L’ elica e la Luce, di Maria Michela Deriu

Le futuriste 1912-1944, a cura di Chiara Gatti e Raffaella Resch, Museo MAN Nuoro, 9 marzo 10 giugno 2018.

 

Sono rimasta così affascinata dalla mostre delle donne futuriste che vorrei iniziare anche io con una riflessione, nel linguaggio prediletto dalle futuriste: la parolibera. 

 

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Varcata la soglia del MAN sguardo a destra sulla bianca parete una scia di luce proietta sfocate immagini in bianco e nero.

Il cortometraggio racconta come durante la guerra le donne dovevano sostituire gli uomini impegnati al fronte.

Donne nelle fabbriche, donne negli uffici, donne presenti nell’aviazione.

Le immagini, i rumori ti avvolgono. Metti da parte preconcetti e pregiudizi ed entra nel mondo del futurismo.

Ci accoglie la Signora Eliana Brotzu, guida del museo. La Signora Brotzu  ci spiega che la mostra è organizzato in ordine cronologico e quello che vediamo è la testimonianza delle donne che durante la guerra hanno mandato avanti un’intera economia. Hanno mandato avanti l’Europa.

Il filmato è ipnotico, difficile distogliere l’attenzione. Ma la mostra continua.

Parete destra, c’è appeso un foglio ingiallito dal tempo:

 

 

Filippo Tommaso Marinetti

Dal manifesto del futurismo 20 febbraio 1909

 

« Noi vogliamo glorificare la guerra, sola igiene del mondo, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna ».

Poco più avanti

Teca a sinistra

Risponde Valentine de Saint Point 25 marzo 1912

L’Umanità è mediocre. La maggioranza delle donne non è superiore né inferiore alla maggioranza degli uomini. Esse sono uguali. Tutte e due meritano lo stesso disprezzo.

Il complesso dell’umanità non fu mai altro che il terreno di coltura dal quale balzarono i genii e gli eroi dei due sessi. Ma, nell’umanità come nella natura, vi sono momenti più propizi alla fioritura. Nelle estati dell’umanità come il terreno è arso di sole, i genii e gli eroi abbondano. Noi siamo all’inizio di una primavera; ci manca ancora una profusione di sole, cioè molto sangue sparso.

 

Non è certo femminista Valentine de Saint Point, probabilmente afferma che sia nell’uomo che nella donna convivono elementi maschili e femminili, un elemento può predominare sull’altro   a seconda della fase storica dell’individuo. Nella sua era Valentine vede una predominanza dell’elemento femminile. da qui il suo disprezzo per l’umanità che la circonda. Il suo ideale è una superdonna di stampo nietzschiano che risolleva la società dalla mollezza in cui è caduta per riportarla a gesta più crudeli e gloriose.

In ogni caso il ruolo della donna all’interno del futurismo è assai controverso ma tante hanno aderito al movimento. Scrittrici, scultrici, pittrici spesso personalità poliedriche che spaziano con disinvoltura nelle diverse espressioni artistiche.

Una sola parola accomuna tutte: GUERRA!

Il disprezzo per la vita semplice e quieta  porta a svilire gli scritti della Deledda e di Matilde Serao” donnicciole che raccontano storielline”.

Il tema della sessualità è sconcertante.

Dal

MANIFESTO FUTURISTA DELLA LUSSURIA

Valentine de Saint Point 1918

 

La Lussuria, concepita fuor di ogni concetto morale e come elemento essenziale del dinamismo della vita, è una forza.

Per una razza forte, la lussuria non è, più che non lo sia l’orgoglio, un peccato capitale. Come l’orgoglio, la lussuria è una virtù incitatrice, un focolare al quale si alimentano le energie.

La Lussuria è l’espressione di un essere proiettato al di là di se stesso; è la gioia dolorosa d’una carne, il dolore gaudioso di uno sbocciare; è l’unione carnale, quali si siano i segreti che uniscono gli esseri; è la sintesi sensoria e sensuale di un essere per la maggior liberazione del proprio spirito; è la comunione d’una particella dell’umanità con tutta la sensualità della terra; è il brivido panico di una particella della terra.

LA LUSSURIA È LA RICERCA CARNALE DELL’IGNOTO, come la Cerebralità ne è la ricerca spirituale.

Correva l’anno 1918, questi concetti, la necessità della liberalizzazione sessuale, vennero ripresi in diversa forma, dalle donne del 1968, ci piaccia o non ci piaccia.

La parola d’ordine era: liberazione, leggerezza, senso, spazio, sintesi tra realtà subconscia e realtà apparente.

 

Nel secondo piano, il tema della mostra  è : il corpo la musica la danza.

Come un quadro di Klimt che prende vita, la danzatrice protagonista si muove, con un ritmo ossessivo, all’interno di un cerchio. La donna  domina la scena con le movenze e con la ricca, regale, acconciatura.

Di seguito, altro filmato: donne in calzamaglia compongono vorticose coreografie segnate dal ritmo del tamburo.

L’immagine dell’orchestra, formata da giovani donne che percuotono un tamburo, è rotta dalle danzatrici in cui l’aderenza del costume accentua le movenze aeree, veloci, meccaniche.

Donne individualmente o in coppia  riproducono la movenza delle ali e l’ebbrezza del volo.

Non si può disconoscere che questa danza anticipi di molto la body art.

L’uso del corpo come luogo di sperimentazione espressiva, attraverso le diverse potenzialità fisiche e la personale percezione, arricchito da nuove e diverse esperienze, è forse il contributo più importante e innovativo delle donne futuriste.

