Per un profilo biografico ragionato di Attilio Deffenu, di Annico Pau
Abbiamo il piacere di pubblicare il testo della conversazione tenuta lo scorso 1° giugno all’Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri di Olbia da Annico Pau, esponente di primo piano della cultura e della politica nuorese, già sindaco del capoluogo barbaricino all’inizio degli anni ’80 nonché già segretario regionale del Partito Repubblicano Italiano e, per un biennio, consigliere dell’Assemblea legislativa di via Roma.
Ha dato occasione all’intervento, che idealmente gemellava alla Gallura la Barbagia, la Giornata di studio all’insegna di La vita ed il pensiero di Attilio Deffenu, allestita presso il dinamico istituto olbiese che ha ormai superato i suoi sessant’anni di vita ed accompagnato lo sviluppo socio-economico del territorio.
Invero, alla figura del grande intellettuale nuorese caduto nella grande guerra e fra i protagonisti della battaglia sarda antiprotezionista, Pau ha dedicato altri studi presentando relazioni in diverse circostanze, fra cui, nel 2016, quella evocativa della caduta del potere temporale dei papi (il famoso 20 settembre 1870), presso lo storico “Tettamanzi” di Nuoro, così efficacemente richiamato dal celebratissimo Giorno del giudizio di Salvatore Satta (“Attilio Deffenu: ribelle e anticlericale”).
Meriterebbe anche dire che alla ricca personalità del giovane Deffenu in quanto antesignano di un certo sardismo socialista tutto ancora da definire nel complicato contesto che anticipò l’arrivo della dittatura fascista, riservò molte attenzioni, alla fine della sua vita, anche il presidente Mario Melis, nuorese pure lui, nella consapevolezza che alla decadenza della politica corrente si sarebbe forse potuto porre un qualche rimedio rilanciando la testimonianza culturale, morale e civile dei democratici isolani dei quali, col passare del tempo, si era affievolita la memoria: con Deffenu certamente Bellieni, e magari Saba e Mastino, Oggiano…
Anche sotto questo profilo piace qui associare – riuniti nel generoso impegno di studio – i nomi dell’indimenticato presidente della Regione (sardista per davvero, coerente alla storia nobile del suo partito) e del sempre… combattivo on. Pau, rappresentanti od espressione entrambi di quella certa Nuoro colta e coraggiosa nella affermazione dei valori che riunirono, già dal secondo Ottocento – quello stesso della Deledda e di Sebastiano Satta, magari di Salvatore Rubeddu e già di Giorgio Asproni –, i democratici delle lettere e della politica, consapevoli che il progresso economico e sociale isolano non poteva che restare radicato nelle coordinate di giustizia e libertà dell’Italia tutta. (gf.m.)
Storia di un democratico sardo, nel centenario della morte
Attilio Deffenu, nato a Nuoro nel 1890, dopo una intensa vita, ricca di soddisfazioni personali e professionali che spaziano dal giornalismo all’attività forense, perisce tragicamente in battaglia durante la prima guerra mondiale, nel 1918. Aveva appena 27 anni.
Subito dopo la scomparsa il suo nome venne strumentalizzato dal regime fascista, tanto che molti ancora lo associano a questo. Tutto ciò non corrisponde al vero, andrebbe infatti fatta opera di risarcimento e di rivalutazione delle sue idee e dei suoi principi espressi nella breve ma intensa esistenza e additarlo da esempio alle nuove generazioni.
Attilio non è stato solo un eroe della prima guerra mondiale ma soprattutto è stato un grande pensatore.
Il giovane “sovversivo” come, con felice sintesi lo definisce scrittore Salvatore Cambosu, che lo conobbe: «sognava una società di liberi e di eguali […] operò nel primo novecento con intelligenza, con coraggio, con disinteresse, affermando le sue idee di giustizia e di libertà, e dando speranza agli umili e agli oppressi».
