Mario Melis e il sistema dei partiti (compresa la Lega), di Gianfranco Murtas
Una premessa di attualità. 1. Nella “gestione” i rischi dell’involuzione partitica… 2. … ed ora il pericolo incombente della Lega Nord. 3. A dir dei sardisti. 4. A dir dei sardisti
…. E’ chiaro che allora la nostra (del PSd’Az) crisi politica è dipesa anche dal terrorismo clericale, è dipesa dalla aggressione ingenerosa, ingiusta, strumentale dei comunisti, quando dicevano “sos prinzipales”. Sembravano fossero tanti Gianni Agnelli. “Sos prinzipales” erano i pastori, gli armentari, e dire armentario sembrava dire qualcosa come gli appestati, come gli untori che vendono la droga per strada, sembravano i banditi di Medellin – e invece erano pastori allevatori di bestiame che sputavano sangue, rischiavano ogni anno di andare in fallimento.
Il mondo operaio, ma quale mondo operaio! In Sardegna non c’era, ma era inventato così, strumentalmente, per aggredire il Partito Sardo ….
Leggo di un convegno che talune forze della sinistra sarda dedicheranno in questi giorni alla personalità potente di Mario Melis, già senatore e deputato della Repubblica, consigliere ed assessore ed infine anche presidente (di gran valore) della Regione autonoma, europarlamentare. E naturalmente tante altre cose, in particolare – mi sembra giusto rilevarlo – sindaco di Oliena e protagonista della dialettica politica in questa pluralità di scenari. Ebbi intensi rapporti con lui, con lui condivisi i “fondamentali” etico-civili propri della democrazia repubblicana, non la militanza nel Partito Sardo d’Azione, la formazione politica che per molti anni (direi dagli anni ’20 e nell’antifascismo di Giustizia e Libertà, e ancora per un ventennio e più, dal 1946 al 1968) maturò fraternità di relazione con i repubblicani dell’Edera mazziniana (l’Edera simbolo della Giovine Europa), quella in cui mi riconoscevo e, idealmente, ancora mi riconosco.
Raccolsi nel tempo, dal presidente, diverse interviste tanto più orientate alla storia singolare del sardismo e dei suoi protagonisti, a Posada fummo entrambi relatori (e con noi Salvatore Cubeddu) sulla figura nobile quanto poche altre di Luigi Oggiano. Molto nelle nostre conversazioni entrò, ovviamente con Titino Melis e gli altri della famiglia, e Oggiano stesso, quel Pietro Mastino del quale fra qualche settimana celebreremo il cinquantesimo della scomparsa.
Ebbi così l’onore di pubblicare in più circostanze articoli di testimonianza, o brevi saggi del presidente Melis ed egli in diverse circostanze intervenne, a Cagliari (in ultimo per il libro da me curato, appena uscito, sugli appunti autobiografici di Titino Melis, Storia del cavaliere senza macchia e senza paura) ed a Nuoro alla presentazione dei volumi che intendevano raccontare, anche con documenti inediti, l’intreccio di storie fra sardismo e sardoAzionismo ed azionismo oltreché, naturalmente, repubblicanesimo.
Quando lo perdemmo, nel novembre 2003, pensai di onorarne la memoria non soltanto scrivendone su varie testate, ma dedicando a lui un piccolo libro in accompagno al maggiore Titino, i Melis, la Sardegna (poi presentato al teatro di Sant’Eulalia da uno splendido Michele Columbu): questo intitolato Il Presidente. Mario Melis, militante sardista e uomo di Stato.
In esso riportai integralmente, fra l’altro, lo sbobinato dell’intervento a braccio da lui tenuto a Nuoro, il 3 giugno 1991 – si era allora in piena fase di Tangentopoli – in occasione della presentazione del mio Sardismo e Azionismo negli anni del CLN. Lo titolai stavolta Nella “gestione” i rischi dell’involuzione partitica, ed ora il pericolo incombente della Lega Nord. Un intervento che, per certi versi, è senz’altro datato, ma capace anche di sprigionare pregi critici di attualità.
Le riflessioni del leader prestigioso credo meritino considerazione anche nella attuale contingenza.
