Appunti di musica “glocale” durante la Settimana Santa in Sardegna, di Paolo Mercurio
Articolo uscito sulla rivista milanese Blogfolk, dove si parla anche del recente viaggio-studio in Sardegna per imparare i canti a cuncordu.
A seguito dei due contributi dedicati alla polivocalità e ai canti di tradizione orale in Sardegna, proseguiamo il percorso di ricerca, lasciando breve traccia di un estemporaneo incontro culturale avvenuto in un agro di Baronia. Durante la Settimana Santa (precisamente il “Giovedì Santo”, localmente detta “Sa Iovia Santa”), per merito di Martino e Tanina Corimbi, è stato organizzato un selezionato incontro tra stimatori della musica popolare, con decine di cantori e studiosi provenienti da Germania, Inghilterra, Australia, Georgia e da Milano, Trento, Padova, Premana, Orosei etc. Dagli anni Novanta, abbiamo potuto osservare come la Settimana Santa nell’Isola sia divenuta un evento rituale capace di catalizzare l’attenzione di numerosi stranieri e continentali, che mostrano spiccato interesse verso i canti di tradizione orale polivocali. Vi è da dire che l’apprendimento dei repertori, oggi, è facilitato dalle nuove tecnologie e dai video presenti sui “social”, che permettono di acquisire agevolmente le conoscenze musicali di luoghi lontani dal proprio. Durante la “Settimana Santa”, spesso, anche i professori (universitari e accademici) colgono l’occasione per portare gli studenti a fare ricerca sul campo, spostandosi giornalmente da un paese all’altro della Sardegna. La “glocalità” della musica avanza come rizoma e uno dei suoi effetti è la condivisione della conoscenza locale a livello globale. In pratica, vi è chi si appassiona a questi canti e non si limita solo ad ascoltare, ma cerca contatti diretti con i cantori per apprendere ed eseguire insieme a loro il repertorio in momenti non rituali. Tali appassionati sono conoscitori di altri canti della tradizione orale, riferibili a diverse località internazionali. Nell’incontro di cui sopra, ciò ha favorito la costituzione di un autocontrollato evento polivocale, in cui tutti hanno potuto ascoltare e a turno cantare (o imparare a cantare), all’insegna della convivialità, dell’amicizia e del rispetto verso le diverse culture. In totale, all’evento hanno partecipato oltre trenta invitati. A gruppi di quattro o cinque cantori, sono stati intonati prevalentemente canti “locali”, georgiani, corsi, sardi, di questi ultimi prendendo a riferimento soprattutto i repertori di Orosei, Castelsardo, Cuglieri e Aggius.
Tra i presenti, vi era Annunziata Matteucci. Donna riservata, di poche parole, con una vocalità particolarmente espressiva. Ci ha in breve raccontato delle sue esperienze musicali e di come, dopo aver studiato il pianoforte, ha iniziato ad appassionarsi ai canti popolari: «Sono nata in Belgio da genitori italiani emigrati negli anni Cinquanta. Mia madre è abruzzese, mio padre toscano. Mia madre cantava, o meglio cantavano le sue vicine di casa, che ascoltavo da bambina quando tornavamo a trovare i parenti. Donne con una voce acuta, stupenda, oggi lo posso dire. Tuttavia, da piccola, quando le ascoltavo mi tappavo le orecchie, perché dei canti popolari non capivo niente. Tra me e me dicevo: “Come sono brutti, non si capisce niente!”