Paolo De Magistris, la virtù d’un volontario nascosto, di Gianfranco Murtas
Paolo De Magistris, sindaco di Cagliari (ultimo a destra), con Mario Melis, presidente RAS, mons. Ottorino Alberti, arcivescovo di Cagliari, Ariuccio Carta, ministro per la marina mercantile.
Giovedì 2 dicembre 1999, ad un anno e qualche mese dalla scomparsa di Paolo De Magistris, partecipai, insieme con Lucio Artizzu, Lorenzo Del Piano, Bruno Soriga ed Enzo Usai, ad un ricordo collettivo della persona e della sua multiforme attività civica e culturale.
Promosso dalla rivista Chorus, e coordinato dal solito ottimo Paolo Matta, il dibattito – svoltosi, all’insegna del «ricordan… “don”», nell’antica chiesa di Santa Maria del Monte, a Castello – aveva cercato di lumeggiare, dell’indimenticato “servitore” del Municipio che era stato “servito” da Bacaredda, la meticolosità dello storico, la finezza dello scrittore, l’unicum del castellano-letterato, la sua etica del servizio nell’impegno amministrativo, l’esemplarità cristiana nel «momento della croce»…
Titolo indovinato, quest’ultimo. Avevo seguito con la mente e, più ancora, partecipato col cuore, a quell’ultimo, estremo travaglio. Gli scrissi due messaggi, che amo sperare gli siano valsi come conforto, anche se erano niente rispetto a ben altri balsami cui poteva attingere. Messaggi i cui contenuti egli avrebbe ben potuto cogliere nella loro profondità pur essendo la nostra religiosità tinta da colori assai diversi, e che ora, infrangendo i blocchi della riservatezza e del pudore, credo di poter, per rinnovata pubblica testimonianza e nel ventennale della morte, rivelare: «… Lei è testimone di grandi valori, non proclamati ma vissuti e predicati con uno stile che io associo a quello del caro fra Nicola. Avete, anche gli occhi dello stesso colore; e la stessa capacità di ascoltare; e la stessa fede granitica e semplice…»; «… c’è chi mi recupera dallo scoramento ed è lo stesso che si è radicato nella sua vita sofferente e fa coppia fissa con lei: l’Uomo dei dolori e della resurrezione. Io ora, col pensiero a lei, ritorno con la preghiera di cordiale e caritatevole intercessione ai “testimoni” di Colui che dà ragioni e consolazioni. Quarant’anni fa di questi giorni – ero bambino neppure seienne – mi trovai immerso nella fiumana di cagliaritani e di sardi che onoravano fra Nicola, ormai cittadino pleno jure del Cielo. Insisto a paragonare lei al nostro frate beato. Avete gli stessi occhi del cielo e della virtù. E a lui chiedo, per la sua serenità interiore e la fecondità dell’esempio, che le ottenga la carezza tenera di Dio…». Mori il 21 giugno 1998.
Al convegno di Chorus, a me era toccato di dire – come da pieghevole – del “volontario nell’ombra”. Ecco il testo della mia relazione…
Allo smistamento della corrispondenza di guerra
«Circa 50.000 messaggi distribuiti, oltre 40.000 quelli spediti, e alcune centinaia quelli comunicati alla Radio, ivi comprese le “preziose” comunicazioni di nomi captati a radio Mosca. Questi in succinto i dati principali della nostra fatica di 18 mesi…». Una fatica di cui Paolo De Magistris, appena ventenne, scrive, quasi a futura memoria, sul settimanale La Sardegna Cattolica del 4 luglio 1945, illuminando così una pagina poco conosciuta della sua biografia che piace aprire oggi che lo ricordiamo oltre la sua dolorosa scomparsa.
Rientrato dallo sfollamento fra Nuoro e l’Oristanese (e l’Ogliastra anche), egli va a far parte di un piccolo staff— tre persone in tutto – che su incarico dell’arcivescovo Ernesto Maria Piovella provvede allo smistamento della corrispondenza in partenza ed in arrivo fra le famiglie ed i prigionieri sardi internati nei campi militari all’estero e civili comunque impediti di rimpatriare.