- 1. Nella “gestione” i rischi dell’involuzione partitica…
In verità io ero venuto per ascoltare anche perché il libro, con questo tipo di vita cui sono costretto, fatta di continui viaggi, di brevi, ritorni e di rapide partenze, sostanzialmente l’ho visto stasera quando mi si è detto che c’era questa presentazione, e allora ho cercato di dare una scorsa e debbo dire che ho letto la parte che mi riguarda e sostanzialmente nient’altro. Mi ha molto impressionato la lucidità, il rigore, la linea nitida con la quale il suo autore ha tracciato un quadro del periodo che noi abbiamo vissuto e ce lo ha restituito con una limpidezza di contorni e di contenuti nei quali mi sono ritrovato. Se questo ha saputo fare anche nella breve sintesi del suo intervento, evidentemente il libro mi consentirà di rivivere giornate, vicende, esperienze, speranze, tensioni che sono state certamente formative della mia esperienza di vita e determinanti nelle mie scelte.
Ha esordito l’autore parlando di una politica che per tanti versi può essere fradicia in confronto ad una politica che invece si ispira all’ideologia, che trasforma l’ideologia in ideale, che vede un fervore, un fermento, una creatività, una forza prorompente, che diventa valore di democrazia e forza di popolo, pagina di storia. E dico che, però, la politica resta sempre quel momento essenziale che comunque è fragile, che è soggetto a processi involutivi, che spesso allontana i cittadini dalla sua pratica, che li espropria del loro diritto, che li emargina e che oggi ha messo in crisi le istituzioni democratiche del nostro Paese. Noi stiamo vivendo attraverso questa ricostruzione una fase e però siamo giunti a un approdo che è estremamente inquietante. Ci possiamo domandare: questo approdo nasce per un processo involutivo di oggi o trova la sua origine allora?
Io credo che è possibile porci qualche domanda su come tutto questo si è prodotto, come il processo involutivo della politica ha finito con l’espropriare i cittadini dei loro poteri democratici, ha allontanato i cittadini dall’amore della partecipazione e come questa partecipazione stia invece ritornando in forma prorompente, impetuosa e probabilmente devastante, in forme patologiche, basta pensare alle leghe, basta pensare a questo riappropriarsi del diritto di essere presenti… per capire che la gente vuole fare politica ma non accetta questa politica, perché i partiti – certo, non si può rinunciare ai partiti, senza i partiti siamo nel regime – non danno risposta o le risposte che danno non sono appaganti. Allora si pone il problema della riforma dei partiti. Ma di quali partiti? Di quelli che sono nati allora, del come sono nati, del come sono stati gestiti, perché da strumenti per fare politica sono passati alla gestione, perché ad un certo punto hanno talmente concentrato i poteri di quelle segreterie in virtù delle quali Cesare Pirisi veniva preso e scaraventato fuori perché aveva favorito un’elezione anziché un’altra, perché in uno Stato regionalista i partiti sono ancora centralisti, perché in uno Stato che dà vita ad istituzioni regionali con governi regionali, con parlamenti regionali, con programmazioni, scelte, che dovrebbero essere regionali perché dovrebbero rispondere ad esigenze specifiche di quelle realtà, per la complessità della loro diversità…
E allora c’è questa contraddizione assoluta ed inconciliabile tra lo Stato regionalista e la gestione che è centralista: ecco l’inaccettabilità, ecco lo scontro. Loro sono stati i sacerdoti di un regionalismo che tendeva a riformare lo Stato attraverso il consenso dei cittadini coinvolgendo i cittadini, costringendo i cittadini a diventare protagonisti di scelte. La libertà non come spazio vuoto, ma come responsabilità, come assunzione di responsabilità e di decisioni. Oggi ne possiamo discutere perché i suoi protagonisti non sono più con noi, siamo tutti un po’ orfani di questi protagonisti e quindi ne possiamo discutere con distacco, anche se con un affetto che si conserva, con venerazione profonda, ma col distacco degli storici che debbono fare analisi, che debbono chiedersi perché e darci delle risposte.