Attilio Innocenzo Deffenu nasce il 28 dicembre 1890, in quella Nuoro che Sebastiano Satta, in un suo pastello sulla città, la aveva così descritta: «…ha vie ampie, case granitiche, severe, arieggiate, salùbri; una cattedrale per i devoti, un tribunale per gli… avvocati, un convento umido per… l’istruzione pubblica, un seminario per la… fabbrica dei preti, un carcere per il… governo».
Nasce in un fine secolo barbaricino contrassegnato, oltre che da una profonda crisi economica e sociale e da una inquietante recrudescenza del fenomeno del banditismo aggravata da diffusi fenomeni malavitosi, ma allo stesso caratterizzato dall’affacciarsi nello scenario letterario sardo e italiano, come segnale di riscatto e di rinascita, della giovane Grazia Deledda e del grande poeta nuorese Sebastiano Satta.
Ancora era vivo il ricordo dei cosiddetti poeti de “su connottu” come Salvatore Rubeddu, Nicola Daga, Giovanni Antonio Murru, Pasquale Dessanay e Antonio Giuseppe Solinas che, coi loro componimenti erano usciti dalla tradizione arcadica della poesia popolare sarda d’autore e dal modulo classico che trovava nel logudorese la lingua ufficiale della poesia sarda, e si esprimevano finalmente nel vernacolo nuorese.
Pasquale Dessanay per primo espresse questo concetto nel suo componimento A Lia:
Ma commo istraccu de ti narrer Dea
Mi ribello a s’arcadica manera
De ti cherrer amare ch’in s’idea.
Questi poeti maledetti uscendo dalla tradizione intendevano rappresentare nel canto la fine di un mondo che andava scomparendo insieme alle scorrerie banditesche colpite dalla repressione poliziesca dei reprobi, ma anche la deportazione dei loro familiari, attuate in Sardegna dal governo Pelloux.
La voce popolare aveva così interpretato la vicenda:
Sos bentos de levante
In sa marina frisca
Sun garrigande s’oro
Sas carreras sun tistas
Commo no est prus Nugòro
Ca mancant sos zigantes.
Anche Sebastiano Satta, rendendosi conto che questo mondo, con l’avanzare del progresso, andava via via scomparendo, nella sua poesia “Il poeta” così canta:
Udite: morituri archimandriti
Patriarchi custodi
Dell’antico costume, e voi, banditi
Belli, feroci e prodi…
E sapendo bene che non erano belli, ma sicuramente erano feroci e malvagi, ma allo stesso tempo poco prodi in quanto agivano vigliaccamente sopraffacendo le vittime inermi quindi, concludeva:
… Or voi, con l’elce, fatele una bara
E sprofondatela in mare.
In quel periodo i presidii dello Stato si manifestavano attraverso il volto brutale della giustizia e, a dirla con Mario Ciusa Romagna: «A Nuoro (allora l’inurbamento era agli inizi e la speculazione edilizia da venire), ciò che emergeva, enorme sul resto del paese, solitaria e triste, non era la chiesa o la scuola, bensì la galera, in cima, rotonda e grigia, fredda anche quando il sole la illuminava; di una sacralità dura e incombente».
Il giovane Deffenu vive la prima adolescenza in questa Nuoro dove la memoria dei poeti maledetti, che prima abbiamo visto, depositari di una cultura schiettamente anticlericale e anarchista, e dove già si levava alta la voce di Sebastiano Satta, «il Poeta degli umili [...] forte e gentile»[1].
Attilio figlio di Giuseppe, commerciante di tendenze socialiste, che fu tra i fondatori della Società operaia di Nuoro, apparteneva a una famiglia politicizzata della piccola borghesia bottegaia che andava pian piano formandosi in quel periodo a Nuoro. Sin da giovane dimostrò particolare propensione alla politica ed a tutti i fatti sociali e culturali. I suoi primi contatti politici li ebbe col circolo dei giovani progressisti che gravitavano intorno alla mitica figura del Satta.
Una volta conclusi gli studi ginnasiali a Nuoro, a partire dal 1905, si stabilì a Sassari per frequentare il liceo.
Dal 1905 al 1908, frequenta con successo il Liceo Classico «Azuni», unitamente al fratello Alfredo. Studente modello, si era licenziato «senza esami» il 25 giugno del 1908.
