La rovente estate del Vaticano, di Daniele Madau

L’EDITORIALE  della  DOMENICA  della FONDAZIONE.

In questa estate, che ormai volge al termine, abbiamo assistito a un evento tanto rilevante quanto ricco di conseguenze per il Vaticano e il papato. Un evento forse epocale, anche se, tuttavia, non è stato un evento inatteso, potendosi ricondurre a quel groviglio di vicende molto terrene e poco celesti che è stato il Vatileaks. L’ex nunzio apostolico a New York Monsignor Viganò, ha infatti accusato davanti al mondo, gettando le sue parole urbi et orbi in pasto ai media, Papa Francesco di aver protetto le violenze sull’infanzia del Cardinale  McCarrick, arrivando a chiederne le dimissioni.

L’incipit della sua invettiva è essenziale, diretto, efficace. Sembra il De bello gallico di Cesare: “Sin dal 2006 i vertici della Chiesa sapevano degli abusi sessuali del cardinale Theodore McCarrick. Papa Benedetto XVI era intervenuto, confinandolo nel silenzio. Ma la protezione della lobby gay, potentissima in Vaticano, gli ha consentito di diventare uno degli elettori di Papa Francesco. Io stesso, 5 anni fa, ho informato Bergoglio della condotta di McCarrick, ma senza esito. Ora che le sue turpitudini sono conclamate, il Papa deve dare l’esempio e dimettersi“.

L’attacco è stato di una gravità eccezionale, toccando una materia così profonda e delicata, ma è stato una violenza se ipse, di per sé, anche l’attacco stesso. Lo è sia che fosse una accusa fondata sia che non lo fosse.

Prendendo in considerazione la prima ipotesi, Viganò sarebbe un eroe, un difensore dell’istituzione Chiesa, a tal punto da esporsi così mediaticamente per difendere il corpo mistico ecclesiastico, formato dai fedeli e dalla gerarchia. Se, al contrario, fosse falsa, saremmo davanti  a un abnorme egoismo e a una menzogna diabolica, inquietante. In ogni caso siamo davanti a una ferita sanguinosa: l’ennesima ferita della divisione nella storia della Chiesa.

Se non più grave delle altre, molto moderna, in linea con lo Zeitgeist, lo “spirito del tempo”- essendo questi tempi ignoranti la profondità e avendo poca comunione con lo Spirito Santo – perché si sta consumando in diretta, in streaming e non nelle recondite stanze.

Vorrei soffermarmi un attimo sull’uso dei media, ormai, evidentemente, non considerato più dal mondo ecclesiastico una tecnologia malvagia: ci ricordiamo come Pio XII sia stato il primo a usarli consapevolmente e come l’esplosione dell’uso sia arrivato sotto Giovanni Paolo II; tanti, infatti, avranno negli occhi le immagini del tripudio dei papa boys durante le giornate mondiali della gioventù del 2000.

Vigano, di ques’uso dei mezzi di comunicazione, si giustifica così: ”Avevo sempre creduto e sperato che la gerarchia della Chiesa potesse trovare in se stessa le risorse spirituali e la forza per far emergere la verità, per emendarsi e rinnovarsi. Per questo motivo, anche se più volte sollecitato, avevo sempre evitato di fare dichiarazioni ai mezzi di comunicazione, anche quando sarebbe stato mio diritto farlo per difendermi dalle calunnie pubblicate sul mio conto anche da alti prelati della Curia romana. Ma ora che la corruzione è arrivata ai vertici della gerarchica della Chiesa, la mia coscienza mi impone di rivelare quelle verità che con relazione al caso tristissimo dell’arcivescovo emerito di Washington Theodore McCarrick sono venuto a conoscenza nel corso degli incarichi che mi furono affidati, da S. Giovanni Paolo II come Delegato per le Rappresentanze Pontificie dal 1998 al 2009 e da Papa Benedetto XVI come Nunzio Apostolico negli Stati Uniti d’America dal 19 ottobre 2011 a fine maggio 2016”.

Anche Bergoglio non si è tirato indietro ma, sicuramente, con un atteggiamento più maturo e spirituale. All’ accusa di Viganò, infatti, Papa Francesco ha sì risposto ma con il silenzio: almeno questo, un segno di umiltà.

Si è espresso  davanti ai giornalisti, in volo, con altro gesto di umiltà, quello di offrirsi in conferenza stampa, per poi opporre un più adeguato, e tradizionale, silenzio.

Non possiamo dare giudizi in questa sede: certamente i tempi dell’attacco sono stati particolari (Francesco era al rientro dall’incontro mondiale con le famiglie a Dublino, terra di innumerevoli abusi) e tante voci, anche progressiste, si sono schierate in aperta difesa di Bergoglio. D’altra parte, negli ultimi giorni papa Francesco ha pregato di “colmare la voragine spirituale dei nuovi seminaristi”, i possibili violenti di domani, annunciando che si adopererà concretamente per questo.

A prescindere da tutto ciò, in questo momento la Chiesa sembra corrispondere a pieno all’immagine del terzo mistero di Fatima, dell’uomo vestito di sangue che cade insanguinato, tradizionalmente attribuita ai martiri del  ’900 e all’attentato a papa Woytila ma perfettamente adeguata al martirio della divisione e degli scandali dei primi quattro lustri del duemila.

Questi eventi hanno, chiaramente, avuto recente risonanza anche in Sardegna, risaltata in due posizione contrapposte in maniera eclatante. La prima è quella del parrocco di Milis, don Francesco Murana, il quale, in una lettera aperta, si rivolge a Viganò con questi toni: “A parte che dovrebbe accontentarsi di essere arrivato a settantasette anni e di aver fatto una vita più che comoda e riverita… Le chiedo: cosa vuole ancora? Io sono prete di campagna per scelta, ma crede davvero che non sia capace di vedere nelle sue accuse a Papa Francesco altri motivi ed altre intenzioni?”.

Murana si presenta come “prete di periferia”, sottolineando come sia pienamente nel solco dei desideri di Francesco per il clero.

Il viceparrocco di Siniscola, invece, Don Andrea Biancu, ha augurato, tramite facebook, la morte a una sua parrocchiana e si è schierato più volte contro il magistero e gli auspici di Bergoglio.

Chissà se nel loro silenzio e intimità pregano dopo aver chiuso la porta della camera, come vorrebbe Gesù, di sicuro scavano nella ferità della divisione, usando anch’essi i media e i social media forse in maniera diabolica, se ricordiamo che l’etimologia greca ci indica il diavolo come il “divisore”.

Anche la Chiesa, e la chiesa sarda, come aveva già mostrato S. Agostino, è immersa nella “città terrena”, e respira quindi quell’inquinamento che insozza il secolo, il mondo: la mancanza di maturità, di profondità nei confronti della modernità. E questo capita, anche, come visto, a livello molto alto.

La via d’uscita, anche se può sembrare invisibile e irta di ostacoli, è invece lì e, addirittura, Cristo stesso vorrebbe fosse urlata sopra i tetti: è vivere il Vangelo. Chi ha orecchi intenda.

 

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