La testimonianza civile e professionale di Giuseppe e Giangiorgio Saba ricordata a Cagliari, insieme con quella di Lello Puddu, dai “reduci” repubblicani, liberali, socialisti e sardisti della “Cesare Pintus” e della Mazziniana, di Gianfranco Murtas
Nell’accogliente sede della Società degli Operai – il primo sodalizio cagliaritano nato nel 1855 interno al solco del mutualismo popolare – si è svolta lo scorso 15 gennaio una assemblea dei mazziniani e degli aderenti e simpatizzanti dell’associazione “Cesare Pintus” per celebrare la memoria di Lello Puddu, nell’anniversario della sua morte.
Sarà utile tornare sul punto, magari in occasione di una prossima manifestazione pubblica per la quale è annunciata la presenza a Cagliari dell’ex ministro Giorgio La Malfa. Qui importa insistere, o questo vorrei, sulla compartecipazione ideale e sentimentale di Giuseppe Maria e Giangiorgio Saba – scomparsi anch’essi nel decorso 2018, il 2 ed il 27 luglio – com’è stata avvertita dai cinquanta intervenuti per rendere ed ascoltare testimonianze di vita privata e pubblica. Figli di Michele Saba, l’avvocato e giornalista sassarese al cui nome molto delle vicende civiche e democratiche isolane è legato – si ricordino le sue tre detenzioni per antifascismo, si ricordino le esperienze nelle attività delle opere federate al tempo della grande guerra, si ricordi la sua presenza nel CLN provinciale e regionale degli anni 1943-44 (con la collaborazione a Riscossa e a L’Isola defascistizzata e affidata alla direzione di Arnaldo Satta Branca) così come l’attivo contributo alla rinascita, nel 1947, de La Nuova Sardegna (dopo i vent’anni di “sonno” per imperio violento del regime) -, fratelli minori di Alberto Mario, avvocato di prim’ordine anch’egli e leader dei repubblicani sardi lungo molti decenni, fino e oltre i patimenti subiti dalla rozza cupidigia di una squadra di sequestratori di persona.
Ebbero storie diverse, tanto più professionali, Giuseppe – Peppinello – e Giangiorgio, l’uno medico e primario anestesista, professore ordinario d’università, cofondatore della Fraternità della misericordia cagliaritana, volontario anche nell’età più matura nelle applicazioni domestiche della terapia del dolore ai malati più gravi; l’altro funzionario pubblico e infine direttore regionale dell’INPS, propenso ad offrirsi al servizio politico-amministrativo come quello gravatogli, non per breve tempo, dal consorzio Provincia-Comuni per le linee di trasporto su binario.
Personalità eccellenti entrambe, cresciute alla scuola mazziniana della famiglia, quando essere mazziniani – così anche e ancora nella Sardegna periferica di cinquanta o cento anni – significava qualcosa di laicamente religioso, tanto più per l’esiguità delle partecipazioni di militanza e dei mezzi disponibili “per la propaganda missionaria”, a Giuseppe Saba ed a suo fratello Giangiorgio, il quale fu anche e ripetutamente presidente regionale dell’Associazione Mazziniana Italiana (AMI), che creduto giusto donare, in memoriam, un pieghevole di contenuto, con riferimenti biografici più particolareggiati e stralci da loro scritti o interventi orali di varia occasionalità.
Quattro pagine soltanto – ne avrebbero meritato quattrocento! – ma omaggio simbolico, anche in simbolica proiezione di fraternità, direi, da Cagliari alla loro città d’origine e formazione.
Ne riporto qui appresso i testi. Per un recupero dell’ultima ora ho integrato la sezione dedicata al professore, al tempo primario di anestesiologia e rianimazione presso l’Ospedale civile di Cagliari, anche una lettera da lui indirizzata al vertice amministrativo del nosocomio nel 1973 (e che si combinava alla richiesta che, ancora e sempre con confra tutta sassarese, egli aveva inviato chiedendo l’assunzione rapida di un gatto per allontanare i ratti dal suo reparto!).
