Dare attuazione alla legge sulla lingua, agire dal basso, Enrico Lobina
L’EDITORIALE DELLA DOMENICA, della FONDAZIONE
Il consiglio regionale ha approvato il 3 luglio la legge regionale “Disciplina della politica linguistica regionale”, la LR n. 22. È la legge sulla lingua più importante dopo la LR 26 del 1996, che era però più concentrata sulla cultura. La LR 22 è più completa ed articolata.
Il consiglio regionale, ed i consiglieri che più si sono dedicati alla LR 22, hanno dimostrato posizioni più avanzate rispetto all’insieme della società sarda. A fronte, infatti, di una generica opinione favorevole rispetto alla tutela ed alla valorizzazione della lingua sarda, la società non è poi conseguente. Quando ci si avventura nei campi della scuola, della pubblica amministrazione, dei mass media, del lavoro e delle politiche di co-ufficialità del sardo in generale, le sarde e i sardi si ritrovano vittime di luoghi comuni, paura del futuro, poca conoscenza. Nascono gli ostacoli non scritti, quelli invalicabili, e lo Stato italiano, anche nel suo livello giudiziario, ha buon gioco a far prevalere l’apartheid linguistico contro il sardo, in spregio all’art. 6 della Costituzione.
Su questi aspetti i cosiddetti “progressisti” sono silenti.
Coloro i quali hanno a cuore la lingua sarda e si impegnano per la co-ufficialità, cioè i militanti del movimento linguistico, ora hanno un’arma formidabile: chiedere la piena attuazione della legge regionale n. 22. Si possono avere idee diverse sulla legge, che sicuramente può essere migliorata, sullo standard, su come organizzare il movimento linguistico, ma chiederne la piena attuazione ci deve vedere tutti d’accordo.
Non ci sono contro-indicazioni. Tutto il movimento linguistico ha da guadagnarne. Ci sarà chi è più interessato a sviluppare un movimento popolare, dal basso, che riporti il sardo in ogni aspetto della vita quotidiana, e chi preferisce un’azione istituzionale, dall’alto. Sono scelte legittime, per le quali si possono avere opinioni diverse, le quali però non contrastano l’una con l’altra.
La legge si aggancia allo Statuto ed alle norme di attuazione in materia, nonché alle norme internazionali di tutela delle minoranze (art. 2). Chiama in causa le autonomie locali, alle quali apre ampi spazi di intervento (art. 4), trattenendo giustamente in capo alla Regione le attività di programmazione (artt. 5-6). Si istituzionalizza, eliminando il precariato e rendendoli più utili, il sistema degli sportelli linguistici (art. 11), e si danno indicazioni precise in materia di visibilità del sardo (artt. 12-13-14).
Probabilmente l’aspetto più interessante è quello che riguarda il capo III, gli interventi in materia di istruzione. Si chiarisce e si evidenzia ciò che le scuole possono già oggi fare, e contemporaneamente si potenzia e si mettono a sistema queste opportunità, passando dall’insegnamento del sardo in orario curriculare agli indirizzi per la definizione dei piani di studio personalizzati riservati alle regioni, dalla collaborazione con le Università alle attività extracurriculari che possono svilupparsi nelle scuole.
Da ultimo, c’è spazio per il sostegno ad organismi privati che si occupano di diffondere la lingua sarda, nonché per le arti tradizionali sarde, mai prima realmente incastonate in una disciplina organica.
Il problema ora è l’attuazione della legge. Le prime avvisaglie non lasciano trasparire nulla di buono.
L’Assessorato competente è già in ritardo su una serie di passaggi attuativi che non hanno avuto luogo.
La riorganizzazione della Direzione Generale della Pubblica Istruzione, che ha mortificato negli anni passati il Servizio che si occupava di lingua sarda, trasformandolo in un settore, proprio in questi giorni sta ulteriormente diminuendo la dotazione umana di chi dovrà seguire l’attuazione della legge, appesantendo il settore incaricato di competenze diverse, che nulla hanno a che fare con la legge. Si dovrebbe fare esattamente il contrario! Si dovrebbe re-istituire il servizio lingua sarda, e dotarlo di personale.
In materia di concorsi, L’Agenzia Sarda per le Politiche Attive del Lavoro (ASPAL) si è dimenticata che nelle procedure concorsuali bisogna inserire la conoscenza della lingua sarda. Il bando per assumere 89 funzionari, pubblicato dopo l’entrata in vigore della legge, contempla che nella preselezione vi siano dei quiz sulla conoscenza della lingua inglese, ma non del sardo. Perché, se la legge pone l’inglese ed il sardo, per questo aspetto, sullo stesso livello? Perché non si è rettificato il bando? Si vogliono favorire i ricorsi e far saltare il concorso?
Più in generale, senza un vasto movimento popolare i conservatori italianisti, presenti ovunque, avranno la meglio. E’ bene saperlo.
By Mario Pudhu, 18 ottobre 2018 @ 18:33
Custa cristiana no at mai ischidu de unu «Ditzionàriu de sa limba e de sa cultura sarda» pubblicadu su 2000 e torra su 2015? (II editzione, 2872 pàzines, 111.000 lemmas, tradutzione de 22.100 peràulas in frantzesu, inglesu, ispagnolu, italianu e tedescu). Provet a intrare in “dizionàriu.sardegnacultura.it” chi l’agatat fintzas “on line”
By Sechi anna maria, 15 ottobre 2018 @ 08:00
Deo dae s’annu 1996, so isetende chi siat publicadu unu ditzionariu de sa limba sarda cun sa régulas noas de s’iscritura. Sunt colados 22 annos è non s’est bidu nudda in custu sensu a parte sas cuntierras. Sa bida mia est in Belgio ca Babbu faghiat su minadore, a mie piaghet a iscrìere e a faeddare in sardu, NO essende in Sardigna m’est difitzile meda de l’iscrìere senza fadinas. So isetende chi sa Regione s’impinnet de abbreviare sos tempos pro ufitzializare s’iscritura sarda una orta pro totus, lassare totu a briglia isorta est dannu mannu.