Novant’anni fa l’inaugurazione della nuova sede della Camera di Commercio: trionfo dell’architetto Beltrami e più ancora del nostro ingegnere Riccardo Simonetti, cagliaritano, di Gianfranco Murtas
Intervista con il prof. Marcello Schirru, storico dell’architettura.
Fu 90 anni fa che a Cagliari, liberato ormai dalle impalcature esterne, il prospetto bello ed elegante della Camera di Commercio si presentò alla città, affiancato all’altro – quasi gemello, per volumi e linee e per firma dei suoi progettisti ed architetti – della Comit. Del 1916 quello appunto della Commerciale, del 1928 quello camerale. Negli anni che ancora erano del trionfo quotidiano del Partenone annonario del capoluogo – teatro di un fascinoso via vai insieme borghese e popolano, con frotte di piccioccus de crobi pronti alla chiamata – il largo Carlo Felice aggiungeva all’umanità urbana (e dell’hinterland) di quelle ordinarie negoziazioni, il respiro monumentale e signorile di un altro palazzo.
Ormai strutturato, il regime fascista aveva immesso le sue coreografie nella vita del capoluogo (da pochi mesi la provincia aveva perduto, a vantaggio di Nuoro, una parte piuttosto significativa del suo territorio, tanto più fra Ogliastra, Sarcidano, Mandrolisai, Marghine e Planargia) e aveva anche ribattezzato la Camera che contava allora già più di sessant’anni: essa era diventata (così dal 1926) Consiglio provinciale dell’economia nazionale (e dal prossimo 1931, dell’economia corporativa). Dapprima – dal 1924 e per due anni – commissariata in capo ad Antonio Cocco ed a Sabatino Signoriello, quindi, in dittatura conclamata, in capo al federale Paolo Pili – che nelle sue mani assommò per qualche tempo ogni potere: deputato, direttore de L’Unione Sarda, appunto commissario camerale oltre che capo della Federazione fascista.
Alla fine del 1927 il… golpe antiPili, l’emarginazione perfino drammatica del federale-onorevole-direttore-commissario e un nuovo corso nella politica provinciale e anche nella conduzione della Camera: dalla tarda primavera 1928 la presidenza del Consiglio al prefetto Enrico D’Arienzo e della giunta a Sabatino Signoriello…
Quando dunque il nuovo palazzo inaugurò le sue funzioni – l’8 luglio 1928 – questo era, da un mesetto circa, l’assetto di vertice del Consiglio.
Gli uffici dovettero migrare per poche decine di metri soltanto, risalendo da palazzo Devoto-Cao, dove dal 1892 avevano trovato utile collocazione. Quello stabile, che la proprietà aveva venduto nel 1914 al Banco di Napoli (che qui un giorno avrebbe ricostruito ex novo la sua sede, in ricambio di quella storica di palazzo Timon, nella via Spano), aveva visto passare negli anni numerosi inquilini prima e dopo la grande guerra: dalla Banca Commerciale Italiana, sbarcata a Cagliari nel 1906, alla Croce Rossa Italiana, all’Associazione della stampa sarda, ecc. Nell’eccetera anche i magazzini Signoriello e, appunto, quel tanto di rappresentanza commerciale (e industriale, agricola e artigianale) che costituiva una pratica applicazione del principio democratico al complesso sistema economico della Sardegna centro-meridionale.
S’erano susseguite, in quel palazzo, prima dei commissariamenti, le molte giunte di Josias Pernis e Nicodemo Pellas, di Giovanni Agostino Varsi e Francesco Nobilioni, di Alfonso Aurbacher e Benvenuto Pernis ed infine Antonio Cocco: cento e passa operatori economici dei diversi settori produttivi avevano cercato di governare, collaborando con i presidenti, gli interessi del territorio: avevano interloquito, il più delle volte con risultato, con le istituzioni locali e soprattutto con il governo, ora per le questioni portuali o minerarie, ora per i trasporti ferroviari o per i provvedimenti agricoli, ecc.