La stessa lettera La Malfa-Melis del 1968 nasce dal contrasto su questo punto, sul federalismo oppure no, ma è un processo involutivo del Partito Repubblicano che è sempre stato federalista, che oggi attraverso il giovane La Malfa tende a recuperare il federalismo quanto meno, non so quanto nella pratica, come bandiera. Nel Parlamento europeo i repubblicani prendono il nome di federalisti. Questo federalismo se sia al livello di stati europei o se sia al livello di regioni italiane ecc., questo mi pare importante approfondirlo.
Io con Ugo La Malfa non ho mai stabilito grandi rapporti. Sono molto amico di Battaglia, sono fraternamente amico di Maccanico che mi parla sempre di Titino Melis con grandissimo affetto, con grandissima nostalgia direi, sono amico di Biasini, con La Malfa non ho mai avuto particolari occasioni di incontro e non ho avuto con lui scambi di idee, ma in effetti è un grosso patrimonio, che si è perduto lungo la strada della storia perché Ugo La Malfa si è trovato a fronteggiare i problemi di un’economia talmente dissestata che ha dato più importanza ai problemi dell’economia che delle istituzioni. Era un momento fondamentale.
… ed ora il pericolo incombente della Lega Nord
Però proprio a quel partito che, se avesse imboccato la via del federalismo, avrebbe ora impedito, io penso, il sorgere di questa mala pianta, direi, che ha la febbre alta delle leghe e che sconvolgerà la vita politica italiana – perché, nessuno si illuda, quelli arrivano con 70 deputati, e 70, deputati fanno saltare il sistema democratico italiano… Quello che è oggi – per cui non sarà mai più come prima e io dico non sarà neanche mai più dove prima, cioè le decisioni non saranno più assunte nel seguito delle segreterie dei partiti, probabilmente le istituzioni recupereranno il loro ruolo, i parlamentari riprenderanno ad essere parlamentari con quel tanto di autonomia senza che l’ufficio X o Y del partito dica: tu devi dire questo, tu devi votare così, tu devi fare quest’altro. Dico per il Parlamento, dico per il Consiglio regionale, dico per i Consigli comunali, per la vita pubblica, perché le istituzioni sono state svuotate dalle segreterie dei partiti, è mentre i deputati e i consiglieri regionali o i consiglieri comunali rispondono agli elettori, le segreterie dei partiti non rispondono a nessuno, decidono e basta, non fanno esami e possono ridurre il partito a quattro militanti perché chi dà fastidio lo eliminano. Così è stato nel PCF. C’è un parlamentare europeo, Duverger, eletto in Italia non in Francia, un collega che mi onora anche della sua simpatia, della sua benevolenza, è un grande esponente della cultura europea ma è eletto dal Partito Comunista Italiano. Chiedo scusa se sono arretrato nella nomeklatura, volevo dire PDS.
Ma vorrei aggiungere: cos’è Craxi? E’ un monarca nel Partito Socialista, una figura di primissimo piano, è certamente un uomo di grande valore, è un animale politico al quale bisogna dare molto credito, ma certamente non è uno che pratica la democrazia, è un monarca assoluto senza neanche la concessione dello Statuto Albertino all’interno del suo partito… De Mita fatto fuori da segretario del partito, sei mesi dopo era fatto fuori da capo del governo e sempre più fatto fuori per cui ormai è rimasto capo di un club di amici… L’uomo più potente d’Italia, in contrasto con il suo partito, praticamente uno che tiene conferenze non dico a se stesso, ma che non è più capace di incidere perché il consenso è un fatto di potere, perché i partiti hanno fatto gestione, si sono divisi e spartiti il patrimonio del Paese, non l’economia del Paese ma il patrimonio, e così si sono divisi gli enti e così le aziende di Stato. Questo è il risultato e però io direi che tutto questo noi lo troviamo in quell’origine…
- 3. A dir dei sardisti
Quel Movimento sardista-azionista e, sino alla gestione Reale, repubblicano era la via maestra della democrazia a prescindete dal fatto che io sono, col senno del poi, abbastanza critico anche dei sardisti sul piano delle decisioni economiche. Il PSd’A era rimasto un partito con la cultura contadina delle sue origini e con Piero Soggiu, con Mario Carta, con Pietro Melis, si tenta di rompere l’arcaicità di certe visioni, però gli altri erano rimasti sicuramente abbastanza statici, mentre profondi mutamenti caratterizzavano la vita sociale sarda con un fenomeno di emigrazione tumultuoso, disgregante, che ha veramente lacerato nel profondo il tessuto sociale della nostra Isola, e con l’industrialismo che bussava alle porte. E’ chiaro che la nostra crisi politica è dipesa anche dal terrorismo clericale, è dipesa dalla aggressione ingenerosa, ingiusta, strumentale dei comunisti, quando dicevano “sos prinzipales”. Sembravano fossero tanti Gianni Agnelli. “Sos prinzipales” erano i pastori, gli armentari, e dire armentario sembrava dire qualcosa come gli appestati, come gli untori che vendono la droga per strada, sembravano i banditi di Medellin – e invece erano pastori allevatori di bestiame che sputavano sangue, rischiavano ogni anno di andare in fallimento.