Voluto da papa Pacelli ed impiantato dal sostituto monsignor Giovanni Battista Montini, la Santa Sede ha attivato ormai da tempo, nel peggior buio della temperie bellica, un efficientissimo Ufficio Informazioni ed ora la Segreteria di Stato incoraggia l’archidiocesi a fare direttamente quanto può per favorire i contatti fra pezzi di famiglie smembrate dagli eventi.
Dopo l’armistizio, all’arcivescovo ancora sfollato a Dolianova sono cominciate a pervenire quantità crescenti di lettere che i collaboratori settimanalmente hanno impacchettato e spedito col regolare servizio postale, tramite Algeri, alla volta del Vaticano per l’inoltro successivo in mezzo mondo. Da principio le Poste hanno rifiutato i plichi, poi si sono rassegnate a partecipare alla “buona opera”.
Nel febbraio 1944 monsignor Piovella, il suo vicario dottor Ligas e gli altri della Curia sono rientrati nella città devastata, subito raggiunti dai primi bustoni spediti da Palermo ed Algeri e, insieme, però anche dall’assicurazione del buon esito dei recapiti effettuati. Ha iniziato così a funzionare l’Ufficio. Vengono adoperati moduli dattiloscritti «su carta raspata qua e là»; Piovella fornisce i mezzi e si possono perciò stampare alcune migliaia di schede, peraltro esaurite nel giro d’una settimana. Perché veramente migliaia sono i messaggi che ogni volta vengono smistati e distribuiti sul territorio e, più ancora, nella corrente inversa, raccolti e inviati, per le solite vie, alla Città del Vaticano.
Il 4 giugno la capitale viene liberata dall’occupazione burgunda. Qualche giorno dopo De Magistris svolge le prove della maturità, quindi si rituffa nei lavoro: il flusso della corrispondenza si fa «più ordinato ed organico e più rispondente alle cresciute richieste del pubblico». Si infittiscono le risposte dei prigionieri ed intanto viene avviato, valendosi di speciali foglietti con capienza massima di 25 parole, il servizio a favore dei deportati in Germania. L’ Alleanza familiari di prigionieri e dispersi in Russia prende contatto con l’Ufficio della Curia cagliaritana, intendendo “coprire” anche la provincia ed il Nuorese. Sul più largo scenario, prosegue indefesso – stimolato anche da Cagliari – il grande e speculare lavoro dei nunzi e delegati apostolici che Pio XII ha incaricato di dedicarsi permanentemente alle ricerche anche più complesse di chi non si sa più dove sia finito.
«Si va avanti a… stantuffo»— sono ancora parole di De Magistris –, poi provvidenzialmente giunge, dal Vaticano, una scorta di moduli «che ci salva dalla forzata chiusura per mancanza di carta, di cui le competenti autorità ci negano l’assegnazione».
Il trasferimento di numerosi militari dall’Isola al continente, con lo scioglimento di diversi reparti dell’esercito, aggiunge nuovi compiti: la ricerca di indirizzi quasi mai conosciuti e la comunicazione via radio, ai destinatari irreperibili, delle notizie loro riguardanti, «in speciali trasmissioni analoghe e parallele a quelle della Croce Rossa, organizzate colla disinteressata e premurosa collaborazione di radio Sardegna».
Un centro raccolta informazioni sorge quindi ad Abbasanta, ad iniziativa dell’arcivescovo arborense monsignor Giuseppe Cogoni e col lavoro dei giovani cattolici di Oristano, fucini compresi; sindaco, parroco e cappellani militari tutti cooperano «spedendo in pochi mesi, 5, oltre un migliaio di messaggi, e distribuendone qualche centinaio in arrivo», nonché istruendo le pratiche di ricerca per una ventina di dispersi.
Tocca poi al Comando Marina. Ma la regìa di tutto rimane nelle mani di tre ventenni di buona volontà.
Collega di ricerca, fra biblioteche antiche e nuove edizioni
Ogni tempo ha le sue esigenze, le sue richieste da rivolgere agli uomini di buona volontà che, in quanto tali, rispondono.
Nella sua prima giovinezza Paolo De Magistris ha offerto tempo ed energie per una buona causa; nella sua tarda, estrema stagione, ha rinnovato il suo volontariato spirituale attraverso il ministero di chi recava l’ostia consacrata nelle case di infermi e vecchi inabili.
