SARDIGNA: NON T’ARRENDAS!, di Salvatore Cubeddu
I pastori sardi come i gilet gialli in Francia, gli scontri di qualche anno fa per la TAV nel Nord Italia, le manifestazioni oceaniche contro e pro Maduro in Venezuela, le folle di adolescenti in arrivo dal Nord Europa contro l’effetto serra. Quando gli studiosi si avventureranno a narrare il conflitto sociale dei tempi che viviamo avranno in mano questo materiale e, come è corretto e giusto, diranno che i Sardi sono contemporanei alla storia di tutti e che non c’è tempo che questo non sia successo. Fenomeni generali del mondo, storia del nostro popolo.
Non vale più la pena di polemizzare con chi ha negato la nostra originale partecipazione alla storia e continua a relegarci in una vicenda minore, immeritevole di conoscenza e di identificazione, di fronte a quanto abbiamo e sentito nei media e visto e partecipato nelle strade e nelle piazze sarde della settimana che si chiude.
…..Il prezzo del latte e del grano hanno segnato la storia sociale della Sardegna della fase ‘italiana’, come conseguenza di scelte economiche antipopolari (quali la legge delle chiudende nell’Ottocento) o perché connesse all’esclusione dal mercato come nel caso del protezionismo doganale dei decenni successivi. I carri trainati dai buoi portavano a Cagliari il grano e gli agricoltori erano costretti a venderlo al prezzo imposto dal grande commerciante, per non riportarselo a casa. Come credete che si siano costruite le non poche ricchezze di famiglie cagliaritane dai cognomi forestieri?
Il fascismo chiuse la sua alleanza con i sardisti nel 1926 favorendo i caseari romani dell’omonimo formaggio pecorino contro l’organizzazione cooperativa dei caseifici sociali della Fedlac, proprio mentre queste conquistavano in proprio il mercato nord-americano. La chiusura delle latterie sociali e quella delle cooperative agrarie riunite nella Silos fece il gioco dei grandi monopolisti, in gran parte continentali. Si trattò di una delle più gravi sconfitte nel tentativo di diffondere e rafforzare nelle campagne sarde un ceto sociale economicamente autonomo.
Del secondo dopoguerra c’è ricordare la dura battaglia che, all’interno (verso la destra DC) e all’esterno (contro le sinistre), condusse nel primo governo autonomistico la delegazione sardista della giunta Crespellani, per affermare le nuove leggi agricole. La rivolta dei Pastore degli anni Sessanta arrivò a sgozzare le pecore e lasciarle nelle strade di Cagliari.
Ma quello che viviamo in questi giorni è senza paragoni, nella generalità del coinvolgimento popolare e nella profondità del sentire. La crudezza del ‘late versato’ ci ha toccato nel profondo, è entrato ‘in sas intragnas’. Il latte rimanda alla madre, come il pane ed il vino al padre. E’ come se, con il fallimento dei pastori e la rinuncia al latte, perdessimo il nutrimento materno, l’origine e la possibilità della vita. Un fremito che ci ha coinvolto, come singoli, come famiglie, come partecipi di questo popolo-nazione.
La comunicazione ha fornito l’organizzazione. I media hanno collaborato. Il tempo elettorale ha obbligato i responsabili a muoversi.
“S’est pesau su ‘entu!”. I pastori ed i giovani studenti, soprattutto. Le campagne e le città. L’interno e la costa. Il lavoro manuale e l’intellettuale. Mercoledì e giovedì, 13 e 14 febbraio 2019, possono segnare il punto di un nuovo inizio.
Dovremo ragionarci ancora. Tirandone le conseguenze.