IL PCI E LA LINGUA SARDA: UN RAPPORTO CONTROVERSO, di Pier Sandro Pillonca

EDITORIALE DELLA DOMENICA, della FONDAZIONE.

“Caro compagno, come saprai alcuni gruppi separatisti sardi, raccolti intorno a quattro riviste isolane, si sono fatti promotori della raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare con cui – fra le altre cose – vorrebbero  introdurre in Sardegna il regime del bilinguismo (…)

Il Comitato promotore (…)  ha sollecitato, in particolare, degli ordini del giorno di sostegno da parte del consigli comunali (…)

Con la presente intendiamo richiamare la tua attenzione sul senso politicamente negativo e pericoloso di tale iniziativa. A tale riguardo le posizioni del nostro partito sono note. Siamo per un regime di autonomia della Regione ma all’interno della Repubblica, quindi decisamente contrari a richieste indipendentiste, come il regime di bilinguismo (…)

Come Partito rifiutiamo nettamente questa iniziativa politica e dobbiamo impegnarci a respingere ordini del giorno dei Comuni a sostegno di essa (…)

Con questi toni perentori, alla vigilia del Natale 1977, il segretario della Federazione nuorese del Partito Comunista Italiano invitava sindaci e consiglieri comunali, eletti nelle proprie liste, ad una lotta senza quartiere contro la proposta di legge di iniziativa popolare sul bilinguismo promossa da un gruppo di intellettuali che gravitavano intorno alle riviste Nazione Sarda, Su Populu Sardu, Sa Sardigna e Sardegna Europa tra cui Giovanni Lilliu, Francesco Masala, Eliseo Spiga, Gianfranco Pintore e Pinuccio Sciola. La proposta arrivava a conclusione di un lunga mobilitazione contro il proibizionismo dello Stato italiano partita dall’Università di Cagliari nel febbraio del 1971 quando il Consiglio della Facoltà di Lettere approvò una mozione che chiedeva alla Regione e al Governo “il riconoscimento della condizione di minoranza etnico-linguistica della Sardegna e della lingua sarda come lingua nazionale della minoranza”.

Fu proprio l’introduzione del concetto di “lingua nazionale”, contenuto nella delibera del Consiglio di Facoltà e ripreso nella proposta di legge di iniziativa popolare, a scatenare l’atteggiamento ostile del Partito Comunista, convinto sostenitore dell’Autonomia speciale e firmatario, a metà degli anni ’70, dell’intesa autonomistica insieme a Dc, Pri, PsdI, Pli, Psd’Az e Movimento autonomista popolare sardo. Un patto tra i partiti dell’arco costituzionale che impegnò l’intera classe politica isolana in un’azione rivendicativa nei confronti dello Stato per l’applicazione dello Statuto. Per il Pci era inaccettabile, perché considerata eversiva dell’ordinamento statuale, l’equazione una lingua=una nazione. Il bilinguismo  rappresentava una seria minaccia all’unità della Repubblica italiana. Per questo, l’apparato comunista non si limitò a boicottare la raccolta di firme a sostegno della proposta di parificazione linguistica: qualche mese più tardi, il 21 marzo 1978, la Commissione regionale “Scuola e cultura” del Pci, riunitasi con la segreteria per discutere le iniziative in vista delle celebrazioni del trentennale dell’Autonomia sarda, dichiarò il proprio “completo dissenso”. “Questa proposta – si legge nel comunicato della Commissione e della segreteria diffuso dalle agenzie di stampa – è di copertura alla politica culturale condotta dalla Dc in questi 30 anni di governo della Regione. Non dà una risposta alle esigenze di rinnovamento presenti nella società sarda che sono la conseguenza di un processo di maturazione politica e culturale frutto di 30 anni di lotte autonomistiche delle masse popolari della Sardegna ed elude la volontà di opporsi a tutto ciò che mortifica una possibilità autonoma di sviluppo, sul piano economico come su quello culturale, conseguente a una più ricca sensibilità e più matura consapevolezza acquisita nei 30 anni di esperienza autonomistica. Infatti – prosegue il comunicato – il regime giuridico di bilinguismo che si vorrebbe introdurre non soltanto non risolverebbe il problema della valorizzazione della lingua comunemente parlata, perché, non avendo i sardi un unico codice linguistico, ad essi verrebbe imposta una lingua artificiale e impopolare, ricostruita da pochi studiosi, ma introdurrebbe anche nell’organizzazione della vita civile della Sardegna ulteriori elementi di contrasto e di divisione derivanti dal fatto che un esame in una lingua sarda non ben definita verrebbe imposto a tutti coloro che avrebbero responsabilità e incarichi pubblici. La proposta di bilinguismo, isolando il problema della lingua da quello più generale della conoscenza, della difesa, della valorizzazione del patrimonio culturale e delle tradizioni della Sardegna, si risolverebbe in un’operazione culturale di livello sostanzialmente arretrato”.

