Armando Businco, il grande clinico cui è intitolato il nostro Ospedale Oncologico, il mazziniano sardista sequestrato dai nazisti, il libero muratore Venerabile della loggia Karales, in gioventù il barelliere volontario nel terremoto di Messina e corrispondente de L’Unione Sarda, di Gianfranco Murtas
Se sfogli le antiche collezioni dei giornali d’inizio Novecento trovi, prolungate fra dicembre 1908 e gennaio (e oltre) 1909, le cronache drammatiche del terremoto di Messina e Reggio e quelle del generoso impegno di molti a prestare il necessario soccorso. L’Unione Sarda ebbe allora, da Palermo, un inviato o corrispondente d’eccezione, Armando Businco, al tempo 22enne studente laureando di medicina, in futuro grande, grandissimo clinico oltreché esemplare democratico mazziniano ed antifascista.
Me ne occupai anni fa, giusto nel centenario del tragico evento siculo-calabrese, allestendo una memorabile serata sospesa fra il convegno e il recital, a palazzo Sanjust, sede della Massoneria giustinianea cagliaritana, e prima ancora, nel 1999 in un libro dal titolo La città chantant, clericale, monarchica e socialista. Ancora su l’Almanacco di Cagliari del 2002 firmai quel ricordo di storia tragica e solidale, documentando l’attiva, fattiva prossimità della Sardegna all’isola sorella (“Fratelli, siamo con voi!: nel 1909 Cagliari si mobilitò per sostenere Messina e Reggio Calabria che nel dicembre dell’anno precedente erano state sconvolte da un terremoto”).
Le nuove onoranze che al grande nome di Armando Businco intendono ora nuovamente tributare le logge sarde, associandosi a quanto l’Amministrazione regionale e quella comunale di Cagliari hanno, per parte loro, compiuto nel tempo – l’una intitolando a lui l’ospedale oncologico, l’altra dedicandogli una strada nel quartiere di Mulinu Becciu – mi inducono a riprendere in mano vecchie carte raccolte nel mio Archivio storico generale della Massoneria sarda e nel parallelo Repertorio del movimento democratico sardo dell’Otto-Novecento (repubblicani, azionisti e sardisti), così come a risfogliare l’emeroteca cagliaritana dell’età che fu detta di Bacaredda.
Da esse riemerge, in vario modo, l’eccezionalità della statura umana e civile, oltreché professionale ed accademica, di un ogliastrino fattosi cagliaritano negli anni della sua formazione e del primo cimento clinico, e cittadino del mondo – secondo la sua migliore vocazione di medico e di democratico – nelle molte, alterne e contraddittorie stagioni del Novecento, inclusa quella dell’oppressione nazi-fascista.
Mi è sembrato giusto riproporlo adesso, Armando Businco, in primo luogo come protagonista-testimone di quella collettiva chiamata alla solidarietà nella tragica circostanza del terremoto calabro-siculo d’inizio secolo. Ma poi anche in altre ancor meno conosciute vicende della sua vita.
1909, fra centomila morti e altrettanti sinistrati e sfollati
“Reggio e Messina un immenso cimitero”, ha titolato a tutta pagina L’Unione Sarda di venerdì 1° gennaio. E Il Corriere dell’Isola: “Triste e lacrimevole suggello d’anno”.
La notizia è arrivata in città, immediata, col telegrafo e la stampa locale ha subito offerto ai propri lettori l’informativa più ampia possibile. Le edizioni degli ultimissimi giorni del 1908 hanno anticipato le dimensioni del terrificante evento di morte e distruzione, ma ancora per tutto gennaio i giornali continueranno a fornire notizie ed emozioni ad un pubblico che vuol sapere e partecipare. A pagine intere, la prima e la seconda monografiche, tutti i giorni almeno per alcune settimane, e sovente anche gran parte della terza destinata alla cronaca cittadina: riservando questi larghi spazi i quotidiani di viale Regina Margherita e di via Nuova cercano di soddisfare la voglia di conoscere e solidarizzare dei cagliaritani.
“La cronaca dolorosa”, “Dalla terra del pianto e della ruina”, “Dalla terra della morte”, “Lo stato d’assedio nelle regioni funeste”, “Grida d’angoscia e spettacoli di immensa pietà”, “Pianti che durano e speranze che sorgono”, “Gli echi del disastro”, “In soccorso dei fratelli sventurati”, “Dai paesi del terremoto”, “Continue voci di dolore”, “Intorno alle rovine. Messina nei ricordi di De Amicis”, “Si vive ancora sotto le macerie”… Così L’Unione Sarda. Ed Il Corriere dell’Isola: “Scene di pietà e quadri di sventure”, “Lamenti ed angoscie nella terra della sventura”, “A Messina e Reggio si proclama lo stato d’assedio”, “Triste Epifania di desolazione”…
Guardano, i giornali, anche ai sardi coinvolti nell’inferno dei crolli ed a quelli accorsi per prestare il loro aiuto. «Sin’ora poche notizie sulle sorti dei soldati sardi di guarnigione a Messina… Essi appartengono alle tre classi di leva dell’86, 87 e 88 e si calcola che in ogni reggimento vi fossero circa trecento sardi, delle due province di Cagliari e di Sassari. Questi i soldati sardi presenti a Messina nella tragica alba del 28 dicembre», riferisce Il Corriere del 2 gennaio. Una squadra di soccorso composta da giovani universitari è intanto partita dalla Sardegna il 30 e già sbarcata l’indomani al porto del capoluogo siciliano. Il corrispondente del giornale di Enrico Sanjust e della galassia guelfa cagliaritana– Giuseppe Canepa – appartiene al gruppo: «Arrivammo dopo ventotto ore di viaggio per mare, mare orribile e viaggio doloroso per la mesta compagnia di un gran numero di messinesi partiti con noi da Cagliari alla ricerca dei loro cari. Allo sbarco assistiamo alle prime scene dolorose. Bare e barelle passano fra un gran numero di membri di tutti i comitati di soccorso magnificamente organizzati… Arrivano notizie incredibili. Il numero dei morti pare ormai accertato in circa duecento mila… La città non esiste più; migliaia di assistenti e di tecnici sono più che sufficienti, sovrabbondanti: occorrono squadre di operai, provvisti di viveri, pronti a difendersi col coltello alla mano, perché bande di malfattori, datisi al ladronaggio e alla rapina, aggrediscono i treni e i soldati: stamane ne hanno fucilato venticinque. E’ stata proclamata la legge marziale».
Ed ancora: «Intanto i nostri colleghi d’università ci portano nelle aule di chimica e là stabiliamo il nostro quartier generale. Il dottor Cocco spiega come meglio può la sua attività. Noi legulei corriamo alla stazione per trasportare le barelle…».
I soccorritori sardi organizzati sono una ventina: con Luigi Cocco, un giovane medico trentenne di origini sinnaesi, ed al suo coordinamento, sono gli studenti Oreste Fagà, Evaristo Loi, Enrico Mara, Luigi Scano, Siro Fadda, Giuseppe Secchi, Aurelio Congiu, Giuseppe Marci, Pietro Azara, Silvio Zuddas, Giovanni Sergenti, Mario Cambatzu, Armando Businco, Mario Costa, Efisio Maxia, Giuseppe Pisano, Giuseppe Del Rio (quest’ultimo iscritto a farmacia, mentre tutti gli altri sono di medicina), ed Efisio Sciolla, offertosi come inserviente.
Di giurisprudenza sono Lorenzo Figari, Giuseppe Canepa, Tullio Mulas, Pasquale Marica, Ruggero Ruggeri. Di ingegneria è Bonetti. Accompagnatori Elino Boero e l’avv. Ferruccio Loriga.