Il mondo operaio, ma quale mondo operaio! In Sardegna non c’era, ma era inventato così, strumentalmente, per aggredire il Partito Sardo, il Partito Sardo si trovava senza mezzi, con la generosità di ideali che erano difficili anche da spiegare, da chiarire, per fronteggiare questo attacco concentrico. C’era questo grande fattore creativo, innovatore della democrazia e della democrazia istituzionale, delle istituzioni che diventavano sorgente viva di democrazia. Ma la via sardista non è stata seguita e Lussu – questo ha intuito – ha detto: questo è un gatto contro il leone che noi volevamo, sì felini tutti e due, ma questo resta un gatto… mentre noi volevamo un leone. L’autonomia non ha dato risposte perché era un’autonomia strangolabile in qualunque momento e lo stiamo vivendo oggi che ci troviamo con una giunta che non ha sufficiente energia, forse non ha neanche sufficiente credibilità. Non ritrova in se stessa le ragioni di un resistenzialismo adeguato all’aggressione che sta provenendo da tante parti, dal governo prima di tutto, ma anche dalle aziende di Stato, da un complesso di interessi che si chiudono.
L’Europa degli stati e quella dei popoli
Quindi c’è tutto un misurarsi con quest’autonomia che non riesce a reggere l’impatto delle aggressioni esterne in un momento nel quale l’umanità esprime questo bisogno di soggettività politica delle masse che nella loro diversità vogliono essere non le une contrapposte alle altre, ma le une disponibili a collaborare con le altre, ma, restando se stesse, dicono che per poter collaborare bisogna prima di tutto esistere, ma esistere con tutti gli attributi dell’autonomia che nei fatti viene però negata. Certo è la battaglia drammatica, terribile, spaventevole, iniqua in cui il mondo ha assistito abbastanza indifferente e soltanto lo sdegno del popolo ha costretto gli Stati a prenderne atto, dei curdi massacrati dallo statalismo iracheno, del dramma degli albanesi…, ma io direi che è il dramma dei greci d’Albania, il dramma dei turchi in Bulgaria così come dei curdi in Turchia e come degli ungheresi in Romania quando si ribellavano contro Ceausescu, perché l’incendio in Romania non l’hanno fatto i rumeni, l’hanno fatto gli ungheresi, le minoranze etniche di Romania e cioè gli ungheresi, e così potrei continuare.
Qualche settimana fa io ero alle Highlands in Scozia, tra gli scozzesi che prendono oltre il 30 per cento dei voti come partito nazionalista scozzese, ma con un sistema elettorale bugiardo riescono ad eleggere pochi rappresentanti. Saragat lo avrebbe chiamato perfido, cinico e baro. Però ci sono eccome, come ci sono gli irlandesi, come ci sono i gallesi, ma è tutta l’Europa che va cercando di essere se stessa, ma gli Stati sono tutti preoccupati a negarlo, e chiusi a riccio.
Allora veramente grazie di questa testimonianza, di questo documento, di questa ricerca, di questo appassionato andare a cercare i perché, perché sono non tanto la spiegazione del passato, ma la spiegazione dell’oggi e di questo noi abbiamo bisogno. Fare politica non è un fatto di potere. Non solo non è la parte più nobile, ma è la parte meno gratificante, fare politica è un impegno, è una sofferenza, è un tormento, è uno scavare dentro di sé, ma davvero è esaltante.