Il sardismo dei Sardi (prima parte), di Salvatore Cubeddu
EDITORIALE DELLA DOMENICA, della FONDAZIONE
I “Sardi” sono tutti “sardisti”?
La teoria del ‘sardismo diffuso’ ha avuto nel passato il suo importante sostenitore in Mario Melis, sia da presidente che nella fase successiva. Interpretava con questi termini il revival etnico degli anni settanta del XX° secolo presso le nazioni europee senza stato (Baschi e Catalani in Spagna, Scozzesi e Gallesi nel Regno Unito, Occitani e Bretoni in Francia, i Fiamminghi in Olanda). Il fenomeno in Sardegna si era manifestato con l’improvviso rilancio del Partito Sardo d’Azione agli inizi degli anni ’80 e per questo fu subito individuato come “il vento sardista”.
Si veniva dalla crisi dell’industria petrolchimica e minerario-metallurgica, divenuta crisi anche della seconda legge di rinascita (la l. 268, dopo la l. 588) e della prima Autonomia. Incapacità e non volontà della grande parte dei partecipanti dell’intesa autonomistica (e del sindacato confederale) nell’individuare soluzioni innovative, nel mentre contrastavano le proposte alternative presenti sul campo. A livello economico, culturale, sociale e istituzionale.
Con il consenso elettorale del 14%, nel 1984, Mario Melis portava al governo della Regione i comunisti ed i socialisti, con i quali aveva governato anche nella Giunta Rais del 1981. Il PSd’Az aveva già virato a sinistra nel 1976, con la candidatura di Michele Columbu alla Camera nelle liste del PCI, neanche dieci anni dopo le due più lunghe esperienze con la Dc, sotto la guida rispettivamente di Luigi Crespellani e di Efisio Corrias (1).
All’interno del Partito sardo il giudizio sull’esperienza Melis è stato contradditorio: positivo per la fiera personalità ed il piglio energico ed empatico del Presidente (2), negativo nei risultati sui programmi sardisti, di cui la bocciatura della legge sulla lingua sarda il giorno prima delle elezioni è stata vissuta come offensiva ed esemplificativa del tradimento degli alleati della sinistra. Nelle segrete stanze sardiste se ne faceva ricadere la responsabilità anche al Presidente, il quale, offeso, rispediva le critiche al suo PSd’Az, responsabile di avergli messo a disposizione assessori impreparati e non all’altezza delle situazioni. Perciò il richiamo al “sardismo diffuso” aveva in sé anche un portato polemico nei confronti del ‘sardismo organizzato’. Gli anni ’90 si incaricarono di dimostrare il mancato rinnovamento del PSd’Az. Il tutto è stato aggravato dal turbine del crollo della prima repubblica italiana e dalla veloce scomparsa dei partiti di massa, il cui modello era l’unico disponibile nel mercato politico.
Il terzo sardismo (3) è stato il ritorno dei Sardi alla fonte da cui era nata l’autonomia, ma il partito non era pronto e gli amici/avversari della Giunta Melis si dimostrarono più forti. E, secondo la maggioranza dei sardisti, più subdoli. Ma non c’è stata una vera riflessione collettiva su quel fallimento, i cui più visibili effetti sono stati la delusione e la dispersione di tanti Sardi diventati sardisti, con il moltiplicarsi delle frazioni neosardiste. ‘Il sardismo diffuso’ divenne da allora ‘sardismo disperso’.
Nel 1984 i Sardi erano stati i primi, analizzando criticamente la forma e la sostanza dell’ Autonomia gestita dai partiti ad obbedienza italiana, a mettere in discussione la prima Repubblica. Dieci anni dopo di loro, gli scandali avrebbero scatenato quel crollo, di cui si sarebbe avvantaggiata la Lega Nord e, quattro anni dopo di loro, la Forza Italia di Silvio Berlusconi. .
Quasi nessuno l’ha ricordato, tra i nostri commentatori della presente vittoria di Christian Solinas. Quando Umberto Bossi iniziava a volantinare lanciando i primi vagiti della Lega Lombarda alla fine degli anni ’80, i suoi modelli erano l’Union Valdotaine e soprattutto il lontano PSd’Az. Nella primavera del 1991, a conclusione della campagna elettorale per le elezioni comunali a Varese (le prime vinte), chiamò Mario Melis ed il sottoscritto a discutere di federalismo con lui e con Franco Rocchetta, già a capo della Liga Veneta (4) . Nel 1992, una delegazione degli innovatori che guidavano il partito sardo ebbe un incontro ufficiale con Bossi che chiedeva di presentarsi con i sardisti alle vicine elezioni politiche. Questa alleanza venne pure sollecitata da Bettino Craxi, in questo caso con il suo PSI. Ma il PSd’Az decise di andare da solo.
Nel dicembre del 1993, alla vigilia delle elezioni anticipate e di quelle europee, sono il segretario Italo Ortu e Mario Melis – decisivo come non mai nelle scelte del partito sardo – a invitare la delegazione della Lega guidata da Umberto Bossi di fronte alla folla presente alla Fiera.
