A proposito dell’inno ufficiale della Regione Autonoma della Sardegna, di Luciano Carta.
L’Autore, tra le altre opere, ha curato per il Consiglio Regionale, negli Acta Curiarum Regni Sardiniae, in quattro volumi, gli atti degli Stamenti del triennio rivoluzionario (1793-1799).
In questi giorni il dibattito relativo all’inno ufficiale della Regione Autonoma della Sardegna, sicuramente in vista dell’annuale celebrazione di “Sa Die de sa Sardigna/Festa del Popolo sardo”, ha assunto particolare vigore. Una circostanza, questa, che trova alimento anche dalla coincidenza della Festa del 2018 con il settantesimo anniversario della promulgazione dello Statuto Speciale della Regione Sarda. Negli ultimi giorni, inoltre, il dibattito si è confrontato anche, per circostanze probabilmente non fortuite, con la proposta di carattere squisitamente religioso della celebrazione della Mesa in lingua sarda. Come “L’Unione Sarda” ha rivelato nella pagina riservata al “Dibattito” in data 18 aprile 2018, i due temi saranno al centro delle iniziative di “Sa Die” sabato 28 p. v., con la celebrazione della Messa nella cattedrale di Cagliari da parte del Sostituto della Segreteria di Stato del Vaticano mons. Angelo Giovanni Becciu e con un convegno commemorativo nel salone del Palazzo viceregio. Il dibattito in atto e il programma delle celebrazioni sono, secondo il parere di chi scrive, elementi molto significativi di un’aspettativa più generale, che può riassumersi nel desiderio, molto sentito dai Sardi, di affermazione dei valori identitari, di cui la lingua è il primo e più sostanziale strumento.
Presso il Consiglio Regionale risultano depositati due disegni di legge: N. 484 del 13 febbraio 2018, presentato dal Gruppo consiliare dei Riformatori, che ritiene opportuna l’indizione di un Referendum per la “scelta” dell’inno ufficiale della Sardegna, e inviterebbe a scegliere tra tre testi della nostra tradizione etno-musicale (Procurade ’e moderare, No potho reposare, Dimonios); N. 503 del 5 aprile 2018, presentato dagli altri Gruppi consiliari, fatta eccezione per il Partito dei Sardi, che propone di adottare (ma meglio sarebbe dire “riconoscere”) come inno ufficiale il componimento poetico del magistrato ozierese Francesco Ignazio Mannu, Procurade ’e moderare, il cui vero titolo è Su patriota sardu a sos feudatarios.
Colpisce, nel primo disegno di legge, la ravvisata opportunità che i Sardi siano chiamati a scegliere tramite Referendum i tre testi suddetti, dopo che i proponenti hanno scritto, tra l’altro, nella Relazione di presentazione: «Se volessimo interrogarci sul brano musicale sardo che rappresenta l’identità più politica della nostra terra, non c’è dubbio che le attenzioni debbano orientarsi verso Procurade ’e moderare che incarna la ribellione dei Sardi verso qualsiasi tipo di oppressione e servitù». E ancora: «Nella percezione dei Sardi, Procurade ’e moderare è unificante giacché nel corso dei secoli si è radicato nella quotidianità e nel vissuto. Incarna il desiderio di emancipazione di un intero popolo che rifiuta la subordinazione per rivendicare orgogliosamente la capacità di scrivere da protagonista il proprio futuro».
Ottimamente detto sotto ogni punto di vista: storico, identitario, politico, civile. L’inno di Mannu racchiude in sé tutti gli elementi atti a rappresentare il più profondo ”sentire” del popolo sardo. Ma allora, se così è, che bisogno ha il Gruppo dei Riformatori di proporre un Referedum, considerato che queste giuste considerazioni trovano d’accordo tutti i Gruppi, ad eccezione – si diceva – del Partito dei Sardi? Perché non abbracciare, almeno una volta, la provvidenziale quasi unanimità di opinioni e dotare, finalmente, i Sardi di un inno ufficiale, che è sicuramente innervato nella loro più profonda percezione dell’identità sia per i contenuti politici e civili sia per la musica solenne, consacrata dalla tradizione, desunta dal canto dei gosos?
Un inno “nazionale” deve essere dotato, a giudizio di chi scrive, di almeno quattro elementi: deve essere radicato nella tradizione storica; deve esprimere un profondo sentimento civile e di partecipazione; deve esprimere la speranza di un futuro; deve essere emotivamente coinvolgente.
