Charitas usque ad sanguinem. All’AVIS di Cagliari per lunghi anni, peccato che sia finita! di Gianfranco Murtas

A Cagliari la sezione AVIS – Associazione Italiana Volontari (del) Sangue – conta ottantaquattro anni. Ne ho trascorso insieme, magari marginalmente, di questi anni, qualcosa più della metà, 47 per la precisione. E non è stato per nulla gradevole – se vale raccontare in pubblico quel che forse dovrebbe restare nella (amara) confidenza riservata – ricevere da una squadra intera di amici medici, nei giorni scorsi, lo stop.

La contabilità morale va subito per debiti, per consapevolezza dei debiti – debito verso la vita che ha consentito quell’impegno trimestrale per quasi cinque decenni e debito verso l’associazione che ha approntato, in città, servizi sempre di livello nell’accoglienza e nella assistenza strettamente sanitaria –, sì, va proprio per debiti e non per crediti dove, ad un approccio banale e superficiale, di mera apparenza, parrebbero potersi riassumere e ricondurre esperienza e carriera.

In innumerevoli occasioni nelle quali mi è occorso di difendere le cause scomode, nel pubblico dibattito o nella pubblicistica, metti riguardo a certa storiografia civile ed a materie speciali come la storia, anche locale, delle minoranze sconfitte nella politica o nella religione oppure della pur gagliarda libera muratoria sarda – amore confessato, perché amore alla profezia ecumenica –, ho creduto di dover precisare: sostengo sì questa tesi, coinvolto nelle idealità umanistiche di questa o quella sezione, ma ho piena indipendenza in quanto al dato associativo, ché di tessera in tasca ne ho soltanto una, quella dell’AVIS.

(L’attribuzione di una qualifica massonica a Vittorio Formentano, il medico ematologo che nel 1927 fondò a Milano l’AVIS – un bel servizio sulla sua esperienza lo pubblicò L’Unione Sarda, a firma di Piera Serusi, il 14 agosto 2008 – è circostanza che in sé, invero, neppure sorprende se è vero che anche il fondatore della Croce Rossa era stato un uomo delle logge, Henry Dunant, e che i massoni fiorentini furono fra i primi costituenti della CRI. E se è vero, bisognerebbe aggiungere, che giusto dalla cagliaritana Sigismondo Arquer partì, nel 1913, l’iniziativa della fondazione della Croce Verde per il soccorso urgente degli infortunati, o che uomini che avrebbero onorato le logge sarde come Armando Businco – nientemeno! – e Luigi Cocco Serreli, come Siro Fadda e Enrico Mura, furono fra i barellieri volontari in occasione del terremoto di Messina e Reggio. O che, a dir proprio di AVIS, un benemerito come il Renato Meloni fu insieme il presidente degli avisini carboniesi ed l’Oratore della Giovanni Mori, proprio colui che dette il benvenuto liberomuratorio ad Armando Corona quel certo giorno del 1969! Per non dire di Flavio Multineddu anziano “sostenitore benemerito” e di quanti altri nelle diverse sezioni isolane).

Per questo, giusto come può farlo chi ama quelle realtà civili di minoranza nelle quali è cresciuto, s’è formato maturando negli anni e nelle relazioni, l’orgoglio dell’appartenenza avisina ha impreziosito la coscienza e, per quanto possibile, funzionato per… attrazione, proiettando interesse in altri, suggerendo ad altri lo stesso passo, l’iscrizione e il gustoso salasso trimestrale.

Il solito rituale per tanti anni, per me dal settembre 1971, ogni novanta giorni – secondo la cadenza consentita dalla legge – dava, dà a chi (fortunato lui o lei!) rimane, quel certo senso di affiliazione insieme ad una causa e ad una associazione, per condividere un sentimento e per costruire una dimensione collettiva proprio orientata alla società pienamente inclusiva (opzione politica invero naturale in un liberal-mazziniano quale potrei qualificarmi nella continuità della mia vita veloce: e mi viene qui spontaneo ripensare alla figura di Luciano Pirisi, indimenticato amico repubblicano e direttore per lunghi anni di Volontariato sardo): la compilazione delle schede di accettazione e consenso, del notiziario circa le recenti condizioni di salute e il (morigerato) regime di vita, la pur sommaria visita cardiologica anche con la punturina per il previo controllo dei valori dell’emoglobina, la chiacchiera rapida ma cordiale ed appagante con il medico, il quarto d’ora sul lettino, accudito da perfetti infermieri ed in bella distensione, perfino con qualche distrazione, nella sede di via Talete, da video musicali di qualità, la conciliante ristorazione finale e i saluti.

Qualche volta una chiamata straordinaria, dal trasfusionale, per la donazione delle piastrine. E mille delicatezze, attorno al lettino per due ore intere, da alleggerirsi l’animo commosso per molto tempo.

Quel che spero di poter fare, per onorare il mesto/imposto congedo con un atto positivo, è di scrivere una breve storia, o appunti per una storia, dell’AVIS cagliaritana da far uscire magari il prossimo anno, in coincidenza dell’85 anniversario della fondazione (avvenuta a… molti stadi) della sezione-e-centro che io ho conosciuto nei passaggi dal San Giovanni di Dio alla via Sonnino, alla via Leopardi, al CEP infine, dal 2004 nella via Talete (ma la sede antica, e storica, fu quella di via Baylle 88 e quella moderna più duratura in piazza Galilei).

