IL SARDISMO DEI SARDI(seconda parte). I sardismi della campagna elettorale. Il nome della Giunta e la ‘cosa’, di Salvatore Cubeddu
Mi chiedesse un parere, insisterei con il Presidente Solinas perchè metta nella sua agenda della settimana un incontro –singolo o collettivo, veda lui – con Paolo Maninchedda, Mauro Pili e Andrea Murgia. Non solo perché il loro quasi 8% rappresenta una presenza sardista/nazionalitaria numericamente significativa, ma per l’evidente motivo che costituiscono una ricchezza di capacità elaborativa, esperienza gestionale, ‘disponibilità patriottica’ e generosità umana di cui la Sardegna ha bisogno.
Costituirebbe sempre una buona opportunità e sarebbe segno di saggezza che le osservazioni e l’elaborazioni delle tematiche dei concorrenti/avversari alle elezioni diventassero oggetto comunque di attenta riflessione, una volta che la ricerca del consenso lasci il campo ai successivi compiti istituzionali, dove le buone regole del governare quasi sempre devono diversificarsi dalle caratteristiche che hanno consentito l’arrivo al potere.
Si pensi a quanto Andrea Murgia ci ha insegnato sulle concrete potenzialità di un vero rapporto con le istituzioni europee e sull’utilità di radicali novità della nostra presenza in Europa. L’esperienza di un intellettuale come Paolo Maninchedda in ruoli amministrativi assomma competenze e condizioni certamente auspicabili nel nuovo Consiglio regionale. E Mauro Pili ha svolto negli ultimi cinque anni un impegno costante di cura delle informazioni e dei modi con i quali lo Stato usa e sfrutta la Sardegna, aggiungendo le modalità del contrasto all’approfondimento di una risposta alternativa.
Certo, tutto questo può continuare una volta elaborato il comprensibile rammarico del momento, ma è interesse generale valorizzare in positivo l’oggettivo ‘vicinato’ delle loro sensibilità e delle loro elaborazioni politiche. Oggettivamente’ sardiste’, quelle sempre avversate dai partiti italiani, il federalismo e l’indipendentismo innanzitutto.
Il cambio immediato della legge elettorale sarebbe un atto di riparazione indispensabile – per la democrazia sarda, dico – in vista del futuro. Prossimamente il Consiglio regionale verrà chiamato dalla vicenda italiana ed europea a svolgere finalmente il ruolo di innovazione istituzionale che i più sensibili e avvertiti tra i Sardi attendono da decenni.
La presenza tra i tre di un ex presidente della Regione quale Mauro Pili consente un approfondimento insolito sull’esperienza dei rapporti con lo Stato da parte della nostra classe dirigente regionale.
E’ sotto gli occhi di tutti la retromarcia di Francesco Pigliaru quando chiama in giudizio quel governo italiano che ci ha estorto quasi trecento milioni di euro, dopo che la sua Giunta gli aveva abbonato ben di più quando i propri compagni di schieramento erano al potere in Italia, cioè fino all’anno scorso.
Ma si può anche vedere oltre l’opportunismo partitico, considerare cioè la tarda presa d’atto di un’esperienza che invece è stata generale tra le cariche istituzionali della Regione Sarda, indipendentemente dal fatto che al governo ci fossero i democristiani, i socialisti, il centro-destra o la sinistra ex-comunista.
La consapevolezza inizia presto: dopo la rinuncia di Luigi Crespellani al suo terzo governo (1953), è la vota delle dimissioni del (altrettanto) democristiano Alfredo Corrias nel giugno 1955. Il motivo espresso nel documento presentato a Roma e al Consiglio regionale è la “sdegnata protesta contro il pervicace disconoscimento dei diritti e delle rivendicazioni storiche della Sardegna da parte dell’Amministrazione Centrale dello Stato, contro l’ostinato sottrarsi agli impegni costituzionali espressamente sanciti ed esplicitamente riconosciuti, contro … , contro …. , contro …, contro … “.Seguirono le dimissioni del Corrias dalla Presidenza della Regione, le sue dimissioni dal Consiglio regionale e, poco dopo, dalla Democrazia Cristiana. Ci si confronti con il recente ‘presente’: “quam mutatus ab illo!!!” (1).