A sostegno della linea del Partito si schierarono diversi intellettuali d’area con una serie di articoli pubblicati su quotidiani e riviste. Nonostante il grande dispiego di forze, il blocco organizzato dal Pci, percepito nella società sarda come antipopolare, fallì miseramente. Il Comitadu pro sa limba sarda, presieduto da Francesco Masala, riuscì a raccogliere oltre 14mila firme che, il 13 luglio 1978, vennero consegnate al presidente del Consiglio regionale Andrea Raggio.

La vicenda provocò un vivace dibattito tra i militanti comunisti. Da più parti arrivarono contestazioni alla linea ufficiale del partito, molti iscritti firmarono la proposta di legge, altri decisero addirittura di restituire la tessera. Negli anni ’70 il sardo era ancora una lingua largamente diffusa in tutta l’Isola. In molte sezioni del Pci, soprattutto nel nuorese e nel Campidano, si utilizzava abitualmente la parlata locale nelle discussioni politiche e nei confronti interni. Quella netta presa di posizione contro il bilinguismo apparve incomprensibile a molti, un tradimento del “comune sentire”.

 

L’UNITA’ CHIAMA A RACCOLTA I POETI SARDI CONTRO LA “LEGGE TRUFFA”

Eppure il Partito Comunista, prima di allora, non aveva mai assunto posizioni così rigide. Anzi, nei primi due decenni del dopoguerra, quando il tema della lingua era totalmente assente dal dibattito politico, fu proprio il Pci a distinguersi sul terreno della valorizzazione del sardo.  Di grande rilevo, anche se ignota ai più, è l’iniziativa assunta da L’Unità nel 1953 su impulso di Benigno Deplano, corrispondente del giornale dalla Sardegna e responsabile per l’informazione della Federazione nuorese del Pci. Deplano (nella  FOTO), uomo di grande cultura umanistica (firmava alcuni suoi scritti con lo pseudonimo di Spiritus asper), univa all’impegno politico  la passione per la poesia e per il giornalismo. Nel 1957 diventerà il primo sindaco comunista di Seui. Fu lui a ideare un concorso in versi contro la “Legge Truffa”, la riforma del sistema elettorale voluta da Alcide De Gasperi e proposta dall’allora ministro dell’interno Mario Scelba. L’Unità ingaggiò una dura battaglia in difesa del sistema proporzionale puro, chiamando i sardi ad esprimersi contro l’introduzione di un premio di maggioranza che assegnava il 65% dei seggi alla lista o al raggruppamento di liste capaci di superare la metà dei voti validi.