E’ Armando Businco il corrispondente de L’Unione Sarda dal luogo del disastro e da Palermo, la città che ha messo a disposizione dei sinistrati ogni struttura d’accoglienza. I suoi articoli compaiono con largo rilievo sulla prima pagina del quotidiano: «Accampati alla Scuola di Applicazione, dopo il colloquio col Rettore dell’Università, che ci accolse gentilmente, si dispose l’ordine di servizio: due squadre di otto portaferiti trasportano, sempre che il caso lo richieda, con celere attività e entusiasmo, i feriti o dalla stazione o dai piroscafi. E si lavora fino alle 3,30 del mattino… Una delle nostre squadre ha scoperto, sul Corso Calatafimi, tre piccoli bambini sardi, gl’infelici figlioli del signor Greco e della signora Pais, recatisi a Reggio due mesi fa con la domestica cagliaritana Virginia Pettinau. Questa si salvò coi tre bimbi, i genitori dei quali restarono sotto le macerie della sventurata città». E’ l’articolo datato 1° gennaio e pubblicato lunedì 4.
E’ su quattro colonne, sempre in prima pagina, un’altra corrispondenza che esce giovedì 7: «Stamane (2 gennaio) la squadra di laureandi in medicina e quella di legge si recarono al Molo, dove aveva gettato le ancore un piroscafo avente a bordo 1.500 profughi e molti feriti. Anche colà le squadre sarde esplicarono tutta la loro energia. Che spettacolo rattristante!… Oggi si trasportarono dei feriti anche all’Ospedale della Concezione. Sempre all’erta all’arrivo dei treni e dei piroscafi… Il nostro piccolo manipolo si è andato man mano diradando: ieri tre laureandi sono stati destinati a Montaldo, oggi una squadra assiste i feriti installati nell’ospedale del Collegio degli ingegneri, altri sono stati destinati al Convento di S. Francesco di Paola, dove sono ricoverati 200 profughi tra i quali 15 feriti che sono stati medicati…».
Il regio commissario di Palermo, comm. Bladier, scrive al presidente della squadra degli studenti sardi: «A Lei e alla balda schiera di Volontari che con santa carità ed entusiasmo giovanile son venuti dalla feconda e nobile Sardegna a soccorrere i percossi dalla sciagura, piaccia accogliere il voto di gratitudine e di ammirazione che son fiero di indirizzarle a nome dell’intera cittadinanza palermitana».
Arriva l’elenco dei fanti sardi, in forza a sei compagnie del 22° reggimento della caserma di Mezzacapo di Reggio Calabria, che miracolosamente sono usciti superstiti dal cataclisma: nomi, nomi… I giornali che pur debbono dare le notizie che non si vorrebbero mai leggere, concedono anche questo sollievo però, alle famiglie lontane: la conferma di uno scampato pericolo da parte di un congiunto, un figlio…
A marzo verranno diffuse le strazianti statistiche. Fra i 714 militari – ufficiali, sottufficiali o truppa – che sicuramente sono periti, 7 sono sardi (un capitano, un maresciallo, cinque soldati semplici). Ad essi debbono comunque essere aggiunti altri cinque che risultano ancora irreperibili.
I cagliaritani si mobilitano. Aziende e leghe di mestiere, associazioni d’ogni genere – culturali e sportive, patriottiche e d’interesse –, scuole ed istituzioni, ordini professionali e parrocchie, non c’è chi non partecipi allo sforzo corale teso ad aiutare i fratelli caduti nella sventura, coloro che hanno perso tutto, affetti e cose, e pur debbono ricominciare. Sottoscrizioni a scheda, passeggiate o serate teatrali di beneficenza, lotterie…, a tutto si ricorre pur di raccogliere gli aiuti dei quali si necessita.
Il prefetto Germonio diffonde ai sindaci della provincia una circolare con cui li informa delle disposizioni emanate dal ministero delle Poste e Telegrafi ai propri uffici periferici, ch’esso ha autorizzato «a rilasciare vaglia con esenzione da ogni tassa e spesa per la trasmissione delle somme offerte», e dell’incarico conferito a «tutte le sedi, succursali, filiali e agenzie della Banca d’Italia e del Banco di Napoli a ricevere oblazioni sia in contanti, sia col mezzo di vaglia postali o telegrafici, o qualunque altro titolo intestato o girato alla banca…».
Mons. Pietro Balestra, arcivescovo metropolita di Cagliari ed amministratore apostolico della diocesi di Ales, pubblica anch’egli una circolare che fa pervenire a tutti i parroci della sua giurisdizione: «Preghiamo pace alle anime dei poveri morti, e prestiamo sollecito soccorso ai disgraziati nostri fratelli che trovansi senza pane, senza veste, senza casa, ovvero mutilati e feriti, e aspettano l’opera della nostra carità… I MM.RR. Parroci, Cappellani e Rettori delle chiese raccomanderanno con calde parole ai fedeli l’obolo per sovvenire i disgraziati… Le offerte raccolte siano quanto prima spedite a questa Curia per essere trasmesse a S.S. Pio X e così sollecitamente e sicuramente distribuite ai bisognosi fratelli colpiti dalla sventura…».
Dal porto di Palermo agli ospedali di zona, le corrispondenze a L’Unione
Ecco di seguito una serie di stralci degli articoli di Armando Businco, barelliere a Palermo pubblicati in prima pagina da L’Unione Sarda: con i suoi colleghi egli accoglie al porto palermitano i terremotati di Messina (non trasportabili in città via ferroviaria perché i binari sono divelti); essi vengono poi distribuiti negli ospedali del territorio appositamente e d’urgenza allestiti.
Venerdì 1° gennaio 1909
Alla 1,30 di stamane, mentre parte del nostro contingente riposava dalla lunghe fatiche durate tutta la giornata d’ieri e la sera che seguì l’arrivo, uno dei nostri ci risvegliò e ci augurò il buon anno.
Lo accolse un battito di denti, qualche risatina ironica che lasciava intravedere quanto fossero dure le panche sulle quali si presumeva di voler riposare le esauste forze, con un raggomitolarsi affrettato sotto le coperte militari odoranti di naftalina.
Buon anno! Come suonò triste per noi l’augurio… La stanza ampia che ci accoglie, alle cinque, brulicava per il risveglio dei militari improvvisati. E che puntualità!… L’alba è piovosa. La camera attigua alla nostra si sente rintronare di voci maschie e di vagiti di bambini: profughi arrivati durante la notte…
La nostra squadra portaferiti ha ieri riscosso l’entusiasmo della popolazione siciliana. Oggi il dottor Cocco che non riposa un minuto, spinto da quel santo entusiasmo di amor fraterno che ci ha mosso ad affrontare i disagi di questo viaggio pieno d’incertezze, ha sentito commosso le parole di entusiasmo e di ammirazione a nostro indirizzo del prof. Giuffrè, presidente del Comitato Cittadino, perché le nostre squadre, durante la notte, trasportavano sulle spalle i feriti che si sbarcavano numerosi dai piroscafi giunti da Messina, mentre gli altri attendevano le barelle… si lavora fino alle 3,30 del mattino.
Primo gennaio: due squadre sono adibite al trasporto dei feriti dalla stazione e dai piroscafi. Il dottor Cocco e alcuni laureandi medicano all’Università i feriti condotti. Altri sono intrattenuti alla cura dei degenti nei locali della sezione Ingegneria. Il nostro… dottor Cocco medica anche otto feriti gravi agli Ospedali e conferisce col Presidente dell’Ordine dei Medici, prof. Argenti…; a lui domanda se anche noi, contrariamente all’ordine del Ministro Bertolini, … potremo recarci a portare l’aiuto sincero del nostro entusiasmo incondizionato alle sventurate popolazioni colpite dall’immane flagello… pare che ci si voglia destinare a Càccamo o a Milazzo.
Per intanto, di sera, alcuni laureandi in medicina sono richiesti a una sezione di medicatura presso il Molo. A loro per il servizio notturno, che si preludia attivo e grave, si aggiungeranno l’egregio dottor Cocco e altri studenti.
Le nostre squadre, che sono provviste di distintivo…, gareggiano di attività, e più di una parola di lode è partita verso il contingente sardo che non sente stanchezza, che non vede pericoli purché possa portare a Messina, dove più pronta e sicura sarebbe l’opera sua, a Messina dove ghigna, con la crudele rovina irreparabile, l’onta dei vandali che, alla disperazione del dolore, aggiungono l’esasperazione della vergogna.
Tanti di queste malaugurose civette… scesero sulle rovine di Messina a predare; e ciò che non fece la rompente furia della natura, compie la vandalica brutalità di mostri in veste umana.
Molti soggiacquero alla legge marziale. Giunge a Palermo notizia… di alcuni predoni fucilati dalle truppe. E bene sta!