Le sue prime collaborazioni giornalistiche datano al 1907 con un articolo sul giornale socialista “La Via”.
In questo periodo, il giovanissimo Attilio fu iniziato al libero pensiero unitamente al fratello Lillino (Alfredo) partecipando nel febbraio del 1907 a Sassari ad «…una giornata… di tumulti e di agitazioni… anticlericali…?
Durante un periodo di vacanza nella sua città, a soli 17 anni fu uno dei fondatori del primo circolo socialista di Nuoro e quindi continuò la sua opera facendo proselitismo tra i diseredati dei quartieri popolari della città.
Il suo spirito di ribellista e anticlericale, si era andato formando dapprima frequentando, lui molto giovane, la scuola laica del maestro Sebastiano Satta. Successivamente proseguì il suo apprendistato sassarese bazzicando negli ambienti anticlericali ispirati alla memoria di G. Bruno e alla contiguità con gli ambienti massonici e del libero pensiero.
Nel 1908 si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza di Pisa, qui incontrò i più noti esponenti dell’anarchismo e quindi iniziò la collaborazione alla rivista “La Lupa” allora diretta da Paolo Orano.
Per il giovane e brillante studente barbaricino questo fu un periodo cruciale per la sua formazione. Infatti si gettò a capofitto nello studio dell’economia. Oltre l’approfondimento delle teorie degli economisti classici, si dedicò all’approfondimento dell’opera di Carlo Marx ed iniziò ad interessarsi alla letteratura meridionalista.
Legge e prende nota delle opere di Antonio Labriola, di Pareto, di Weber, di Pantaleoni e di Einaudi.
Come ci segnala Mario Ciusa Romagna: «…Nel suo studio, fra le altre, si conservano annate intere de La Voce di Prezzolini e dell’Unità di Salvemini, come pure i volumi di Arturo Labriola ed Enrico Leone, che sono stati i promotori del sindacalismo rivoluzionario nel 1904 assieme a Olivetti, Pannunzio, De Ambris…- come pure – …s’interessa a Croce e Gentile. Cita Nietzsche e Bergson…».
Alla fine del 1909 penserà, «non potendo fare altro», di diffondere a Nuoro la così detta stampa eversiva con «…gli opuscoli e i volumetti di propaganda anticlericale socialista e libertaria editi dal Mongini e dalla “Pubblicità libertaria” di Cagliari». Nel luglio 1909 ricorda al suo carissimo amico Cucca di «…quella fiamma di ribellione che ha spinto gli “eremitani” di Santu Predu a tumultuare per le vie contro le imposizioni del governo, contro i soprusi e le male arti dei loiola asservitori di coscienze?… Sono state aperte due Scuole di elementare propaganda, una nel rione S. Pietro e l’altra nel rione Seuna. Vi accorre ogni sera con indescrivibile entusiasmo una vera folla di lavoratori. Presto incomincerà anche una scuola d’alfabeto». Durante questa permanenza a Nuoro, in una realtà paesana che lui sente stretta e quasi sterile, in prospettiva intende evadere e, scrivendo sempre al caro amico Cucca inizia a dubitare sull’azione del maestro spirituale Satta: «Cosa ha potuto fare il nostro Bustianu per il trionfo di quell’idea che gli ha scalciato il cuore di poeta, che cosa ha fatto di concreto, di praticamente efficace per la rigenerazione della sua Sardegna, la “dolce madre taciturna”[2]? Ha – mi dirai – fatto echeggiare su tutti i monti lo squillo dei suoi canti come clangore di fanfare… Benissimo! Ma per me che da tanti anni avevo bramato e sognato di vedere in lui la fiammeggiante bandiera che doveva all’ombra sua accogliere tutti noi, giovani di anni, giovani di cuore e di fede, assetati di bene e di giustizia, è troppo poco; è quasi nulla». Concludendo con un ragionamento freddo e determinato: «Noi abbiamo bisogno più che di poeti e di sognatori, siano pure essi “vati dell’avvenire”, di serie e intelligenti energie fattive. Sorgeranno queste in Sardegna, sorgeranno a Nuoro?»[3]. Nel 1912 consegue la laurea in legge con una tesi dal titolo “La teoria marxista della concentrazione capitalistica”, che, come riferisce Mario Ciusa, venne redatta «…contro il parere di Giuseppe Tomolo, suo docente di Economia».
Dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza fece ritorno a Nuoro e attraverso l’intercessione del giornalista ed esponente repubblicano sassarese Michele Saba, fu nominato corrispondente della pagina sarda del “Giornale d’Italia”. Usava i suoi articoli sempre a fini politici ed erano finalizzati a sollevare i gravi problemi dell’isola e in particolare delle zone interne.
La sua collaborazione al “Giornale d’Italia”, per i temi trattati e il loro approfondimento, sfociò in un vero e proprio giornalismo d’inchiesta. Non solo cronaca ma studio approfondito delle situazioni: basta pensare all’inchiesta sulla faida orgolese tra i Cossu ed i Corraine o la rivolta di Orune per la divisione del salto comunale o ancora l’inchiesta sulla strana e misteriosa virago Pasqua Devaddis che pare facesse parte della banda dei Corraine.
Contemporaneamente all’impegno giornalistico iniziò una intensa corrispondenza epistolare con Nicolò Fancello, in occasione della costituzione del Gruppo antiprotezionista e del Gruppo d’azione per gli interessi della Sardegna.
Ancora lo troviamo vicino alle iniziative sorte a Roma e a Napoli ad opera del gotha del meridionalismo militante dei vari Gaetano Salvemini, Antonio De Viti De Marco, di Giustino Fortunato e di altri meridionalisti alla cui scuola era stato educato, studiando ed approfondendo la realtà e l’economia della Sardegna contrapposta alla economia del Nord del paese più progredito.
Deffenu mise in evidenza che la politica doganale, così propizia allo sviluppo delle regioni a grande sviluppo industriale, era contraria allo sviluppo di un’isola ad economia agropastorale.
Allo scoppio della guerra libica, nel 1911, troviamo il nostro su posizioni neutraliste e antimperialiste, infatti fu uno dei promotori del Comitato di agitazione sorto in seno ai partiti della sinistra toscana formata da anarchici, repubblicani, socialisti e sindacalisti, contro la guerra. Di questo Comitato venne in seguito nominato segretario conducendo una forte azione di propaganda utilizzando manifesti e giornali e impegnandosi nelle piazze con comizi e conferenze.
Dopo varie e cocenti delusioni, a cui lo portarono il suo ingenuo e giovanilistico spirito, si impegnò in vari progetti d’azione, trovando così sbocco alla sua incontenibile voglia di intervenire sulla realtà sarda.
Tra l’estate e l’autunno del 1913, mentre si trovava a Nuoro in attesa di trovare sbocchi per lasciare l’isola, pensò anche, nei momenti di grande sconforto, di emigrare in America, così come, trovandosi anch’egli in crisi, a suo tempo aveva pensato di fare il suo maestro Sebastiano.
Ancora si dedicò con particolare intensità alla creazione di una rivista a forte caratterizzazione regionale, sulla scia di una rivista tipo “La lettura” o “Noi e il mondo”[4], «…magnificamente illustrata, ma seriamente scritta e di soggetto esclusivamente sardo».
