Globalisti e sovranisti: una divisione ed una lotta che si nutre degli aspetti negativi degli uni e degli altri, di Bachisio Bandinu
L’EDITORIALE DELLA DOMENICA della Fondazione. Continua il dibattito iniziato nell’articolo “Globalisti” e “sovranisti”, i termini del nuovo scontro ideologico, di Salvatore Cubeddu, in questo sito, il 2.’9.2018.
Attenuatesi le polarità geografiche Nord-Sud ed Est-Ovest, si sono imposte, nello scacchiere europeo e mondiale, delle nuove categorie: globalisti e sovranisti. Una divisione davvero strana: sovranisti sono gli USA, autentici dominatori del globalismo nella finanza, nell’economia reale e nella teoria e pratica dell’informazione; globalista si dichiara la Cina, paese di chiusura ideologica con gravi limiti dei diritti umani e della libera informazione e circolazione.
Il quadro europeo, peraltro, presenta una sua specificità e continuità, in quanto ciascuno Stato ha sempre agito in difesa dei propri interessi nazionali, nel gioco ineguale delle parti, pure ammantato di una parvenza d’Unione europea. Il fenomeno si è acuito a causa della massiccia immigrazione rinforzando i caratteri di una chiusura etnocentrica sino a riproporre addirittura confini geografici e persino qualche accento razziale.
In verità il globale e il locale sono due fenomeni differenti e complementari: è la globalizzazione stessa che produce una risposta locale come meccanismo di difesa identitaria e di risposta correttiva. Questa dialettica è positiva se instaura un determinato equilibrio.
A ben vedere il globalismo non è altro che l’affermarsi del potere dominante di una oligarchia economico-finanziaria e tecnologico-culturale che impone al mondo un determinato modello di vita, nella logica di produzione-consumo e dunque nella creazione di clienti-utenti, con accumulo di capitali che accentua la forbice tra ricchi e poveri. Non avendo alcun intendimento di formazione pedagogica, di promozione di valori educativi, si potrebbe dire, estremizzando, che questo tipo di globalismo liberista mette in atto una sorta di colonizzazione dei corpi e delle coscienze.
L’esempio più attuale è quello dei network: per un verso informano in tempo reale e permettono una comunicazione continua, offrono un capitale culturale sterminato, facilitano le operazioni amministrative e fiscali, le transazioni finanziarie ed altro. Per altro verso operano in regime di oligopolio, con poteri finanziari e culturali superiori a molti Stati, eludono tasse e regole, veicolano false notizie e cyberbullismo, impongono modelli a loro convenienti e creano dipendenza digitale ed altro.
Il motivo vero da mettere a fuoco è che la lotta non avviene tra globalizzazione e localizzazione, bensì tra gli aspetti negativi del globalismo e del localismo. Entrambi hanno un doppio volto, negativo e positivo. È merito della mondializzazione il diffondersi di una conquista fondamentale dei diritti umani, di una comunicazione che ha fatto cadere confini e chiusure, di una offerta merceologica diffusa e di un più ampio confronto di culture differenti.
Il locale e il globale possono essere due istanze comunicanti e positivamente interrelate: un locale che fa produzione di merci e produzione di senso da far circolare nel circuito globale, e che, ad un tempo, dà forma ed esperienza specifica alle proposte e alle offerte del globale. Al contrario, il localismo, rifiutando una apertura comunicante, rinforza la chiusura etnica e persino la difesa territoriale, accentuando il rapporto amico-nemico, noi e gli altri.
Si può aprire un dibattito, in funzione di un approfondimento, su quale dei due modelli, quello positivo e quello negativo, possa essere riferito alla Sardegna: una forte soggettività dei Sardi capace di elaborare risorse materiali e umane locali per comunicare col mondo oppure sopportare un capitalismo rapace che finisce per chiuderci in una crescente emarginazione. In definitiva, quale percorso politico, economico e culturale per un costruttivo rapporto locale-globale, capace di crescita e di coscienza identitaria aperta?
Bachisio Bandinu
7 ottobre 2018