Alle ore 15 il dottor Cocco, gentilmente invitato, interviene a una riunione del Comitato Cittadino. Domani avremo notizie più certe della nostra destinazione.
Una delle nostre squadre ha scoperto, sul Corso Calatafimi, tre piccoli bambini sardi, gl’infelici figlioli del signor Grieco e della signora Pais, recatisi a Reggio due mesi fa con la domestica cagliaritana, Virginia Pettinau. Questa si salvò coi tre bimbi, i genitori dei quali restarono sotto le macerie della sventurata città…
Domani partiranno per Cagliari, affidati alle amorevoli cure di persone pietose.
Sventura su sventura! Giunge notizia che sia avvenuto uno scontro ferroviario fra Palermo e Messina. Sarebbero quattrocento le vittime, fra morti e feriti.
Sabato 2 gennaio, poi il 3 e il 4
Non vi scrivo tutte le attestazioni di simpatia di cui siamo oggetto da parte della popolazione palermitana, per non peccare di malcelata vanità. Ma se voi aveste sentito gli elogi del prof. Giuffrè, che ci fecero piangere di commozione, se aveste sentito le alte parole di lode indirizzateci dal prof. Manzella e dal presidente dell’ordine dei medici prof. Argenti, se aveste ricevuto la visita del Commissario regio comm. Barbier, venuto ieri espressamente a congratularsi col dottor Cocco dell’opera delle squadre sarde, avreste provato un legittimo sentimento d’orgoglio regionale, che ci spinge con l’entusiasmo dei nostri anni giovani a non veder riposo, a non restare un minuto, tenendo alto il santo ideale di fraternità che ci mosse dalla Sardegna.
… anche ieri sera, fino alle 5 di stamane, le nostre squadre, adibite a diverse mansioni, non calarono palpebra…
Degli studenti siciliani ci portano un collega studente in medicina della già Università di Messina. Aveva sul viso pallido e smunto, su cui si scorgevano non dubbie traccie di sofferenze inaudite, una triste espressione di terrore.
Noi lo ricevemmo con entusiasmo, gli offrimmo ricovero e vitto, e raccogliemmo fra tutti qualcosa da dare allo sventurato…
Più tardi, quando nella sala attigua, destinata ai profughi…, si era fatto silenzio, entra nel nostro accampamento un altro profugo: l’assistente della Clinica medica di Messina…
Ci dice del modo come riuscì a mettersi in salvo fra un mucchio di rovine, mentre la terra, di tanto in tanto, era scossa da un terribile fremito, e gli edifici circostanti, dopo un dondolio incerto delle mura, crollavano, seppellendo sotto le macerie, a migliaia i cittadini addormentati.
La sveglia, stamane, suonò alle 5. I pochi, che avevano pur bisogno di riposo o che si erano buttati sui tavoli della scuola di disegno, balzarono in piedi, pronti agli ordini. Il dottor Cocco anche stanotte non ha riposato. Chiamato, accorre immediatamente e presta l’opera sua a molti feriti che vengono portati durante la notte. Non sente stanchezza; sempre tra i primi, dove il caso lo richiede, ha oggi atteso con sollecitudine ai degenti dell’Università, a quelli ricoverati nella Scuola degli Ingegneri, e altri parecchi medicò in case private.
Stamane la squadra di laureandi in medicina e quella di legge si recarono al Molo, dove aveva gettato le ancore un piroscafo avente a bordo 1.500 profughi e molti feriti. Anche colà le squadre sarde esplicarono tutta la loro energia.
Che spettacolo rattristante! Dalla tolda si sporge una selva di visi pallidi, un cumulo di stracci! Una delle tante scene di desolazione che si ripetono da più giorni a Palermo!
Oggi si trasportarono dei feriti anche all’Ospedale della Concezione. Sempre all’erta all’arrivo dei treni o dei piroscafi…
(3 gennaio) – Due righe, in fretta, e per cartolina, perché una staffetta ci dice dell’arrivo di un triste convoglio, che attende le nostre attenzioni. Il nostro piccolo manipolo si è andato man mano diradando: ieri tre laureandi sono stati destinati a Montalbo, oggi una squadra assiste i feriti installati nell’ospedale del Collegio degli Ingegneri, altri sono stati destinati al Convento di S. Francesco di Paola, dove sono ricoverati 200 profughi tra i quali 15 feriti che sono stati medicati. Il corpo delle truppe assiste nella Scuola di Applicazione ai numerosi ricoverati. Numerose cure fra le famiglie private e numerose visite all’Università.
Che contentezza quando, oggi, ci si annunciò che eravamo stati, finalmente, destinati a Messina, dove altre vittime forse aspettano, fra angoscie indicibili, che siano liberate dall’asfissiante, opprimente cumulo di rovine! Fu un momento! Subito dopo con angoscia apprendiamo che le autorità non avrebbero concesso più alcun “lascia passare”, giacché ormai il destino di Messina è fissato: dopo la rovina della natura, la demolizione compiuta dagli uomini, per impedire un flagello maggiore e più terribile: la peste!…
Per quanto è possibile, tutti si studiano di fare del loro meglio. Assistiamo a delle scene contristanti che diminuiscono le nostre magre risorse, perché, quantunque i colleghi palermitani ci abbiano offerto anche il vitto oltre l’attendamento, noi abbiamo devoluto questo beneficio a tanti poveri sventurati. Ormai non si ha tempo neppure di abbigliarci: pettini e rasoi da barba e spazzole si sono completamente abbandonate. Il morale del manipolo tuttavia è ottimo, quantunque si sia un po’ stanchi e un po’ dimagriti dalle veglie e dalle fatiche continue.
(4 gennaio) – … Le ore della notte, dalle 24 del 3 alle 4 di stamane…
Non faccio commenti sulle soddisfazioni morali che abbiamo provato quando, nei piroscafi, ove più bisognava l’opera dell’umana pietà, riconosciuto il nostro merito, i preposti al servizio non facevano che chiamare le squadre di Cagliari. E che sguardi di gratitudine ci dirigevano i feriti quando venivano, con tutti i riguardi, estratti dalle cabine e collocati, senza che il loro stato ne risentisse menomamente, sulle barelle che, poi, erano portate a braccio agli ospedali di Palermo!
Una distintissima signorina di Reggio, che ieri trasportammo all’ospedale di S. Severo, conservando, ancorché il suo stato non fosse lieve, uno squisito senso di gentilezza, ci domandava se ci desse troppo peso.
-No, signorina, è leggera come una piuma. Soffre lei piuttosto?
Aveva perduto i genitori, i fratelli, gli averi nella sventurata Reggio, e si trovava sola al mondo. Povera creatura, era stata dissepolta dopo tre giorni. Che sensazioni, quale varia tonalità di dolore, di affanni, di strazio.
Il piroscafo Margherita trasportò ieri 152 feriti gravi da Reggio; li caricammo in massima parte noi e, quando i furgoni e le tramvie elettriche eran zeppe di barelle, anche sulle spalle, li portammo alle case di soccorso.
La notte umida, qualche acuto sibilo di sirena rompente l’aria a tratti, i rantoli dei feriti più gravi, le strilla angosciose delle donne più irrequiete ci avevano messo in cuore una tristezza indicibile, e ci centuplicava le forze ormai esaurite.
Ieri sera, quando a S. Severo, dopo un’ora di strada, dal Molo cui si è attraccato il Margherita, scaricammo una povera donna reggiana, che aveva le due gambe fratturate, i sanitari dell’ospedale vollero stringerci singolarmente la mano e congratularsi con noi degli atti di abnegazione che solo noi avevamo saputo compiere, ci sentimmo sollevati, pervasi da una grande gioia.
Maggiore soddisfazione e più ampio tributo non può avere l’opera nostra di quello che oggi ci ha dato il sindaco Marcello della nostra città che, con gentile pensiero c’inviò il saluto fraterno e augurale della nostra gente… Al sincero plauso dell’egregio rappresentante della nostra Cagliari, si aggiunge la lode del Commissario Regio di Palermo…, che ci fece pervenire il telegramma del Sindaco con queste parole di accompagnamento:
…“Trasmettendovi il saluto del rappresentante la vostra città, colgo l’occasione di rivolgere uno speciale ringraziamento a Voi, studenti di Cagliari, che, con generoso slancio, siete qui venuti, alla prima terrificante notizia, a prestare la vostra nobile, alta, provvida opera di soccorso… con viva ammirazione!”.