L’iniziativa, ideata da Benigno Deplano e sposata dal giornale, ottenne un successo inaspettato: al concorso arrivarono 173 poesie di 148 autori diversi. La giuria presieduta da Raffaello Marchi, scrittore e saggista nuorese tra i più brillanti intellettuali espressi dalla Sardegna nel secolo scorso, ne selezionò 16 poi pubblicate in un opuscolo stampato dalla Tipografia Editoriale di Nuoro nel 1953. “Quando la Federazione nuorese del Pci ha lanciato il concorso di poesia – scrive Benigno Deplano nell’introduzione – neppure il più ottimista dei sostenitori dell’iniziativa poteva prevedere il numero così grande e vario dei concorrenti che vi hanno partecipato. Le poesie sono giunte immediatamente, numerosissime, da tutte le parti dell’Isola, quasi sempre accompagnate da lettere in cui, talvolta, i poeti dichiarano di non essere né comunisti né socialisti e qualche volta di essere ancora democristiani ma….”.

Sempre nell’introduzione, svela i criteri che determinarono le scelte della Giuria ma soprattutto chiarisce il senso profondo dell’iniziativa: “Si è seguito un criterio anche geografico e linguistico, sia nella scelta sia nell’ordine di pubblicazione in modo che ne risulta un coro completo di tutte le voci poetiche della Sardegna ad esprimere l’indignazione profonda, la protesta e lo spirito di lotta del popolo sardo contro la legge ruba-seggi ed i suoi autori”.

Benigno Deplano, e con lui la Federazione nuorese del Pci che aveva promosso il concorso di poesia, era perfettamente consapevole della forza dirompente della lingua e della sua straordinaria efficacia come strumento di lotta politica. Il professore conosceva bene Gramsci e le sue parole spese a favore dell’educazione bilingue dei bambini in una lettera del 1926 alla sorella Teresina in cui raccomandava l’insegnamento del sardo alla nipotina Edmea. Ma soprattutto non aveva dimenticato la lezione gramsciana sul rapporto tra lingua e potere contenuta nei Quaderni dal carcere. “Ogni volta che affiora, in un modo o nell’altro, la quistione della lingua – scriveva il pensatore sardo – significa che si sta imponendo una serie di altri problemi: la formazione e l’allargamento della classe dirigente, la necessità di stabilire rapporti più intimi e sicuri tra i gruppi dirigenti e la massa popolare-nazionale, cioè di riorganizzazione dell’egemonia culturale”. E’ un passo fondamentale per capire ciò che ha significato in Sardegna l’affermazione delle lingue istranzas sull’idioma isolano: strumenti formidabili per imporre il proprio dominio e i propri privilegi utilizzando la gerarchia delle lingue. Il metodo messo in atto da spagnoli, piemontesi e più tardi dai funzionari dello Stato fascista, con la mediazione della borghesia locale, per escludere i sardi dall’esercizio del potere.

Oltre che per la grande valenza politica, l’opuscolo de L’Unità va ricordato anche per un altro aspetto non secondario. Il volumetto contiene, in nuce, il primo tentativo di individuare un percorso condiviso per l’unificazione ortografica della lingua sarda. Tutto questo in un periodo in cui, lo ribadiamo, le questioni linguistiche non erano all’ordine del giorno della politica, tutta orientata, senza distinzioni di colori e bandiere, verso un obiettivo comune: la modernizzazione della società sarda e il superamento delle condizioni di arretratezza economica e sociale che impedivano alla Sardegna un confronto alla pari con le regioni più ricche della penisola.

Al suo interno compare una “Didascalia fonetica” nella quale l’autore suggerisce alcuni criteri pratici per individuare regole comuni di scrittura: l’eliminazione delle vocali paragogiche, la previsione delle elisioni nell’incontro di sillabe e l’uso degli accenti tonici per ovviare a eventuali “storture di lettura o alterazione nociva della frase o del ritmo del verso”.

Il concorso, per la cronaca, ebbe due vincitori ex aequo: il poeta di Orotelli Luigi Marteddu e il calangianese Mario Mariotti. La seconda poesia, scritta in gallurese, venne affiancata da una traduzione in italiano. Il compilatore dell’opuscolo conosceva bene la distinzione tra sardo e parlate alloglotte, certificata 40 anni più tardi dalla legge regionale 26 del 1997 sulla Tutela della lingua e della cultura sarda e, successivamente, dalla legge nazionale 482 del 1999 sulla Tutela delle minoranze linguistiche storiche.

