La questione linguistica e la questione sarda, rappresentazione del presente e progetto di un futuro , di Bachisio Bandinu

EDITORIALE DELLA DOMENICA,  della Fondazione

E’ doveroso che i candidati presidenti facciano una riflessione sulla questione della lingua ed esprimano nei loro programmi quali progetti intendano presentare e attuare. Ricordando l’avvertimento di Gramsci: quando sorge la questione della lingua, vuol dire che ci sono problemi economici e sociali da affrontare.

Nell’esperienza dell’Autonomia, il problema della lingua sarda non ha mai avuto una rilevanza politica nel percorso delle varie Giunte regionali. Rimangono gli importanti riferimenti di Gramsci e qualche appello di Lussu. Un parziale risultato positivo è stato l’approvazione della Legge 26 del ’97, ma furono cassati dalla Consulta gli articoli 23 e 24 che prevedevano l’insegnamento della limba nel corso curriculare scolastico. La recente Legge 22 è un importante passo avanti offrendo possibilità di entratura nella scuola, ma l’obbiettivo necessario è quello dell’insegnamento ufficiale della lingua sarda come avviene per altre lingue di minoranza.             Occorre perciò sensibilizzare le diverse forze politiche affinché includano nei rispettivi programmi elettorali una questione di fondamentale importanza per l’identità sarda e per la soggettività politica dei Sardi.

L’obiettivo è il bilinguismo. Diventare bilingui per parlare diversamente la totalità della vita e sentirsi a casa in entrambe le lingue. Italiano e sardo: due codici autonomi, ciascuno secondo la propria identità, senza l’ibrido dell’impoverimento, sfruttando potenzialità e capacità di ciascuna in uno scambio proficuo di valori. Non si tratta soltanto di un arricchimento espressivo nell’utilizzo di due universi linguistici che corrispondono a due diversi modi di vedere il mondo, non si tratta soltanto di acquisire una maggiore versatilità mentale e una più accentuata creatività e intelligenza delle cose. Sono da considerare anche le relazioni profonde e i vicendevoli influssi che avvengono nel parlante, anche senza averne piena coscienza. Dal bilinguismo non deriva solo un vantaggio per gli aspetti intellettivi e cognitivi del linguaggio ma anche per le ragioni emotive, corporee, libidiche del parlare e del comunicare.

C’è un rapporto stretto tra lingua e realtà vissuta nei diversi aspetti del lavoro, della politica e dell’economia. I linguaggi sono modi di dire e di fare.

Negli anni ‘60 si è attuato uno sviluppo industriale, turistico e culturale che non è stato parlato in lingua sarda e che non rispondeva all’identità della nostra cultura, all’urgenza dei nostri bisogni e alla logica dei nostri interessi. Non è stato parlato in sardo e perciò i sardi sono stati esclusi da una soggettività attiva e decisionale.          In quegli anni la limba cominciò a entrare in crisi, e con la lingua la nostra cultura, così i mondi vitali locali cominciarono a perdere la loro forza creativa. Allora è nata la contrapposizione italiano-sardo creando una classifica assurda: l’italiano, moderno, attuale e ricco, la lingua dello sviluppo e del nuovo sapere; la lingua sarda invece arretrata, povera, incapace di dare risposte all’urgenza e alle necessità dei nuovi tempi. Così è nato il complesso di inferiorità nei sardi in riferimento alla loro parlata. Ancora oggi paghiamo drammaticamente gli esiti di quel tipo di sviluppo.

Abbiamo creduto che la lingua sarda fosse incapace di parlare la realtà del cambiamento. Questo è un primo punto da sfatare.

Tutti gli studiosi di linguistica, di filosofia, di semiotica dicono che ogni lingua può parlare il mondo ed è capace di esaudire tutte le esigenze del proprio tempo. Roman Jakobson ha scritto: “Le lingue differiscono essenzialmente per ciò che devono esprimere, non per ciò che possono esprimere”. Lo psicanalista Jacques Lacan ha precisato: “Qualsiasi lingua copre tutto il campo delle significazioni”. Todorov ha osservato che ciascuna lingua ricopre la totalità del dicibile, di ciò che si vuole dire e si vuole fare. La mancanza della terminologia tecnologica e commerciale non è povertà della potenzialità della lingua, ma semplicemente mancanza di termini che si possono prendere in prestito o in parte tradurli e farli propri, come avvenuto per qualunque lingua nella sua storia.

Il secondo punto da elaborare è la convinzione che la lingua sia soltanto uno strumento per esprimersi e si esaurisca nella semplice pratica della comunicazione, nella sua esclusiva funzione informativa. In base a questa credenza si può affermare: che bisogno c’è di parlare in sardo, se oggi ci capiamo meglio in italiano? A che cosa serve la lingua sarda?

Su questo tema, i grandi studiosi hanno osservato che la lingua non è un semplice mezzo per nominare le cose. Walter Benjamin scrive: “E’ riduttivo fare della lingua un mezzo, un mezzo di conoscenza e ridurre la parola a un semplice segno. Si comunica con la lingua, non attraverso la lingua ed è proprio di ogni lingua una incommensurabile specifica infinità”. Habermas osserva come il linguaggio non sia soltanto un medium comunicativo: le strutture linguistiche comportano la creazione di una complessa organizzazione culturale e coordinano persino il comportamento inconscio. Con Lacan, si può affermare che noi siamo parlati dalla lingua.