. Io peraltro studiavo il pianoforte, per cui ero cresciuta con una cultura musicale differente. Ho vissuto per dieci anni a Parigi e da circa venti anni risiedo a Berlino. Dopo aver vissuto in Francia, ho incontrato Giovanna Marini che mi ha aiutato a capire, mi ha instradato e, gradualmente, ho iniziato a comprendere il valore dei canti popolari, così mi sono appassionata soprattutto al repertorio italiano e a quello corso …». Annunziata è anche un’apprezzata direttrice di coro e a Berlino coordina l’attività di diversi gruppi vocali, organizzando annualmente rassegne musicali e incontri culturali, come riscontrabile nel suo sito web. Di seguito abbiamo dialogato con Sandro Natadze, giovane cantore georgiano. È studente di Filosofia. Ha iniziato ad apprendere il repertorio da bambino, soprattutto ascoltando la madre e alcuni familiari. È uno dei componenti del gruppo denominato “Adilei” (di Tbilisi). Dal dialogo, sintetizziamo quanto segue: «È difficile trovare un canto rappresentativo della Georgia, perché ogni regione, ogni villaggio ha i suoi canti con le sue varianti. Nel nostro Gruppo ci sentiamo amici, prima ancora che cantori. Proviamo tre volte alla settimana e siamo in nove. Siamo stati chiamati a tenere concerti, lezioni, workshop in tante parti del mondo, anche in accreditate università americane e tedesche, come pure in accademie e conservatori italiani e olandesi. A mio avviso, per cantare bene un canto georgiano ci vuole libertà, non sono canti scritti, è necessaria espressività (…); una delle caratteristiche è l’improvvisazione, senza queste condizioni il nostro canto non è niente, i nostri predecessori dicevano che “se non ami le persone che stanno con te, il canto non riesce bene”, ci deve essere amore tra chi canta, per questo noi siamo tutti grandi amici, ognuno con il proprio lavoro (cardiologo, psicologo, manager del turismo, imprenditore ecc.). Io sono universitario e un altro studia jazz in Germania. Un musicista suona la viola, in Georgia ogni regione ha i propri strumenti tipici, ci sono aree dove si usano per accompagnare i canti.
Noi siamo più specializzati nei canti della Guria (area vicino al Mar Nero), ma siccome il nostro repertorio è nazionale, quando serve ci facciamo accompagnare dagli strumenti. Da noi i canti non vengono eseguiti solo durante alcune feste particolari, si canta tutte le domeniche in chiesa, durante la messa, poi durante la Settimana Santa ci sono tanti altri canti sacri che variano da “scuola” a scuola. Tre sono le scuole principali in Georgia. Il repertorio è ricco, sono stati catalogati più di quindicimila canti nel repertorio nazionale. Durante le funzioni rituali, indossiamo lo “stikari” (abito) di diverso colore, verde, rosso, azzurro, blu, secondo la scuola; sono abiti scelti dalla Chiesa, diversi sono invece gli abiti tradizionali civili …». Sandro ha voluto specificare che non tutti i gruppi georgiani selezionano i cantori nello stesso modo. Alcuni valutano in base alle capacità vocali, ma per loro è diverso. Al primo posto deve esserci l’amicizia che “non è un gioco o un modo di dire: non si diventa amici in un giorno”. Il suo insistere sul concetto di amore e di amicizia, ci ha riportato alla mente un anziano “tenore” sardo, Vissente Gallus il quale, durante le ricerche sul campo nei primi anni Ottanta, ci ripeteva con assertività gli stessi concetti espressi dal giovane cantore georgiano, con il quale abbiamo discusso anche in termini tecnico-musicali, facendo riferimento alle singole voci nei canti polivocali e all’uso del “bordone”. Tuttavia, non è questo l’ambito per approfondire tali aspetti. Ci sembra, invece, utile evidenziare come i canti polivocali di alcune aree della Georgia trovino analogie con i canti sardi, in cui la vivacità contrappuntistica è limitata, mentre spiccato è l’uso dell’omoritmia. I cantori del gruppo “Adilei”, a Tbilisi, effettuano le prove all’interno di una chiesa che (se abbiamo ben compreso) si trova nel giardino dove ha sede il Ministero della Difesa. «Lavoriamo e studiamo – ha concluso Sandro – e la sera cantiamo, ma non ci troviamo solo per cantare, ma per parlare, mangiare, bere e stare in compagnia …». Nel loro repertorio profano, spicca il cosiddetto “krimanchuli”, con tratti vocali che rimandano alla tecnica dello “yodelling”, di cui nel mondo si conoscono diverse espressioni canore.