La donna futurista ha una percezione acuta del proprio corpo. Ogni peso è mortale. Ogni leggerezza inebriante.

 

La danza domina la musica.

 

Opere  pittoriche e scultoree arricchiscono questo spazio.

 

Altro spazio, altra sezione : le donne e il volo.

Il rumore dei motori indica che siete già in volo.

Donne belle, giovani, audaci . Sono le prime aviatrici.

 

Ancora sale allestite da opere pittoriche eccezionali, sculture in metallo significative, arazzi singolari. Una produzione eccezionale.

 

Ma chi sono queste Erinni che hanno aderito al futurismo? Quali donne hanno trovato il proprio spazio e riconosciuta la propria identità in questa avanguardia irruenta e antinostalgica?

Tante, e fino agli anni 70, tutte, spesso svalutate, o come è successo per le artiste dei secoli passati, assolutamente dimenticate.

Valentine de Saint Point:

La foto che possiamo vedere nel bellissimo catalogo della mostra ci rimanda l’immagine di una donna pallida, efebica, con abiti ricercati, raffinati.

Vista così, viene difficile immaginare  che in questa quasi fragilità alberghi tanto spirito ribelle, coraggioso, avventuroso.

Come si legge nella sua  biografia”le gesta di Valentine potrebbero ispirare almeno tre fiction”.

Valentine è la pronipote dello scrittore e statista Alphonse de Lamartine.

Sceglie l’arte come codice identitario della sua affermazione personale.

Due mariti, quando si sposerà col secondo marito Charles Dumont andrà a vivere a Parigi.

Collabora subito con giornali e riviste, da Le Figaro alla rivista Poesie di Marinetti.

Scrive poesie, romanzi, opere teatrali.

Dopo aver divorziato da Dumont,  continua ad essere animatrice delle serate parigine nel suo immenso atelier in Rue di Tourville.

Il suo incontro con Marinetti avviene nel 1911. Marinetti la designerà responsabile de L’Action Feminine. Il sodalizio con Marinetti durò pochissimo. A Parigi, nel 1913, al Theatre des Champs-Elysees, rappresenta l’opera “Metacorie”, una danza dai movimenti meccanici e geometrici che lei stesse eseguiva mentre un attore recitava le sue poesie. Tra gli spettatori Picasso, Boccioni, Apollinaire e lo stesso Marinetti a cui l’opera non piacque. A posteriori si può ipotizzare che forse la cosa che gli piacque di meno fu la presenza di Picasso.

Arriva la guerra, la prima guerra mondiale, che la vede volontaria nella Croce Rossa. Il contatto con la sofferenza la porta a rivedere le proprie posizioni, non riuscirà più a credere nella retorica della guerra come sacrificio eroico.

 

Accarezza il sogno di fare nella Corsica un centro degli intellettuali di tutta Europa.

Sfumata questa possibilità, dopo un viaggio in Marocco, si converte all’islam.

L’ultima parte della sua vita si svolgerà al Cairo. Tenterà di spingere le donne musulmane verso un femminismo orientale, partecipò ad una organizzazione che mirava ad unificare gli stati coloniali.

Questo atteggiamento le costò il sospetto da parte dei musulmani e il disprezzo dei francesi.

Morì sola al Cairo e, per sua volontà, fu sepolta col suo nome islamico.

 

All’interno della mostra si possono ammirare opere eccezionali, in gran parte opera delle futuriste italiane. Tra queste ricordiamo:

Benedetta Cappa Marinetti che, per sua scelta, firmò le opere solo col nome di battesimo ,Benedetta, per sottolineare la sua indipendenza sociale e di genere.

Adriana Bisi Fabbri, che dipinge un Picasso schiacciato sui genitali da un cubo, quadro dal titolo “Il cubismo fa male”.

Regina (Regina Cassolo Bracchi), anche lei firma col solo nome di battesimo  il suo bozzetto “Il paese del cieco” che sarebbe stata la copertina perfetta per” Cecità “di Saramago.

Alzira Braga, con le sue tavole in parolibere.

Maria Mori, con la sua scenotecnica cinematografica.

Barbara (Olga Biglieri Scurto), aereopittrice futurista candidata al Nobel nel 2000 (Perchè non si sa)

Luce ed Elica Balla, figlie di Giacomo Balla, che non si fecero schiacciare dal carattere  misogino del padre .

Leandra Angelucci Cominazzini, la sua”Follia” potrebbe stare senza arrossire al Reina Sofia di Madrid accanto ad un Dalì.

Citando la premessa: aldilà di ogni giudizio, questa mostra propone un universo femminile di grande talento. Artiste sepolte e dimenticate, sia per stigmatizzazione del periodo storico, sia per ben note difficoltà di affermazione del genere femminile.

Le futuriste 1912-1944 sono donne, opere e gesta di un’epoca deprecata ma, che ci piaccia o no, fa parte della nostra storia. Regime che ha prodotto lacrime, dolore e sangue, ma lo sguardo su queste opere e la storia di chi le ha realizzata non può che essere aldilà di ogni giudizio.

Tutto questo sotto il cielo di Nuoro e l’aleggiare delle sue grandi anime. Anime che hanno guardato oltre, oltre le valli e le campagne, oltre il pregiudizio e le costrizioni sociali. Oltre le oggettive difficoltà al relazionarsi con il mondo esterno. Tutti loro avevano un orizzonte che andava oltre, oltre,  anche se a Nuoro non c’è il mare.

 

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