La personale esperienza di chi scrive inizia nel corso di un conflitto sindacale con Pietrino Soddu, nel 1979, negli ultimi tempi della sua presidenza. Rivolto a me, ma quasi parlando a se stesso: “Cubeddu: ormai con lo Stato bisogna cambiare le regole del gioco …!”. Un discorso così esplicito non l’ho sentito da altri presidenti, ma colsi questa stessa amara riflessione in quasi tutti loro, quella che, invece, nel sardista Mario Melis era affermazione conclamata, praticamente scontata. Tutti i Presidenti della Regione sarda hanno fatto esperienza degli inganni statali, al più alto livello come nella burocrazia ministeriale e degli Enti. Cambia solo l’ammissione più o meno esplicita, nel segmento di atteggiamenti, tra la ‘tacita connivenza’ e l’aperto contrasto.
Christian Solinas anticipa questa consapevolezza quando afferma che si rivolgerà a Roma e a Bruxelles ‘con la schiena dritta e non con il cappello in mano’? Credo sia informato sui predecessori.
Ma il discorso si congiunge con la definizione che va costruendosi presso la pubblica opinione sulla “Giunta sardo-leghista”, gridata nell’immagine di Solinas-Salvini a tutta pagina del giornale cagliaritano e, soprattutto, con il bombardamento ad alzo zero subito intrapreso contro di lui ed il suo governo (neanche insediato e non ancora individuato) da parte del corrispondente quotidiano sassarese.
E’ possibile che ‘Giunta sardo-leghista’ resti la denominazione dei prossimi cinque anni del governo regionale presieduto dal segretario del PSd’Az. Denominazione che appare costruita con un intento prevalentemente denigratorio, visto che la Lega e il PSd’Az non rappresentano insieme neanche la metà della coalizione vincente, a meno che nel termine ‘sardo’ non si intenda comprendere l’insieme delle liste ad origine locale, che hanno ottenuto più voti delle liste ‘nazionali’ (italiane), e che si intenda compresa nella voce ‘leghista’ anche Forza Italia e Fratelli d’Italia.
L’utilizzo denigratorio di ‘leghista’ è un fatto recente, connesso alla formazione e al perdurare in Italia dell’accordo tra la Lega e i 5stelle ed al convergere dei precedenti equilibri bipolari tra centrosinistra e centrodestra con gli interessi rappresentati dai grandi giornali e dalla grande burocrazia statale che teme un ridimensionamento di ruolo e l’arrivo dei tagli degli stipendi, dopo che ai parlamentari, anche alla magistratura ed agli alti funzionari. In realtà quest’ultimo pericolo viene dai ‘grillini’ ma, trattandosi di obiettivi veramente di sinistra, diviene più facile e ‘politicamente corretto’ attaccare il governo giallo-verde sulle tematiche anti-immigrazione, più facili da distorcere e che servono a demonizzare l’avversario e a squalificarlo moralmente. “E’ proprio della lotta politica fare dell’antagonista l’oggetto della massima riprovazione etica: muovere dal disprezzo e dalla delegittimazione consente di indirizzare contro di esso il massimo di ostilità e di mobilitazione”. La afferma Luigi Manconi (2) e la massima resta valida anche se scritta in direzione differente, quasi opposta, alla nostra. Come si possa offendere il partito sardo lasciando intendere, per estensione, l’accusa di razzismo collegata a quello di populismo e sovranismo (3) è un atto risibile. All’inaugurazione del congresso sardista di qualche mese fa, dopo i saluti dei leader, ‘I Neri per sempre’, 6 cantanti di origine sub sahariana ora attivi in quel di Sassari, hanno cantato, tra le altre canzoni in sardo, anche ‘Non potho reposare’. Vi consta di aver sentito tutto questo in un qualche altro congresso regionale di partito?
Eppure quella di Matteo Salvini in Sardegna nella scorsa settimana non è stata una presenza come quella di altri politici. Né quel rapporto con il PSd’Az può considerarsi un rapporto da sottovalutare senza metterlo sotto riflettore. Il discorso va proseguito. (2. continua)
(1). La vicenda e la lettera/filippica del Presidente Alfredo Corrias può leggersi in SARDISTI, vol. II, pag. 173 ss., consultabile anche in questo sito.
(2) LA LETTURA de Il corriere della sera, 24.02.2019.
(3) Il sardismo non può che essere dalla parte del proprio popolo ingiustamente colonizzato e ‘dipendente’ . Il rispetto di una propria sovranità distinta da quella italiana non può non essere tra i suoi temi fondanti ed esistenzialmente motivanti.