Già redattore, volontario evidentemente, della Voce universitaria sassarese (dal 1945, nel quadro delle attività dell’Associazione Turritana Universitaria, di cui molte volte ha scritto Manlio Brigaglia) e della Gazzetta Sarda – il periodico settimanale fondato nel 1948 nel capoluogo turritano (per coprire il vuoto del lunedì nelle uscite de La Nuova Sardegna intanto risorta), Peppinello Saba meriterebbe davvero, con i suoi fratelli Giangiorgio ed Alberto Mario, che ci si apprestasse a definirne un profilo tutto speciale: un profilo, dico, della militanza civile come si sviluppò, nella più ordinaria quotidianità, in parallelo all’esercizio professionale. Il suo nel reparto ospedaliero e nell’aula d’università, a Cagliari o in continente, quello degli altri nell’ufficio della Previdenza sociale ed in uno studio d’avvocato…
Umanitarismo e democrazia, impegno e leggerezza…
Quando, nell’autunno quasi inverno del 1930, i questurini vennero a prendere il loro padre accusato di eversione politica, complice di quegli altri democratici di scuola sardista organizzati in un centro di Giustizia e Libertà, Peppinello aveva tre anni e mezzo e Gianni non aveva ancora compiuto l’anno. Vissero e non vissero il tanto che era successo attorno a loro, ma godettero del… supplemento di giocattoli natalizi che da ogni parte giunsero allora alla loro abitazione sassarese di via Cavour 55. La solidarietà derivava da un chiaro riconoscimento di valore.
Il mito fecondo del padre Michele e la cura responsabile riservata loro (e poi anche alla sorella più piccola, Luisa) da Alberto Mario – il primogenito di casa, nove anni appena compiuti in quella data tremenda (che altre repliche avrebbe avuto nel 1935 e nel 1943) –, di supporto naturalmente a quelle della madre Mariuccia Concas, sarebbero stati cemento virtuoso nel tempo della crescita, della formazione del carattere, dell’adozione in progress delle tavole valoriali orientative nella stagione degli studi e poi dell’inoltro nella professione dei due, quella medica da una parte, quella amministrativa dall’altra. E virtuosi lo sono stati, oserei dire, senza merito speciale proprio, Peppinello e Giangiorgio. Lo sono stati, virtuosi, spontaneamente, per dato di natura, perché dall’esempio virtuoso, applicato alle piccole come alle grandi cose, erano stati educati dalla primissima infanzia. Tutto qui.
Sassaresi con tratti di sobrietà e di leggerezza – il rigore nella professione sì, in entrambi, ma anche la leggerezza nella relazione -, essi si sono fatti cagliaritani per gran parte della loro vita, e han fatto sintesi di due municipalismi che non ha senso alcuno considerare rivali e andrebbero invece considerati sempre in una certa loro positiva complementarità.
Nell’età matura e ancora professionale l’uno s’è quindi fatto missionario della terapia del dolore, dopo esser stato nel 1976 – lui medico in carriera, primario ospedaliero e professore di università – fra i promotori della sezione cagliaritana della Fraternità della misericordia; l’altro ha dovuto combattere quotidianamente, in casa stessa, altre impellenze di salute e contemporaneamente mai però s’è comunque negato alla chiamata al servizio associativo negli avamposti dell’utile sociale (così ad esempio nell’amministrazione del trasporto consorziale urbano) e in quelli della predicazione e testimonianza democratica (così nell’AMI come nel Partito Repubblicano Italiano).
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Classe 1927, Giuseppe Maria (Peppinello) Saba si formò all’università di Sassari, dove si laureò nel marzo 1953 discutendo una tesi sperimentale preparata nell’Istituto di clinica chirurgica diretta dal prof. Palmerio Delitala.
Prima di conquistare la sua cattedra lavorò molto, secondo la più classica ritmica della carriera accademica, dapprima come assistente volontario anestesista (presso la Divisione chirurgica dell’ospedale di Sassari), quindi come assistente anestesista ospedaliero incaricato e direttore dell’Istituto di urologia dell’università di Milano. Proprio in tale ateneo s’era infatti specializzato, frequentando, con servizio sanitario continuato, la Clinica chirurgica.
Si trasferì a Cagliari nel giugno 1956, operando sia come assistente anestesista incaricato presso gli Ospedali Riuniti del capoluogo che come addetto al servizio di anestesia condiviso da tutti gli istituti universitari (Clinica ostetrica, Chirurgia, Istituto di patologia chirurgica, Clinica oculistica, Clinica otorinolaringoiatrica, Clinica odontoiatrica). Nello stesso periodo fu anche assistente volontario alla cattedra di Clinica ostetrica e ginecologica, e poi a quella di Clinica chirurgica generale e terapia chirurgica; già vincitore di due borse di studio (nel 1956 e nel 1959) fu altresì, dal 1961, consulente anestesista nell’istituto di Clinica ortopedica dell’università.
Il professore che abbiamo conosciuto, stimato e amato negli anni, ordinario di anestesiologia e rianimazione, a Cagliari prima che a Roma (alla Sapienza), ebbe questo background di studio e professionale che con perfetta armonia si combinò ogni giorno ad una sensibilità e ad una autentica e profonda sapienza umana che sempre hanno colpito chi lo abbia frequentato nelle circostanze più diverse, anche fuori dal suo stretto professionale.