Numerosi gli episodi commoventi, innumerevoli le impressioni che ti dà il patriottico slancio di pietà, senza ostentazioni e senza pompa…, dei sodalizi cittadini in pro degli sventurati che giungono a migliaia.
Palermo, che vanta un glorioso periodo di storia nell’epica riaffermazione del Risorgimento Italiano, Palermo ha dato prova mirabile del suo eroismo e della sua virtù. Mi permetterete perciò che io, stanco dalle veglie e dal lavoro indefesso, sorvoli su tutto ciò che tratta d’impressione, di episodii, di scene strazianti che si ripetono ad ogni piè sospinto e che riassumerò al ritorno…
Alla passeggiata di beneficenza che si fece, come si era stabilito, oggi, lunedì, intervennero oltre ai membri della Corda Fratres di Palermo, anche alcuno dei nostri.
La sventura della Sicilia fu immensa; ma immensa fu pure la prova di affetto che ha dato l’Italia nella dolorosa occasione.
Non vi parlo ormai più della opera nostra, che si è moltiplicata. Il Duca di Bissena, che ha preso parte attivissima al lenimento dell’affanno di tanti infelici, ha, stamane, chiamato il nostro condottiero, dottor Cocco, e gli ha esternato tutta l’ammirazione e la riconoscenza di Palermo per le prove di abnegazione compiute dai componenti la squadra sarda…
Per finire, e perché torni gradevole a molta famiglie questa notizia, vi mando l’elenco dei sardi che si sono salvati dal disastro che travolse, sotto un mucchio di macerie, due delle più ridenti regioni della Penisola.
Sono scampati a Messina: Serra Emanuele, Siotto Angelo, Pirosi Antioco, Schirru Bernardino e figlio Emanuele, tutti da Iglesias, Presti Samuele da Nuxis. Si trovano ricoverati all’Ospedale di S. Severo.
Siamo pure lieti di registrare la contentezza che ha provato l’avv. Loriga nel sentire che la sua famiglia si è salvata nel disastro di Reggio e la nostra gioia nel sapere incolume il collega universitario Flavio Todde, che risiedeva pure a Reggio.
Martedì 5 gennaio, poi il 6 – l’Epifania –, il 7 e l’8
Oggi, finalmente, il sole si è degnato di baciare le distese lussureggianti e meravigliose della Conca d’Oro e di scherzare con l’onda turchiniccia del poetico mare siciliano che, per molti dì, si frangeva ostinatamente nella maretta biancastra contro la Spiaggia dell’Arenella, che riposa in dolce declivio e in cui giace Palermo ai piedi di Monte Pellegrino…
…narrare di qual largo contributo di esperienza si sia arricchita la nostra giovine età, dire delle ansie provate nel pensare di contribuire il più possibile ad alleviare immense sventure individuali nella immane sciagura materiale, sarebbe impossibile, quando d’intorno ferve il lavoro pietoso…
Di questa fortezza d’animo si deve dar prova in presenza di centinaia di feriti che nell’atmosfera asfissiante, opprimente dalle cabine trovano, con le grandi inconcepibili sofferenze fisiche, tristi pene morali. Distaccati dalla patria, arridente di bellezze e di attrattive divine, da un subitaneo sommovimento del suolo che ha rivoluzionato un cumulo di affetti, di tesori e di ricchezze, su di una barella; quale tormento nel vedersi circondati da tanti altri sofferenti sotto la tolda di un piroscafo dove, all’acuto sibilo della sirena rompente il fosco aere uggioso della melanconica e piangente giornata, si mischiano i lamenti dei feriti, che mancano di cure da molti giorni!…
-Sarebbe stato meglio – diceva, con accento di desolazione, uno studente d’ingegneria che ci studiammo, affidato alle nostre attenzioni, di far distrarre, di allontanarlo da mille tristi visioni – che fossi perito anch’io con i miei. Io mi trovavo in campagna quando avvennero le scosse; ritornato in città, nel luogo dove pensavo di vedere la mia abitazione vidi un cumulo di macerie, e sotto a quello le mie cose più care. Ma perché studiare adesso? Spesso si studia per la soddisfazione della famiglia…
Povero giovine! Partì oggi per Roma, dove i suoi colleghi faranno a gara per alleviare la sua disgrazia…
Le medicazioni procedono con ordine e con scrupolosa premura, riscuotendo le vive complementazioni del Corpo Sanitario di Palermo…
Ci giungono parole confortevoli e grandi elogi da molte associazioni cittadine; il Giornale di Sicilia ci qualifica ieri veramente eroi per le prove date…
Documento interessante e non sospetto è certamente questa lettera diretta al dottor Cocco dal comm. Bladier, commissario Regio di Palermo: … “A Lei e alla balda schiera di Volontari che con santa carità ed entusiasmo giovanile son venuti dalla feconda e nobile Sardegna a soccorrere i percossi dalla sciagura, piaccia accogliere il voto di gratitudine e di ammirazione che son fiero di indirizzarle a nome dell’intera cittadinanza palermitana…”.
Oggi, poi, abbiamo avuto la visita gradita dell’assessore di Cagliari cav. Lippi, il quale assieme al suo cognato signor Cocco, è corso a Palermo per riabbracciare il congiunto signor Bonfils, che è uscito dall’Ospedale e la cui signora è stata completamente messa fuori di pericolo, mercé le cure attive e diligenti del nostro Assistente.
Ieri il Generale Comandante il Corpo d’Armata, volle vedere il nostro accampamento e congratularsi con noi dell’impresa ardua cui ci siamo accinti. Oggi il prof. Adolfo Venturi dell’Università, ci strinse la mano commosso e ci porse i ringraziamenti di Palermo.
Riceviamo ancora gli elogi dei componenti la colonia sarda palermitana: l’ingegnere Casu delle Ferrovie dello Stato, per il cortese invito goliardico del figlio Mario, amico nostro carissimo dei primi e poetici anni dell’infanzia, ci accolse nell’ospitale sua casa, dove rivivemmo, fra le dure fatiche di questi giorni, parecchie ore di sentita intima gioia famigliare. E’ venuto a trovarci, stasera, il professor Costa e tanti e tanti altri…
(6 gennaio) – … A Montalbo, a S. Francesco, al Collegio degli Ingegneri, alla Scuola di Applicazione, all’Università ecc. prosegue alacre l’attività dei volontari sardi, che pare godano del prodigio di moltiplicarsi – per adoperare la tipica espressione del console della Corda Fratres – tanto che si trovano sardi in tutti i posti dove bisogna portare un sollecito soccorso.
Arriva il piroscafo Ancona da Reggio con feriti. Si presta servizio al Molo nell’assistenza e trasporto degli infermieri.
Il dottor Cocco è lieto di noi, e la sua contentezza ci fa bene, francamente.
(7 gennaio) – Nulla dies sine linea. Agli ospedali e ai posti di soccorso i laureandi in medicina. Due squadre alla Scuola d’applicazione, pronte per ogni chiamata. Ogni giorno dì più si intensifica il lavoro.
Col piroscafo Gian Battista giunge da Cagliari il dottor Cavallera, ex sindaco di Carloforte, che porta… tutto il cuore della nobile gente che rappresenta, bene augurante.
Egli si accompagna al dottor Cocco nell’ispezione ai posti , dove si distribuiscono i nostri volontari, porta con sé aiuti raccolti a Carloforte e alcuni colli di masserizie avuti dai colleghi di Cagliari, nella passeggiata di beneficenza…
Se ci arreca gioia! Da più giorni siamo tagliati dal mondo! Abbiamo cercato ansiosi qualche numero dell’Unione nelle redazioni dei giornali locali. Vani tentativi! La posta non è arrivata.
(8 gennaio) – Arrivano altri profughi ai posti di soccorso, e agli ospedali altri feriti.
