Pillole di storie monserratine. “Cantadoris paulesus in su tempu de su fasciu” (1940), di Marco Sini

 

In una nota del Prefetto di Cagliari si segnala che “a Monserrato il 22 e il 25 giugno del 1940 vengono diffidati tali Loni Efisio e Antonio Medda perché hanno espresso apprezzamenti sfavorevoli al regime ed all’alleanza dell’Italia con la Germania”.

Si tratta di Efisio Loni, “su cantadori”, poeta in lingua sarda campidanese, nato a Selargius nel 1878, residente a Monserrato, tra i fondatori e animatore del circolo di Sant’Ambrogio, dove dai primi del ’900 faceva scuola serale agli analfabeti, compositore di commedie in lingua sarda, segretario della sezione monserratina del Partito Popolare all’inizio degli anni ’20. È stato uno dei più grandi improvvisatori in lingua sarda del ’900.

Anche le cantate in sardo a fine anni ’20 e nei primi anni ’30, in quelle che comunemente chiamiamo “gare poetiche dialettali”, costituivano una formidabile occasione per esprime critiche al regime fascista, seppure in termini allusivi, facendo ricorso a metafore o addirittura con doppie e alternative interpretazioni delle parole pronunciate. Capitava perciò che talvolta uditori attenti della milizia fascista convocassero l’improvvisatore per chiedere spiegazioni o per ammonirlo o per denuncialo.

Capitò così che nel 1931 nel corso di una gara poetica che si svolgeva a Sestu per la festa di San Giorgio martire. Efisio Loni nella sua “sterrina” evocò il ritorno delle colombe a fini di pace. Qualcuno del pubblico pare avesse iniziato a storcere il naso perché il tema assegnato (“su fini”) dal Comitato dei festeggiamenti ad un altro dei cantadoris che partecipavano alla gara, Pasquale Loddo, anche lui monserratino come Loni, era sulla figura di San Giorgio martire. Ma proprio Pasquale Loddo, quando cantò la sua “sterrina” pare che perdesse di vista il tema preposto perché evocò “Su Crobu est ind’una sponda teverica picchiendi su graniu bruttu a Vili Diocretzianu”. Tra i presenti alcuni diedero questa interpretazione: il Corvo (che ha fama e fame di morte) si trova oltre Tevere, a Roma (è il Papa) dove becca insistentemente il cranio orribile del vile imperatore Diocleziano del tempo (cioè Benito Mussolini, siamo nel 1930). Si era all’indomani della stipula dei Patti Lateranensi tra Mussolini e il Segretario di Stato Vaticano, e dunque questa interpretazione non era peregrina. Comunque Pasquale Loddo, alla fine quando scese dal palco, fu convocato in caserma dai carabinieri per spiegazioni.

Ma la spiegazione di quel “Picchiendi su graniu bruttu… a vili Diocresianu”, nel solco de “su fini” riguardava la figura di San Giorgio martire, come sarà rivelato al pubblico da tutti i quattro poeti nell’ultimo giro della cantata: “Il carnivoro nero demoniaco affamato che ossessiona il crudele imperatore romano per mettere a morte i tanti martiri cristiani, come il nostro San Giorgio”.

Quindi nella interpretazione “autentica” (una delle due possibili) dallo stesso Loddo nell’ultimo giro, quando cantò, con molta ironia, una “appassionata lode a Mussolini”, che quindi non c’entra niente e c’entra solo il martirio del Santo! L’interpretazione “politica” data non sta in piedi, come la convocazione in caserma!

Nella sua “Antologia dell’antifascismo in Sardegna” Salvatore Pirastu ricorda che il fascismo, in quello che per il regime era “la sprovincializzazione della cultura”, fece di tutto per oscurare cultura, lingua e tradizioni sarde, ma non ci riuscì, specie per gli aspetti più popolari come le gare poetiche in lingua sarda. A questo proposito, scrive Pirastu “si deve a Paolo Pillonca, nel suo ‘Fascismo e clero e il divieto delle gare poetiche in Sardegna’, la ricostruzione degli avvenimenti che portarono alla proibizione delle gare poetiche”. Infatti, Pillonca scrive che con il Regio Decreto del 18 giugno del 1931 il governo fascista emana il T.U. (Testo unico) di pubblica sicurezza che vietava le rappresentazioni teatrali che potevano turbare “l’ordine pubblico o la morale”. Fu così che – aggiunge Pillonca – “nel 1932 i vescovi sardi decidono di eliminare dalle feste e sagre religiose le gare poetiche e di sostituirle con “altri svaghi”. La reazione e il malcontento per questo divieto da parte delle comunità dei fedeli, degli obreris dei santi e delle sante patrone dei paesi però non si fece attendere e nel 1937 fu raggiunto un compromesso che “riammetteva le gare poetiche in sardo nelle feste religiose paesane ma le condizionava alla iscrizione ed al tesseramento dei “cantadoris” al Comitato provinciale Arti popolari, di emanazione del partito fascista. I più si adeguarono per poter lavorare, la maggior parte di quelli di famiglia benestante non si iscrisse”.

 

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