Avrei voluto indagare su questa utenza segreta del suo servizio ecclesiale e cogliere notizie e riferirne, ho poi pensato di non esserne degno e di dover proporre ad altri l’incombenza.
Dirò d’altro volontariato.
Ho appuntato questo intervento ieri sera, e il pensiero era rivolto, per me inevitabilmente, a un episodio occorso esattamente dieci anni prima di ieri sera, il 1° dicembre 1989, proprio in quelle ore: De Magistris, allora sindaco, presentava, con altri, presso il salone Casmez della Fiera, un mio libro dedicato a Cagliari nel 1889: Chiesa Politica Società all’esordio dell’Unione Sarda (e anche dell’amministrazione Bacaredda e di tanto altro, dalla scuola agraria a quella industriale per minori in “arti e mestieri”).
Debbo qui, senza cedere a Narciso, dire per flash una o due cose su questo nostro rapporto personale, che precede il versante sul quale sono stato chiamato a rendere la mia testimonianza sul “volontario nascosto”.
Nel giugno 1988 Paolo De Magistris, con Lorenzo Del Piano e Antonio Romagnino e altri, presentò un mio lavoro sulla Cagliari bacareddiana vista dall’osservatorio delle estreme mazziniane e radicali: L’Edera sui bastioni. I repubblicani a Cagliari nell’età di Bacaredda. Eravamo alla sala convegni del Banco di Sardegna, con 250 presenti. Egli parlò per un’ora piena e propose, di lato il mio lavoro, – bacareddiano lui, anche per ascendenze materne, quelle dei Ballero, e in fondo bacareddiano anch’io (nello strano mix di un rimando ideale alla democrazia mazziniana) – una sua lettura di quel periodo cruciale sui fronti sociale ed amministrativo, culturale e civile della vicenda storica della nostra città. Io mi riprometto di sbobinare quell’intervento che egli lesse (senza saper poi mai più ritrovare – nel suo disordine, cosi mi disse, il lesto), e pubblicarlo.
Fece un grosso sforzo di interpretazione di trent’ anni di vita cagliaritana, fra Ottocento e Novecento, fino agli albori del fascismo, il che recuperava anche da altri studi compiuti e pubblicati da lui, ma rielaborandoli originalmente.
Poi era venuto il libro-intervista, curato con Matta, e mi dispiace per quelli che, non dico non l’abbiano capito, ma non se ne sono mai occupati per nulla. Neppure una recensione, una segnalazione sulla stampa locale. Ho donato 900 copie del libro al padre Morittu per i’ autofinanziamento delle sue comunità.
E poi, appunto, Cagliari 1889, e dopo ancora, in municipio, il 25 aprile 1990, lui ancora a presentare con Manlio Brigaglia e altri, uno studio ricognitivo sulla figura e il tempo di Cesare Pintus, il repubblicano-azionista-sardista che fu il primo sindaco di Cagliari dopo la liberazione e già durante la liberazione: Cesare Pintus e l’Azionismo lussiano.
Altre volte l’ho avuto con me, Paolo De Magistris, nella stesura collettanea di testi che valorizzavano quel filone della sinistra democratica e riformatrice – non riformista, riformatrice e non socialista – nel quale io, cattolico liberale per formazione, politicamente mi sono riconosciuto e mi riconosco tuttora: da Titino Melis, il Partito Sardo d’Azione mazziniano a Per Giovanni Spadolini, per Bruno Visentini.
Le polemiche sullo stato della Chiesa di Cagliari e quelle altre sulla effettività della Massoneria (o della sua incombenza) sulle cose dell’amministrazione pubblica allargata, che ebbero tribuna sui giornali, lungi dall’allontanarci, crearono un terreno di intesa nel dialogo mai conformista. Dialogo alimentato anche da numerosi messaggi scritti. Io gli ho voluto bene, molto bene.