Fra le corsie doloranti, risuonanti di gemiti e di accenti disperati, sentiamo tutta l’inconcepibile gravità del disastro, che colpì due nobili regioni…
Altro incontro affettuosissimo è stato quello del prof. Pasquini, che fu già nostro insegnanti di fisica a Cagliari. Ci conduce in pochi alla sua abitazione, dove ci fa provare tutta la cortese bontà che lo anima.
Di sera : i convenevoli fra gli amici e i conoscenti di Palermo.
E ora vorrei venire alle numerose attestazioni di stima, che si centuplicano nell’ultima giornata. Raccolgo fra le tante, queste. Tolgo dal Giornale di Sicilia…
Il comitato di soccorso del Convento di San Francesco… si esprime con parole molto lusinghiere verso i laureandi Oreste Fagà, Aurelio Congiu e Secchi Giuseppe…
Il collegio degli Ingegneri dirige a Siro Fadda, ed ai due colleghi Maxia e Zuddas questa lettera…
Dalla R. Università a Evaristo Loi e Pietro Azara si dà quest’altra lusinghiera attestazione…
Agli stessi colleghi Fadda, Marci e Zuddas si rivolge la Rettoria della chiesa di San Domenico…
A Figari giunge una lettera affettuosissima del laureando ingegnere Ermenegildo Salvja, che ricevette benevole attenzioni dalla squadra Sarda a Palermo e che perdette averi e parenti nella distrutta Messina.
Ma sono così numerosi gli attestati che troppo lunga sarebbe la sola enumerazione…
Il vostro corrispondente, che ha disimpegnato modestamente il suo compito a nome dei colleghi sente il dovere di porgere, in fine del suo oneroso incarico, vive grazie al dottor Cocco che ci condusse a grandi fatiche ma anche a grandi soddisfazioni, e al Rettore della nostra Università che tanto si adoperò per la nostra partenza in Sicilia.
Sabato 9 gennaio, e dalla nave di ritorno domenica 10
… Scrivo mentre il Cagliari si allontana da Palermo… Stamane, di buon mattino, il manipolo sardo era in piedi, pronto alla partenza, con le sue tende e le sue coperte alla militare. I profughi, raccolti in una sala della Scuola di applicazione, attigua alla nostra, ci guardano riconoscenti e commossi. Su qualche ciglia ho scorto pure delle lacrime. I nostri colleghi, che ci colmarono di cortesi premure per tutto il tempo che fummo loro ospiti, non meno mattinieri di noi, andavano e venivano, sorridendoci amorosi e stringendoci affettuosamente la mano.
Alle 9 del mattino gli studenti ci raccolgono in un’aula larga e severa della Scuola stessa, dove erano già convenuti il Rettore dell’Università prof. Riccobono, l’illustre architetto prof. Basile, il prof. Venturi, il console della Corda Fratres di Palermo, avv. De Franchis, molti altri professori e numerosi studenti.
Fu un momento che sintetizzò tutta la piena dei nostri sentimenti, l’espressione dell’animo nostro; fu un momento nel quale, più che mai sentimmo la calda e lunga tradizione di affetto che unisce le due isole sorelle, che nella grande sventura si stringevano la mano.
Non una bicchierata in momento così triste; una gentile e affettuosa offerta di paste e di vini squisiti. E, fra lo scintillio dei bicchieri, dolci e sentite parole di saluto.
Primo, il dottor Cocco, con sentita inspirazione, rivolse il saluto cordiale agli studenti di Palermo non solo, non alla sola cittadinanza di Palermo, ma alla Sicilia tutta che ha dato prova di mirabile spirito di abnegazione nella tragica ora della sventura; il saluto affettuoso della Sardegna, il cui gran cuore ha battuto all’unisono con quello di tutte le regioni d’Italia.
Segue l’egregio prof. Riccobono, rettore della R. Università di Palermo…
Il Rettore al termine del discorso abbraccia il dottor Cocco. Distribuisce in seguito a ciascuno dei componenti la squadra, un attestato così concepito:
“Alla squadra di volontari, venuta da Cagliari in soccorso dei feriti e dei profughi dal recente disastro, raccolti in questa R. Università, rendiamo le grazie più vive e più affettuose.
“Del loro zelo, dell’efficacia dei loro aiuti, della squisita cortesia dei modi, dello spirito di sacrificio dimostrato, dell’animo veramente fraterno di che dettero prova, resterà perenne memoria in tutti i componenti della famiglia universitaria di Palermo, che serberà carissimo ricordo dei loro nomi:
“1 Dott. Luigi Cocco, assistente della clinica chirurgica. 2 Fagà Oreste, 3 Armando Businco, 4 Loy Evaristo, 5 Marci Giuseppe, 6 Sargenti Giovanni, 7 Costa Mario, 8 Secchi Giuseppe, 9 Fadda Siro, 10 Azara Pietro, 11 Delrio Giuseppe, 12 Efisio Maxia, 13 Congiu Giovanni, 14 Cambatzu Mario, 15 Mara Enrico, 16 Scano Luigi, 17 Zuddas Silvio, 18 Pisano Giuseppe, 19 Figari Renzo, 20 Boero Elino, 21 Marica Pasquale, 22 Bonetti Riccardo, 23 Ruggieri Ruggero, 24 Lobina Luigi, 25 Canepa Giuseppe, 26 Tullio Mulas, 27 avv. Loriga Ferruccio, 28 Sciolla Efisio (infermiere), 29 Cavallera dott. Giuseppe.
“F.to il Rettore prof. Riccobono. Il Console Direttore della Corda Fratres dott. Manfredo De Franchis. Il Presidente del Comitato Esecutivo G.B. Siragusa”.
Risponde alle parole gentili e affettuose del Rettore, il collega Marica, a nome degli studenti.
Parla come Presidente del Comitato Esecutivo, in seguito, l’egregio prof. G.B. Siragusa…
Il prof. Siragusa abbraccia anch’egli il dottor Cocco e stringe la mano a ciascuno di noi.
I minuti ci son contati. Pure la parola suggestiva e fascinatrice di Manfredo De Franchis, console della Corda Fratres di Palermo, ci trattiene. Egli, con accento sincero e con slancio poetico, ci porta il saluto riconoscente della Sicilia tutta, che apprezza altamente l’opera nostra, in quanto che essa era diretta a esplicarsi, non a Palermo, ma a Messina, fra le fumanti macerie nell’industre e nobile città.
Anch’egli abbraccia il dottor Cocco. E’ un momento di grande commozione. Alagna, a nome degli studenti d’Ingegneria, porta il saluto agli studenti di Cagliari, fiducioso di ricambiare, in occasione meno dolorosa, l’espressione della gratitudine siciliana .
Finite le parole di saluto, corriamo in tramvia, ché il tempo ne stringe, all’imbarcadero, dove ci attende una dimostrazione molto più affettuosa ed emozionante.
Mentre noi tutti, spinti dal desiderio della nostra terra, ci slanciamo a bordo del Cagliari, il prof. Emilio Pasquini che… tra i volontari conta molti vecchi scolari, ci prepara una sorpresa graditissima, che ci colma, in mezzo a tante soddisfazioni avute, di grande gioia.
Il prof. Pasquini, che è con la gentile sua signora, ci riconosce tutti ricordando vari e salaci episodi del tempo passato, ci dona dei pacchi di dolci e dei fiaschi di marsala. Gli siamo tutti attorno per ringraziarlo. Sono sul piroscafo anche molti studenti che vogliono prendere un gruppo fotografico, e che si fa così, in furia, fra l’entusiasmo comune.
Quando il Cagliari si pone in moto, dalle imbarcazioni di che è gremito il poetico mare siculo e dalla riva, sulla quale si accalca una gran folla, si mandano degli evviva a Cagliari, alla Sardegna, agli studenti che rispondono con accenti di affetto verso la Sicilia…
(10 gennaio – a bordo) – E poi?… Poi il mare s’ingrossa un po’, e la tolda comincia a sfollarsi, mentre le suggestive spiaggie della Sicilia ci offrono delle vedute sempre più belle e più attraenti.
Si parte da Trapani. Il morale del manipolo è ottimo e l’alba del 10 ci sorprende in alto mare, a scrutare l’orizzonte, se mal si scorgano, fra le brune del mattino, le dirupate roccie dell’isola dei Serpentari.
