S’ISTRAMPADA DE S’INCUISIDORE – LA CADUTA DELL’INQUISITORE, Pagine da un testo teatrale di Federico Francioni

Sassari, 27 aprile 2018, piazza Santa Caterina: una scena dell’adattamento de “La Caduta dell’inquisitore” da parte di Arza Teatro.

 

Premessa. Nel 1702 accadeva a Sassari qualcosa di inaudito ed in gran parte non prevedibile, sebbene un conflitto giurisdizionale fra poteri diversi si fosse già sviluppato da tempo. Siamo ormai negli anni che precedono la fine della dominazione spagnola in Sardegna. Il commissario viceregio don Dionisio Gonzales de Mendoza, inviato da Cagliari, eseguì l’ordine di cacciare manu militari l’inquisitore Juan Corvacho e di accompagnarlo a Porto Torres per l’imbarco. Forse quello che il governo non aveva previsto – e tantomeno voluto o gradito – era stato l’ammassarsi di un gran numero di persone de todo genero (come risulta da documenti dell’epoca) intorno alla sede del Sant’Uffizio, nel Castello della città.

 

Corvacho, il cui nome, quasi certamente, era destinato a suscitare battute più o meno sommesse tra la popolazione, era entrato in urto col governo regio, con la Curia arcivescovile e con il Consiglio civico di Sassari. In primo luogo aveva intimato al governatore del Capo di Sopra, Pietro Amat Gambella, di liberare dal carcere un uomo che aveva rubato dei buoi in località San Michele di Plaiano. Là sorgeva un’abbazia (la chiesa esiste tuttora ed è visibile sulla destra della Buddi-Buddi nel tragitto che conduce da Sassari a Platamona o a Sorso) dalla quale l’Inquisizione traeva una quota delle proprie rendite. In breve: l’inquisitore riteneva che punire questo ladro spettasse a lui, non alla magistratura regia. Gli venne risposto che si trattava di una questione che non toccava materia di fede e di religione; per di più il furto era avvenuto nell’incontrada di Romangia, dove l’inquisitore non era enfiteuta o feudatario, titolo spettante invece al barone di quel luogo.

 

Come si era verificato in altre occasioni, il governo di Cagliari chiese che venisse organizzata una conferencia onde sanare il dissidio in via, diciamo così, diplomatica ma il Corvacho oppose un netto rifiuto. Della vertenza veniva allora informata la reyna governadora che da Madrid rispondeva dichiarando totalmente infondate le pretese dell’inquisitore, ribadiva che questi non poteva immischiarsi nelle attività degli ufficiali regi e rimproverava infine la Reale Udienza, il massimo organismo giudiziario dell’isola, perché non aveva agito speditamente. Se il Corvacho avesse insistito nelle sue pretese, si sarebbe resa indispensabile la sua espulsione dal Regno.

 

La svolta. Era solo l’inizio di un precipitare degli eventi che portarono ad una svolta storica: in primo luogo, il 7 novembre 1702 il segretario Gavino Mallano ed altri uomini del Sant’Uffizio fecero irruzione nel duomo di San Nicola – proprio mentre don Gavino Pisano si accingeva a celebrare la messa – e lanciarono contro il Regno di Sardegna, dunque contro tutta la società isolana, un interdetto verso ogni pretesa di condizionare l’organismo inquisitoriale e di indurlo a trattare intorno ad un tavolo. In seguito si giunse al punto che la Curia arcivescovile ed il capo dell’Inquisizione si scomunicarono reciprocamente. Seguirono nelle chiese scontri ed incidenti fra i ministri delle due istituzioni, con grande alboroto y escandalo degli abitanti della città, che già nel 1579, con tutti i sardi, erano stati accusati dall’arcivescovo turritano ed inquisitore don Alonso de Lorca di essere nemici “capitalissimi” della “nazione spagnola”.

 

Il 25 novembre del 1702 la regina scrisse che si doveva inderogabilmente procedere ad un pronto e meritato castigo: l’espulsione del Corvacho. In seguito il Castello di Sassari fu circondato dalla truppa a cavallo; Gonzales de Mendoza, inviato dal viceré don Fernando de Moncada, duca di San Juan, fece abbattere le porte e non solo rimase imperturbabile di fronte alle minacce dell’inquisitore, che lo accusava di sacrilegio, ma lo afferrò anche per la collottola e lo trascinò fuori. Nel primo quarto di miglio per Porto Torres, il gruppo fu accompagnato da un’immensa folla, di sicuro convenuta nella piazza e mobilitata non di certo dal commissario viceregio, ma da un passa-parola, quindi non del tutto spontaneamente.

