Se questo è “cambiamento”, di Benedetto Sechi

 

Non c’è dubbio che qualcosa sia cambiata nel profondo della società italiana. La crisi economica, ma soprattutto quella morale e perfino religiosa, ha inciso nel profondo delle coscienze lasciando solchi evidenti, che ne trasformano l’identità, ammesso che gli italiani ne abbiano mai avuta una, che potesse tracciarne il carattere di popolo.

In realtà , quella italiana, è una società che non ha mai voluto fare i conti con se stessa. L’Italia messa insieme sotto il traballante regno sardo-piemontese, governato dalla peggiore dinastia reale europea, con evidente disprezzo per i sudditi meridionali, si è trascinata negli ultimi due secoli attraverso due grandi guerre, più quelle coloniali, un regime fascista che ne sottolineava gli aspetti più deteriori ed infine un lungo governo democristiano, che di crisi in crisi, era condannato a succedere sempre a se stesso.

Stragi di stato, terrorismo nero e rosso, sono stati, l’uno utilizzato da quelli che oggi per comodità si chiamano “poteri forti”, l’altro come risposta infantile e terribile per cercare  di voltare pagina, ma che alla fine ha fatto il gioco di chi il potere lo teneva saldamente nelle mani, come ha dimostrato l’intera vicenda Moro.

Oggi siamo all’ennesimo “cambiamento epocale”. Il berlusconismo, la stagione dell’Ulivo, il renzismo. Il primo, forse quello dal quale bisognava trarre  maggiore insegnamento,  fu quello di mani pulite, avviato da inchieste giudiziarie, subite da un sistema politico che poco dopo rinasce, con gli stessi protagonisti, attraverso il berlusconismo e il leghismo di maniera.

Due soggetti apparentemente contrapposti, i primi raccoglievano i cocci del pentapartito, gli altri giustizialisti inflessibili.

Strano connubio vero? Neanche tanto ad osservarlo bene, la corruzione permeava già da allora anche i leghisti di Bossi, prima ancora delle ruberie ad opera di Belsito, con la tangentina Montedision, incassata e poi restituita dal Senatur. Una vicenda che chiarisce, se ve ne fosse bisogno, quanto labile sia lo spessore morale della classe politica, ma anche delle genti che abitano la penisola italica.

La crisi delle ideologie classiche, racchiuse nelle categorie destra e sinistra, fa emergere ancora meglio l’assenza totale della dimensione di Italia, come nazione.

Assistiamo, per questo, alla spasmodica ricerca di nuovo cemento nazionale. Qui il festival della retorica e della fantasia raggiunge picchi grotteschi. Vediamo perciò leader politici, agguantare crocifissi, rosari  e testi sacri,  blanditi contro i nuovi invasori, poveracci affamati dalle guerre e dai nuovi sistemi coloniali, fare incetta di consensi, in ogni strato sociale e culturale.

Poco importa se se c’è da prendersela anche contro il Papa, per sostenere improbabili interpretazioni evangeliche. Anzi anche quest’ultimo, venendo da terre lontane, è un potenziale nemico della rinata italianità.

Poco importa se nessuno di quei leader, quasi certamente non avrebbero passato l’esame  di catechismo, con la mia maestra, per la prima comunione.

Alla gente sta bene così. La crisi economica, ma soprattutto quella etica e morale, ha bisogno di valori a buon mercato, di nemici dai quali difendersi e quindi anche improbabili capi politico/religiosi sono ben accetti.

Insomma abbiamo anche noi i nostri Himam proprio come l’Isis e gli stati islamici. Ma c’è una differenza sostanziale. Non più la religione di stato, non più libera chiesa in libero stato, ma la politica che entra con i piedi nella religione e cerca di piegarla alle sue esigenze, ne ha bisogno come linfa vitale, ma non vuole intermediari, una variante della democrazia diretta.

Pretende di entrare, direttamente, nella dimensione spirituale delle persone, per circuirle con l’unico argomento credibile che le è rimasto, seppure sottratto alla Chiesa ufficiale, non allineata al nuovo corso politico.

E’ la crisi politica, del sistema dei partiti, così come sancito dalla Costituzione, che si è suicidato in questi ultimi venticinque anni. E’ la crisi anche della laicità. Non c’è posto in quest’uso strumentale della religione, né per il pensiero liberale, ma, peggio ancora, neppure per una professione religiosa che non sia “coerente” con la nuova politica, che la vorrebbe marcatamente integralista.

Si fa vivere l’Italia dentro una perenne “bolla elettorale”, fatta di mirabolanti promesse: pensioni, redditi di cittadinanza, tasse dimezzate, libertà di incrementare l’economia sommersa, atte a migliorare la condizione di vita, sensibilmente peggiorata, la cui causa, a detta dei fautori del “cambiamento”, risiede sempre fuori dal bel paese.

