Il voto sull’Europa, la nostra anomalia, di Angelo Panebianco

È difficile che l’imminente consultazione elettorale chiarisca agli occhi degli italiani quale sia la vera posta in gioco. Regnerà, come al solito, la confusione.

È possibile che in molti Paesi aderenti all’Unione (ma forse con l’eccezione dell’Italia) le prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo siano le prime «vere» consultazioni europee. Nel senso che, per la prima volta, esse potrebbero non essere più, per le opinioni pubbliche, ciò che sono sempre state, ossia un costoso sondaggio per misurare, all’interno di ciascun Paese, la popolarità o l’impopolarità del governo nazionale. Forse, per la prima volta, tanti elettori voteranno con un diverso intento, voteranno a favore o contro l’Europa. Un tempo non era così. C’è stata un’epoca in cui l’integrazione europea non era invisa quasi a nessuno. Pertanto, non era allora un vero argomento «politico» (lo sono, infatti, solo quei temi su cui c’è divisione e scontro). Oggi, a differenza di ieri, l’Unione Europea (sfortunatamente, secondo alcuni) si è «politicizzata»: sono sorti ovunque movimenti antieuropei e ora gli elettori sono chiamati a prendere davvero posizione sul futuro dell’integrazione. È una situazione inedita: è difficile stabilire come reagiranno i cittadini. Si ridurrà sensibilmente oppure no la tradizionale alta astensione elettorale che ha sempre caratterizzato queste consultazioni? Un tempo, molti elettori non si recavano alle urne sia perché l’oggetto (il rinnovo del Parlamento europeo) non era in grado di suscitare il loro interesse sia perché sapevano che gli esiti elettorali non avrebbero influenzato la sorte del governo nazionale.

Nelle nuove condizioni, molti (soprattutto i più favorevoli all’Europa) che in passato si astenevano, potrebbero fare una differente scelta. Se ciò accadrà, allora anche la prevista vittoria, in tanti Paesi, di movimenti sovranisti (antieuropei) potrebbe risultare meno travolgente di quanto oggi non si dica.

Come spesso le accade l’Italia è in una posizione anomala. Al momento, a quanto pare, c’è qui da noi una «maggioranza schizofrenica». I sondaggi registrano percentuali di italiani favorevoli all’Europa del settanta per cento e oltre. Contemporaneamente, sembra resistere una maggioranza di sostenitori del governo giallo-verde. In sostanza, una parte cospicua dei nostri connazionali sembra libera dal vincolo della coerenza: sostiene l’Europa e, contemporaneamente, sostiene il governo più antieuropeista della storia della Repubblica.

In queste condizioni, è difficile che l’imminente consultazione elettorale chiarisca agli occhi degli italiani quale sia la vera posta in gioco. Regnerà, come al solito, la confusione. È difficile che i nostri connazionali possano farsi un’idea di quali siano i benefici, i costi e i rischi di una scelta o dell’altra: ci sono più vantaggi a considerare l’Europa come altro da noi, dalla quale guardarsi, oppure come un’organizzazione complessa di cui siamo parte integrante e attiva e nella quale il nostro «peso», la possibilità di trarre benefici dalle trattative con i partner, dipende soprattutto dalla credibilità: dalla nostra capacità di buon governo dell’economia, dalla nostra volontà di impegnarci per il conseguimento degli scopi collettivi (europei), eccetera?

Una scelta chiara, plausibilmente, non verrà presentata agli elettori. L’opposizione (quasi tutta pro Europa) è al momento divisa, debole, demoralizzata. Anche un tentativo come quello di Carlo Calenda, lodevole nelle intenzioni, di creare una lista unita europea, sembra poco promettente. Per due ragioni. Perché in regime di proporzionale le liste unite (i rassemblement) hanno scarse chance di successo. E perché l’iniziativa è parsa più tesa a unire la sinistra che non i filoeuropei (di destra o di sinistra che siano).

Nel frattempo, il governo, non solo con le dichiarazioni ma, soprattutto, con gli atti, mostra ogni giorno il suo intrinseco antieuropeismo. Si pensi alla crisi diplomatica con la Francia o alla vicenda della Tav. Ma si pensi anche ai ventilati progetti di porre fine all’indipendenza di Bankitalia: solo parlarne è già una dichiarazione di guerra ai principi costituitivi dell’Unione Europea. Niente meglio degli atti di questo governo mostra come il cosiddetto recupero della «sovranità nazionale» (velleità di isolazionismo politico e di protezionismo economico) sia in conflitto con il nostro interesse nazionale. Se dureranno, un passo alla volta, ci porteranno davvero fuori dall’Unione: quando la maggioranza schizofrenica, finalmente, se ne accorgerà, sarà troppo tardi.

Chi scrive pensa che la divisione che conta oggi in Italia (ma anche altrove) sia quella fra un orientamento più liberale (favorevole alla società aperta) e un orientamento illiberale. Ma poniamo invece che abbiano ragione coloro che sostengono che la contrapposizione destra/sinistra sia ancora la più importante. In tal caso, il governo in carica risulterebbe il frutto dell’alleanza fra le due estreme, l’estrema sinistra e l’estrema destra. In queste condizioni, dunque, se si pensa che destra e sinistra abbiano ancora un senso, allora il solo «luogo» rimasto libero, il solo dal quale possa partire la contestazione organizzata di chi governa, è il «centro» dello schieramento. C’è un’ampia area moderata (di centrosinistra e di centrodestra) che non è rappresentata o è mal rappresentata. È anche l’area ove è più intensa l’identificazione con l’Europa. Il fatto che, al momento, manchi una credibile, persuasiva, «offerta» neo-centrista, rende debole, politicamente impotente, questa parte del Paese. Forse il governo sopravvivrà alle elezioni europee (soprattutto se la Lega guadagnerà ma non troppo e i 5 Stelle perderanno ma non troppo). O forse non sopravvivrà (se i 5 Stelle dovessero crollare). È tuttavia difficile (c’è troppo poco tempo) che l’opposizione possa scomporsi e ricomporsi in modo da dare vita a una offerta forte e credibile. Bisognerà probabilmente aspettare le elezioni successive, quelle politiche, perché, anche sull’Europa, vengano sollecitate dagli elettori scelte nette e chiare.

Il correre della sera, 22 febbraio 2019

 

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