Ancora giovane – era il 1959 – frequentò, nientemeno che col professor Valdoni, un corso di perfezionamento in anestesia nell’impiego della circolazione extracorporea, e va detto che l’assiduità ordinaria e quotidiana con le situazioni estreme della labile vita del suo prossimo si configurò come la realizzazione della sua più intima vocazione umana: fu lì, in una professione-religione, il luogo della piena realizzazione di Peppinello Saba come uomo e come medico.
Anche come avisino mi piace ricordarlo in una fase della sua vita professionale che mi coinvolse. Su L’Informatore del lunedì del 2 luglio 1973 uscì una pagina speciale (curata da Alberto Aime) dedicata alle attività dell’AVIS in Sardegna. Fra le altre, si raccolse anche la testimonianza del professor Saba. Ecco il box a lui dedicato:
«Per cercare di salvare una donna che aveva ingerito sublimato corrosivo abbiamo usato almeno dodici litri di sangue; per trovarlo ci siamo rivolti a tutti ed i ragazzi delle scuole sono venuti in massa: è stata una lotta che purtroppo si è conclusa con la nostra sconfitta, ma ci siamo battuti sino alla fine». Chi parla è il prof. Giuseppe Saba, direttore del centro di rianimazione dell’Ospedale di Cagliari: «Al Centro giungono solo i casi più gravi, quasi disperati: per i quali la salvezza è spesso legata solo ad un miracolo, posto che la scienza sembra avere esaurito tutte le riserve. Eppure ci si batte con tenacia, con risolutezza, con disperazione». E’ la strada che miete più vittime – ricorda il prof. Saba –; «troppo spesso siamo di fronte a protagonisti di incidenti ridotti ad un punto tale che ci sentiamo impotenti. Ma alle volte abbiamo la soddisfazione di vincere una battaglia che sembra persa in partenza: in uno degli ultimi casi ci sono voluti quattro mesi per rimettere in sesto un uomo che quando giunse da noi aveva scientificamente una probabilità su mille di sopravvivere: ma ora ho la soddisfazione di parlare con lui e di vedere che ha ripreso a lavorare. Anche in questo caso sono occorsi dozzine di flaconi di sangue per i vari interventi: è stato difficile ma lo abbiamo trovato: era un caso urgente e ci siamo rivolti ai carabinieri e molti sono venuti a dare il sangue. Era l’ultima speranza e troppo spesso siamo ridotti a dover fare affidamento sull’ultima speranza per salvare una vita».
Il 18 marzo 1976 si formalizzò a Cagliari la fondazione della Fraternità della misericordia. Unitamente al compianto senatore Ignazio Serra, che ne fu il primo presidente, molto, moltissimo, si deve al professor Giuseppe M. Saba, che dalla benemerita associazione di volontariato fu anch’egli per svariati anni esemplare governatore (e nel 35° di quell’evento a lui venne riconosciuto il titolo di governatore emerito).
L’ironia (o lo sberleffo) al servizio della grande causa della pubblica salute
Nei giorni delle festività natalizie del 1973 e di capodanno del 1974, lui direttore del reparto di anestesia dell’Ospedale civile di Cagliari, prese la macchina da scrivere e indirizzò al presidente degli OO.RR. (feudo elettorale democristiano: si era in una fase precedente alla riforma delle USL, poi ASL), la seguente lettera:
«Egregio Presidente, ho appreso ieri dall’Unione Sarda, con vivo interesse non disgiunto da un grandissimo senso di invidia, che l’Amministrazione Ospedaliera ha bandito l’appalto per lavori di ristrutturazione della Presidenza, del Consiglio, della Direzione Amministrativa, etc.
«Le confesso che la notizia mi ha riempito il cuore di gioia innanzitutto perché smentisce il luogo comune che l’Ufficio Tecnico non funzioni, ma soprattutto perché, come tutti coloro che lavorano in Ospedale, sono lieto che i nostri amministratori possano finalmente lavorare in un ambiente moderno, sano perché creato appositamente per alleviare le loro fatiche. Allo stesso tempo non posso nascondere la mia tristezza nel constatare che da parecchi anni combatto per costruire un Centro di Rianimazione e purtroppo non vedo ancora la possibilità di conseguire i risultati ottenuti dagli Amministratori.
«A Lei è ben noto che dal 1972 è stata ordinata tutta l’attrezzatura per il nuovo Centro di Rianimazione e (come Le comunicai il 20.4.73 prot. m. 1399) tale attrezzatura (del valore di 132 milioni) giace inutilizzata nei magazzini o nei corridoi della cucina. Debbo però constatare, con soddisfazione, che in due anni è stato redatto dall’Ufficio Tecnico (su mio disegno) un progetto di massima anche se al momento attuale lo stesso Ufficio Tecnico non ha ancora trovato il tempo per fare il computo metrico, forse perché impegnato vivamente nelle ristrutturazioni degli Uffici nei quali doveva lavorare.