La prima idea della rivista in realtà era venuta ad un giornalista capitato in Sardegna per lavoro[5], Ugo Imperatori e, come lui stesso ricorda: «In un giorno di quell’estate del 1913, io arrivai alla stazione ferroviaria di Nuoro dove scambiai il primo abbraccio col dinamico giovine che sempre mi balza innanzi, per immediata associazione di idee, ogni qual volta sentimento e intelligenza mi riporti all’isola. Vibrava tutto d’ardente letizia Attilio Deffenu per la rapidità con la quale io ero accorso al suo invito: sì forte fu l’affettuoso grido! S’era al tempo in cui «la Sardegna (ancora!) risaliva alla cronaca dei maggiori giornali italiani, ritornava “alla moda” per descrivere la tragica situazione di Orgosolo, le reciproche stragi dei Cossu e dei Corraine. Avemmo, Attilio Deffenu ed io, lo stesso proposito, trascorrere la giornata che volevamo dedicare alla nostra amicizia, non già per le strade e i caffè di Nuoro, ma proprio ad Orgosolo e nei dintorni… arrivammo ad Orgosolo che presentava un pauroso aspetto. Ogni casa aveva chiuse le porte e le finestre, nelle vie circolavano soltanto pattuglie di carabinieri e di soldati. Ci pareva di andare per un paese abbandonato e per un vasto carcere silenzioso. L’ora era dunque propizia per fare “qualche cosa”».
Imperatori ricorda ancora che: «Il primo numero della rivista, com’io lo volli, si presentò nella originale forma artigiana, tutta sarda, e nella tutta sarda sostanza artistica testimoniata dai nomi di Sebastiano Satta e Gavino Gabriel, Paolo Orano e Attilio Deffenu, Salvatore Farina e Lucio Secchi. […] Personalmente portai a Roma un primo pacco delle copie, e sollecitamente – verso le tre d’un pomeriggio – mi recai in Via Porto Maurizio, al numero 15, per offrire un esemplare a Grazia Deledda».
“Sardegna” fu pubblicata nel 1914, dapprima a Tempio e successivamente a Milano. La rivista si aprì a collaborazioni di varia natura e di idee diverse.
Dal primo numero fu Direttore Ugo Imperatori: Attilio Deffenu figura solo come redattore. Successivamente Deffenu subentrò nella direzione e di fatto, attraverso l’aiuto morale ma soprattutto finanziario da parte del «carissimo amico» Cucca, diventa proprietario della rivista. Durante la direzione la sua attività giornalistica fu instancabile e quasi forsennata, infatti pubblicò numerosi articoli, molti dei quali usando lo pseudonimo di S. Spina o la sigla A.D. o talvolta in anonimo.
Il periodico affrontò con particolare vigore il tema del libero scambio e dell’abbattimento delle barriere doganali sposando di fatto le tesi liberistiche e capitalistiche di Gaetano Salvemini e di altri illustri meridionalisti del periodo, schierati contro il protezionismo doganale che di fatto favoriva l’industria del Nord e contribuiva ad aggravare il sottosviluppo del meridionale ed in particolare quello della Sardegna.
Il giovane Deffenu, mai separatista, fu però un precursore del decentramento amministrativo dello Stato: secondo lui si doveva concedere l’autonomia alle regioni.
Riguardo alle condizioni dell’isola considerava gli interventi dello Stato, che sino ad allora si erano sostanziati in Commissioni d’inchiesta, in investimenti straordinari e leggi speciali, come strumenti assolutamente incapaci di risolvere i problemi del sottosviluppo.
Nella sua veste di giovanissimo direttore ingaggiò una sotterranea polemica con la scrittrice nuorese Grazie Deledda, documentata nella sua corrispondenza con Cucca a cui scrive da Milano informandolo sulla pubblicazione di: «…una tavola fuori testo con un bel disegno di Grazia Deledda, di Musacchio[6]…»[7] aggiungendo che «La Deledda di Musacchio è venuta ottimamente».
Successivamente, prima della pubblicazione, difronte alle rimostranze della scrittrice nuorese che era: «…andata su tutte le furie per il famoso Musacchio. Minaccia, …tutti i fulmini dei suoi sdegni da provinciale pettegola e astiosa. I di lei contorcimenti – in verità – mi lasciano indifferente. E sono per la pubblicazione della caricatura. Se cominciamo con queste passive remissività, dove andremo a finire?».
E in crescendo la sotterranea polemica scade di livello quando afferma con stizza sugli strani atteggiamenti «…da pettegola donnicciuola provinciale, che non sa rendersi superiore a certe miserie e a certe vanità, mi lasciano, per parte mia, perfettamente indifferente».