Con la rivoluzione fascista ecco la nuova Camera in una nuova sede. Il bellissimo catalogo della mostra “La Camera di Commercio di Cagliari. 150 anni di storia”, curato nelle due edizioni del 2015 e del 2018 da Maria Rita Longhitano, rivela ad abundantiam nel suo corredo fotografico il fascino sobrio di strutture ed arredi, e in esso la speciale suggestione che promana dagli spazi adibiti a biblioteca – gioiello nel gioiello (purtroppo inaccessibile da troppi anni!) – del manufatto.
Esso – lo ricorda nel suo scorrevolissimo testo (e nelle note di accompagno) la Longhitano – si deve al genio professionale dell’architetto Luca Beltrami e degli ingegneri progettisti Giovanni Battista Casati (stretto collaboratore dello stesso Beltrami) e, relativamente agli interni, Riccardo Simonetti.
Dunque dal primo piano del palazzo Devoto-Cao (o del Banco di Napoli), costeggiando appena il modesto palazzo Signoriello – che, completamente spianato, negli anni ’50 avrebbe consentito lo sbocco della via Mameli nel Largo – ed il monumentale edificio della Commerciale, i venti impiegati e la giunta migrarono in direzione della piazza Yenne accrescendo il proprio personale… prestigio per quel loro essere addetti in uno stabilimento che s’ergeva con l’autorevole solennità d’un ministero. Merito, val la pena di ripeterlo, dell’architetto Beltrami e dell’ing. Casati – milanesi entrambi –, ma merito non minore certamente anche del cagliaritanissimo Riccardo Simonetti.
La parte di Simonetti
Riccardo Simonetti fu un ingegnere di gran nome e genio, e pari signorilità, nella Cagliari del primo cinquantennio del secolo scorso. Fu anche consigliere comunale, da giovane, al tempo delle sindacature Bacaredda, parteggiando e non parteggiando, per la prevalenza della sua sensibilità civica sopra quella ideologica o politica: ora con i sinistri radicali, ora con i liberal-bacareddiani, ora con quell’area piuttosto clericaleggiante dei Sanjust e sodali, benché la sua famiglia contasse più d’uno – suocero e cognati – coinvolto in formazioni perfino massoniche. Quando morì, nel 1954, i mercedari di Nostra Signora di Bonaria lo celebrarono con funzioni speciali così ringraziandolo per quanto aveva operato per l’edificazione della basilica: di quella fabbrica, più precisamente, egli lavorò al completamento, accompagnandone anche i decori interni affidati ad artisti sardi di nome. Quarant’anni dopo, e anche su giusto interessamento dell’ing. Iolao Farci, i buoni padri ne accolsero le spoglie, nella cappella della Sacra Famiglia (la terza sulla destra), dove esse ancora riposano.
Il suo nome era stato in calce a innumerevoli progetti di edifici pubblici e di case private della buona borghesia per svariati decenni: con la sua firma erano venuti su – per dirne soltanto qualcuno – il palazzo delle Poste e quello della Rinascente, e già prima la sede della Banca Commerciale Italiana e (come detto) quella della Camera o della Società degli Operai, a non tacere dei colossali restauri della parrocchiale di Sant’Eulalia (e, nell’interno isolano, ad Aritzo), ecc. Di altri stabilimenti egli aveva curato la direzione dei lavori, apportando anche, come nel caso della Camera di Commercio, sostanziali modifiche in corso d’opera.
L’Amministrazione comunale di Cagliari lo ha ricordato tempo fa intitolandogli una strada nel quartiere di Barracca Manna, fra Pirri e Su Planu, oggi pienamente interessato da un piano di riqualificazione (in realtà un miserrimo sterrato). Non poteva dimenticare neanche esso, così come i mercedari di Bonaria, le fatiche professionali generosamente offerte per profilare il volto moderno di Cagliari nei primi anni o decenni del Novecento: dal 1901 Simonetti, allora giovane ingegnere di 28 anni, affiancò l’ingegnere capo del Municipio Giuseppe Costa nella erezione del nuovo palazzo civico della via Roma, oggi intitolato al sindaco-mito Ottone Bacaredda.
