RIPORTARE LA CULTURA AUTONOMISTICA AL CENTRO DELLA POLITICA REGIONALE, di Paolo Fadda
Si è dell’avviso che in questi tempi così difficili, ciascuno di noi, di noi sardi, si debba impegnare, con disponibilità e determinazione, per fare uscire la Sardegna dal declino, anziché attendere supinamente una mano d’aiuto, in soccorso e assistenza, dalla Regione, qui intesa come istituzione di governo. L’affermazione, di chiara ispirazione kennediana, indica chiaramente un’esigenza ormai irrimandabile: per riuscire a rientrare finalmente nella stagione dello sviluppo, occorra trovare la disponibilità “a fare” di tutti i sardi, nessuno escluso; aggiungendo che la sola Regione non sia sufficientemente attrezzata per invertire la rotta ed impedire il declino.
Certo, occorre che ci sia, prima ancora che un impegno comune, un’identità di obiettivi da perseguire insieme. Ed è poi questa la difficoltà principale, proprio perché rimane tuttora indistinta e confusa l’idea di Sardegna che si vorrebbe prediligere. Una confusione determinata soprattutto dalla dicotomia che s’è venuta a creare fra società politica e società civile, fra una guida politica ritenuta debole ed inadeguata (minata poi da pruderie feudalcorporative e da eccessi di burocentrismo), ed una comunità di cittadini oppressa da difficoltà crescenti ed impedimenti d’ogni genere.
Per superare questa contrapposizione, bisognerebbe partire innanzitutto con il ridare al termine “Autonomia” il suo pieno ed autentico significato. Che non può esaurirsi nella semplice richiesta di maggiori poteri e maggiori risorse dallo Stato, ma deve contenere un progetto credibile di cosa fare e di come realizzare, con le proprie forze, il ritorno della Sardegna ad una crescita felice. Perché una piena Autonomia la si conquista con il saper vivere del proprio, nel non dover dipendere da aiuti o assistenze esterne. Era poi questo, ricordiamolo, il grande sogno dei nostri padri autonomisti, da Camillo Bellieni ad Emilio Lussu, che si batterono coraggiosamente per realizzarla, pretendendo innanzitutto, per la Sardegna, un doveroso risarcimento da parte dello Stato per i tanti torti subiti e le troppe dimenticanze del passato. La “quadra”, come oggi si dice, venne trovata con quanto previsto dall’articolo 13 dello Statuto sardo, quello con cui lo Stato s’impegnava, con idonee risorse, a favorire ed a realizzare insieme la rinascita sociale ed economica dell’isola. Un impegno, purtroppo, dimostratosi insufficiente ed incompiuto, oltre che non sempre efficace.
Ridare pienezza all’Autonomia regionale significa quindi ritrovare quelle solidarietà con la politica nazionale e, insieme, le motivazioni per ridare quantità e sostanza alle nostre capacità interne, diminuendo così quello stato di dipendenza che vede tuttora l’isola fortemente tributaria dei trasferimenti dall’esterno. Proprio da qui, da una nuova e robusta disponibilità alla crescita (in risorse, in lavoro, in conoscenza, in cultura), dovrebbe partire quella mobilitazione popolare di cui si è detto. Perché l’intero popolo dei sardi ne diventi protagonista.
Rifondare l’Autonomia, la coscienza autonomistica, va di certo al di là dei contenuti statutari, che pur dovrebbero essere aggiornati: presuppone quindi il risveglio di quelle aspirazioni di riscatto sociale che alimentarono il sogno di quei padri fondatori, di quei validi pionieri che negli anni ’60 ne raccolsero coraggiosamente l’eredità e di quanti – furono in tantissimi – affidarono alla Rinascita il compimento di un’aspirazione tanto attesa: di non rimanere più degli italiani di serie B !
Purtroppo, di quella stagione sembra essersi perduto anche il ricordo, ed in più, da una ventina d’anni, la guida politica della Regione, ha smarrito, o dimenticato, ogni attenzione autonomistica. Ora è tempo di mutare rotta. È tempo di rimettere al centro del nostro futuro l’idealità dell’Autonomia, comunque la si voglia coniugare, federalista o sovranista che sia. Perché essere dei convinti autonomisti sardi significa soprattutto voler decidere del proprio futuro, sapersi governare con efficacia e competenza, trovare determinazione ed impegno per recidere ogni vincolo di dipendenza, moltiplicando le capacità realizzative. Mutare rotta significa far ritrovare un’unità di pensiero e di linguaggio, oltre che di intendimenti e di operosità, alla società civile ed a quella politica, in modo che tutti i sardi ritornino ad essere i promotori di un’effettiva rinascita socio-economica della nostra piccola patria sarda.
PAOLO FADDA