E ancora sempre più stizzito minaccia come rappresaglia: «…di compensarla con la moneta che le compete: pubblicando in cartolina illustrata la caricatura del Musacchio e diffondendola in tutto l’orbe terracqueo».
Infine, chiudendo la polemica e decidendo di non dare alle stampe la caricatura, se la prende con l’Imperatori concludendo che: «Fu lui che, dopo averle reso il disegno e il cliché di Musacchio, incominciò a diffondere la notizia dell’affare un po’ dappertutto, facendone oggetto di derisione e di scherno» e infine afferma che «… con Grazia Deledda siamo ora in buoni rapporti: pubblicheremo ora un brano, assai interessante, di un suo romanzo di prossima pubblicazione», che, come vedremo si trattava di un brano del romanzo Marianna Sirca.
Le sorti della rivista andarono sempre più peggiorando soprattutto sul piano economico e finanziario ed essendo scoppiata da pochi giorni la guerra, cedendo allo sconforto scrive: «Io credo che la guerra abbia dato alla nostra rivista un colpo mortale»[8]. E così ebbe fine l’entusiasmante iniziativa del volitivo Deffenu.
Dopo alcuni mesi passati nello studio dell’avv. Maglioni (Deffenu ne storpiava il nome in Magnone[9], lamentandosi d’esservi stato sfruttato), ai primi di maggio del 1914 diventa legale dell’USI e va ad abitare nella casa di quello che sarebbe stato il suo grande sodale di quest’ultimo anno milanese, «Pippo» Corridoni. Con lui, poi, avrebbe vissuto nei giorni della «settimana rossa», il «meraviglioso incubo della rivoluzione». Successivamente al processo intentato all’amico per la sua partecipazione alle agitazioni di quel periodo, avrebbe fatto la sua «splendida deposizione». Al comizio per la sua liberazione prese la parola «spronando i presenti a persistere nell’agitazione, ricorrendo anche a mezzi estremi», come riportano i rapporti di polizia su di lui. Intanto, lavorava a mobilitare le forze rivoluzionarie per la «contro-guerra», e, negli articoli che veniva scrivendo su «L’Internazionale», propugnava «l’organizzazione di giovani guardie rivoluzionarie, armate in offesa della forza pubblica», come scriveva il Prefetto di Parma[10].
Come ci informa lo storico Lorenzo Del Piano nel 1914 «Attilio Deffenu, come Corridoni e gli altri del suo gruppo, fu interventista, e costituì fin dai primi di ottobre, assieme a G. Marinelli, D. Bacchi, U. Clerici, A. O. Olivetti, Tullio Masotti, A. De Ambris, E. Malusardi, V. Rabolini, G. Vidali, M. Bianchi ed altri il Comitato dei fasci di azione interventista rivoluzionaria di Milano, per il quale, come egli stesso scrive, e come il Masotti conferma[11], preparò un manifesto di propaganda interventista».
Arruolatosi volontario, non senza superare qualche difficoltà, assieme agli altri sindacalisti milanesi[12], il Deffenu, che soffriva di cuore, non venne inviato in zona d’operazioni, ma prima a Cagliari, quindi ad Iglesias, dove fu assoggettato ad una sorveglianza poliziesca tanto molesta da suscitare le sue rimostranze.
Sul giornale di Iglesias “Sardegna socialista”, nel 1916 compare una lettera firmata da Un soldato bene informato, che poi sarebbe lo stesso Deffenu, che sostiene: «Nel 2° Battaglione di complemento di stanza in questa città prestava servizio come soldato l’avv. Attilio Deffenu, un giovane sindacalista sulle cui idee si potrà dissentire, ma di cui nessuno può mettere in dubbio l’onestà e la sincerità nel professarle. Egli apparteneva a quella frazione del sovversivismo italiano, capeggiata dal compianto Corridoni, dai De Ambris, Masotti ecc., che allo scoppio della conflagrazione europea si rese conto della gravità del pericolo che involgeva la minaccia di una egemonia tedesca in Europa, e risolutamente con la penna, sul Popolo d’Italia e sull’Avanguardia di Milano, sull’Internazionale di Parma e su altri periodici, e colla parola sostenne la necessità dell’intervento italiano, contrastando nell’ambiente operaio il terreno alla propaganda neutralista dei socialisti ufficiali. […] Né egli si limitò a professare teoricamente la tesi dell’intervento. Egli non appartenne alla razza degli eroi dello “armiamoci e partite”».