Ad iniziativa dell’associazione Giorgio Asproni ed in particolare su stimolo (e con la fattiva collaborazione) di Idimo Corte ed Edoardo Mathieu, fu allestita alla Fattoria Sa Illetta, nel maggio 2015, in occasione della rassegna Monumenti Aperti, una originale ed interessantissima mostra fotografica e documentale illustrativa soprattutto dell’attività di Riccardo Simonetti come progettista. Curatori dell’evento all’insegna di “Riccardo Simonetti. Le sue architetture nella Cagliari del primo Novecento” furono due storici dell’architettura e docenti dell’Università – l’arch. Marco Cadinu e l’ing. Marcello Schirru – unitamente alle archiviste dello Stato Maria Rosaria Lai e, indimenticata valorosa studiosa e ricercatrice che troppo presto la scorsa estate ci ha lasciato, Marina Valdès.
Fu un bel lavoro collettivo quello di Sa Illetta, tanto più per la liberalità mostrata dai proprietari degli edifici privati cui mise mano il Simonetti – da palazzo Balletto a palazzo Marini o Cara-Marini in via Sassari, e là a fianco quello dell’ACI, a palazzo Valdès, a palazzo Rocca Ancis– e dalle amministrazioni pubbliche interessate, così come dagli archivi storici di istituzioni civili e religiose. Fondamentale, nell’insieme, il contributo fornito dalla stessa famiglia, nelle sue attuali derivazioni, Simonetti-Mathieu.
Schirru: «Talento e fortuna, soprattutto talento»
Un recente incontro di studio fra taluno degli organizzatori dell’evento ha fornito lo spunto per questo pur rapido ritorno al tema. Il professor Marcello Schirru – giovane e brillante storico dell’architettura oltre che progettista libero professionista, docente del dipartimento di ingegneria civile, ambientale e architettura dell’università di Cagliari – si è dato disponibile a una conversazione che, puntando sullo specifico di Riccardo Simonetti, vorrebbe anche contribuire a favorire il rinforzo della sensibilità generale, e tanto più dei giovani, circa la conoscenza della storia civica e dei processi di sviluppo e migliorativi, ad un tempo urbanistici ed architettonici, della loro città o della loro regione.
«Cominciammo nel 2015 a saldare un debito con la memoria di Riccardo Simonetti, la cui figura fu di assoluto primo piano nella vita cagliaritana del primo Novecento e che purtroppo molti ancora ignorano – ricorda il professore –. Egli nacque in città, in una casa di piazza Yenne, nel 1873. Studiò dapprima all’Istituto Tecnico delle scalette Sant’Antonio, nel quartiere della Marina, dove un giorno avrebbe lui fatto lezione, al corso nautico; quindi frequentò la Facoltà di Scienze Matematiche di Cagliari nel corso di studi in Ingegneria e poi il Politecnico di Torino, dove si laureò in ingegneria civile nel 1898. Rimase a Torino un altro anno essendosi iscritto al regio Museo Industriale, che era una scuola che gli fornì specifiche competenze elettroniche, facendone infine un ingegnere pronto per… il mercato.
«Ovviamente allora, giovane di appena 26-27 anni e già ben qualificato, si pose il problema del suo futuro professionale. In una lettera che abbiamo trovato nell’archivio familiare, sappiamo che chiese consiglio al padre della fidanzata, di Laura Mathieu cioè. Felice Mathieu, in forza all’amministrazione contabile della Vieille Montagne e già da dieci anni consigliere comunale di Cagliari con Ottone Bacaredda, forse gli consigliò effettivamente qualcosa… non sappiamo cosa però. La scelta era allora fra un impiego alla Mediterranea – una società ferroviaria che il grosso dei suoi lavori lo aveva svolto lungo la dorsale adriatica della penisola – ed uno alle Ferrovie Secondarie. Opzioni diverse, unico il settore: quello dei trasporti ferroviari. Impiegarsi come ingegnere alla Mediterranea avrebbe significato far carriera e, a compensare responsabilità e sacrifici, un buon guadagno, entrare nell’organico delle Secondarie avrebbe significato più modesti obiettivi professionali ma più tempo per curare la famiglia…».