Una consapevolezza che Benigno Deplano condivideva con tanti militanti del Partito. Molti di loro, entrati in seguito nelle istituzioni e nei gruppi dirigenti del sindacato, si distingueranno nella battaglia in difesa della lingua sarda. Le azioni e gli scritti di Giovanni Fiori, Peppino Marotto e Giovanni Maria Cherchi, per citare i più noti, rappresentano un alto esempio di impegno civile e morale con pochi eguali in Sardegna. Ecco perché il muro alzato dal Pci sul finire degli anni ’70 appare oggi ancora più incomprensibile.

 

LA LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE BOCCIATA DALLA CONSULTA

La legge di iniziativa popolare, consegnata nel 1978 al presidente Raggio, fu esaminata dal Consiglio regionale nella legislatura successiva. La Commissione competente dopo pochi mesi dall’insediamento si trovò sul tavolo altre due proposte di legge. Si decise così di raggruppare i tre provvedimenti in un Testo Unico che arrivò in Aula il 26 marzo del 1981. I malumori interni e la mobilitazione popolare servirono a convincere il Pci ad assumere una posizione più morbida anche se in Consiglio non mancarono le tensioni. Anche in questo caso si manifestò la netta contrarietà ideologica di alcuni esponenti comunisti. Durante la discussione generale, il capogruppo del Pci Gavino Angius, dopo l’intervento del democristiano Battista Isoni, si appellò al Regolamento consiliare per chiedere che gli interventi venissero svolti in italiano. La vicepresidente del Consiglio Maria Rosa Cardia abbandonò addirittura l’Aula in segno di protesta. Alla fine, la legge passò con i voti favorevoli del Pci. Il provvedimento venne poi impugnato dal Governo e dichiarato incostituzionale dalla Consulta.

Da allora il dibattito sulla lingua non si è mai interrotto. Tutte le legislature, successive alla presentazione della prima proposta, hanno dovuto affrontare il tema. Il Pci e i suoi epigoni (Pds, Ds e Pd) hanno assunto posizioni non sempre chiare. Nel 1989, i voti di alcuni consiglieri comunisti furono decisivi per affossare, a scrutinio segreto, il nuovo T.U. sulla lingua sarda che unificava 5 proposte di legge, due delle quali presentate dallo stesso Pci. In questo caso ebbero la meglio le tensioni interne alla maggioranza di centrosinistra e alla Giunta presieduta dal sardista Mario Melis. Era il 27 aprile del 1989: la legge venne bocciata con 37 voti contrari, 16 a favore e 1 astenuto. Una brutta pagina della politica sarda nel giorno in cui, per la prima volta, si registrò una grande apertura sul tema della lingua tra i banchi del Partito Comunista grazie a Francesco Cocco, profondo conoscitore dell’opera gramsciana, uomo di straordinaria passione politica e rigore morale. Fu lui a sdoganare, in casa comunista, con parole forti e chiare, il concetto di “nazione sarda”. Cocco, da convinto sostenitore dell’unità repubblicana, difese la proposta di legge, vista come strumento utile “al popolo sardo per acquistare piena consapevolezza e coscienza di sé, per riprendere il suo cammino nazionale, per superare quella sua condizione di nazione mancata”.

Otto anni più tardi, nel 1997, fu un altro esponente della sinistra, il consigliere del Pds, Salvatore Zucca, allora presidente della Commissione “Cultura”, a illustrare la proposta di legge per la Tutela e la valorizzazione della lingua e della cultura sarda. Una relazione appassionata, la sua, su un provvedimento che concludeva 20 anni di dibattiti e dava finalmente una prima, anche se incompleta, tutela giuridica al sardo. Ma sull’atteggiamento delle forze politiche, certificato dai resoconti del Consiglio regionale degli ultimi 30 anni, torneremo diffusamente in un’altra occasione.