I contatti proseguiranno ad intervalli, fino alla vittoria di oggi, inaspettata per i più, che apre innumerevoli interrogativi e altrettante possibilità, con i relativi pericoli e le altrettante positive prospettive.
Ma la domanda iniziale vorremmo che restasse: ‘i sardi sono tutti sardisti?’.
I numeri elettorali di questa settimana, quel 10%, sono ‘da vento sardista’ pur senza le premesse socio-ambientali di allora, innanzitutto le lotte sociali diffuse e la militanza come costume di una generazione. Saranno gli studi politologici annunciati ad andare a fondo nella migliore descrizione ed analisi del voto appena espresso.
Ma un dato sembrerebbe già acclarato: a fronte di proposte politiche convincenti l’intelligenza politica del nostro Popolo resta disponibile e pronta ad interloquire con il sardismo presentato da ‘sardisti credibili’. Una prateria immensa di ‘lavoro politico’ (si sarebbe detto un tempo) è aperta all’intelligenza ed alla passione di giovani e meno giovani, per i quali il destino di libertà e di prosperità della patria sarda si anteponga ad ogni pur legittimo successo personale e familiare.
Ma il quesito è: cosa significa riproporre oggi un messaggio nato un secolo fa, nel secolo XX°, il più veloce, contradditorio, terribile e mutevole della storia umana?
Certo che ritorneremo sul tema e sugli interrogativi, sui pericoli come pure sulle lezioni che ci arrivano dall’esperienza, sul successo elettorale e sulle forme per rafforzarlo proponendo i modi di un ‘protagonismo diffuso’
“La Sardegna sarà redenta dai Sardi”, secondo l’antica frase ‘mazziniana’ che fasciava il titolo del giornali ‘il Solco’.
Tutto questo vale se si voglia assumere fino in fondo il percorso di ‘un quarto sardismo’.
(continua)
(1)Quelle due alleanze con la DC furono costantemente difese ed apprezzate, contrariamente alla discussa fase del centrosinistra (1965-1974) ed a quella dell’Intesa Autonomista, ‘il ‘compromesso storico’ tra DC e PCI, attivo in Sardegna dal 1974 al 1979, che un articolo di Michele Columbu (L’Unione Sarda, 27 agosto 1979, dal titolo “Resistere e riflettere”) liquidava con la frase: “Tanto glorioso progettare non ha prodotto un accidente”.
(2)Nella memoria dei Sardi Mario Melis risulta il più popolare dei presidenti della Regione, ancor atra i più riconosciuti ed apprezzati.
(3)Dobbiamo la definizione di ‘terzo sardismo’ al medico e storico Gianfranco Contu, descritta anche in un suo successivo saggio presente in questo sito alla voce PUBBLICAZIONI, Quaderni della Fondazione Sardinia, Il federalismo in Sardegna. Il primo sardismo viene individuato a partire dagli anni della fondazione del Partito Sardo d’Azione nel primo dopoguerra. Il secondo, a partire dall’8 settembre 1943, con la caduta del fascismo e l’arrivo delle truppe alleate in Sardegna, che trova il PSd’Az quale primo è più forte partito organizzato.
(4)La Lega Nord ebbe la sua esplosione alla elezioni politiche proprio nel 1992. Nel 1989 essa venne fondata dai Lombardi e dai Veneti. Questi ultimi avevano costituito la Liga Veneta nel 1979, nell’anno del congresso sardista di Porto Torres, quello che segnalò la ripresa di massa del sardismo e della sua linea indipendentista.
Nota bene. Le citazioni storiche presenti in questo articolo – e in quelli che seguiranno, per il periodo che arriva fino al 1976 – possono venire verificate dal lettore nei libri disponibili su questo sito, alla voce PUBBLICAZIONI, monografie, SARDISTI, viaggio nel partito sardo d’azione, tra cronaca e storia, vol. I (1919-1948) e II (1949-1976). Edes, SS. E anche IL SARDO-FASCISMO, fra politica, cultura , economia (Edizioni Fondazione Sardinia, 1993).
Cagliari, 3 marzo 2019
By Mario Pudhu, 3 marzo 2019 @ 21:08
I Sardi sono tutti “sardisti”?
Risposta mia personale: deo Mario Pudhu mai prus sardista! E in sa sustàntzia za no so mai istadu sardistas mancu cantos annos so istadu tesseradu militante in su PSd’Az. e su chi apo chircadu e chirco de fàghere est de èssere sardu.
Si poi, chiesisiat, mi at cussideradu sardista pro s’intrada e militàntzia mia, modesta ma assolutamente sintzilla e “disinteressata” (= no m’interessaiat nudha de personale) in su PSd’Az (ma ‘nàschidu’ e créschidu in su Círculu Città-Campagna e in su Movimentu de Su Populu Sardu) tocat solu a bídere ite bi at postu o bi bonet in custu “–ista” cun raighinas sardas.