Vicino a Sandro ha seguito con attenzione la discussione Bice Morelli, sensibile violinista Trentina e (all’occasione) cantante, la quale si sta specializzando nell’esecuzione del repertorio barocco. Spesso collabora con il padre per la realizzazione di concerti musicali, come ad esempio quelli della “Jazzmer Ziganoff”. Di Renato Morelli e del suo legame con la Sardegna, abbiamo scritto in precedenti contributi, in relazione alle ricerche etnomusicologiche condotte con Pietro Sassu e al filmato dedicato ai cantori di Cuglieri. È nota la sua passione per le musiche dell’Est europeo che, nel 2016, lo ha portato in Georgia per svolgere ricerche sul campo. Al suo ritorno, insieme ad altri cantori provenienti da più nazioni, ha costituito “Mravalzhamier – International Georgian Choir” che, lo scorso anno, ha già effettuato alcuni concerti. In Georgia, assieme al gruppo australiano “Melbourne Georgian Choir” (diretto dal prof. Joseph Jordania), Morelli ha avuto modo di apprendere i canti tradizionali, in Svaneti dall’anziano Islam Pilpani (di 84 anni) e in Samegrelo dal Besiki “Beso” Tchitanava, coordinatore dell’ensemble “Chela” e fondatore della “Casa del canto e della cultura Megrelia”, a Zugdidi. Il 27 marzo, durante la Settimana Santa, il Gruppo costituito da Morelli si è esibito ad Aggius nella chiesa parrocchiale di Santa Vittoria insieme al “Cuncordu di Castelsardo” e ai cori locali “Galletto di Gallura e Matteo Peru”. Nel Gruppo esibitosi ad Aggius, oltre a Morelli, erano presenti Sandro Natadze, Lloyd O’ Hanlon (Melbourne), Zaka Amman (Londra), Giulia Prete (Treviso), Elida Bellon (Padova), Domenico Pomoni (Premana). Nel repertorio, solitamente includono canti relativi a diverse regioni della Georgia, tra cui i cosiddetti “mravalzhamier” (“lunga vita a te”, canti augurali), inoltre, canti epici e festivi, danze, ninne nanne e, naturalmente, canti tratti dal repertorio religioso. Seppur in estrema sintesi, vale la pena di ricordare le tappe che stabilirono il sodalizio tra Renato Morelli e l’Isola, alla quale l’etnomusicologo e regista trentino ha donato tanto, sulla scorta di stimoli culturali e musicali ricevuti in primis da Pietro Sassu, Roberto Leydi e Fiorenzo Serra. La collaborazione con Sassu nell’Isola s’intensificò negli anni Ottanta, per la realizzazione del cofanetto contenente quattro LP (“Albatros 21”, 1986, riferito ai canti liturgici e paraliturgici di tradizione orale italiani) e di registrazioni specifiche, come, ad esempio, quelle confluite nella Collana discografica “Musica a Memoria”. Inoltre, in questo contesto, meritano menzione i canti di Aggius, comprendenti quarantacinque storiche registrazioni, eseguite con i cantori Peru e Biancareddu, i cui esiti Morelli ha di recente generosamente donato al Museo locale. Nel 1989, nella “VII Rassegna internazionale di canto sacro popolare” (svoltasi nella Cattedrale di Castelsardo), Morelli riuscì a portare (tra mille peripezie e intoppi burocratici) il coro georgiano “Georgian Voices” di Tbilisi (che all’epoca si chiamava ancora “Jurnalist”).