 

SA LEGGE TRUFFA

 

De Gasperi bidendesi isoladu    

dae s’elettoradu, andande male,

varat sa legge noa elettorale

chi dae Mussolini at copiadu

 

Ma sigomente solu non podiat

cun Saragat s’est apparentadu

e Pacciardi che frade at abbratzadu

e a Villabruna regalos inviat

 

E forman unu blocco, unidamente,

bator partidos bojados a pare

pro nde poder sos seggios furare

a moda issoro, politicamente.

 

In sos tristos articolos famados

nat sa legge: “si s’apparentamentu

d’unu supérat su chimbanta in chentu

pro premiu at noranta deputados

 

Ma pustis d’essere goi premiados

(custa est de sa legge sa sustantzia)

cun d’unu voto solu ’e maggiorantzia

si lean chentottanta deputados

 

Custos infames, perfidos inventos

dan a su blocco insoro ispera tanta

d’aer elettos trechentosottanta

e a s’oppositzione duoschentos

 

Bastan solu trintamiza ’e votos

pro unu deputadu clericale

eppuru nant ch’est su votu uguale

segundu sos ipocritas bigotos

 

Però mira it’ispantu e meraviza

a su fundu ‘ e sa legge (bene abista!)

ca pro nd’elegger’unu comunista

bi nd’occurren sessantachimbemiza

Poi sighit s’imbrogliu e s’artifitziu

de varias maneras e mesuras:

restos de votos e mutzinaduras

sun de sa maggiorantzia a benefitziu

 

Su votu de unu prade o de una monza

balet tres boltas de su ’e su pastore

Ma custu est un’infamia, est disonore

custu, sentza su dannu, est per’irgonza

 

Su votu ‘e su pantzone Don Peppiccu

balet tres boltas de su ’e su massaju

un’iscandulu est custu, custu est raju,

chi bi nd’at de los ponner a s’impiccu

 

Est totu truffa, est tottu un’artifitziu

tela ordida in ipocritu telaiu

ca cando tue das su votu a Caiu

bandat a fagher deputadu a Titziu

 

Si fit bistada custa iscena comica

bi fit finas su tantu ’e poder ridere

ma sigomente est seria a nos decidere

nos tocat tra sa paghe e bomba atomica!

 

Si ’enzérat attuadu su pianu

diamus saludare a “s’alalà”

torrande ogn’ignorante a podestà

a cumandante dogni sacrestanu!

 

Dogni cooperativa diat rùere

mandada ’ogni conchista “a gamb’in aria”

e sepultada sa Riforma Agraria

tottus sas Legas las dian distrùere

 

Sa Costitutzione appeigada

e rifatta una noa a moda issoro

sa gloriosa Camera ‘e Lavoro

in corporatzione trasformada

 

 

Sas ott’oras cun sàmbene acchistadas

dae sas passadas classes tribagliantes

benian dae sas criccas dominantes

nessi “dae sole in sole” aumentadas

 

Si passat custa truffa elettorale

addio, tando, isciopero e protestas

ca nos dian contzare pro sas festas

a mitra, a manganello e a pugnale.

 

Dian ponner a s’istampa sa censura

nos dian ponnere in bucca luchete

nos dian dare su “Libru e Muschette”

nos dian giugher tottu a trubbadura

 

Nos nche dian pigare a su masellu

pro mantennere in pè “s’Istadu forte”

prontos a dare o a retzire morte

o nos faghen crepare a bellu

 

Populu sardignolu, ah, cantu male

ti faghet custa noa ipocrisia

ca dias perder s’autonomia

promissa a su Guvernu regionale

 

Custa legge est perfidu crondaghe

sèmene de avolotu e cuntierra

chi preparat tremenda àtera gherra

chi ponet in perigulu sa paghe

 