Finalmente riesce, con l’unico espediente che possa consentirgli di raggiungere il fronte, a farsi ammettere al corso ufficiali, che frequenta a Modena. Ma durante il corso non è tranquillo: teme sempre che i suoi precedenti politici di sovversivo possano vietare la sua promozione, perciò scrive al padre perché si adoperi presso il sottoprefetto di Nuoro, con Giuseppino Satta (fratello di Sebastiano che in quel periodo era alto dirigente del Ministero di Grazia e Giustizia) e il deputato orunese Francesco Dore, «in modo che le informazioni non siano sfavorevoli[13]».
Dopo il campo alla Porretta finalmente ottiene la nomina, ed è inviato al 209° Fanteria, in zona d’operazioni. Sono i giorni di Caporetto, ma la speranza, come ancora documenta l’epistolario, non abbandona il Deffenu, che trasfonde il suo entusiasmo alle truppe, specie quando è trasferito al 152° Fanteria, Brigata Sassari, come ufficiale addetto alla propaganda.
Tragica fine quella del giovanissimo Deffenu, muore infatti in combattimento tra Croce e Fossalta di Piave il 16 giugno 1918. Gli verrà in seguito concessa la medaglia d’argento al valore militare.
Dopo la tragica morte molti tentarono di intestarsi la figura del Deffenu, dapprima i sardisti con Camillo Bellieni che ritenne Attilio come la «figura idonea, se ne avesse avuto il tempo, a creare in Sardegna una nuova storia civile»[14].
In seguito il fascismo si impadronì della sua figura, cosa che di recente ha tentato di fare anche un esponente di destra sardo.
Tentativo vano in quanto il pensiero democratico di Attilio Deffenu non può essere confuso e non ha niente a che vedere con la coercizione ed il pensiero autoritario della dittatura fascista del deprecato ventennio e degli epigoni che ancora ne praticano l’ideologia sotto forme diverse ma sempre pericolose per la democrazia di un paese.
Infine occorre ricordare che Francesco Ciusa, che lo conobbe e gli fu caro amico, scolpì una meravigliosa testa[15] che si trova nella lapide collocata nella facciata della sua casa di Nuoro.
*****
Nel concludere vorrei brevemente osservare il lato umano di questo intellettuale solo in apparenza severo, duro e intransigente. Dopo la morte, nella sua cassetta d’ordinanza, furono rinvenuti dei fogli sparsi contenenti delle intime riflessioni che hanno il merito di farcelo apparire ricco di sentimentalismo e di romanticismo.
Questi appunti furono scritti in maniera estemporanea nei momenti liberi dalla trincea nel gennaio del 1918, dove tante giornate erano a volte «…insignificanti e vuote» tanto che viene assalito dalla nostalgia «…il male antico mi riprende, la pena antica mi morde, il cuore acutamente. Perché non trovo pace? Perché nessuna cosa mi attira, nessun volto mi sorride più mai? … Oh, mia fanciulla lontana!». Come è facile intuire volge il suo pensiero al suo amore.
In un altro foglio, appuntando l’incontro con un capitano, scrive dello stesso che pur «…tanto celebrato per la profonda e squisita cultura», col quale ha discusso «di politica, di arte, di letteratura, di musica» considera «…mi ha deluso dopo circa mezz’ora. È la superficialità che si ammanta di spirito brillante! Con uomini di tal tempra si tocca sempre il fondo» ed infine sconsolato e rifugiandosi nel suo segreto cruccio, conclude «Son rientrato nella mia solitudine abbeverato di amarezza… Come sempre, nelle ore di tristezza, l’anima nostalgica si è rifugiata nel ricordo di lei». Ancora nostalgia per l’amore lontano.