Su patriota sardu a sos feudatarios non v’è dubbio che possiede tutti e quattro questi elementi. Esso affonda le proprie radici nel periodo della Rivoluzione francese – di cui è coevo, essendo espressione della «Sarda Rivoluzione» del 1793-1796 – e come l’inno nazionale francese, La Marsigliese, riconduce a quella fase della storia dell’Europa e della civiltà occidentale che dà inizio, convenzionalmente, all’Età contemporanea e a tutti i valori che essa rappresenta. Chi può negare che per noi Sardi, l’epopea angioiana, di cui Procurade ’e moderare è la fedele rappresentazione poetica, perdente ma sempre viva nella nostra tradizione democratica, sta all’origine della Sardegna contemporanea? Chi può negare che questo inno – che è incorso nella damnatio memoriae nel periodo della Restaurazione ed è stato condannato all’ostracismo al pari dei martiri angioiani, che hanno lasciato per le loro idee di progresso la testa nel capestro – sarebbe diventato, nella seconda metà dell’Ottocento e nel Novecento, il canto dei democratici sardi e del Movimento dei Combattenti? Da questo punto di vista, dunque, l’inno rappresenta quella continuità e quella «solidarietà tra le generazioni», che Marc Bloch ci insegna essere il significato più genuino della storia dei popoli.
Quando cantiamo: «Custa populos est s’ora / d’estirpare sos abusos» ecc., noi Sardi non abbiamo espresso e non esprimiamo, sotto qualunque cielo e in qualsiasi momento storico, il nostro diritto di critica, di avvertimento, di controllo sui governanti da noi stessi eletti? Non stiano ricordando che la società civile nasce dal “contratto sociale” tra governati e governanti? Non intendiamo esercitare, come cittadini, un nostro diritto fondamentale?
Quando cantiamo con amarezza che spesso i più deboli lavorano «pro mantenner in zittade / tantos caddos de istalla», non intendiamo dare un severo monito a chi ci governa, che deve essere sollecito e attento verso i meno fortunati? Non adempiamo a un preciso dovere civico?
Quando ricordiamo, con le parole dell’inno di Mannu, che i balzelli, le tasse, non devono servire solo a «scorticare» (iscorzare) i cittadini, bensì a creare benessere, a favorire la sicurezza personale (chi potat andare e bennere / seguru peri sa via), la vita e la proprietà, perché altrimenti è legittima la ribellione, la disobbedienza civile ed «est locura su pagare», non stiamo enunciando principi di sano civismo?
L’elenco dei “valori civili”, come sa chi conosce questo importante e coinvolgente testo letterario e musicale della nostra tradizione, potrebbe essere ancora molto lungo, ma quanto accennato può essere sufficiente per provare che si tratta di un canto che ha tutte le caratteristiche di un inno che esprime al meglio i valori fondanti della nostra società.
Gli altri testi proposti appaiono, schiettamente, del tutto inadatti allo scopo. È difficile pensare che possa fungere da “inno nazionale” un canto d’amore come “No potho reposare”, che interessa soprattutto la sfera personale, e l’inno della Brigata Sassari “Dimonios”, termine che, tra l’altro, richiama un nomignolo affibbiato dagli austro-ungarici ai nostri soldati durante il primo conflitto mondale: i reuten Toifeln (diavoli rossi, demoni) nel loro significato originario, hanno poco da spartire con un contesto di civiltà, di progresso e soprattutto di pace; la qualifica semmai sta ad indicare una qualità negativa, anche eroica se si vuole, ma negativa e truce.
Esprimiamo l’auspicio che sia giunto finalmente il tempo in cui, messe da parte le pur legittime differenze, i nostri attuali rappresentanti politici regionali si lascino guidare dall’invito del poeta: «Sardos mios ischidade / e sighìde custa ghia»!
In conclusione ci sano consentite alcune precisazioni:
1) La grafia corretta del titolo dell’inno di Mannu reca: Su patriota sardu a sos feudatarios; la lezione Su patriottu è invenzione posticcia e non deve essere usata.
2) Il primo verso va correttamente scritto: “Procurade ’e moderare”; è pertanto errata la grafia, riportata da entrambi i disegni di legge, che oscillano tra “Procurad’e moderare” e Procurad’’ moderare” (addirittura con due apici!).
3) L’inno non è stato scritto nel 1794, come si continua a scrivere; la composizione risale verosimilmente alla fine del 1795, mentre la stampa dovrebbe essere stata fatta a Sassari nei due mesi in cui la città fu in mano alla componente dei “patrioti” sassaresi. In ogni caso l’editio princeps non reca alcuna data.
4) Nel testo del ddl del Gruppo dei Riformatori viene riferita una notizia che non ha alcun fondamento storico. Si dice, infatti, che Francesco Ignazio Mannu, avrebbe pubblicato l’inno «mentre è riparato in Corsica proprio per fuggire a ritorsioni per la sua azione antifeudale». Francesco Ignazio Mannu nel 1795-1796 non si è mosso da Cagliari. A riparare in Corsica non fu un “patriota” progressista come Mannu, bensì i feudatari che avevano fatto di Sassari la cittadella dell’oltranzismo feudale. Il 28 dicembre 1795 un esercito contadino guidato dai “giacobini” Gioachino Mundula e Francesco Cilloco espugnò la città e i due capi della rivolta contadina portarono prigionieri a Cagliari il governatore Santuccio e l’arcivescovo Della Torre. Quando l’esercito contadino entrò in città i feudatari erano già fuggiti per evitare una sorte peggiore rispetto alle due supreme autorità politica e religiosa. Per questo molti di essi ripararono in Corsica.