E in cantu a su “sardismo diffuso”– e sa osservatzione za fit zusta, a dolu mannu (= sardistas fintzas sos Sardos de sos partidos italianos) – no lu naraiant cun piaghere sos dirigentes sardistas e no fint pagos sos lamentosos ca sos italófilos che lis fint “furendhe” sos temas, sos argumentos “da rivendicare”! Comente a nàrrere chi su ‘campu’ de sardistas e antiPSd’Az. fit su matessi ‘campu’ regionalista.
Fato presente chi deo naraia un’àtera cosa: Suta de donzi sardu bi at unu sardu, cussu chi totu sos domínios, e manc’unu che a su domíniu sabbàudu-italianu, ant ingabbiadu, afogadu, mascaradu, iscallau in totu sos ‘termovalorizzatori’ o iscallatórios tricolores tantu chi sos Sardos ancora oe – chi puru semus una chimbantina de annos chirchendhe de nos ischidare dae su sonnu mortale – semus fusi, confusi, profusi, trasfusi, refusi (e diffusi, chi tiat pàrrere una cosa bona si no istat chi est sa desertificatzione de sa Sardigna, s’isperdimentu peri su mundhu de sos Sardos coment’e Pópulu/natzione e una morte sempre prus miseràbbile de cantos ancora resessimus a resístere a tilipendhe).
Su PSd’Az est nàschidu coment’e partidu italianu regionalista rivendicatzionista in Sardigna: partidu a duas caras, bifronte, unu pàrrere natzionale chentza èssere, e gai est abbarradu e ancora est a crebu de s’indipendhéntzia chi puru at iscritu in s’Istatutu. Ma sa política sua no l’at bogada mai dae s’istória millenària e mescamente reghente e presente de sa natzione sarda, istória mai tantu opressiva, isfrutadora e distrutiva cantu in sos tempos de domíniu sàbbaudu-italianu; e ancora est frimmu apitendhe a Sua Maestà apedhiau pedindhe sas “cinque domande” de su 1794 cun d-una passiéntzia dughentos annos sempre solu “comintzendhe a mancare” ispetendhe chi sa “Delegazione” torret dae Oltretirreno a “tasche piene”.
Ma chie tiat pòdere menzus aprofitare de su regionalismu de su PSd’Az e de totu sos Sardos a “sardismo diffuso” si no su domíniu de s’Itàlia e chie lu rapresentat?
Su qui pro quo de su PSd’Az est su terrinu de totu sos ‘amores’ pisdatzistas, regionalistas, oe inderetura cun sa Lega lombarda cun totu chi peruna fortza política italiana che a sa Lega interpretat menzus s’Itàlia Itàlia/Istadu italianu dominante, s’Itàlia de totu s’aprofitamentu de sa formatzione e guvernu de s’Istadu italianu chi at isfrutadu sa Sardigna (e su Meridione) e como nos tenet coment’e “palla al piede” in sa currera de cuadhu de punta de s’irvilupu e de s’economia mundiale.
S’ambiguidade de su PSd’Az est s’apripista de totu sos partidos de sa dipendhéntzia de su domíniu oe italianu: bi podent colare a tapetos istérridos, o che autotrenos in s’autostrada e fàghere su gàrrigu de totu su chi cherent seguros chi mai unu partidu sardu regionalista lis podet pònnere dificurtade peruna ca antzis sunt in cunditziones de lu cundennare a si los ingratziare pedíndhelis unu postu in su ‘autotrenu’ binchidore, comente ant fatu.
Personalmente est de su 1994 chi no mi so iscritu prus a su PSd’Az. ca lu cussideraia mortu, finidu, agabbadu. Si no bit fit mai istadu, fossis oe, iscallaus acomenti seus, aimus nadu chi tiat tocare de l’imbentare. Ma custu partidu, italianu a duas caras, in Sardigna bi est dae su 1921, est lompindhe sos chent’annos. Est bonu ca est istagionadu? Est sàbiu o prus capatzu ca est betzu? Tenet sa fortza de su orgoglio? Sos partidos, si no sunt s’aina, una “leva”, pro fàghere fortza paris e realizare un’ideale políticu colletivamente útile, bonu e netzessàriu e tantu prus netzessàriu a sa natzione sarda pro s’illibberare e guvernare, in su mundhu de oe, eja, sunt una crésia o una trassa o una màchina po frabbicare cadiras e cadiredhas de torracontos personales e no un’ideale dignu de sas menzus capatzidades e atziones morales, culturales, professionales e umanas de su cristianu pro su bene colletivu de sa natzione/societas.
Su cristianu no est unu fóssile e no bido proite tiant dèpere èssere fóssiles sos sardistas. Ma tocat a pèrdere unu inútile “orgoglio” (chi est fintzas difetu) e sa mandronia mentale a cussiderare s’istória nostra e de su PSd’Az pro su chi sunt e si sos Sardos sardistas sunt zente bia za tiat èssere ora de cambiare sa bisura de custu partidu totu paris – e no a iscórriu e presuntzione – cun àteros Sardos chi ant cambiadu a s’istrada de s’indipendhéntzia, ca su caminu betzu imbetzat fintzas sos àinos. Sinono ant a sighire èssere unu partidu sardu fartzu e indignu, de ambiguidade no prus pagu de sos Sardos in sos partidos italianos.