 

Un precedente del “caso” Corvacho: l’inquisitore Diego Gamiz. Un epilogo inglorioso della carriera, proprio quello che toccò a Corvacho, era stato evitato un’ottantina di anni prima da un altro inquisitore, Diego Gamiz: il 14 gennaio 1617 (era allora viceré don Carlos de Borgia, duca di Gandìa) questi era riuscito ad evitare di essere cacciato dalla Sardegna, sottraendosi agli inviati del governo (che avevano fatto irruzione nel Castello) e rifugiandosi  presso i frati domenicani. Raggiunto in quel convento, aveva evitato l’espulsione rimangiandosi la decisione di scomunicare due ufficiali che avevano arrestato Sebastiano Carbini, un familiar dell’Inquisizione, accusato di aver procurato la fuga di alcuni indagati. Ecco un altro caso, fra i tanti, di un conflitto con le istituzioni civili, scatenato dalle prerogative che gli inquisitori pretendevano di esercitare anche in vicende che, con tutta evidenza, non concernevano materia di fede. Nel 1618, dopo che Gamiz lasciò Sassari, da Madrid venne ordinata una visita di controllo che accertò a suo carico pesanti addebiti. Sappiamo che delitti anche gravissimi venivano consumati dai familiari (facenti parte della rete spionistica del Sant’Uffizio) i quali si sottraevano ad ogni giusta punizione con la complicità sia dello stesso inquisitore, sia dei tribunali regi i quali, il più delle volte, lasciavano perdere e non perseguivano numerosi rei.

 

Nel 1702, in definitiva, il capo di un tribunale assai temuto, ma anche avversato, finiva ingloriosamente la sua carriera. Era un duro colpo, inferto all’Inquisizione dal governo spagnolo, anch’esso avviato verso un ridimensionamento dei suoi domini, dopo la morte (1700) del re Carlo II d’Asburgo e l’avvento al trono di Filippo V di Borbone, ciò che darà luogo, com’è noto, alla Guerra di Successione.

 

Il testo teatrale. Qui si propongono solo le pagine iniziali di un testo teatrale col quale ho fatto in prevalenza riferimento alle ricerche storiche di Romano Canosa, ma anche e soprattutto a quelle sull’Inquisizione spagnola in Sardegna che, dopo le indagini di Giancarlo Sorgia, si sono notevolmente sviluppate ed arricchite grazie alle fondamentali monografie di Angelo Rundine, di Tomasino Pinna, ma soprattutto di Salvatore Loi, il quale ha fatto compiere alle indagini sul tema un notevolissimo salto qualitativo. Ho visto anche fonti dell’Archivio della Corona d’Aragona, dell’Archivio di Stato di Cagliari, dell’Archivio storico del Comune di Sassari, dove ho usufruito della cortesia del personale, in particolare del dottor Paolo Cau, direttore dell’istituzione sassarese.

 

Dei rapporti non proprio idilliaci fra governo spagnolo e Inquisizione operante nell’isola si trova conferma anche in Acta Curiarum Regni Sardiniae, l’edizione critica degli atti degli Stamenti, l’antica istituzione rappresentativa sarda di Antico Regime (ho curato Il Parlamento del viceré Nicola Pignatelli duca di Monteleone 1688-1689, Cagliari, Consiglio regionale della Sardegna, 3 voll., 2015). Gli atti finora pubblicati si trovano non solo in formato cartaceo ma anche on-line per meritoria iniziativa dell’Assemblea legislativa isolana.

 

Di seguito il lettore troverà solo le prime due scene di un’azione teatrale in quattro tempi ed in un quadro finale, che intende essere un mio modesto tributo a The crucible (Il crogiuolo), scritto dal drammaturgo americano Arthur Miller non solo sulla caccia alle streghe del 1692 a Salem (Massachussets), ma anche e soprattutto contro il maccartismo imperante negli Stati Uniti del secondo dopoguerra.