E cosa scelse?
«Né la Mediterranea né le Secondarie. Qualcosa lo portò al Comune, al grande cantiere del nuovo municipio. Dal 1900 Bacaredda aveva lasciato la guida della giunta mantenendo un incarico assessoriale, ed espletava a Roma il suo primo e unico mandato parlamentare: era convinto che poter “accompagnare” la sua città come deputato a Montecitorio; sindaco era stato eletto, e tale rimase fino al 1905, il prof. Giuseppe Picinelli. Fu appunto in quegli anni che venne costruito il rustico del nuovo municipio. Direttore dei lavori era l’ingegnere capo del Comune, Giuseppe Costa. E sappiamo che almeno dal 1901 Simonetti lo affiancò utilmente. “Collaboratore di grande valore, sia per la capacità… per lo zelo, attività e conoscenza dell’arte costruttiva”, scrisse di lui Costa, manifestando tutto il suo apprezzamento. Restò in forza all’ufficio tecnico del Comune per cinque anni».
E furono parole profetiche, è così?
«Fu senz’altro così, e non credo c’entri nulla la breve esperienza consiliare che compì nel 1911. In quell’anno fu eletto due volte perché due furono i comizi convocati per il rinnovo della rappresentanza civica: in primavera vinsero i moderati, in autunno alla grande ripigliò il controllo della macchina amministrativa, dopo quattro anni, Ottone Bacaredda. Simonetti fu infine con Bacaredda ma rinunciò quasi subito al mandato.
«Egli, evidentemente dopo averci molto pensato, scelse per sé la libera professione, che per qualche anno accompagnò anche con l’insegnamento – la sua materia era matematica – tanto al suo vecchio istituto Martini, quanto all’università. Fu una docenza che durò, se ben ricordo, una decina d’anni, fino al 1912. Aveva il suo studio nel palazzetto di famiglia, quasi all’angolo fra la piazza Yenne e le scalette di Santa Chiara, un punto che allora nella toponomastica cittadina era segnalato come civico 1 della via San Michele (cioè della attuale via Azuni). Anni dopo ebbe studio anche nella via Manno».
Possiamo ricostruire, anche se soltanto sommariamente, le tappe della sua vita professionale?
«Senz’altro, ma mi viene spontaneo collocare una buona parte di queste tappe all’interno di una rete di relazioni che l’associazionismo d’inizio Novecento senz’altro favoriva. Non che le commesse venissero quasi per automatismo per gli incontri fatti nei vari sodalizi, questo non poteva essere, però certamente quel clima fiduciario che si instaura all’interno di un circuito associativo, che include esponenti dell’imprenditoria così come delle amministrazioni pubbliche o della burocrazia, finisce per far conoscere e condividere attitudini ed esperienze, allargando il giro…».
Sono convinto anch’io che l’associazionismo cagliaritano (e non soltanto cagliaritano) del primo Novecento fosse una sorta di… Rotary spalmato in cento sigle… un Rotary senz’altro virtuoso e pragmatico.