Ma all’ora della colazione, il Cagliari, con nostro grande rammarico, vira di bordo, perché, fra le onde minacciose, un piroscafo chiede aiuto. Il Cagliari abborda e si sa che il piroscafo pericolante è lo spagnolo Catalogna che partì da Cadice con medici e vettovagliamenti in soccorso della sventurata città morta di Messina. Ed erano là in balia delle onde, per quasi due giorni, in attesa di aiuto.
Il comandante del Catalogna col nostromo e con qualche altro, viene sul Cagliari a trattare col comandante…
Il Catalogna sarà rimorchiato a Cagliari, con sensibile ritardo del nostro arrivo. Infatti dalle 10 miglia filate all’ora, si scende alle 5 miglia. Tutti siamo dispiacenti per le nostre famiglie, tanto più che non si arriva a capo Carbonara prima di notte, ed esse non saranno, perciò, edotte della nostra sorte.
Il mare s’ingrossa ancora, e il vento contrario, e il Catalogna rimorchiato, rallentano ancora di più la corsa, sicché quando, verso sera, tutti ci portiamo a prua a rovistare fra le nebbie un’ombra di costa sarda, restammo tristemente delusi per gli inutili tentativi.
Solo sul tardo meriggio qualcuno di noi addita un’irregolare linea di monti – l’ultima punta della Sardegna – e allora ci si riempie il cuore di gioia.
E Cagliari è ancora lontana, e i parenti e gli amici, aspettanti sulla banchina, delusi nell’attesa, non sapranno che pensare del nostro ritardo…
Quando si provano certe ansie si comprende tutta l’espressione che ha il saluto del marinaio a lungo privato della visione della terra, si comprende lo slancio epico che il Tasso mise in bocca ai crociati in vista delle turrite mura di Gerusalemme…
Alle 2 del mattino, dopo circa 40 ore di navigazione, il Catalogna viene lasciato nelle acque della rada. Il Cagliari dà fondo in fatti a della sospirata città addormentata, che ci presenta le sue numerose luci quali occhi di vigili fantasmi.
Ed è appunto, aspettando l’alba che continuo a riassumere le mie sparse e confuse note, gettate alla rinfusa nell’asfissiante fatica dei giorni passati.
Ecco la squadra cagliaritana (con le assegnazioni a posti di soccorso in Palermo)
Azara [Atzara] Pietro, UNIVERSITA’
Businco Armando, TRASPORTO SBARCADERO
Cambatzu Mario, SEZIONE MONTALTO
Congiu Aurelio, SAN FRANCESCO
Costa Mario, TRASPORTO SBARCADERO
Del Rio Giuseppe, farmacista
Fadda Siro, SAN DOMENICO
Fagà Oreste, SAN FRANCESCO
Loi Evaristo, –
Mara Enrico, SEZIONE MONTALTO
Marci Giuseppe, SAN DOMENICO
Maxia Efisio, TRASPORTO SBARCADERO
Pisano Giuseppe, TRASPORTO SBARCADERO
Sargenti Giovanni, SEZIONE MONTALTO
Scano Luigi, SEZIONE MONTALTO
Sciolla Efisio (inserviente/infermiere), GUARDIA ACCAMPAMENTO
Secchi Giuseppe, SAN FRANCESCO
Zuddas Silvio, COLLEGIO DEGLI INGEGNERI
Bonetti Riccardo (ingegneria).
Canepa Giuseppe, CUCINE UNIVERSITA’
Figari Lorenzo, CUOCO SCUOLA APPLICAZIONE
Marica Pasquale, TRASPORTO DA STAZIONE E MOLO
Mulas Tullio, TRASPORTO DA STAZIONE E MOLO
Ruggieri Ruggero, TRASPORTO DA STAZIONE E MOLO
Lobina Luigi, TRASPORTO DA STAZIONE E MOLO
Boero Elino (accompagnatore) CUCINE UNIVERSITA’
Loriga Ferruccio (accompagnatore) CUOCO SCUOLA APPLICAZIONE
Cocco Luigi, (assistente clinica chirurgica)
(Altri elenchi associano ai volontari cagliaritani anche il dottor Giuseppe Cavallera, già sindaco socialista di Carloforte e prossimo deputato).
Nelle schiere dei volontari i candidati massoni
Può essere di qualche significato ed interesse rilevare che nella formazione dei medici e studenti universitari accorsi in Sicilia all’indomani del terribile cataclisma, figurano diverse personalità – oltre al più noto Armando Businco – che in tempi più o meno prossimi a quel loro intervento solidaristico sarebbero stati ammessi all’iniziazione massonica da loro richiesta.
La circostanza rimanda direttamente alla connotazione filantropica e umanitaria della Libera Muratoria negli anni del tardo Risorgimento e dell’inizio del nuovo secolo. Così anche in Sardegna ed a Cagliari. Si pensi alle iniziative per il dormitorio pubblico (assegnato poi come ospedale chirurgico alla Croce Rossa Italiana e successivamente, dal Comune cui era stato donato, utilizzato per accogliere l’Infanzia abbandonata), o alla fondazione della Croce Verde – la prima società di pronto intervento a Cagliari – e ad altro ancora. Chi visitasse l’atrio dell’ospizio Vittorio Emanuele II (già Ricovero di mendicità) nel viale fra Ignazio, ne troverebbe prova abbondante, fra targhe marmoree e busti secolari in memoria di benefattori singoli o collettivi. Così all’ospedale civile.
Ecco di seguito una tabella molto semplificata che illustra, dei soccorritori messinesi, i vari percorsi fraternali.
Azara (o Atzara) Pietro di Raffaele – iniziato (nel 1912 o nel 1913) presso la loggia Karales ancora alla obbedienza di Piazza del Gesù e confluito nell’aprile 1914 nel GOI
Businco Armando di Nicolò – Ierzu, 11 giugno 1886 – iniziato (1912?) nella loggia Karales all’obbedienza di Piazza del Gesù – regolarizzato con il grado di Maestro il 20 aprile 1914 nella Comunione del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani – Venerabile della loggia dopo la morte del Caput Magister Ottavio della Cà, uno dei primi caduti sardi nella grande guerra.
Cocco Serreli Luigi di Giovanni – Sinnai, 8 febbraio 1879 – iniziato il 28 novembre 1910 nel Tempio cagliaritano (di via Barcellona) della loggia Sigismondo Arquer e qui promosso Compagno d’arte il 10 giugno 1912 e Maestro l’11 febbraio 1913. Primario radiologo nel processo della sua carriera, libero docente fin dal 1915, perse l’insegnamento in clinica chirurgica per aver rifiutato la iscrizione al PNF; morirà nel 1943 per le conseguenze delle radiazioni raccolte in lunghi anni di professione.
Fadda Siro di Cosimo (il noto scultore che tante opere ha lasciato tanto più nel monumentale di Bonaria, padre anche di un altro liberomuratore: Valerio, ufficiale postale, iniziato a Roma) – Cagliari, 1885 – iniziato il 7 marzo 1913 presso la loggia Eritrea di Asmara (che accolse anche altri sardi ufficiali dell’esercito: il sassarese Giovanni Santoni Rugiu e il tempiese Salvatore Sanna). Da generale medico concluse la sua carriera come direttore della Sanità presso il governo della Somalia; fu anche il compilatore della scheda sulla Sanità Militare per la Treccani.
Mara Enrico di Andrea – S. Gavino, 1884 – iniziato il 17 aprile 1911 presso la loggia Fides all’Oriente di Tunisi (che accolse un altro sardo: l’orrolese Vittorio Anedda, di professione perito meccanico; sempre in città ma nella loggia Veritas furono ammessi due sardi, entrambi impiegati contabili ed entrambi iglesienti: Carlo Orlando e Giuseppe Serra Rodriguez). A Tunisi diresse a lungo l’ospedale italiano. Era laureato anche in scienze naturali ed apparteneva ad una famiglia che nell’arco di due secoli ha prodotto almeno dieci medici in successione generazionale, ivi incluso il Marat della Rivoluzione francese…
Armando Businco fra tutti, Artiere e Venerabile: il caso Algranati
Le schede di loggia lo danno Maestro giustinianeo alla data del 20 aprile 1914, quando la compagine della Karales, costituitasi due anni prima, passa dalla Obbedienza scozzese di Piazza del Gesù (allora di Via Ulpiano) a quella storica di Palazzo Giustiniani: siamo a tre mesi dall’attentato di Sarajevo e dunque dallo scoppio della prima guerra mondiale, e tredici mesi prima dell’entrata dell’Italia nel conflitto. Con il Fratello Businco – iniziato all’indomani del conseguimento della laurea e pressoché alla fondazione dell’officina scozzese – si regolarizzano altri 17 Artieri: 9 Maestri, 4 Compagni d’arte, 4 Apprendisti.