E – così passo più direttamente al tema – a quel De Magistris nascosto dietro la sua immagine pubblica, al quale io mi sono affezionato tanto da riuscire a trovare in me l’arditezza di strapparlo alle sue timidezze e portarlo pure in televisione – era il 1991 – a leggere le sue poesie in cagliaritano (che sono una delle sue cose più belle) e indurlo, poi ancora, a replicare, nel corso di diverse uscite con i ragazzi di San Mauro e Campu’e Luas, le comunità di padre Salvatore Morittu, per il godimento del pubblico.
Cicerone per Castello e Bonaria, poi ospite di Mondo X- Sardegna
De Magistris e le comunità, si voleva dire con quel titolo – “un volontario nascosto” – che Chorus ha assegnato alla mia testimonianza. Era sindaco, nell’autunno 1988—questa è la data che mi è stata riferita (io non c’ero e non ho fatto in tempo a compulsare i diari né i giornali di comunità in cui senz’altro l’evento avrà avuto una eco)—, era sindaco, De Magistris, quando portò in giro per Castello – ma ci fu una puntata anche a Bonaria, mi hanno raccontato – i ragazzi di San Mauro e Campu ‘e Luas. Il torpedone fermò nello slargo di viale Buoncamniino che precede Porta Cristina. Una mattinata di sole di mezza stagione, cagliaritana doc: la cattedrale e la sua cripta secentesca, il Bastione, ecc. Raccontava la storia delle pietre, De Magistris, da quell’esperto di storia locale e di storia dell’arte che era, e insieme però quella delle generazioni, degli uomini e delle donne in carne ed ossa, del passato.
Faccio un salto di cinque, sei anni. Nell’autunno del 1994 gli proposi di venire a Macchiareddu, località Campu ‘e Luas, terra un tempo di dromedari ed euforbia, poi di ragazzini orfani assistiti dall’ ENAOLI: là, a martedì alterni, le due comunità di Campu’e Luas, appunto, e quella San Mauro s’incontravano, e s’incontravano per ascoltare delle conferenze, anzi partecipare alle conferenze sugli argomenti i più vari, perché poi – dopo la lezione – c’era e c’è sempre il dibattito, ci sono le domande e gli approfondimenti. Sono state, nel corso di molti anni, un centinaio queste conferenze organizzate per lo più da Zella Corona. In quel momento mi ci misi in mezzo io: De Magistris venne, visitò gli ambienti di vita e lavoro, le officine, le sale d’esposizione della metallotecnica e della falegnameria, i pollai, i recinti degli animali da allevamento, il teatro anche mi pare, firmò il registro d’onore ed iniziò a raccontare a settanta ragazzi – tanti erano allora press’a poco – la storia di tremila anni di Cagliari.
Ho sbobinato quel testo e l’ho pubblicato in un volumetto – Cagliari Nostra – che, con un altro gemello di cui dirò, ho donato a padre Morittu che ne ha in quantità tale da poter soddisfare chiunque desiderasse acquistarlo (sempre per l’autofinanziamento delle comunità, non essendo Mondo X convenzionato con l’ente pubblico).
Dalla introduzione stralcio solo poche righe tutte riferite a lui: «De Magistris e i giovani [ ... ]. Egli impersona una vocazione, una naturale propensione pedagogica, che peraltro mantiene come soffocata, sempre e molto al di sotto delle possibilità ch’essa ha, in sé, di sfogo. Non si propone mai d’iniziativa, don Paolo. No, egli aspetta l’invito. Non per farsi prezioso; al contrario, per discrezione. E quando lo chiamano [...] eccolo presentarsi alle scuole, ai bambini e a quelli più grandetti, oppure eccolo alla testa di un torpedone di turisti, ma anche di studenti [...]. L’argomento preferito, quello di cui è specialista e non solo come divulgatore, ma anche come originale ricercatore, è Cagliari con la sua storia plurisecolare, coni suoi splendori e le sue cadute [...]. E’ un uomo che appare sempre più avvolto, anzi assorbito nell’immaterialità di una modestia totale, quella che padre Morittu ha felicemente, e con competenza tutta sua, chiamato “francescana”…».