Nonostante queste profonde afflizioni trova il tempo di leggere qualche pagina della “Francesca” di Gabriele D’Annunzio annotando:
“Se ne va la mia vita come un fiume
Che fa rapina e non trova il suo mare,
E il rombo m’impaura…”[16]
In altra occasione volgendo lo sguardo al cielo azzurro ove «… salpano a schiere i bei velivoli dai vividi colori, ronzanti al sole come api armoniose. Anche l’anima mia s’impenna ai sogni e vola…» mentre è impegnato a sognare ad occhi aperti gli sovviene un dolce «…ritornello di nostalgie e di amore»:
“Uccelli che volate
Ai venti, all’aria nera
Sino alle terre more…
Uccelli che volate…
Almen per una sera
Le ali mi prestate
Ch’io vada dal mio cuore…”[17]
Il tema del muttu di Sebastiano Satta verte sempre sull’onnipresente cruccio d’amore.
O come dopo aver riletto Gozzano scrive:
“Soffro la pena di colui che sa
la sua tristezza vana e senza mete…”[18]
Infine “…D’un subito mi assale l’acerbo ricordo del mio amore lontano, dell’amore che forse non vedrò più”. E così fu. Triste presagio della sua vicina tragica sorte.
*****
La breve esistenza di questo grande nuorese, lustro della Sardegna e dell’Italia, fu vera gloria?
A voi Signori e Signore l’ardua sentenza…!
[1] A. Deffenu, Epistolario cit., Lettera a Francesco Cucca, Nuoro 9 ottobre 1907.
[2] Sebastiano Satta, I morti di Buggerru, dai Canti Barbaricini.
[3] A Deffenu, Epistolario cit., Lettera a Francesco Cucca, Nuoro 11 luglio 1909.
[4] Riviste mensili del “Corriere della Sera” e de “La Tribuna”.
[5] Imperatori era impegnato con la Nuova Antologia ove pubblicò, il 6 ottobre 1912 e il 16 marzo 1914 un lungo saggio intitolato: «Sardegna d’oggi: Il Capo di Sopra, il Capo di Sotto».
[6] Cesare Annibale Musacchio, noto caricaturista romano, collaboratore del Giornale d’Italia.
[7] Lettera di Deffenu a Cucca del 31 gennaio 1914.
[8] Lettera del 27 agosto 1914.
[9] «Carissimo papà, … Ho piantato definitivamente quell’avvocato magnone ch’era la quintessenza della taccagneria e della grettezza…».
[10] «Corridoni era in carcere. E toccò proprio ad Attilio, che, suo avvocato, s’era recato con Amilcare De Ambris a fargli visita a San Vittore, di portarci la lieta, attesa notizia che anche lui era pienamente d’accordo con la posizione assunta dai sindacalisti di fronte al problema della guerra».
[11] Cfr. più oltre la lettera firmata «Un soldato bene informato», e T. Masotti, Attilio Deffenu, nel volume miscellaneo «Celebrazioni sarde», Urbino, 1937, ed estratto, Nuoro, XVIII (1940), pag. 8 dell’estratto.
[12] T. Masotti, Corridoni, p. 257.
[13] T. Masotti, Attilio Deffenu, p. 9.
[14] Camillo Bellieni, Attilio Deffenu e il socialismo in Sardegna, Cagliari, 1925.
[15] La piccola testa è sulla lapide in Nuoro che indica la casa nativa di Attilio Deffenu.
[16] Francesca da Rimini tragedia in versi e in 5 atti di Gabriele D’Annunzio. Atto 1°: Samaritana – O Francesca, Francesca, anima mia, / chi hai veduto? Chi hai tu veduto?
Francesca - No, non ti sbigottire! / Che mi guardi negli occhi? / Di che male malata sono? Chi, / chi ho veduto?
La vita se ne va, / se ne va come un fiume / che fa rapina e non trova il suo mare: / e il rombo m’impaura…
[17] Cuori lontani II, dai Muttos di Sebastiano Satta.
[18] Pioggia d’agosto di Guido Gozzano.