E’ straordinario vero? Nulla di nuovo. In fondo tutto questo, con accenti diversi, è quello che è accaduto in questi ultimi lustri, ma viene sfacciatamente spacciato, comunque, per cambiamento.

Non volere fare i conti con se stessi, questo è il grande danno che questa stagione politica sta compiendo.

Non mettere mai in discussione modelli sociali ed economici obsoleti e destinati ad essere abbandonati dai paesi più accorti. Troppo faticoso e poco pagante in termini elettorali, un progetto sociale che responsabilizzi i cittadini ed il sistema istituzionale, sia centrale che periferico.

Eppure c’è tanto da fare e ci sarebbe una prospettiva perfino allettante.

I sardi e la Sardegna, ad esempio, potrebbero aiutare se stessi, ma anche tutti gli italiani,  se fossero consapevoli della forza identitaria che possono esprimere. Se invece di inseguire questo nuovo corso italiano, buono solo a dare effimere rappresentanze parlamentari, dessero vita ad un processo solido e partecipato per modificare l’impianto statale in senso autenticamente federale.

Se a partire da questi mesi, che precedono le elezioni regionali, unissero le forze per modificare il loro destino, prendendo in mano, convintamente, il governo dei processi di sviluppo, sociale ed economico.

In fondo è quello che, neanche troppo sotto-traccia, stanno facendo il Veneto e la Lombardia. La sfida della politica deve essere su questo tema, altrimenti rassegniamoci ad essere governati, ancora, da questo improbabile “cambiamento” che oggi si identifica con la Lega e la destra più illiberale, accucciati come sempre sotto il tavolo, per raccogliere qualche briciola.

 

17 giugno 2018, Benedetto Sechi

 

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    1 Comment to “Se questo è “cambiamento”, di Benedetto Sechi”

    1. By Mario Pudhu, 22 giugno 2018 @ 07:11

      A noso Sardos s’Itàlia nosi at iscagiau in totu is termovalorizadores suos a su puntu chi oe nosi podeus cunsiderare “evaporati”, diventaos nébide, mancu nuighedhas, cun sa cunvintzione de nosi agiudare ca nanca nosi serbiat e serbit agiudu chi sinono iaus a èssere mortos e mòrrere de repente fintzes de fàmine, chentza ischire chi s’Itàlia at isfrutau e isfrutat sa Sardigna e is Sardos cantu no ant fatu totu is domínios angenos postos impare in totu su tempus innanti chi ndh’aus tentu, e ancora prus dhi serbeus oe solu cun cuss’iscopu de domíniu.
      Ignorantes e “dotti” istudiaos coltivaos che prantàgia in is méngius “serras” , seus solu ammammalucaos ca nos at fatu “civili” chentza ischire it’est custu fuedhu e mancu chie seus, ne ite seus e mancu inue portaus is peis gratzias a is illusiones chi ndh’aus bodhiu prexaos e s’ignorantzia chi nosi at imparau in d-un’iscola assurda e infame.
      Sa ‘fortza’ identitària chi at fatu ossessionare e ossessionat is Sardos est ancora cussa de is “figli della lupa”, antzis “all’avanguardia” puru seus cumbintus de èssere “i migliori italiani”, coltivaos deosi cun s’allenamentu chi nosi at fatu fàere sa “màchina”/Istadu e sa “palestra” de totu is partidos, de is prus fascistas a is prus ‘rivoluzionari’, de is prus natzionalistas a is prus regionalistas e totu is sociedades e associatziones de dónnia genia e misura fintzes solu po giogai a birillas.
      A dónnia modu is Sardos, sèmpere in su puntu de ispirare morindhosi si sa caridade de s’Itàlia – de calesiògiat marca – no nosi giaet pagu pagu de ‘ossigeno’, seus totus, che in sa ‘méngius’ dipendhéntzia, sèmpere e solu e guvardamente pedindo, pregandho e ibertandho s’agiudu de su muru de gomma e segundhu Sechi iaus a pòdere agiudare no solu a noso etotu ma inderetura totu is Italianos?!
      Ma candho est chi dh’acabbaus de pèrdere tempus cun totu is illusiones de dónnia genia e misura e pentzaus cun responsabbilidade e capacidades a fàere is contos cun noso etotu?
      Candho dh’acabbaus cun s’illusione de «modificare l’impianto statale in senso autenticamente federale» candho a s’Itàlia no dhi serbit una federatzione chi no siat unu regionalismu nominale parassita e imbroglione po noso (ca is regiones e Regiones de s’Itàlia funt s’Itàlia!)? A s’Itàlia dhi podet serbire un’àteru fascismu, si no dhi est bastau su chi at connotu, po giare prus fortza a is afàrios suos in sa cambarada de is cuadhos de punta de s’economia de gherra.