 

I nomi dei personaggi sono di mia invenzione, tranne quello di Baingeddu Musina,  parziale trasposizione ad un’epoca successiva della figura un giovane studente sassarese che effettivamente nel 1618, essendo inquisitore il già ricordato Gamiz,  era finito nel mirino del Sant’Uffizio. Gavino Musina, allievo del teologo Tommaso Gastaldo (appartenente all’ordine dei predicatori), aveva pubblicato delle Conclusiones giudicate evidentemente poco ortodosse e corredate per di più dallo stemma dello stesso Gamiz (forse con un intento dissimulario o per ottenere una legittimazione): ciò emerge dalla ricchissima documentazione archivistica riportata nello studio del già ricordato Rundine. Non fu certo il primo ed ultimo studente universitario sardo ad essere sospettato di posizioni che sapevano di eresia.

 

 

 

De S’istrampada de s’incuisidore, La caduta dell’inquisitore, il regista Romano Foddai ha curato una riduzione ed un adattamento, realizzati a Sassari venerdì 27 aprile di quest’anno, alla vigilia di Sa die de sa Sardigna. Si è trattato di uno spettacolo itinerante che si è snodato fra piazza Santa Caterina, piazza del Comune e il sagrato del Duomo di San Nicola. Sono stati rievocati anche alcuni episodi del triennio rivoluzionario sardo 1793-96, che culminarono nel trionfale ingresso a Sassari di Giovanni Maria Angioy, capo delle rivolte antiassolutistiche ed antifeudali. Un pubblico numeroso ed attento ha applaudito gli attori della Compagnia S’Arza: Maria Paola Dessì, Beatrice Mura, Nicolino Murru, Francesco Petretto, Stefano Petretto, Fabio Uleri e Matthias Ulfeng. Caloroso anche il riconoscimento andato al corpo di ballo tradizionale “Monte Alma” di Nulvi, nonché al coro “Amici del canto sardo”, diretto da Salvatore Bulla, che ha emozionato gli spettatori intonando l’inno nazionale isolano Procurade de moderare sotto il busto di Angioy nella piazza del Municipio. Di seguito, come si è detto, le prime due scene del testo teatrale, dedicato alla memoria di Leonardo Sole, mastru mannu de su teatru in limba sarda, a Gianfranca Masia Fadda, a Clara Farina, atora e retzitadora, a Nora Manca, attrice e regista shakespeariana.

 


 

Primo Tempo

 

 

Scena I

 

 

In un angolo della piazza del Castello di Sassari, sede dell’Inquisizione. Entrano, quasi contemporaneamente, Baingeddu Mesina e Frantziscu Cossu Rocca.

 

 

 

Baingeddu: Ma … Frantziscu … tue ses!?!?

 

Frantziscu: Emmo, deo so! Mi’ a Baingeddu … abbaidade-lu!

 

Baingeddu: Dae ue benis? Est dae tempus meda chi non tèngio noas de tie.

 

Frantziscu: Amigu caru, deo so recuidu dae s’Ispagna, dae sa terra de sos hidalgos. Mi so iscritu a s’Universidade de Salamanca e dae tres annos, in cuddane, isto istudiende ius, derecho, diritu. E tue?

 

Baingeddu: … e deo … deo bèngio dae s’Italia! Apo istudiadu filosofia in s’Universidade de Bologna, a pustis so passadu a Pisa.

 

Frantsiscu: Como m’ammento. Giai l’ischia dae sa famìlia tua chi non ti fias iscritu in s’Universidade de Tàtari.

 

Baingeddu: Pròpiu gai. A nàrrere su beru, deo disigiaia tantu cambiare, connòschere àteras terras, àteros pòpulos. E tue puru, potzo immaginare. Tzertu, pro sas famìlias nostras, e s’una connoschet a s’àtera, est un’impignu, unu sacrifìtziu mannu meda. Babbu m’at nadu chi bi creet, chi lu faghet pro abèrrere una carrela a su tempus benidore meu. Istudiende in Ispagna e in Italia b’ant possibilidades magiores pro sa professione, pro diventare letrados. E deo chirco de non deludere a isse e a mama.