«Nel frattempo un gruppo di medici, infermiere ed infermieri lavora nel cosiddetto Centro di Rianimazione per soli 4 malati (con una richiesta molto superiore) in un locale ove non esistono finestre, e non vi è neanche lo spazio per muoversi, in una promiscuità che permette la crescita rigogliosa di germi di tutti i tipi, senza un gruppo elettrogeno che assicuri la luce elettrica (quando questa manca) a pazienti che debbono la loro vita solo ed esclusivamente ad un respiratore automatico che, purtroppo, funziona solo ed esclusivamente con la corrente elettrica.
«Le pare che questo gruppo di medici, infermiere ed infermieri chiedano troppo quando pretendono che vengano ristrutturati i locali della ex Clinica Otorinolaringoiatrica per crearvi quel Centro di Rianimazione, per il quale già esiste l’attrezzatura, che permetta loro di assistere 12 pazienti e di lavorare in condizioni più umane anche e soprattutto nell’interesse di quei pazienti per i quali il Centro di Rianimazione rimane l’ultima ed unica speranza?
«La prego di scusare questo mio sfogo che riassume una battaglia di ben 10 anni, documentata da almeno un chilogrammo di lettere, preventivi, domande, conferenze, articoli sui giornali senza che sino al momento attuale si riesca a vedere una soluzione.
«Distinti saluti. Il Direttore Prof. Giuseppe Saba».
Peppinello cronista di costume, corrispondente di viaggio
Nell’estate 1954 – giovane dottore in servizio allora a Milano, allievo della scuola di specializzazione (avrebbe acquisito il diploma nel novembre 1955) – egli si concesse un bel viaggio in Inghilterra: Scarborough nello Yorkshire e Blackpool nel Lancashire furono i centri di maggior indagine della sua curiosità, quella di un isolano alla scoperta dei segreti di un’altra isola. Di tanto dette poi un brioso resoconto scrivendone su La Nuova Sardegna – il giornale che il padre aveva contribuito a far risorgere nel 1947 – il 1°, l’11 ed il 22 settembre di quello stesso anno. “Boccaccio e la moralità (alla loro maniera)”, “Gli spaghetti napoletani in Inghilterra”, “I duemila alberghi di Blackpool” furono i tre titoli, guidati da occhielli che andarono da “Vita inglese di ogni giorno” a “Europa d’oggi” e “Itinerari d’Inghilterra”.
Per dare almeno un’idea dei testi piuttosto lunghi (ma altrettanto gustosi) valgano qui i sommari proposti dall’impaginatore. Eccoli: “Spettacolo gratuito all’Hyde Park – File di gente disciplinata anche per l’autobus – Prezzi modici – I bars dell’italiano Forte”; “I più bei Luna Park del mondo – La storia di un canadese che sbarcò in Inghilterra con poche sterline in tasca – Premi ai ballerini calvi”; “Una fantastica illuminazione su motivi di Walt Disney – Castelli che invitano al silenzio – Automobilisti disciplinati e vigili cortesi”.
Andando quasi a caso fra le colonne del giornale ecco almeno qualche riga di speciale colore: «Sette miglia di passeggiata sul mare, quattro campi di golf, tre rotonde metalliche sul mare contenenti dancing, teatro e trattenimenti vari, tre piscine, una delle quali è la più grande esistente in Inghilterra, 5 teatri, 17 cinema, sei dancing pubblici, una imitazione della torre di Eiffel, giardino zoologico, palazzo del ghiaccio, acquarium e per concludere oltre 2.000 alberghi schierati ininterrottamente lungo le sette miglia di passeggiata a mare. Questa è Blackpool. Ma la cosa che attrae migliaia e migliaia di inglesi in questa stazione balneare è l’illuminazione. Lungo la passeggiata centinaia di archi ed ai fianchi di essi migliaia di figure alte 6-10 metri da terra e raffiguranti animali e scene tolte dai film e dai cartoni di Walt Disney, la notte si illuminano grazie a migliaia di lampade di tutti i colori. Uno spettacolo difficilmente descrivibile, ma che dà l’idea di un gigantesco albero di Natale.
«Siamo giunti a Blackpool, posta sul mare di Irlanda, dopo cinque ore di automobile. Abbiamo attraversato grosse città industriali come Manchester e Leeds, o tranquilli posti di riposo come Harrogate, ove i milionari inglesi e le ricche signore si recano a bere delle acque molto simili a quelle della nostra Montecatini…».