«Noi sappiamo che Simonetti fu dirigente dell’Amsicora – datiamo quegli incarichi intorno al 1907, quando la società si trasferì dal campo di via Lanusei a quello di viale Bonaria; lo sappiamo socio credo onorario della Società degli Operai, di cui fra il 1909 e il 1910 progettò la sede nella via XX Settembre, togliendola così dalla precarietà in cui fin dalla fondazione s’era trovata, costretta a passare da una sede all’altra nel quartiere della Marina; lo sappiamo anche socio effettivo della Lega Navale e altresì dirigente della Croce Rossa locale, nel 1921: allora la CRI aveva i suoi uffici a palazzo Devoto-Cao nel Largo…
«Certamente le frequentazioni associative avranno favorito questa o quella commessa, ma bisognerebbe dire anche che il buon esito di un lavoro diventava esso stesso il miglior biglietto da visita del professionista chiamato a sempre nuovi incarichi. Riterrei, per tutta una serie di ragioni, ch’egli avesse una certa consentaneità con gli ambienti religiosi cagliaritani. Fu senz’altro a lui che ricorsero in più occasioni i salesiani che impiantarono il loro istituto e l’oratorio nel viale fra Ignazio (allora viale degli Ospizi), avendone un aiuto sempre gratuito. Ricordo che nel 1908 e per una decina d’anni (fatto salvo il periodo della grande guerra) Simonetti lavorò alla radicale ristrutturazione della parrocchiale di Sant’Eulalia e così fece, in sostanziale contemporanea, con la basilica di Bonaria, che proprio dal 1908 vide riaprire il cantiere. In verità i lavori d’impianto della basilica rimontano al Settecento, erano stati un continuo stop-and-go; la ripresa nel 1908 – l’ennesima ripresa – fu volta a completare il rustico, per procedere poi a certi lavori interni, a certi decori delle navate, all’innalzamento del ciborio nell’altare maggiore… Andrebbe detto che il 1908 fu l’anno della proclamazione della Vergine di Bonaria a patrona massima della Sardegna: confluirono a Cagliari tutti i vescovi dell’Isola, molto clero, devoti da tutti i paesi; vi furono numerose celebrazioni speciali, conferenze mariane e di Azione cattolica, presenziò a diversi eventi il cardinale di Pisa, Pietro Maffi…».
Permettiamoci una piccola digressione (e Simonetti concederà): Maffi arcivescovo di Pisa, e da Pisa noi avevamo ricevuto (in restituzione), soltanto una ventina d’anni addietro, alcune reliquie di Sant’Efisio… Soprattutto da Pisa venne, mi pare nel 1263 o giù di lì, il cardinale Federico Visconti della cui visita abbiamo un documento importantissimo per conoscere la presenza e dislocazione dei luoghi di culto nelle appendici cagliaritane, fra Marina e Stampace, e fino al Castello nel XIII secolo…
«Maffi – coltissimo uomo di Chiesa – venne a Cagliari come legato pontificio. E in effetti vien da pensare come ad un… gustoso corso e ricorso vichiano: a distanza di sette secoli, l’arcivescovo di Pisa continuava ad avere una qualche ingerenza sulle vicende politiche e religiose della Sardegna, su cui, anticamente, aveva rivendicato la primazia ecclesiastica. La scelta vaticana, in questo caso, o fu miope o fu sottilmente cattivella nei nostri confronti. Nel momento in cui si eleggeva, per acclamazione popolare, la patrona massima della nostra regione, ella veniva, formalmente e casualmente, incoronata dalla Curia che aveva accampato pretese giurisdizionali sulle diocesi dell’Isola. Sarà stato un caso?».
Torniamo alla nostra fabbrica bonarina del 1908-1909.
«Come ho detto, la grande guerra interruppe i lavori per la chiamata alle armi delle maestranze».
E Simonetti partì anche lui per la guerra?
«Dai documenti consultati risulta che egli – allora 40enne o poco più – sia stato destinato a La Maddalena: non era il fronte, non patì i rischi mortali di molti altri. Una delle ragioni di questa assegnazione forse è ricollegabile a una sua “utilità sociale” della quale anche i comandi militari ritennero di non poter fare a meno. Mi riferisco alla sua esclusiva nell’impiego del brevetto dell’ing. Francois Hennebique che aveva inventato il calcestruzzo armato. Questo imprenditore francese, una volta registrato il suo brevetto ne cedette una prima esclusiva all’ing. Giovanni Antonio Porcheddu, un costruttore sardo di primissimo livello nel suo tempo, il quale a sua volta ne concesse il sub-sub-appalto – se così possa esprimermi – proprio a Simonetti. La disponibilità del marchio costituì anche la fortuna del nostro ingegnere che si servì di esso in numerosi suoi lavori anche di interesse pubblico. Certamente egli utilizzò la formula del materiale cementizio armato tanto nel cantiere di Bonaria quanto in quello di Sant’Antonio abate, nella via Manno, di cui consolidò le cupole. Nel caso di Bonaria, egli costruì ex novo tutto il sistema delle coperture. Intervento impegnativo, al punto da dover mantenere un costante rapporto di consulenza a distanza con lo studio Porcheddu). Così avvenne – e fu quasi un totale rifacimento – nella parrocchiale di Aritzo, o ancora a Cagliari, nel palazzo Balletto, o a Sa Illetta».