Nella stessa Rassegna vennero invitati il canto “a bordone” di Ceriana (le “Mamme canterine” e la compagnia “Sacco”), una delegazione canora della Corsica e gli anziani cantori di Bosa, cui Sassu aveva dedicato specifiche ricerche. Lo scorso anno, Morelli è tornato ad Aggius con i componenti del coro “Mravalzhamier” (per imparare sul campo alcuni canti tradizionali: “Miserere, Stabat Mater, Brunedda”) i quali, come riferito, si sono esibiti in questo stesso paese il 27 marzo. In seguito, hanno visitato diversi paesi sardi e sono approdati a Orosei, dove sono stati tra gli animatori della giornata dedicata alla polivocalità a cui ci stiamo riferendo. Sulle caratteristiche generali del canto georgiano, lasciamo la parola a Morelli: «Il canto polifonico georgiano, nel 2001, è stato il primo a essere stato inserito nella “Lista del Patrimonio Immateriale dell’Umanità” dell’UNESCO. Il repertorio è esteso e complesso. L’antica tradizione della Georgia Caucasica risale almeno dal IV secolo, quando il Cristianesimo fu adottato come religione di Stato. Quattro i tipi principali (“a bordone”, “contrappuntistica”, “parallela” o “dissonante” e “ostinata”). Nella regione a nord-ovest della Georgia (Svanezia, montuosa e selvaggia) si pratica l’arcaica polifonia “dissonante”, mentre nella Georgia occidentale quella contrappuntistica (con lo “yodel”); nella zona orientale (Chachezia, importante centro enologico) la polifonia si caratterizza per il dialogo fra i melismi di due solisti e l’accompagnamento del bordone. La polifonia “ostinata” è presente in tutte le regioni. Di particolare interesse è il canto liturgico della Chiesa Autocefala Georgiana, sopravvissuto “miracolosamente” a eventi drammatici. Nel 1811 (dopo la Terza caucasica, quando la Georgia fu definitivamente annessa all’impero zarista) il patriarcato di Mosca impose la liturgia e la lingua russa, proibendo l’uso della lingua georgiana e dei suoi antichi canti liturgici. Si deve al celebre cantante d’opera Filimon Koridze (1835-1911), il progetto di ricerca-documentazione-trascrizione che ha salvato il canto liturgico georgiano dall’estinzione. Koridze decise di rinunciare alla sua brillante carriera (ebbe acclamate esibizioni alla “Scala” di Milano, al “Mariinskij” di San Pietroburgo e nelle Americhe) per dedicarsi completamente alla documentazione-trascrizione di più di seimila canti liturgici tradizionali georgiani. Ancora più terribili furono le conseguenze della rivoluzione bolscevica. Sono tristemente noti gli innumerevoli crimini perpetrati dal regime comunista nei confronti della Chiesa georgiana (come la distruzione di antichi monasteri con relativi affreschi medioevali, assassinio e deportazione del clero, divieto assoluto delle liturgie), fino all’implosione dell’Unione Sovietica, nel 1991. Nel 2011, il Patriarca georgiano di Tbilisi ha ufficialmente santificato Koridze: un etnomusicologo santo!»
Dopo Morelli, abbiamo dialogato con i bravi e consolidati “cantores” del “Cuncordu de Orosei”, appena ritornati da una tournée in Svezia. Apprezzati dai presenti, hanno dispensato suggerimenti sulle tecniche di canto. Su loro non ci soffermeremo, rimandando il lettore al contributo riferito al disco “Animas”, che ha riscosso successo internazionale. Martino Corimbi è il coordinatore del Gruppo. Ha chiarito che spesso vengono localmente contattati da cantori e ricercatori provenienti da più parti del mondo, che hanno iniziato a interessarsi al repertorio oroseino soprattutto dalla fine degli anni Ottanta. Con piacere ha osservato che l’attenzione sui canti di tradizione orale è crescente, ma ha evidenziato che «la qualità vocale e l’affiatamento di un gruppo di tradizione orale non s’improvvisa e non s’impara dai video. Richiede anni e anni di addestramento e di apprendimento, soprattutto se riferito a un repertorio come quello di Orosei che è particolarmente esteso e che ha potuto vantare una particolare conservazione dei canti confraternali, soprattutto grazie all’opera svolta da anziani cantori quali Antonio Nanni, Angelo Mula, Michelli Quartu, Angelo Sannai, tutti deceduti, ma la cui memoria è sempre viva tra i cantores». Un plauso a questi intrepidi conservatori di una tradizione che ritengono sia giusto tramandare intatta ai posteri. Un plauso anche agli altri cantori di varia provenienza, dei quali nel contributo non siamo riusciti a scrivere per ragioni di spazio. L’incontro a cui ci siamo riferiti evidenzia, nel suo piccolo, che la “glocalità musicale” avanza tuttavia, sempre più, sarà utile approfondire le conoscenze locali da trasmettere a un pubblico internazionale, nel rispetto delle specificità riferite alle singole comunità nelle quali – come abbiamo più volte evidenziato – sarebbe importante che i cittadini si sentissero uniti nel promuovere la propria identità, agendo coralmente a favore della diffusione della cultura universale, di preferenza facendo riferimento ai nobili sentimenti di amore e amicizia, fondamento per perpetuare in modo maturo le molteplici esperienze internazionali del canto polivocale di tradizione orale.