In tutt’altro contesto: «Ci trovavamo un giorno all’Hyde Park, un gigantesco giardino londinese grande – diremmo – quanto l’intera Milano, quando la nostra attenzione venne attratta da un gruppetto di giovani che osservavano con malcelata curiosità una scena comunissima nei giardini pubblici inglesi. Sul verde tappeto di erba due giovani di diverso sesso si rotolavano in maniera tale che le loro espansioni, in Italia, avrebbero fatto accorrere almeno due jeep cariche di questurini della squadra del buon costume e sarebbero costate agli interessati qualche abbondante mese di galera per atti osceni in luogo pubblico. In Inghilterra, invece, nessuno si occupava di loro e ci sembra inutile dire che i giovani curiosi fermatisi per assistere alla scena erano turisti italiani. Il nostro accompagnatore, un italiano residente a Londra da vario tempo, ritenne opportuno avvicinarsi ai compatrioti per spiegare loro che era meglio non si interessassero dei fatti altrui, perché, qualora si fosse trovato a passare sul posto un policeman, avrebbe portato davanti al magistrato non i due inglesi ma proprio loro che si eccitavano i sensi rimirando con morbosa curiosità offerto dai due innamorati…».
Alla “Voce” e alla “Gazzetta”
Come già accennato, seguendo la passione paterna, Peppinello Saba fu giornalista per davvero. Nel novembre 1945 – aveva allora 18 anni, e Sassari come la Sardegna intera e l’Italia finalmente (anche nelle regioni del settentrione) iniziava a respirare a pieni polmoni l’aria della libertà – fu tra i fondatori della Voce universitaria, organo dell’Associazione Turritana Universitaria costituitasi fin dall’indomani del licenziamento di Mussolini. Erano quelli i tempi in cui la voglia di vita, davvero di vita! (il sostantivo che entrava anche nella testata) era pervadente ogni fare, ogni iniziativa. La stampa aveva largo spazio, dopo il conformismo retrivo del ventennio, in una resurrezione.
C’era allora, negli stessi locali dell’ateneo, la mensa e c’era anche, difeso da dai cartoni tutt’attorno, lo spazio per i “caffelatte danzanti” di cui ha scritto Manlio Brigaglia su La Nuova Sardegna in una serie di articoli di ricordi gustosi e briosi, c’era lo sfogo carnascialesco, c’era il bar sempre affollato e fraternizzante… E nella redazione della Voce Peppinello era uno che contava, brillante personalità da sempre anche se ancora adolescente, e con lui – passata nell’ATU la mezza generazione dei fratelli maggiori fra cui Alberto Mario, e anche Giuseppe Melis Bassu, Ugo Carcassi, Giulio Segneri, Domenico Cordella, tutti grandi nomi delle professioni, fra avvocatura, magistratura e medicina della Sardegna del secondo dopoguerra e degli anni ’60, ’70 ed ‘80 – anche Donatello Sanna, Rodolfo Mura, Antonio Poletti, Gabriele Azzena, Giovanni Antonio Meloni… Gli stessi, all’ingrosso, che poco dopo – davvero poco dopo – avrebbero battezzato La Gazzetta sarda, la testata settimanale che Arnaldo Satta Branca – direttore e rifondatore (comproprietario) de La Nuova Sardegna – aveva autorizzato ad autodenominarsi La Nuova Sardegna del lunedì… Prove di giornalismo giovanile, per Peppinello Saba, naturalmente da allora preso in progress dalle incombenze della tesi e dell’avvio professionale, che non era nella redazione, però, ma nella clinica…
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Giangiorgio Saba, alto dirigente dell’INPS regionale, per lunghi anni presidente della sezione cagliaritana (e sarda) dell’AMI, fu una delle anime generose del mazzinianesimo isolano. Mantenne i contatti, tanto più con Lello Puddu, Luciano Marrazzi e Ghigo Galardi, con i residui militanti di un filone ideale e sentimentale che si sapeva sempre attuale, pur se con forme nuove, fra gli istituti di democrazia e di promozione sociale affermati dalla Repubblica.
Fra le “Cronache dell’AMI”, la rubrica de Il Pensiero Mazziniano che include anche i medaglioni dei militanti passati, dopo la loro vicenda terrena, al non tempo, compaiono due brevi necrologi da lui firmati per illustrare la personalità di Agostino Murineddu e di Filippo Canu, deceduti rispettivamente nel 1996 e nel 2002. Eccone i testi, un ricordo gentile e commosso, un segno di partecipazione ai lutti della famiglia mazziniana sarda e italiana. Così su Il Pensiero nn. 2/1996 e 4/2002.