Totu custos progettos biscuadros

pro bi lis avallare a Deus mutin

furan, s’arricchin, bocchin, si nd’afutin

sos solitos carnefices e ladros

 

Custa truffa in sa Camera est passada

(ja chi sa maggiorantzia at approvadu)

Como l’est discutende su Senadu

e isperamus chi benzat rigettada

 

 

Faghe elettore energica protesta

contra de custa beffa elettorale

pretende d’esser su votu uguale

giustu pro sa sinistra e pro sa destra

 

Ma s’in casu passerat custa legge

de Iscelba s’infamia pius manna

dàeli meritada sa cundanna

e cun su votu tou la curregge.

 

LA LEGGI FURA VOTTI

 

 

Comu lu ghiacciu di lu monti a primmaera

candu scaggiatu fal(a) a ingrussà lu riu in la piana

cussì lu populu, sfruttatu vinz’arisera,

curri addanazi tuttu a manu a manu.

Folti e uniti in li so’ paltiti,

ja dici a li ricchi: “Iu socu, non vi piaci:

voddu li diritti chi m’eti nipiti:

vita, trabbaddu, Iibaltai e paci”.

Chisti, chi di Jesu Cristu si dicini ~

dugna ‘entu pa pudè fa li patroni a so’ talentu

hani fattu una leggi ch’è una truffa.

Hani fattu lu ‘ottu a dui misuri

hani sciuratu la palti di lu lioni

voni chiudi lo populu in centu pici di muru

chi dapoi han i di fa cantà lu cannoni.

Hani imbrugliatu lu pesu e la misura,

hani bistrasciatu li leggi di la Nazioni.

Abbassu li latri e la so’ fura

evviva sempri la Costituzioni!

Maladitti li ziracchi di l’angeni

chi la felicitai di lu populu non Ili piaci

e chi l’ariani ‘ulutu sempri pienu di peni.

Evviva la gherra di l’onesti e alditi

pa salvà l’autonomia, la Iibaltai e la paci.

Curaggiu pa lu ‘ottu, saldi, uniti!

 

 

Come il ghiaccio del monte a primavera

quando disciolto scende a ingrossare il fiume nel piano

così il popolo, sfruttato fino a ieri

corre avanti, tutto a mano a mano

forte e unito nei suoi partiti

dice oramai ai ricchi: “iO so che non vi piace,

voglio i diritti che mi avete negato:

vita, lavoro, libertà e pace”.

Questi che a tutti i venti si dicono (seguaci) di Gesù Cristo

per poter fare i padroni a loro piacere

hanno fatto una legge che è una truffa.

hanno fatto il due misure

hanno scelto la parte del leone

vogliono chiudere il popolo in cento strati di muro

perché intendono

far cantare in seguito il cannone

Hanno falsificato il peso e la misura

hanno straziato le leggi della nazione

Abbasso i ladri e le loro ruberie,

evviva sempre la Costituzione!

Maledetti i servi dello straniero

ai quali non è gradita la felicità del popolo

e che l’avrebbero voluto sempre pieno di pene

Evviva la lotta degli onesti e dei coraggiosi

per salvare l’autonomia, la libertà e la pace.

Coraggio, per il voto uguale, o sardi, (tutti) uniti!

 

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    2 Comments to “IL PCI E LA LINGUA SARDA: UN RAPPORTO CONTROVERSO, di Pier Sandro Pillonca”

    1. By Priamo Moi, 21 ottobre 2018 @ 17:12

      Caro Piersandro ringrazio anche a nome della Buonanima del compagno Benigno e a nome di tutti quelli che come il sottoscritto amano la lingua sarda e gli scritti di quel Grande Sardi che fondò il P C I sa traitoria chi anti fatu a Gramsci ancora durada Forza Paris iadannai Lussu saludi

    2. By Enrico Lobina, 21 ottobre 2018 @ 08:04

      Bravo Piersandro