L’errore è quello di ridurre la lingua al significato della parola: se fosse così, è più opportuno parlare una sola lingua mondiale: che bisogno c’è di pronunciare cadhu, cavallo, cheval, horse, se ciascuna di queste parole rimanda a un concetto riferito all’animale cavallo? Sempre cavallo è, perché nominarlo in tanti modi? Il fatto è che nella lingua, ancor più importante del significato, è il significante, cioè l’immagine acustica, impropriamente il suono della parola. Heidegger ha avvertito come “la lingua abbia voce e suono, vibri e ondeggi, si contragga e si dispieghi, tutto ciò è importante come l’avere un senso”. In ciò risiede l’identità di una lingua. Proprio l’aspetto fonico dichiara l’identità della lingua sarda e ci dice che “il senso è mescolato al suono e risuona dentro la parola”. Ciò che risuona nella parola cadhu è differente dalla risonanza della parola cavallo: differente il meccanismo associativo, l’effetto percettivo, la catena immaginaria e simbolica. Due vissuti differenti legati alle rispettive parole. Paul Ricoeur ha scritto che il linguaggio è una forma oggettiva con cui si organizza concretamente la vita e traduce un determinato modo di pensare e di fare. Il parlare una lingua organizza l’attività di specifici schemi mentali e operativi.

La lingua sarda dunque articola una particolare struttura logica della mente, una particolare organizzazione dell’inconscio, una specifica visione del mondo: pensare e parlare in sardo non è lo stesso che pensare e parlare in italiano, e viceversa, senza classifica di valore.

È diversa l’organizzazione della frase e la struttura della sintassi, differente il gioco delle figure linguistiche e dei simbolismi.

Sono tutti caratteri fondamentali del parlare sardo e ne costituiscono la ricchezza espressiva e ne testimoniano la capacità inventiva. Per comprendere la ricchezza e la complessità della lingua sarda, occorre entrare dentro l’articolazione del linguaggio e coglierne lo spirito più profondo: l’uso dei modi e dei tempi verbali, la frequenza di impiego del congiuntivo e del condizionale, la predominanza dell’antifrasi, dell’ellissi e della negazione, la specificità della struttura sintattica. Caratteri identitari che mostrano una forte capacità creativa del linguaggio. Contro la tesi di una lingua sarda rozza e arretrata, occorre riaffermare la ricchezza e la complessità del nostro parlare e dunque la raffinata elaborazione della lingua sarda anche nella parlata comune.   Il valore del silenzio come linguaggio, il parlare allusivo ricco di intenzionalità, l’intendere ciò che non è detto espressamente o che è detto solo in parte, il modo di schermare il linguaggio.

Non esiste un deficit della lingua, bensì dei parlanti, ai quali dunque bisogna dare le pari opportunità di parlare sardo e italiano in tutte le strutture, le funzioni e l’uso della vita sociale, economica e culturale. Mettere in atto le pari dignità di entrambe. E quindi parlare anche in sardo nelle scuole, nell’amministrazione, nelle attività lavorative. Parlare in sardo e in italiano (e in inglese) lo sviluppo economico, le trasformazioni sociali e la mediazione culturale. Grande importanza hanno la televisione, radio, siti Web, social network. Internet è un dispositivo per una più ampia diffusione della lingua sarda.

Parlando in sardo, oggi, noi non riproduciamo il passato, facciamo i conti con l’esperienza viva del presente e organizziamo in un certo modo l’immediato futuro: analisi, progetto e programma. Così la lingua sarda è una officina in cui si lavora e si forgiano linguaggi, animata da una forte speranza progettuale e da una volontà di farsi azione.

Parlare sardo vuol dire orientare un certo tipo di sviluppo e interrogarsi sul modello della crescita, significa investire nelle risorse locali a profitto dei locali. Le parole sono in stretto riferimento al territorio e alle persone che lo abitano, raccontano la storia quotidiana, parlano il luogo e il tempo del nostro abitare, lavorare e comunicare.

Il connubio più ricco di promesse è la relazione strettissima tra lingua sarda e identità, identità e differenza, allargando il campo da una semplice identità emotiva, psicologica, al formarsi di una identità politica, economica, territoriale, artigiana, che investa tutto il sistema produttivo. Nel mercato mondiale sono i prodotti a forte carattere identitario a trovare sbocchi commerciali.

È fondamentale il rapporto tra identità linguistica e identità politica: una nuova coscienza civica, capace di alimentare riforme istituzionali che diano soggettività ai desideri, alla volontà e agli interessi dei sardi. La lingua incide fortemente nel tessuto territoriale: pastorizia e agricoltura, artigianato e piccola industria, difesa ambientale e caratterizzazione turistica. È la base territoriale a richiedere la partecipazione di tutti, la partecipazione dal basso nelle scelte, nelle decisioni, nel controllo, secondo il principio di sussidiarietà dalle zone interne e costiere-urbane: il vero sviluppo è democratico e solidale.

E’ doveroso che i candidati presidenti facciano una riflessione sulla questione della lingua ed esprimano nei loro programmi quali progetti intendano presentare e attuare. Ricordando l’avvertimento di Gramsci: quando sorge la questione della lingua, vuol dire che ci sono problemi economici e sociali da affrontare.

 

Bachisio Bandinu

 

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