La chiacchierata si era trascinata a lungo, c’era stato infine il tempo soltanto per poche domande – tre, quattro – della quindicina che i ragazzi si erano preparati: io sono di Sant’Elia, vorrei sapere del mio quartiere, io sono di San Michele, di Is Mirrionis, vorrei sapere…, e io di Selargius, vorrei sapere…, Carlo Felice, quali i suoi meriti?, la Cagliari dei commerci genovesi e pisani, quali benefici per la popolazione?, Cagliari e il mare, popolo di navigatori?, Cagliari e gli spazi edificativi nell’area urbana e metropolitana, il colle di San Michele nella storia, l’industria turistica per il presente e il futuro, la Quarta Regia, il valore dei centri storici, la lirica all’anfiteatro, la sagra di Sant’Efisio, i rioni periferici o della povertà, il porto-canale, il carcere di Buoncammino, la via Roma nel ’900 e prima, la monetazione dei cagliaresi, il carattere antropologico del cagliaritano, Marina Piccola, Tuvumannu, lo sviluppo del lungomare, il Poetto al tempo dei piemontesi, le tensioni autonomistiche delle ex frazioni, ecc.
Non c’era stato tempo alla fine, ma De Magistris si rese disponibile a rispondere per iscritto alle domande che i ragazzi si erano appuntati sulla carta.
Lo stile dell’uomo e il suo valore sono raccontati anche dall’impegno che, sollecitato da alcune domande difficili, che richiedevano studio supplementare e particolare, egli mise per offrire risposte tutte all’altezza, esaustive dell’interesse o almeno della curiosità dei suoi interroganti.
Tutto è stato pubblicato, in foto anche alcuni dei suoi fitti manoscritti, nel terzo volume della serie Partenia in Callari, che ha un capitolo tutto dedicato al “Caro don Paolo”.
Ma dopo due mesi da quell’incontro, nel gennaio 1995, De Magistris compiva il suo 70° compleanno ed io, intendendo – col padre Morittu –, omaggiargli il volumetto colla sua lezione ed il dialogo parlato-scritto con i ragazzi, mi inventai un’occasione di nuovo meeting, qualificato e anche significativo sul piano degli affetti. In quello stesso gennaio cadeva anche il 15° anniversario di San Mauro, mentre nel maggio successivo toccava al primo decennale di Campu’e Luas: e dunque pensai di tendere un ideale filo rosso fra gennaio e maggio e portare, con i ragazzi delle due comunità (ma allora Campu’e Luas era strutturata essa stessa in due comunità autonome, e quindi dovrei parlare di tre comunità, con San Mauro), la produzione letteraria e storiografica e memorialistica di Paolo De Magistris fuori delle comunità e dentro la città che, pure, non ha capito fino in fondo il valore di questo nostro fine intellettuale.
Sapevo della malattia e la frequentazione assidua fra noi –per ragioni di libri, o di pontificali in duomo, o di movimento delle riforme elettorali (a cui pure noi due proporzionalisti aderimmo, ancorché con le nostre intatte libertà) – mi forniva gli aggiornamenti, anche se con lui non ho mai valicato i confini della assoluta discrezione, e sapevo soltanto quel che lui riteneva di dovermi raccontare.
Sapevo della malattia – dicevo – e quindi ho creduto mio doppio dovere, ordinario e straordinario, quello di celebrare un autore, e un autore anche umanamente a me tanto caro, da vivo, non da morto, non dopo, quando tutti ne parlano, per obbligo di commozione, bene.
E’ stato il dono che al “volontario nascosto” ho fatto e ringrazio il padre Morittu per aver favorito questo disegno.
Cinque rappresentazioni-recital, più altre due (invero quasi clandestine) al teatro dell’Arco di Mario Faticoni, di sera tardi: quelle della nostra serie agli Amici del libro, con la giunta comunale in prima fila e oltre 200 persone stipate nella sala, moltissime in piedi, e al teatro di Sant’Eulalia, e alla cripta di Santa Restituta, e al chiostro antico di San Domenico – per rappresentare i quartieri storici di Cagliari nostra (Castello non aveva sale, per l’impraticabilità del teatrino della cattedrale) –, e infine, il 7 maggio, nel teatro di Campu’e Luas.
