A novant’anni dalla nascita di Michelangelo Pira, un’eredità da far fruttificare, di Bachisio Bandinu
EDITORIALE DELLA DOMENICA, della Fondazione.
I 90 anni dalla nascita di Michelangelo Pira hanno offerto l’occasione di un dibattito sui motivi più attuali del suo pensiero e della sua scrittura. La riflessione antropologica elaborata ne La Rivolta dell’Oggetto si può riassumere, in estrema sintesi, nel titolo “La dialettica delle fonti normative”. Viene posta al centro la conflittualità dei codici, nelle sue varie espressioni: il conflitto fra la fonte normativa centrale e periferica (Stato-Regione), il conflitto tra lingua sarda e lingua italiana, la conflittualità tra culture a contatto con forze diseguali, la conflittualità tra scuola ufficiale e scuola impropria (quella della comunità).Sono tematiche di urgente attualità che offrono lo spunto per un confronto: l’analisi di Pira riguarda il periodo che va dal 1946 al 1976 e tuttavia investe in pieno le problematiche attuali.
Primo punto: la collettività regionale è una fonte normativa debole rispetto alla fonte normativa centrale. Non tanto per la debolezza intrinseca dello Statuto sardo, ma ancor più per il potere di decisione esercitato dallo Stato-Governo anche su competenze sarde e per non aver dato all’Istituto regionale i mezzi economico-finanziari per attuare gli obiettivi dello sviluppo.
Pira esige «la restituzione del potere normativo alla collettività regionale, interprete legittimo della sovranità popolare per decidere quale uso i sardi debbano fare della loro capacità di produrre e di comunicare». Conclude osservando che la fonte normativa della Regione Sardegna nel suo storico esercizio «non solo non è valso a portare la Sardegna fuori dalla tradizionale condizione di dipendenza da poteri esterni, non è valsa neppure per impedire che la soggezione si aggravasse». Ovviamente questo quadro non assolve le responsabilità della politica regionale sarda, anche per non aver saputo difendere le ragioni dello Statuto e nel proporre con decisione la proposta di un nuovo Statuto.
Secondo punto: la conflittualità tra codici linguistici. Un conflitto vissuto nella sua esperienza scolastica fin dalla prima elementare, quando il maestro facendo l’appello chiamò Pira Michelangelo, ed egli non riconobbe di essere chiamato perché il suo nome era Miale de Crapinu. Dunque aveva due nomi: quello della famiglia, del vicinato e della comunità e quella dello Stato, della scuola. E quando osservando l’immagine della cavalletta nel libro della prima elementare, gli sfuggì la parola thilipirche, il maestro lo chiamò alla cattedra e gli assestò una bacchettata sulle mani, minacciandolo di non parlare in sardo nella scuola. Questa esperienza lo portò a scegliere come tema della tesi di laurea la parlata di Bitti e a porre la questione del bilinguismo nel 1960 sulla rivista Ichnusa.
Michelangelo Pira attribuisce alla limba il carattere fondante dell’identità sarda. Ed accentua l’importanza della “massa parlante”, cioè della necessità che il sardo venga parlato in tutte le forme della comunicazione sociale.
La politica regionale non ha mai avuto particolare interesse alla questione linguistica, neppure da parte del Psd’Az, anzi ha incontrato una decisa opposizione dal Partito Comunista Italiano, e l’indifferenza da parte degli altri partiti nazionali.
Bisognerà attendere la seconda metà degli anni Novanta approvare la legge 26 del ’97 e il riconoscimento del sardo come lingua di minoranza, la 482 del ’99.
Un passo avanti si è fatto con la legge regionale n.22 del 2018 che tuttavia attende e pretende un’attuazione integrale e celere e che dunque chiede una volontà politica decisa.
Terzo punto: il conflitto tra culture. Michelangelo Pira scrive ne La Rivolta dell’Oggetto: «un’antica cultura mediterranea entra in contatto profondo e intenso con culture altre aggressive e massificanti». Nasce una lotta tra fonti normative, un conflitto tra codici, una confusione di messaggi. La cultura locale entra in crisi con costi umani altissimi. Si aprono orizzonti vastissimi per dire che il mondo locale non ha prospettive. Certo, bisogna aprirsi a una realtà più ampia ma le strutture della produzione materiale e culturale sono iscritte nei calcoli di un potere e di un profitto che rafforzano la dipendenza. La Sardegna si apre alle grandi trasformazioni del mondo moderno: ed ecco l’industria ma arriva la SIR di Rovelli; ed ecco il turismo ma giungono le speculazioni edilizie e turistiche; ed ecco la tecnologia più avanzata ma vi giunge con le basi militari. La modernità si presenta con i caratteri di un consumismo periferico.
Michelangelo Pira è aperto al processo di modernizzazione ma perché questa veramente si realizzi occorre che la cultura altro non si ponga in termini di egemonia, se totalizzante esclude il confronto.
E’ positivo il riconoscimento di un’altra cultura se sollecita una ricodificazione sia dei messaggi esterni, sia «del sistema segnico della propria cultura lingua».
Quarto punto: la conflittualità tra scuola ufficiale e scuola impropria, quella della comunità educante. Fin dall’infanzia il bambino sperimenta questa dualità non comunicante. Da un lato frequenta la scuola statale che non ha alcuna aderenza con la realtà in cui vive e dove è vietata la lingua materna, dall’altro lato è immerso in una comunità educante del suo paese dove matura tutte le esperienze relazionali in famiglia e in comunità. Un argomento che pone il rapporto tra scuola e società, ma pone anche la questione un’educazione permanente, di una formazione culturale rispondente alle necessità del proprio tempo.
Michelangelo Pira prospetta un cammino di liberazione: «attraverseremo la frontiera, realizzeremo cioè la rivoluzione, soltanto nella misura in ci faremo nostro questo passaggio, e sarà nostro nella misura in cui saremo capaci di imprimervi i nostri segni, di calare su di esso un reticolo progettato da noi, da noi tutti, liberi di progettare, soggetti e non oggetti di progettazioni altrui».
Tutto questo fu il campo di vita e di studio, di esperienza e di coscienza, di passione e di critica che occupò l’intera esistenza di Michelangelo Pira. E’ per noi, oggi, un’eredità da far fruttificare.
Bachisio Bandinu, 16 dicembre 2018