Per Agostino Murineddu – «E’ deceduto all’ospedale di Sassari, il 12 marzo scorso, l’amico cav. Agostino Murineddu. Nato il 26 novembre 1921 a Sorso, grosso centro agricolo del sassarese, si deve alla sua tenacia, al suo rigore morale ed al suo spiccato senso democratico e libertario, la diffusione dell’idea repubblicana e del verbo di Mazzini. Consigliere comunale, amministratore della Cassa Comunale di Credito Agrario di Sorso, rivelò sia nel mandato politico, che negli incarichi ricoperti le sue doti. Conobbe nell’arco della sua esistenza i più bei nomi del mondo democratico e repubblicano italiano, da Ferruccio Parri a Randolfo Pacciardi, ad Amedeo Sommovigo, e fu caro all’indimenticabile decano dei repubblicani e mazziniani sardi Michele Saba. Ai funerali svoltisi a Sorso, sua città natale, con folta partecipazione di amici repubblicani e mazziniani di Sorso, Sassari e provincia, il Sindaco di Sorso ha rievocato con nobili parole la figura di Agostino Murineddu, per le sue doti umane e politiche, del quale rimarrà il ricordo di un uomo, in cui l’ideale mazziniano dei doveri non è mai venuto meno».
Per Filippo Canu – «Il 29 agosto 2002 è deceduto a Roma il giornalista Filippo Canu, esemplare figura di mazziniano e repubblicano. Nato il 24 agosto 1927 a Porto Torres (SS), simpatizzò sin da giovane per gli ideali repubblicani e mazziniani, a causa soprattutto dell’influenza paterna. Suo padre, Gianuario, aveva un famoso caffè sul corso di Porto Torres al quale il figlio ha dedicato un affettuoso libro di memorie, e fu repubblicano pure in tempi difficili.
Filippo fu uno dei militanti più giovani e si distinse per il suo attivismo durante la campagna elettorale per il referendum istituzionale del 2 giugno 1.946, e nelle elezioni politiche nell’aprile ’48, con un centinaio di comizi nei vari paesi della Sardegna, spesso assieme a Clelia Garibaldi, ed il suo attivismo gli procurò l’appellativo di “cavallino repubblicano”. Nel 1947 fu eletto segretario della Gioventù repubblicana sarda. In quell’anno prese parte ad una Scuola di formazione dei giovani repubblicani, organizzata da Giovanni Conti, presso l’albergo “Bologna”, a Roma, assieme ad altri venti giovani che lasciarono traccia nella storia del Pri, tra i quali Oddo Biasini, Libero Gualtieri ed Oscar Mammì. Gli insegnamenti di Conti lasciarono in lui una forte impronta morale ed ideologica.
«Nel 1951 si diplomò alla scuola di giornalismo di Urbino ed inizio il suo apprendistato di giornalista, come corrispondente da Sassari del quotidiano di Cagliari, L’Unione Sarda. Dopo venne l’assunzione alla RAI, fu inviato speciale al seguito di tre presidenti della Repubblica, Segni, Saragat e Pertini; per sette anni fu vicedirettore del Gr2 e quindi del dipartimento scuola-educazione della RAI. Ma la sua passione oltre la politica e l’apostolato mazziniano fu il teatro. Stimato commediografo, ricordiamo alcune delle sue opere: Un marziano in redazione, La guardia al bidone, I padroni dell’estate, che riuscì con successo a portare sulle scene ed alla televisione».
Agli Amici del libro e a Palazzo Sanjust
Così il 18 marzo 2003 agli Amici del libro, alla presentazione di uno degli ultimi lavori di Marta Boneschi (e il 10 marzo 2007 alla manifestazione mazziniana organizzata dalla loggia massonica cagliaritana intitolata a “Lando Conti”:
«Signore e signori, Amici del libro, dell’Associazione Cesare Pintus e Mazziniana Italiana, ho il piacere di rivolgere il più cordiale saluto di benvenuto a Cagliari a Marta Boneschi, e di ringraziarla vivamente per avere accettato l’invito alla presentazione del suo penultimo libro “Di testa loro”, malgrado i numerosi impegni nella penisola ed alla televisione.
Nei brevi limiti del mio intervento, non mi fa velo l’amicizia per dirvi che Marta Boneschi è un personaggio di spicco nella letteratura femminista. Ha un brillante curriculum come giornalista ed il dibattito sulla condizione della donna in Italia, considerato fino a trent’anni fa come un tabù, è stato da lei affrontato con intelligenza, perspicacia e razionalità, interpretando e giudicando le conquiste raggiunte sul piano dei diritti, del costume o come si dice oggi della pari opportunità. Un veloce cenno sui libri della Boneschi:
«Il primo risale al 1995: “Poveri ma belli”, in cui analizza il decennio che ci allontana dalla guerra e dal dopoguerra.
«Il secondo risale al 1996: “La grande illusione, i nostri anni ‘60”, in cui illustra personaggi e rievoca sentimenti e memorie di una delle stagioni più belle della nostra vita descrivendo mirabilmente miserie e splendori di quella età.