 

Frantziscu: Paràulas giustas meda! Aisculta, Bainge’, deo amo sa Sardigna, non minisprèssio s’Universidade de Tàtari, in antis de partire bi apo connotu professores istimados. In dogni manera chèrgio recuire e fraigare inoghe sa vida mea, unu progetu meu. Pro a tie creo siat su matessi (Baingeddu annuisce), ma deo puru chèrgio fàghere un’esperièntzia in terra angena, in antis de torrare a m’impignare pro custu pòpulu.

 

Baingeddu: S’ispiritu matessi nos ghiat!

 

Frantziscu: Bene meda ma, Bainge’ (gli si avvicina e gli parla con maggiore confidenza), sa lissèntzia de istudiare in Italia tue a su guvernu l’as preguntada?

 

Bainzeddu: Tzertu, hidalgo istimadu, apo retzidu su permissu de istudiare in Italia, en conformidad al orden del rey nuestro señor Felipe segundo, de gloriosa memoria, que Dios guarde (s’inchina ridendo).

 

Frantsicu: Ah, gai est! (recita versi in spagnolo).

 

 

 

Hipogrifo violento

que corriste parejas con el viento,

?dònde, rayo sin llama,

pàjaro sin matiz, pez sin escama,

y bruto sin instinto

natural, al confuso laberinto

destas desnudas peñas

te desbocas, arrastras y despeñas?

 

 

 

(Quindi, con tono solenne) Calderon de la Barca, La vida es sueño!

 

 

 

Baingeddu: Cumplimentos mannos! Cando sos versos sunt goi bellos e galanos, podimus imparare meda dae s’Ispagna puru! Ma podimus fraigare versos e traduire puru in tataresu! (Declama in sassarese la prima terzina della Commedia di Dante).

 

Di l’omu giuntu a mezu di la vida

eu m’acciapesi in una baddi uschura

chi la carrera giustha era ivanida.

 

 

 

Frantziscu: Però … bravu … cumplimentos a tie puru…

 

Baingeddu: Narami, Frantzischi’, ite nde pensas tue: nois benimus dae sas biddas ma tenimus cussèntzia chi sardu e tataresu sunt parte de una pessonalidade matessi. Malaitos cuddos chi ponent su tataresu contra a su sardu, traballant contra a s’unu e contra a s’àteru!

 

Frantziscu: Tenes resone, pròpiu gai!

 

Baingeddu: (cambiando tono). Ma … unu momentu … est pròpiu cun sos versos de Calderón de la Barca chi in Ispagna sos màscios faeddant a sas fèminas?

 

Frantziscu: Beh, carchi tzerimònia bi cheret, en la tierra del estilo barroco, ma …

 

Baingeddu: E duncas, non mi contas nudda de sos coros de sas fèminas ispagnolas chi ses resessidu a cunchistare?

 

Frantziscu. Tzertu … tzertu … (con tono solenne e allo stesso tempo sbruffone) dae Madrid a Granada, dae s’Andalusia a Bartzellona … sunt istadas mìgias e mìgias …

 

Baingeddu: Duncas a Salamanca ses abarradu pagu. Imbetzes de fàghere s’istudiante de sa Universidade, as postu fatu a sas munneddas de sas damas peri s’Ispagna intrea!

 

 

 

Frantziscu: Andat be’ … Bainge’ … como semus brullende … in dogni manera a tie disigio contare pròpiu totu … tèngio s’amorada a Salamanca … non bido s’ora de recuire … issa at cunchistadu su coro meu … bi penso dae su mangianu a su sero … mi’, ti isto narende custu proite … pro a mie ses comente unu frade … Est una fèmina chi resessit a unire bellesa e intellighentzia!

 

Baingeddu: Hidalgo meu istimadu, duncas una dama ti est aisetende in Ispagna. Bene meda, so cuntentu pro a tie. Ma tue puru mi deves fàghere sos augùrios proite deo puru so innamoradu … de Maria … Maria! … Maria! … inoghe, in Tàtari … mi so cuasi identificadu cun issa …

 

Frantziscu: Emmo, Bainge’, pròpiu gai, nos devimus iscambiare agiudu, comente amus semper fatu, e augùrios … ma Bainge’  … (a questo punto cambia tono) … deo ischia bene chi unu tempus sos guvernantes teniant in suspetu sos chi frecuentaiant sas Universidades de Bologna e de Pisa proite aiant timòria chi issos poderent giùghere in Sardigna ideas erèticas, luteranas.