I ragazzi coinvolti, in gruppi di varia composizione nella lettura dei testi stralciati dalla decina dei suoi libri, sono qualcosa come 18-20, e piace, piace in tutti vedere questi nostri ragazzi che tornano agli interessi della vita, passare anche attraverso questa esperienza che è culturale nel senso più largo del termine. I non cagliaritani si appassionano non meno dei nostri a ripassare le pagine dedicate alla peste del ’600, al liberty di Villanova o Stampace basso, alle biografie di Pietro Evento o predi Bastoni, al cenotafio di Martino d’Aragona nella primaziale, alla sindacatura di Ottone Bacaredda, alla città negli anni della grande guerra, alle atmosfere dell’infanzia nel Castello che fu…
Questo è restituito, con singolare trasparenza anche emotiva, a un pubblico che infine, intorno al centesimo minuto di spettacolo – tale era la durata media – si gode una o due poesie in dialetto cagliaritano tratte da quel gioiello, povero nella veste tipografica ma sorprendentemente prezioso nel suo contenuto, che è … E dei dì che furono l’assalse il sovvenir… Perché in quel momento sono veramente fuochi artificiali, la partecipazione della gente, che sente e pensa in cagliaritano, si rivela al suo massimo: nel brusio dei commenti, nelle esclamazioni più distinte, perfino nelle risate discrete ma convinte che accompagnano lo scorrere dei versi leggeri, ironici ed anche divertiti.
De Magistris talvolta, richiesto a gran voce, si aggiunge ai lettori sul palcoscenico e parla e declama pure lui – obbedendoci, con un senso del dovere e direi di solidarietà verso noi altri che è commovente – alcune delle sue cose più belle, e ringrazia i molti che gli mostrano la propria simpatia. Il nostro pubblico ha sicuramente superato il migliaio di presenze.
Il “volontario nascosto” viene allo scoperto. La sua grandezza è nell’umiltà con cui ha accettato di darsi a noi.
Il repertorio del giornalista ventenne
Chiudo con una postilla fuori tema. L’amico Lorenzo Del Piano ci ha proposto prima un pur sommario regesto delle cose che Paolo De Magistris ci ha lasciato, nella pubblicistica non meno che nell’editoria. Debbo dire, al riguardo, che nel corso di tante mie ricerche sul periodo, in particolare, della ripresa democratica dopo il fascismo e la guerra – e quante volte mi sono incontrato con don Paolo nell’emeroteca della Biblioteca universitaria! – mi è occorso ripetutamente di imbattermi negli scritti di De Magistris, sia su La Sardegna Cattolica (evidentemente non più quella antica e gloriosa del conte palatino Enrico Sanjust di Teulada, ma quella del canonico Giuseppe Lai Pedroni, rifondata nel 1928 e, passando per l’intero ventennio e la tragedia bellica, arrivata fino alla sua trasformazione in Il Quotidiano Sardo) che sul Corriere di Sardegna, il settimanale della Democrazia Cristiana degli Amicarelli, Mannironi, Segni, ecc., ma anche su L’Unione Sarda.
Gli esiti delle mie ricognizioni sono a disposizione di chi volesse compiere uno studio organico sull’attività pubblicistica di Paolo De Magistris – che merita questa attenzione – nel periodo, diciamo, 1945-1948. Sono gli anni anche della sua esperienza universitaria, del suo maggior impegno, ancora da giovane ventenne, nell’Azione Cattolica e in varie associazioni d’impronta diocesana. Si troveranno in questi indici suoi articoli sì di politica, anche di politica elettorale sarda ma pure di riflessione sullo scenario dei nuovi rapporti fra occidente ed oriente all’indomani del conflitto, bomba atomica inclusa, sì di religione, sì sulle “cucine del papa” a favore dei profughi o sui ghetti di Is Mirrionis a Cagliari, o ancora sui primi congressi universitari cattolici, ma anche di appassionato alla musica, come l’educazione familiare, materna soprattutto, l’aveva reso: “Ispirazione cristiana nel teatro di Verdi”, “Beethowen cristiano e uomo”… Se ne ricaverebbero, voglio dire, materiali importanti per la ricostruzione a tutto tondo di una personalità certo ancora in formazione, ma impegnata come poche nel grande cantiere morale di una società bisognosa di recuperare valori e certezze.