«Il terzo libro è del 1996: “Santa pazienza”, ed è la storia della donna italiana dal dopoguerra ad oggi.
«Il quarto libro è del settembre 2000. Si intitola “Senso” e l’autrice, con garbata ironia, non disgiunta da humour, prende in esame i costumi sessuali degli italiani dal 1880 ad oggi. Un secolo di costumi erotici dai canapè di D’Annunzio alle case chiuse o bordelli per arrivare al sesso via Internet! E’ un libro sul quale la Boneschi si è impegnata molto lavorandoci per due anni interi tra ricerche e stesura definitiva, dedicandolo a chi considera il sesso “né un vizio, né un pericolo né una
Vergogna, ma una risorsa, una delle poche che sposa lo spirito alla carne”.
«E’ stato per inciso rilevato da uno dei suoi più brillanti ed attenti recensori dei suoi scritti, se non erro Giulio Nascimbeni del Corriere della Sera, che i titoli dei tre libri sono mutuati da film di successo: “Poveri ma belli”: un film di Dino Risi; “La grande illusione” è un film di Renoir con Jean Gabin ed Enrich Von Stroheim; “Senso” è il titolo di un celebre film di Luchino Visconti; il quarto libro del 2002 “Di testa loro”, del quale ci parlerà Giuseppina Cossu Pinna, è la storia delle prime dieci donne che hanno rivoluzionato l’Italia. La biologa Rita Levi Montalcini, Premio Nobel per la medicina, Nilde Jotti, Teresa Noce, Luisa Spagnoli, le attrici Lucia Bosé, Alida Valli, Franca Valeri, la Senatrice Angela Merlin, Franca Viola. Tutte donne che la maggior parte di noi, siano esse viventi o scomparse, ha conosciuto o ne ha sentito parlare.
Di una di esse, la Merlin, conosciuta dal grosso pubblico per avere presentato la legge per l’abolizione delle case di tolleranza, nata a Pozzanova (Padova) e deceduta a Padova nel 1979, occorre ricordare che soggiornò per tre anni in Sardegna. Ciò a seguito di una condanna erogatale nel 1926 per attiva propaganda socialista. Venne confinata a Isili, a Dorgali ed Orune, ed in seguito le venne impedito di esercitare l’insegnamento per il suo rifiuto di giuramento di fedeltà
al Regime. Di lei parla Salvatore Pirastu nel suo libro “Confinati politici in Sardegna”.
«L’ultimo libro di Marta Boneschi è recente: “Voci di casa”, (la famiglia italiana, ieri, oggi e domani). La nostra scrittrice, sempre molto attenta ai mutamenti sociali (nuova legge sul diritto di famiglia ed approvazione della legge sul divorzio), dice che la famiglia è molto cambiata e molto migliorata, anche se con la legge sul divorzio solo il 43% delle famiglie sono fondate sul matrimonio. Come è noto la nostra Costituzione, all’art. 11, riconosce la famiglia come società naturale
fondata sul matrimonio.
«Mi avvio alla conclusione del mio intervento, ma prima di concludere, mi corre l’obbligo di dire, per non appioppare false etichette, che Marta Boneschi nei suoi libri non è una femminista ante litteram ad oltranza. Le sue analisi non sono una lotta contro lo sciovinismo maschile; con la sua raffinata cultura e la sua educazione democratica ha dato con i suoi scritti un contributo notevole allo sviluppo delle iniziative volte ad ottenere per la donna italiana gli stessi diritti in campo economico, giuridico e politico, senza arenarsi in una distensione sessista dei ruoli nella società».
«Adempio al dovere-piacere in questa giornata mazziniana che si colloca in una data piuttosto importante per Mazzini in quanto non bisogna dimenticare che Mazzini morì a Pisa il 10 marzo 1872 e quindi plaudo a questa iniziativa, ma plaudo a questa iniziativa non solo per ricordare Mazzini come un apostolo lontano nel Risorgimento, ma come un teorico della emancipazione dai vili e servi e cercare nelle sue pagine le vie della rinascita morale.
«Un secolo e mezzo dopo la sua morte molti dei suoi ideali sono diventati realtà, l’Italia è una repubblica democratica nata per libero voto del popolo italiano, ha una Costituzione scritta da un’Assemblea Costituente che Mazzini invocò dopo l’unità d’Italia; esiste anche una Europa unita che dovrebbe aver posto fine ai desideri di guerra per volontà di potere. E’ stato un profeta. Ma l’Italia, la nostra patria è ancora lontana per molte cose, dagli ideali di Mazzini.