 

Baingeddu: Mama, ite cosa orrorosa ses narende, mi’ su diaulu, mi’ (ridono entrambi).

 

Frantziscu: (anch’egli con un tono tra irridente e scherzoso). Ma custa est una contestatzione de su podere!

 

Baingeddu: (questa volta è serio). Su chi tue naras est beru. Semus cuntrollados. In calesisiat manera, però, su bentu, dae sos ùrtimos annos de su sèculu coladu, est cambiende. S’acurtziat s’arvèschida de unu tempus nou, nde so seguru, tue puru l’intendes.

 

Frantziscu: Tzertu, est gai … Comente si siat, apo intesu dae pagu chi s’Incuisidore chi b’at oe in Tàtari, custu ispagnolu, Juan Corvacho …

 

Baingeddu: Ma … chie … (si avvicina a Frantziscu e parla con lui in tono sommesso e confidenziale) cust’òmine chi est cramadu dae su pòpulu, in tataresu, corbu nieddu, maru e ifuttiddu? (Se la ridono entrambi).

 

Frantziscu: (con tono estremamente riservato). Atintzione, però, Bainge’, custu corbu est òmine malu meda. Isse est betende acusas a manca e a drestha! Est in gherra cun totus!

 

Baingeddu: Deo puru apo intesu una cosa goi.

 

Frantsìziscu: (Si avvicina a Baingeddu e parla a voce bassa). Mi’ … lupus in fabula … ma no … non bi poto crèere … oh, atentu Bainge’, est arribbende unu teracu, unu familiar, comente lu cramant … indunas … un’ispia de s’Inquisitzione! S’istivignu suo est Stringidenti, in italianu, proite forsis sa famìllia fiat originària de Genova.

 

 

 

Scena II

 

 

 

Nello stesso angolo della piazza del Castello: Baingeddu, Frantziscu e Stringidenti, “familiare” dell’Inquisizione.

 

Stringidenti: E bravos custos duos giovanos! Como si sunt postos a sa cunchista de su mundu e … mancari … mi’ … sunt cumbintos de bi la fàghere! Ma narami tue (a Baingeddu) … dae Pisa ses arribbadu?

 

Baingeddu: Dae Pisa … deo … emmo … e vosthé comente faghides a l’ischire …

 

Stringidenti: Giai l’isco … giai l’isco …

 

Frantziscu: (per far capire a Stringidenti che l’ha riconosciuto). Eh … issos connoschent totu de totus … fintzas sos secretos prus cuados … de sa cussèntzia …

 

Stringidenti: (minaccioso, stringendo i denti, a conferma del suo soprannome). Mi’, bello be’, atintzione eh, a tie … cumbenit de ti calliare mudu!

 

Frantzischinu: (con finto ossequio). Ah, cando est gai!

 

Baingeddu: (a Stringidenti). E deo ite poto fàghere … missegnore! Tando, pro respondere a vosthé … una borta … fia in Pisa, in s’oru de su riu, de s’Arno mi’ … e apo addoviadu, apo addoviadu … a bi pensades … a Martin Lutero …

 

Stringidenti: (alquanto sorpreso dalla provocazione). Mah … e ite ses narende … (improvvisamente minaccioso) … faulàrgiu!

 

Baingeddu: (insistendo). Emmo, emmo … pròpiu a isse … a Lutero … lu podides imaginare … fiat betzu catroddu … lanzigheddu … de totus sos dentes de in antis … nde teniat … unu solu … e in prus … de prata … a su mancu goi m’est pàrfidu … beh, pro la fàghere curtza … a l’ischides ite m’at nadu? Lutero m’at dadu sos saludos pro vosthé (a Stringidenti), proite isse isperat de bos agatare, una die, in s’àteru mundu …. a s’Inferru, mi’ (ride).

 

Stringidenti: (furioso). Ite ses narende, faulàrgiu, delincuente, t’apo a imparare deo su rispetu chi mi deves!

 

Frantziscu: Bastat como! Finimmira (cerca di spingerlo fuori della piazza, aiutato da Baingeddu).

 

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