«Un errore il prezzo unico del latte. Il settore si salva solo con la qualità» , intervista di Piera Serusi

Intervista a Roberto Rubino, 71 anni, si occupa di qualità delle produzioni agricole, presidente di “Formaggi sotto il cielo”: basta Romano, bisogna fare grandi pecorini.


«Questa crisi della filiera del latte ovino sarebbe potuta essere un’occasione storica per smontare un sistema che non va. E invece si ripetono  gli errori, a partire da quello più grande».

Quale?

«Il prezzo unico del latte».

 

Perché è un errore?

«Perché è il presupposto di un sistema che non punta sulla qualità. Il latte viene miscelato, è considerato tutto uguale e invece così non è. Se poi ci aggiungiamo che per produrre i pecorini romano e sardo questo latte viene pastorizzato, è come se tutta l’uva della Sardegna venisse miscelata e si facesse un vino in bric. Ecco, il pecorino ro mano è un formaggio da pochi soldi».  Non usa giri di parole, Roberto Rubino. Settantuno anni,   casa a Potenza, è il presidente dell’associazione italiana Formaggi sotto il Cielo nonché fondatore del consorzio  nazionale “Metodo Nobile”,  una rete che unisce produttori e trasformatori dei vari comparti agricoli votati a valorizzare la qualità della materia prima. Un sodalizio che ha radici anche in Sardegna  visto che il presidente è Sergio Sulas, imprenditore zootecnico di Bolotana e numero uno del Gal Marghine. “Proprio assieme al Gal Marghine, a Macomer, abbiamo fatto un buon lavoro con “Prati fioriti”, per incoraggiare i pastori a coltivare i prati e non gli erbai come invece si fa in Sardegna».

Che cos’hanno che non va, gli  erbai?

«Appiattiscono il sapore del latte. Hanno solo un paio di erbe e ne abbassano perciò la qualità.

I prati garantiscono invece un pascolo migliore?

“Il latte migliore in assoluto  si fa con gli animali che pascolano sui prati naturali,  con un numero elevato di erbe e senza mangimi che diluiscono le molecole aromatiche. Col nostro progetto nel   Marghine tanti pastori hanno potuto scrivere nel depliant che pubblicizza i loro prodotti di avere animali al pascolo che brucano 55 erbe. La strada è questa».

Perché dice che il pecorino romano è l’equivalente di un vino in bric?

«Se in un grande ristorante dell’Isola chiedo una degustazione di formaggi sardi, mi portano pecorini termizzati o pastorizzati, tutti uguali, senza ìdentità, e il proprietario non è in grado di spiegarmi le caratteristiche di ciascuno. Senta, a Malaga, in un locale dove facevano solo carne di maiale, nel banco c’erano tre tagli da 50 euro al chilo, 100 e 150. Ho chiesto perché? Mi hanno risposto: il primo mangiava mangime, il secondo mangime e ghiande, il terzo solo ghiande. Il motivo vero della differenza di prezzo».

La tradizione e la Dop non contano?

«La tradizione? Per il numero di pecore e pastori avreste dovuto spaccare, invece così non è. A New York il pecorino romano costa meno dell’ultimo formaggio che viene dalla Bolivia. C’è il Roquefort, che secondo me è un formaggio da quattro soldi, eppure viene pagato il doppio: perché là fanno le cose per bene, viene stagionato in grotta e raccontato. Quanto alla Dop, se fai un grande formaggio te ne freghi della Dop».

Perché?

«Perché in Italia ognuno fa quello che vuole. In Francia, invece, lo Stato ha imposto agli allevatori di abbassare la razione di mangimi: a una vacca massimo 5 chili al giorno. In Italia gliene danno 15».

Ma è fattibile adesso dire ai pastori: se lavorate sulla qualità, il latte vi viene pagato meglio?

«Lo si deve dire agli industriali che devono essere incentivati a produrre magari anche il Romano, ma soprattutto grandi formaggi fatti col latte di qualità».

Il sistema non è pronto.

«È uno sbaglio tornare a parlare di prezzo unico, così non se ne esce. Va bene, c’è l’emergenza, si spendono 50 milioni di euro per ritirare le eccedenze di pecorino, ma si può destinare 5 milioni a un modello alternativo? Si dice agli industriali: vi diamo i soldi se pagate bene il pastore, non mescolate più il latte, separate quello di prato, lavorate a crudo e poi fate stagionare le forme in grotta. Dopo un anno avremo 1o mila forme di un grande formaggio: insomma si inizia un percorso nuovo, finalmente».

L’Unione Sarda 2 marzo 2019

 

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