Chissà l’invidia dei concorrenti…
«Quel che sappiamo è che quelle travi in calcestruzzo armato furono come la firma di Simonetti nelle sue opere. Si trattò delle prime applicazioni di quel materiale particolarmente resistente, lo stesso palazzo in cui egli abitò dagli anni ’30, prima della seconda guerra mondiale e dopo, nella via Pola, adiacente a notissimo palazzo Scano, fu realizzato con tecniche e materiali d’avanguardia.
«Mi preme però riprendere un attimo, e completare, quanto dicevo prima a proposito del richiamo in guerra e a quella che parrebbe, a prima vista, una collocazione… quasi quasi di comodo. Non fu così. Durante il conflitto egli venne assegnato, come tenente (poi capitano) del Genio militare ufficio fortificazioni: lì forse servì proprio per la sua competenza tecnica, e la sua divisa è esposta al museo del Risorgimento presso il castello di Sanluri. Non credo di essere molto lontano dal vero – e comunque potrebbe accertarsi della cosa – che Simonetti sia stato dislocato a La Maddalena proprio in previsione delle opere di fortificazione, ridotti, casamatte e fortini anti-sbarco, previsti nell’arcipelago, opere da realizzare in conglomerato cementizio.
«Aggiungerei che in età di legge Simonetti svolse regolarmente anche il servizio di leva, allora come sottotenente di complemento del 1° corpo d’Armata. Dal 1913 figurava nel ruolo degli ufficiali della riserva».
Cagliari fu il maggior teatro dei suoi lavori?
«Senz’altro è così, ma non mancarono progetti e realizzazioni anche in provincia – ho ricordato prima il caso di Aritzo – e comunque diciamo che non risultano lavori nel capo di sopra. Ora per casamenti scolastici o municipi o cimiteri ed acquedotti, ecc., insomma per opere pubbliche di primaria importanza, molti sindaci si rivolsero a Riccardo Simonetti. Il quale però – è esatto dirlo così – le sue opere maggiori, le più impegnative e di maggior pregio anche architettonico, le donò alla sua città: fu dal 1914 nel pool di tecnici che lavorò alla nuova sede della Banca Commerciale Italiana e poi a quella della Camera di Commercio (più faticosa con i tempi anche, ma non esclusivamente, a causa della grande guerra).
«Il gran nome impegnato nel doppio cantiere fu quello di Luca Beltrami in quanto architetto, ma i progetti furono essenzialmente di Simonetti che si produsse anche, in corso d’opera, in modifiche piuttosto geniali, come si mostrarono quelle relative alle scale a sbalzo (similmente a quanto aveva praticato nel palazzotto della Società degli Operai)».
Intercettò un committente piuttosto facoltoso… fu fortuna o merito?
«Fortuna e merito, certamente il merito non fu meno della fortuna. Col gruppo Bastogi, per una ragione o per l’altra, avevano collegamenti sia la Comit che la stessa Camera. I rapporti personali con Antonio Cocco – consigliere per lunghi anni e poi anche presidente e infine commissario (fino al 1925) della Camera di Commercio – erano eccellenti, i due si frequentavano anche a proposito della Ginnastica Amsicora di cui erano entrambi dirigenti… Diversi elementi riportano a Simonetti anche circa il progetto di ciò che sarebbe diventato il Campo Sportivo precedente allo stadio attuale. Bisognerà approfondire ancora.