Dell’ensemble scozzese (allora la loggia era tutta interna alla ritualità della cosiddetta Piramide scozzese) egli diventerà Maestro Venerabile nell’anno massonico 1919-20, vale a dire alla fine della guerra, quando anche riprende il suo posto in ospedale, accingendosi a salire in cattedra e vivere da lì, chissà con quanta amarezza, le incombenti prepotenze di un regime illiberale, fino alle estreme conseguenze.
Un’altra lettura della documentazione pervenuta, e purtroppo pervenuta monca al mio Archivio, anticipa di alcuni anni tale incarico apicale, riportandolo alla successione del giovane Venerabile Ottavio Della Cà, caduto nella grande guerra già nell’ottobre 1915. Ed è di alcuni mesi successivi la commemorazione da lui tenuta, al camposanto di Bonaria ed a nome degli “amici”, del professore Guido Algranati, docente di fisica al liceo Dettori e membro della Karales, datosi la morte in un momento di sconforto giorni addietro.
Pezzi di umanità interni ad una città-comunità attraversata allora dalle emozioni e dagli sgomenti che la guerra combattuta al fronte riversava sulle famiglie delle migliaia e migliaia di richiamati e, in fondo, su tutti. In quella circostanza particolare, poi, la morte – o il passaggio all’Oriente Eterno – del giovane professore livornese di radici ebraiche, che a Cagliari era voluto venire e prendere cattedra, da subito mobilitandosi in appelli patriottici per portare Trento e Trieste nei confini naturali e storici della patria, aveva scosso tutti, inquietando gli animi ma anche impegnandoli a un recupero di conciliazione, secondo la logica propria della provincia e, in specie, del suo associazionismo civico d’impronta umanistica.
Meriterà indugiare un attimo in quella scena d’inizio marzo compiutasi nel cuore del capoluogo.
Un lungo corteo accompagnò allora, dall’ospedale civile al monumentale la salma del giovane professore: colleghi docenti, decine e decine di studenti dettorini e di altre scuole, le rappresentanze della cooperativa Lavoratori del porto e del sindacato Ferrovieri, quelli della Camera del lavoro e altri ancora, i Fratelli della loggia che avevano collocato sulla bara una composizione floreale a forma di triangolo.
In cimitero (dove fu allestito un ampio servizio d’ordine da parte della Pubblica sicurezza), dopo il preside Bruni e prima del segretario socialista Dragoni, intervenne proprio Businco: «Parlo per molti presenti ed assenti legati a Guido Algranati da vincoli di affetto, che trascendono questo pietoso attimo fuggente. La sua anima buona era e resta in mezzo a noi, che lo confortavamo, nei momenti di profonda amarezza, che lo ha determinato alla violenza contro la propria vita che è anche quella di una trepida vecchia lontana. Non vogliamo turbare, con la ricerca di cause e deplorazione del tragico effetto che Guido Algranati cercò e trovò soltanto a qui finalmente a soli 28 anni. Ma come amici, come intimi conoscitori della sua intelligenza e del suo cuore, dobbiamo alla sua memoria una sacrosanta rivendicazione. Anche dopo il tragico fatto serpeggia la voce: era uno studioso, un saggio profondo – dicono tutti; – non era un professore – dichiarano alcuni, che vorrebbero spezzato quel famoso pane della scienza, non con le mani trepide e carezzevoli dell’uomo, ma con la violenza dello scudiscio di un cosacco.
«Ebbene noi ci opponiamo a questa insinuazione, che vuole essere l’ultimo atroce dileggio postmortale di un individuo. Era un giovane professore che studiava e insegnava con una delicatezza e con puro entusiasmo di giovinetta. Molti, quasi tutti, non compresero la sua tragica forza di rinunzia, a cui lo sospingeva diuturnamente il feroce assillo di sentirsi solo nel tempio della scuola cui egli aveva consacrato e consacrava le ore migliori della sua gioventù meditabonda e dolorante.
«Quando, al finire degli orribili spasimi di un’agonia fortunatamente breve, durante la quale un pietoso accorre di amici e di colleghi non valse a risparmiare alla città questa macchia che rappresenta la soppressione violenta di Guido Algranati, quando io gli calavo le palpebre, colsi un lampo, l’ultimo lampo di bontà nei suoi grandi occhi mansueti: e sembrava un perdono per quei giovani che egli molto amò e ai quali si è dato quasi in prezioso olocausto. Quel lampo, che era il compendio di una esistenza senza macchia, ricordai quando, nelle ultime volontà, lessi le parole che tutti sanno e che santificano un uomo e che definiscono un eroe («perdono pel dolore procuratomi – per quello che procurerò alla mia buona mamma»).
«Se ve ne ha qui qualcuno che mi sente dei giovani, ricordi l’ammonimento di questo giovane maestro di fisica che, soffocando un ridente avvenire, ha preferito alla lotta, alla durezza contro gli altri la estrema violenza contro se stesso. Il mondo ha più bisogno di bontà che di scienza. Voi giovani, voi ne vedete, aprendo gli occhi, la triste realtà di questo vero colto nel mondo dei filosofi. Se i tuoi studenti, Guido Algranati, rispondessero al tuo ammonimento, se vi ha un angolo al di là dove gli spiriti eletti si raccolgono, non avresti forse rimorso di questo triste passo, che tanto sconforto pur lascia nell’animo nostro».
Un inedito su Businco massone
Chi fosse quell’Armando Businco che aveva preso la parola quella certa mattinata all’ombra dei cipressi era ormai nella conoscenza di tutti. Ma la nobiltà dell’uomo, pur tante volte rivelatasi e all’università e in ospedale, nella vita politica o comunque pubblica cittadina, si esprimeva anche nelle forme e nelle occasioni meno note o addirittura ignote, nella riservatezza della vita intima della Fratellanza massonica.
C’è una lettera, fortunosamente recuperata (ed inedita), la quale, datata da Cagliari il 21 giugno 1915 ed indirizzata al «Car. e Pot. Fr. Sagg.» – al “Saggissimo” cioè, leggi presidente, del Capitolo R+C scozzese di Cagliari che, salvo errore, era allora Oddo Casagrandi, in forza alla loggia Sigismondo Arquer, microbiologo e professore e anzi rettore dell’università – rivelava i sentimenti più autentici e puri del giovane Fratello-e-clinico:
«la vostra gradita tavola di partecipazione mi giunge in un momento nel quale non mi è possibile disimpegnare tutti gli obblighi che mi impone la promozione di grado. Ma se pur questi potessero – come ? – essere superati, ritengo doveroso attendere una intesa personale col n. Car. Fr. Ven. che attualmente si trova al fronte per compiere il suo dovere di Italiano. Ed è perciò che mentre prendo atto e Vi ringrazio di cuore della benigna distinzione con cui avete voluto ripagare la disinteressata opera mia, vi prometto che mirerò con entusiasmo giovanile al raggiungimento dei fini nobilissimi della n. istituzione, Vi prego di soprassedere su ogni e qualsiasi altro passo fino a quando il n. Fr. Ven. non sarà fra noi.
«Con sempre viva fiducia nella nobile opera della Massoneria e nell’avveduta guida dei nostri Maestri, auguro a costoro e alla Associazione maggiori trionfi e soddisfazioni in una patria finalmente unificata nel segno di Mazzini e di Dante».
La firma: «Armando Businco 3».
Rinunciava al una promozione gerarchica e d’onore, il Fratello Armando Businco – giovane allora di 29 anni ma già nel vivo della professione e della carriera, fra ospedale ed università – riservandosi di trattarne confidenzialmente, al ritorno dal fronte, con il suo Venerabile di loggia, quell’Ottavio Della Ca’ suo coetaneo, che invece sul Col di lana avrebbe presto lasciato la sua vita.
