Il giovane Angelino Cherchi, medico cagliaritano, quella volta in missione alla Nunziatura parigina dell’ecumenico monsignor Angelo Giuseppe Roncalli, di Gianfranco Murtas

E’ scomparso nei giorni scorsi il professor Angelino Cherchi, riconosciuto caposcuola della cardiologia in Sardegna. Un sardo universale che mi preme onorare anch’io richiamando il documento in cui fissai l’esito di un incontro che ebbi con lui il 12 dicembre 2000, allorché lavoravo alla stesura di un libro che mi è particolarmente caro: Papa Roncalli e la Sardegna. Corrispondenze Incontri Amicizie, pubblicato nella primavera 2002 dalle Edizioni della Torre con premessa di Loris F. Capovilla e introduzione di Tonino Cabizzosu.

Ecco di seguito il breve testo di sintesi di quel colloquio che ripercorse una relazione iniziata cinquant’anni prima. Omaggio, questo mio, insieme a molte memorie: a quella freschissima del professore che abbiamo perduto e fra i più amati nel novero dei Maestri della medicina isolana del Novecento, a quella grande del pontefice del Concilio ed ancora a quella del suo fedele segretario che con molta dolcezza e diligenza, fornendomi documenti e testimonianze, mi assisté nel lavoro di ricostruzione storica e sbocco editoriale.

 

Un incontro alla Nunziatura parigina

Nunzio in Francia ormai da cinque anni e dove ancora è destinato per altri tre, monsignor Roncalli riceve negli uffici della legazione, nel cruciale 1950, la visita di un giovane sardo proveniente da Cagliari: un medico ancora molto giovane, trentenne, specializzando in cardiologia, il cui nome resterà legato alla migliore storia della medicina isolana del secolo. Angelo Cherchi presenta, all’ingresso del palazzo di Nunziatura, un biglietto di presentazione fornitogli dal serdianese monsignor Agostino Saba, da tempo in eccellenti rapporti con l’arcivescovo-ambasciatore. Un istante soltanto, e i due sono già faccia a faccia. «Al mio entrare il Monsignor Roncalli lasciò il tavolo da lavoro, mi accolse con infinita bontà e cortesia e mi invitò a sedere su di una poltrona posta ad un passo e di fronte a Lui. Ricordo ancora – scrive il prof. Cherchi in una testimonianza che apparirà su Orientamenti [cf. “A Parigi, un sardo s’incontrò con Mons. Roncalli”, 9 giugno 1963] nella circostanza della morte di Giovanni XXIII, nel giugno 1963 – la bontà, la soavità e le infinite conoscenze di Colui che volle trattenermi a colloquio per oltre un’ora; di tutto si parlò, ma posso dire che quasi sempre ascoltai. Si parlò di molte cose, del mondo, dei paesi che il Monsignore conobbe nei Suoi viaggi e nelle Sue Nunziature, di San Carlo, ma soprattutto della Sardegna, di cui l’illustre interlocutore mostrava, per esservi stato due volte, di conoscere a pieno i problemi umani, storici e geografici, tanto da lasciarmi del tutto sorpreso. Mi chiese persino dell’andamento della lotta contro la malaria. Si parlò del Suo grande Amico sardo (Saba), che tanto lo aveva assecondato nei Suoi studi prediletti su San Carlo Borromeo.

«Nella Sua infinita bontà, il Nunzio mi offrì tutto il Suo aiuto, volle presentarmi al Suo segretario, pregandolo di essermi vicino in qualsiasi evenienza, mi invitò a frequentare le riunioni serali che si tenevano nella Sua casa. Purtroppo mi immersi subito talmente nei miei studi, che non accolsi se non molto parzialmente questo generoso invito. Tuttavia, un anno dopo, al momento del rientro in Patria, chiesi di nuovo udienza ed il Monsignor Roncalli, a tanta distanza di tempo, mi accolse immediatamente con bontà, informandosi dei miei studi e dei miei propositi, augurandomi ogni bene; con l’occasione volle darmi anche un messaggio per il Mons. Saba».

Questa la testimonianza scritta. Trascorso altro (e non breve) tempo, il prof. Cherchi aggiunge il ricordo di un’altra battuta in cui c’è già, dieci anni prima che sia indetto, lo spirito del Concilio con la sua rilettura della dottrina immutabile: «Lei crede che in Paradiso vadano soltanto i battezzati? Non lo creda, ci vanno tutti i buoni. E quanti ne ho conosciuto io, di ortodossi, o di musulmani buoni, degni del Paradiso!».

 

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