«Dicevo della Bastogi: ad essa si riconducevano tanto la SACES – Società Antonima Costruzioni Edili Sarde, che faceva capo agli Scano – quanto la SES, cioè l’Elettrica Sarda, e la SBS, quest’ultima direttamente impegnata nelle bonifiche di Arborea. Per la SACES Simonetti lavorò dirigendo la fabbrica della Rinascente, nei primi anni ’30. Il nuovo marchio era quello dei grandi magazzini della Borletti: il palazzo che si eresse allora all’angolo fra la via Roma e il Largo comprendeva in origine tre comparti: quello appunto dei grandi magazzini Borletti ribattezzati La Rinascente – per lo più nella zona retrostante, verso la via Sardegna –, un hotel di lusso detto Miramare e, nel piano basso dalla parte degli ingressi della via Roma, un cinematografo detto anch’esso Miramare».
Dopo la mostra fotografica e documentale un libro biografico
La mostra del 2015 rivelò il gran segreto di Riccardo Simonetti che poi, sembra di capire, è stato l’asso nella manica di voi curatori dei numerosi pannelli fotografici e delle gigantografie esposte e ammirate dai visitatori: e cioè i taccuini dell’ingegnere. Più precisamente?
«Dalla famiglia, in particolare da Edoardo Mathieu, abbiamo ricevuto per la consultazione e la riproduzione fotografica una quantità considerevole di quaderni, o, direi meglio, di un unico ma lunghissimo e articolato taccuino, ovviamente manoscritto, che Simonetti riempì per quasi cinquant’anni – dal 1905 al 1954, anno della morte – con la registrazione piuttosto dettagliata e direi quotidiana di tutte le committenze e dei pagamenti ricevuti. Per noi è stato come entrare nel vivo delle sue relazioni personali e professionali: abbiamo potuto apprendere la vastità e varietà dei suoi contatti che veramente erano a spettro universale: commercianti ed industriali di ogni settore ed interesse, quelli erano i nomi di coloro che hanno contribuito molto allo sviluppo di Cagliari e della Sardegna nei decenni di passaggio fra Ottocento e Novecento, dai Capra agli Antico, dai Pernis ai Costa o Costa Marras, ecc.».
Può bastare, per ricordare o presentare questa figura a chi non la conosce, la manifestazione di Sa Illetta?
«Indubbiamente no. Però direi questo: è stata una decisione importante la recente inclusione del nome di Riccardo Simonetti nella toponomastica cittadina; è stato importante e anche bello che nel 1993 i padri di Bonaria abbiamo accolto le sue spoglie nella basilica: abbiamo delle fotografie che lo rappresentano con la figlia Maria Dolores – Pomponita – , la quale dopo la scuola tecnica femminile “Regina Elena” si trasferì a Roma per laurearsi in ingegneria civile (il che avvenne nel 1932), per tornare poi a Cagliari e collaborare allo studio tecnico paterno anche nel cantiere di Bonaria di quei primi anni ‘30. Fu la prima donna sarda laureata in ingegneria, pochi lo ricordano. In una delle foto cui mi riferivo padre e figlia compaiono insieme con padre Candido Schirillo, superiore mercedario e parroco di Bonaria, e con Anna Marongiu Pernis, altra nostra eccellente artista figurativa. L’istantanea rivela il ciborio nel presbiterio della basilica ancora avvolto dalle sue impalcature.
«Nel 1932 Simonetti ricevette la Commenda dell’Ordine della Mercede, ed undici anni dopo anche quella dell’Ordine di San Silvestro papa: è stato giustamente scritto essersi trattato, in entrambe le occasioni, di un segno di gratitudine per l’opera gratuita da lui prestata per la definitiva sistemazione della grande basilica. Direi anche prova provata della intimità della sua relazione con la famiglia di San Pietro Nolasco che a Cagliari ha avuto storicamente una presenza più radicata che in altre città od altri continenti.
«Dunque, l’inserimento nella toponomastica e questa accoglienza pietosa in una cappella della nostra maggiore basilica, la nostra iniziativa del 2015, tutto questo è stato, in modi diversi, come la testimonianza che Cagliari non si è dimenticato del suo ingegnere. Un altro tassello sarà il prossimo libro biografico che sto completando con il collega e amico Marco Cadinu».