Isola, 6 novembre 1945;

(51) Cf. L’Unione Sarda, 5 settembre 1945;

(52) Cf. L’Isola, 27 giugno 1945;

(53) Cf. L’Isola, 29 giugno 1945;

(54) Cf. L’Isola, 14 luglio 1945;

(55) Cf. L’Isola, 25 agosto 1945;

(56) Cf. Elettrio Corda, Storia di Nuoro, Rusconi, Milano 1987, pag. 292;

(57) Cf. L’Isola, 17 luglio 1945;

(58) Cf. L’Isola, 22 agosto 1945;

(59) Cf. L’Unione Sarda, 24 agosto 1945;

(60) Ibidem;

(61) Cf. L’Unione Sarda, 29 luglio 1945. Ecco “scopi e compiti” dell’Associazione come da statuto:

«1) Affermazione e difesa del diritto soggettivo al risarcimento del danno di guerra, diritto basato non solo sulla legge, che già lo ha riconosciuto ed applicato, ma anche sul principio della solidarietà nazionale, massimo coefficiente per la rinascita della Patria e sul concetto che la ricostruzione della ricchezza distrutta dalla guerra si inquadra e sta in funzione della ricostruzione economica di tutta la Nazione;

«2) Intervento dell’Associazione presso le autorità centrali perché tale diritto non venga intaccato od ingiustamente ristretto in emanande nuove leggi ed a tal uopo presentazione alle stesse autorità di tutte quelle proposte, progetti e dimostrazioni atte allo scopo;

«3) Azione diretta a conseguire che negli organi di studio e di elaborazione governativi ed amministrativi come nelle Commissioni liquidatrici, abbiano il loro posto rappresentanti diretti dei danneggiati designati dall’Associazione;

«4) Azione diretta a promuovere l’immediato intervento dello Stato per la rapida ripresa delle attività Individuali e collettive in ogni campo agricolo, industriale, lavorativo, loro divulgazione tra l’opinione pubblica, loro difesa avanti agli organi che debbono esaminare i principi e le modalità di esecuzione;

«5) Richiesta che le Commissioni preposte alla valutazione e liquidazione del danno siano aumentate in numero corrispondente al più sollecito esaurimento delle pratiche; che siano fissati dei termini per le istruttorie e le informazioni da esperirsi dagli uffici finanziari fornendoli contemporaneamente di un accresciuto numero di funzioni; che sia ordinata la immediata ripresa almeno delle procedure per l’accertamento del danno e del suo ammontare onde provvedere alla liquidazione del danno od almeno alla liquidazione di un primo acconto, ad ordinare l’immediata ripresa degli accertamenti degli uffici tecnici, dando peraltro facoltà ai privati di eseguire le riparazioni urgenti e necessarie per rendere abitabili almeno le case danneggiate; lo stesso sistema usando per i mezzi di trasporto macchine, attrezzi, ecc. che è urgente possano essere rimessi m funzione;

«6) Azione diretta a ripristinare subito il pagamento degli acconti già deliberati prima del 4.6.1944 e promuovere il sollecito accreditamento di acconti sulle domande non ancora deliberate e su quelle che verranno sollecitamente presentate;

«7) Azione diretta alla creazione come avvenne dopo la guerra 15/18 di una Banca Centrale della ricostruzione avente lo scopo di antecipare una parte dell’indennizzo, concedere mutui a lunga scadenza e senza interesse per le quote minime ed a bassissimo interesse per la rimanenza onde concertare le sollecite ricostruzioni e messa in efficienza dei mezzi lavorativi;

«8) Provvedere alla creazione di consorzi comunali obbligatori di ricostruzione allo scopo di favorire la concessione di crediti e di mutui;

«9) Azione diretta ad ottenere che gli stabili danneggiati siano ricostruiti con criteri di urbanistica moderna, di igiene e di salubrità poiché questo è uno dei migliori mezzi per la elevazione del popolo lavoratore e per la marcia della Nazione verso un più elevato livello di civiltà;

«10) Istituzione di commissioni varie di autentici esperti per lo studio delle numerose e difficili questioni del danno di guerra connesso alla ricostruzione nazionale;

«11) Assistenza multiforme agli associati»;

(62) Cf. L’Unione Sarda, 24 agosto 1945;

(63) Cf. L’isola, 11 ottobre 1945;

(64) Cf. Il Solco, 9 dicembre 1945. Al settore amministrativo affidatogli nei ministeri Parri e De Gasperi, visto nei suoi più larghi aspetti, Mastino conserverà la sua attenzione anche durante i lavori della Costituente. Ecco un passaggio del suo discorso tenuto a fine febbraio 1947 per illustrare l’ordine del giorno da lui presentato insieme coi colleghi Lussu, Corsi, Gesumino Mastino, Falchi, Chieffi, Abozzi, Mannironi e Murgia (cf. Il Solco, 8 marzo 1947):

«[La Sardegna] è senza dubbio da porre fra le regioni povere. Essa non ha subito, è vero, per effetto della sua guerra, danni così gravi come le altre regioni di Italia. Delle città, quella maggiormente bombardata fu Cagliari; Cagliari che però risorge dalle macerie, pulsa già nuovamente di vita febbrile per commerci e per industrie che tentano di riprendere il passo nell’interesse dell’Isola e dell’economia nazionale. Tutto questo la città di Cagliari ha potuto fare non perché abbia avuto aiuti dal Governo, sempre incerto sulla linea da seguire, in materia di risarcimento di danni di guerra, bensì per l’attività veramente encomiabile dei suoi abitanti.

«La Sardegna di certo non ebbe grandissimi danni di guerra ma le perdite non devono essere vedute soltanto nelle distruzioni dovute ai bombardamenti ed in quella che può essere stata azione diretta di guerra. L’economia dell’Isola dovette provvedere durante l’ultimo periodo della guerra alla alimentazione ed al sostentamento di molti eserciti che vi si accampavano ed il formaggio fu allora ceduto a 19 lire il kg., merci di produzione locale furono poi esportate a prezzi d’imperio, i manufatti, gli arnesi e gli strumenti agricoli importati dal continente italiano furono e sono pagati a prezzi impossibili. Questo dà diritto ad una speciale considerazione dell’Isola oggi che si preparano provvedimenti d’indole fiscale…»;

(65) Cf. L’Isola, 7 e 15 luglio 1945 e L’Unione Sarda, 18 luglio 1945. Cf. anche – col dettaglio della proposta del PSd’A – Il Solco, 15 luglio 1945;

(66) Cf. L’Isola, 12 e 31 ottobre 1945;

(67) Cf. L’Isola, 26 ottobre 1945 e L’Unione Sarda, stessa data.

 

 

 

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