Un riconoscimento di merito avrebbe potuto inorgoglire. Vinse allora, invece, la modestia personale associata virtuosamente alla rinnovata fedeltà agli ideali sia propriamente liberomuratori che patriottici: «nel segno di Mazzini e di Dante».
Parallelamente alle attività professionali e politiche aveva sviluppato interessi latomistici, piegati sul versante civile, nello scozzesismo massonico e nel tipico “lavoro” di loggia all’interno dalla già citata Karales, una compagine che alla vigilia del conflitto 1915-18 e durante gli anni di guerra riunì nel suo piedilista numerosi docenti, professionisti, artisti di cultura democratico-radicale fra i più noti nell’Isola. Fra essi il filosofo Antioco Zucca, l’ingegnere Davide Cova (prossimo sindaco sardista di Oristano, a lungo perseguitato dalla polizia del regime), il tenore Carmelo Alabisio (coprotagonista di stagioni liriche con la nostra Carmen Melis) e il librettista Amedeo Carelli, il francesista Giovanni Pepitoni, il socialistissimo ispettore scolastico Edoardo Pintor, ecc.
All’Ospedale e nei corsi universitari incontrò allora, fra anni ’10 e primi anni ’20, numerosi colleghi che ebbe modo anche di frequentare nelle tornate fraternali convocate dalla loggia sorella, la Sigismondo Arquer. Quanti! Emilio Alfieri e Angelo Garau, Attilio Cevidalli ed Agostino De Lieto Vollaro, Emilio Di Mattei ed Atgtilio Gentili, Francesco Putzu e magari Adriano Valenti e Giuseppe Oddo…
L’antifascista del Partito d’Azione nella resistenza
Il nome di Armando Businco è – come detto – ben noto e rispettato, amato a Cagliari. A lui è stato intitolato, nel 1972, l’ospedale regionale Oncologico. A cinque anni soltanto dalla scomparsa, si era così inteso onorare uno scienziato ed un clinico di straordinario livello, ma direi anche il cittadino e uomo di ideali giusti, testimoniati quando meno era facile affermarli: contro il fascismo e contro i burgundi, lui uomo di educazione mazziniana, fedele sempre alle sue idealità. Perché nel 1944, quasi sessantenne ormai, fu prelevato e incarcerato prima nella casa del fascio bolognese di via Manzoni, poi nella sede delle SS di via Santa Chiara, infine nelle prigioni di San Giovanni in Monte: un anno di prigione, fra Bologna appunto ed il campo di Fossoli presso Modena.
Accusato di aver impedito la totale rapina del deposito di radium dell’Istituto di radiologia, condannato a morte dai brigatisti neri e destinato a un campo di concentramento in Germania, riuscì ad evadere dal campo di Peschiera del Garda presso Varese, ultima tappa del viaggio di forzata uscita dal suolo patrio. Rifugiatosi nel Bresciano, attese la liberazione del nord Italia, riprendendo già nel 1945 l’insegnamento e l’attività di corsia a Bologna e dando alle stampe una testimonianza dal titolo Il tributo di sangue per la liberazione dell’Istituto di Anatomia Patologica di Bologna (anche come coronamento della militanza partigiana nell’8.a brigata Masia di GL riconosciutagli a partire dall’armistizio e fino alla liberazione del 25 aprile).
Rinunciò all’elezione a rettore, per impegnarsi totalmente alla ricostruzione del suo istituto, fra i più prestigiosi addirittura a livello mondiale. Accettò infine la carica di preside della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università felsinea della quale era ordinario dal 1938, dopo aver insegnato a Perugia (dal 1924), a Cagliari (dal 1927), a Palermo (dal 1932), ancora a Cagliari (dal 1932).
Ogliastrino ierzese classe 1886, conobbe le difficoltà e le ingiustizie della vita fin da piccolo, per l’abusiva e prolungata (17 anni!) carcerazione del padre – un torinese trasferitosi in Sardegna, collettore delle imposte e giornalista vicino al Cocco Ortu. Fra quelle difficoltà e quelle ingiustizie modellò il suo carattere, amando la libertà del popolo e l’Italia che già nella sua adolescenza vedeva rispecchiate nelle idealità risorgimentali mazziniane. Militante dell’edera e della vanga repubblicana prima della grande guerra – il suo nome figura, con quello del fratello Arturo, fra gli iscritti alla sezione repubblicana di Cagliari nel 1913/14, negli anni di preparazione alla laurea e all’indomani del conseguimento del titolo – s’impegnò nel movimento dei Combattenti e nel sardismo di lata derivazione pure esso mazziniana nel primo dopoguerra: fu candidato come “combattente repubblicano” nella lista dell’Elmetto del 1919, ed eletto nel 1920 consigliere provinciale. (Da volontario, aveva partecipato in prima linea al conflitto, ottenendo anche una decorazione al valore militare).
Un profilo della sua personalità fin dagli anni di formazione ce lo hanno offerto Giuseppe Zucca e Gavino Faa in Cronistoria dell’Istituto di anatomia e istologia patologica della facoltà di Medicina e chirurgia Università degli studi di Cagliari, dato alle stampe nel 2001. Vi si legge fra l’altro: «Sin dal periodo più giovanile risalta il suo carattere vigorosamente protestatario anche nei confronti dell’organizzazione universitaria, allora insufficiente nell’insegnamento e nella ricerca. Lo studente Businco si assume la responsabilità di lamentarsi, anche per iscritto, con il Rettore. Sulla carenza dei mezzi didattici, della pochezza degli ambienti, della povertà delle apparecchiature scientifiche ed infine per la gravissima saltuarietà della presenza degli insegnanti…Tale era il carattere e la personalità dell’Uomo Businco che, nel suo curriculum universitario riportò su 26 esami, quanti erano allora, 11 trenta e 12 trenta e lode ed ancora i “primati” dovevano proseguire anche dopo la laurea (a.a. 1912-1913) e nei concordi sui subito partecipò».
E a tale proposito: «Nella sua vita fu un giusto ed un costante, impavido difensore del Diritto tanto da richiedere, in un suo lavoro, un nuovo ordinamento degli studi medici e la moralizzazione della docenza» (cf. Direttive Anatomo-Cliniche per l’educazione del Medico, Cappelli ed. Bologna, 1939, e Su un auspicato nuovo ordinamento degli Studi Medici ed in particolare dell’Anatomia Patologica, Annuali dell’Università d’Italia, IV.4, 1943). Negli anni dette alle stampe, fra personali e collettanei, 633 lavori scientifici. Fra essi quelli sulla malaria e la echinoccosi – che traggono molto delle loro motivazioni dalla Sardegna – e sull’istopatologia del cancro.
Aiuto di Anatomia Patologica fin dall’ottobre 1914 e per un biennio, ebbe poi quello di Patologia Generale, sempre all’università di Cagliari. Passata la fase bellica, nel 1922 gli fu data la libera docenza in Anatomia Patologica, ed iniziò allora, in senso proprio, la brillante carriera universitaria: nell’a.a. 1925-26 fu chiamato per incarico all’istituto di Anatomia Patologica e Patologia Generale ed all’istituto Superiore di Medicina Veterinaria in Perugia. Tornò a Cagliari a fine 1927 e vi restò per dieci anni, incaricato dell’insegnamento di Anatomia Patologica (nel mezzo compiendo un’esperienza a Bologna dove nel 1935-36 divenne professore di ruolo).
A Cagliari espanse la sua attività di ricerca alla Diagnostica Istopatologica per la lotta contro il cancro e costituì nel 1931 la sezione della Lega contro i tumori. Molto si impegnò sia per l’aggiornamento della biblioteca con l’acquisizione di pubblicazioni scientifiche da tutti i centri di ricerca del pianeta sia per l’ammodernamento delle strumentazioni tecniche, e ottimo maestro si rivelò di giovani medici, assistenti e collaboratori destinati presto a prendere le leve di direzione dei diversi comparti ospedalieri ed universitari del capoluogo.
Raggiunse poi Bologna. La Bologna presto assediata dai burgundi, nella ferocia della guerra.