«Colgo l’occasione per rivoler un particolare saluto a Lorenzo Conti dicendo che nella mia “breve” esistenza ho avuto il piacere di conoscere la madre, Luisa Conti Riccioli che fu anche attiva presidentessa della Sezione AMI di Firenze e orgogliosa di continuare la tradizione di famiglia e soprattutto del nonno Menotti Riccioli, che fu un grande antifascista, appartiene cioè a quel vivaio delle grandi famiglie fiorentine che partono da Carlo e Nello Rosselli e della famosa madre Amelia fino ad arrivare a Calamandrei.
«E un particolare saluto rivolgo e con ciò chiudo i saluti, anche a Cosimo Ceccuti che mi pare che sia un suo felice ritorno a Cagliari dove è stato se mal non ricordo nel 2003 per commemorare Spadolini. Ceccuti è il Segretario della Fondazione Spadolini e a Pian dei Giullari ha il piacere di vivere in mezzo alle molte migliaia di libri che ha lasciato il compianto Presidente, ed è soprattutto direttore della Nuova Antologia».
Addio all’INPS, la vita in una carriera di servizio
Nel gennaio 1997, congedandosi da direttore regionale dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, così si era rivolto ai collaboratori con un cartoncino a ciascuno consegnato:
«Gian Giorgio Saba, nel lasciare l’INPS dopo quasi 47 anni di effettivo servizio, in occasione del suo collocamento in quiescenza, saluta cordialmente – senza alcuna fatalistica malinconia leopardiana – gli amici ed i colleghi, ringraziando tutti coloro che a qualsiasi livello gli hanno offerto la loro intelligente collaborazione. A tutti invia gli auguri più cordiali e sinceri di ogni personale fortuna unitamente ad un memorie saluto di commiato.
«“… Cadde l’incanto, / e spezzato con esso, a terra sparso / il giogo: onde m’allegro. E sebben pien / di tedio, alfin dopo il servire e dopo / un lungo vaneggiar contento abbraccio senno con libertà” (s “Aspasia” di G. Leopardi)».
Peppinello e Giangiorgio sono nel numero dei ventisette che, nella primavera del 1970, dettero vita, con Lello Puddu e altri mazziniani doc come Luciano Marrazzi, Mondino Cossu, Tetti Chiesa, ecc. ad una… “miniscissione” della sezione cagliaritana del PRI, nel senso che si abbandonò la casa comune per costituire una seconda sezione repubblicana: la Carlo Cattaneo. Una “miniscissione” riassorbita dopo poche settimane, come riassorbiti furono i malumori che l’avevano determinata. Ma determinata da che cosa? Dall’attendismo attribuito alla segreteria regionale del partito in mano a Bruno Josto Anedda, circa la formalizzazione degli accordi con il Movimento Sardista Autonomista (dei tanti Corona, Ruju, Puligheddu, Ghirra, Razzu, Merella, Tuveri, Racugno, Uras, Pinna, ecc.) in vista della confluenza di questo nel Partito Repubblicano Italiano.
In sostanza, l’intendimento del segretario che pure aveva saldato con cultura ed eleganza il modernismo azionista di Ugo La Malfa e della maggioranza della direzione nazionale con la tradizione repubblicana sarda (era stato lui lo scopritore del diario politico inedito di Giorgio Asproni, ed era Asproni che lo aveva… fatto repubblicano, liberandolo da certe pastoie piuttosto guelfe della sua prima formazione), era tutto tattico: a suo avviso bisognava rinforzare politicamente e organizzativamente il PRI prima che si formalizzasse la confluenza sardo-autonomista, onde evitare di essere esso fagocitato dai nuovi iscritti, forti soprattutto elettoralmente grazie anche alle influenze professionali di diversi esponenti della dirigenza. Di qui il lento procedere, insomma quel rinviare continuo la conclusione di quella fase che doveva anche nobilitare l’operazione politica intrapresa dai frazionisti sardisti ormai da tre anni, combattendo l’insidia separatista predicata da Simon Mossa e le “caste chiuse” elettorali fedeli ai Melis.
Chi, dalle sponde repubblicane, aveva per anni, e più di tutti, interloquito dapprima con il PSd’A e la sua dirigenza consacrata, poi con i frazionisti (espulsi dal partito per essersi candidati alle politiche del 1968 nella lista repubblicana contro quella sardista, e costituitisi quindi nel Movimento Sardista Autonomista per una democrazia di base), sempre alla ricerca di solidarietà politico-elettorali, erano proprio Lello Puddu e i “suoi” amici mazziniani. Per questo, contestando di fatto la segreteria Anedda e i tempi lunghi da essa imposti alla prevista confluenza, questa parte della militanza inclusiva dei due fratelli Saba aveva promosso la sezione bis dei repubblicani cagliaritani… Storia, anche questa, di una minoranza sveglia, combattiva, generosa, tutta politica.