Fu cosa, quella fondazione, che avvenne, formalmente, nel 1934: sette anni prima, giusto nel 1927 – momento di luce in una fase che per la democrazia italiana diventava, con il regime di dittatura, tristemente oscura – era partita l’iniziativa del dottor Formentano, a Milano; da noi il merito principale fu del dottor Enrico Fois che quell’appello nazionale aveva accolto e che nel 1931 dette vita, facendola funzionare, la sezione cagliaritana, poi formalizzata tre anni dopo (e con decreto prefettizio riconosciuta il 23 agosto 1935).

Ai primi del terribile 1938 – l’anno delle leggi razziali – furono costituiti i comitati provinciali dei Donatori di Sangue. Una complicata normativa cercò allora anche di disciplinare una certa tariffazione, felicemente rimasta inattuata a Cagliari grazie proprio alla operatività avisina che rendeva inutile il professionismo oblatorio.

Di grande efficacia si mostrò il soccorso associativo negli anni tremendi del secondo conflitto mondiale e tanto merito venne riconosciuto dalla Repubblica – dopo una breve fase (1947-1950) di imposto “accucciamento” nelle strutture della Croce Rossa Italiana – con la riattribuzione all’AVIS in quanto ente giuridico della formale missione di «promuovere, disciplinare, coordinare le attività delle sezioni dei volontari del sangue».

Al 1953 risale la «cessione gratuita vita natural durante e con impegno degli eredi per 15 anni dopo il decesso, dei vastissimi scantinati, tutti a luce diretta, di proprietà del Prof. Efisio Lay. In tali locali, debitamente adattati – è quanto riferisce una dettagliata cronistoria inserita nel numero unico stampato in occasione della XXXI assemblea nazionale svoltasi proprio a Cagliari – sarebbe stato possibile allogare tutti gli impianti necessari per la preparazione e conservazione del sangue e del plasma ed anche della sua lyofilizzazione».

L’anno successivo, presente a Cagliari Vittorio Formentano, presidente nazionale, si allestiva in alcuni locali del San Giovanni di Dio (ed a spese dell’AVIS stessa), un centro di raccolta e conservazione del sangue «per gli usi interni dell’Ospedale». La Regione – essendo allora assessore della Sanità il professor Giuseppe Brotzu – assicurò un appoggio per fronteggiare il fitto della sede organizzativa (non anche, come pur promesso, gli oneri di approntamento).

Le fatiche amministrative o, dillo pure, finanziarie, hanno costituito il leitmotiv delle vicende ormai quasi secolari dell’AVIS locale. E se ne potrebbe fare una storia – meglio se, però, col tono leggero e quasi (esorcisticamente) umoristico – che supera ampiamente il duro decennio postbellico, allineando promesse e distrazioni, e disimpegni improvvisi ed imprevisti di questo o quell’ente pubblico, e tanto più di questa o quell’amministrazione (municipale, provinciale e regionale) che pur avrebbe potuto farsi vanto dell’affiancamento.

Nel 1967, quando appunto in città si celebrò il XXXI congresso nazionale, operavano nella provincia le sezioni di Arbus, Carbonia (dal 1948), Iglesias (dal 1949), Mandas ed Oristano (dal 1959), oltreché del capoluogo. Straordinario il lavoro organizzativo e di espansione territoriale compiuto nell’ultimo mezzo secolo con la copertura pressoché integrale delle sub regioni provinciali.

Mi permisi, qualcosa come 33 o 34 anni fa, inviando mi pare 130 lettere a tutti i parroci e responsabili di comunità, di proporre alla archidiocesi di Cagliari di coordinarsi con l’AVIS per un mirato servizio di raccolta, con le autoemoteche, la domenica: centro storico e periferie, città e paesi. Non fu allora proposta accolta, e la rilanciai nel 1993 attraverso L’Unione Sarda e Volontariato sardo volle farsene eco. So che oggi molto si è proceduto, avanzando nei coinvolgimenti, ora rapsodici od occasionali ora calendarizzati.

Per interesse e mestiere ho raccolto, nel tempo, qualche centinaio di articoli che la stampa isolana, e tanto più il quotidiano del capoluogo, ha dedicato alle questioni dell’AVIS in preparazione o in efficienza.

Se L’Unione Sarda, che allora aveva ancora sede a palazzo Marini, nel viale Regina Margherita, assegnava ad una nota del professor Roberto Desogus, assessore in una delle tante giunte Bacaredda, lo spazio addirittura dell’editoriale di prima pagina – era il 22 luglio 1907 –, non si rinunciava ad insistere con cronache e appelli ancora negli anni precedenti la grande guerra – così il 12 marzo 1909 riferendo della inaugurazione della scuola pratica di pronto soccorso o, dal 1913, sulle attività della Croce Verde patrocinata dai massoni cagliaritani (dai medici e professori Binaghi e Putzu, Gentili e Garau, Cocco e Sfameni agli amministrativi Mario Mela ed Eraclio Mereu e perfino artisti come Francesco Ciusa, per dire soltanto d’una decina dei cinquanta e più coinvolti…).

Arrivarono negli anni ’30 le notizie AVIS: “I Volontari del sangue hanno iniziato a Cagliari l’opera squisitamente fraterna ed umana” e “I volontari del sangue a Cagliari”, ecco i titoli rispettivamente dell’8 aprile 1934 e del 2 giugno 1935, e giù con le statistiche ancora il 12 febbraio 1937: “I volontari del sangue a Cagliari: 160 trasfusioni per un totale di 38 litri di sangue eseguite in un anno” (con supplemento d’una domanda nel sommario: “A quale gruppo sanguigno appartenete?”).

Quella prima volta del 1934: sprizza «il rosso liquore della vita»

Intensa (e anche ingenua, almeno per alcuni aspetti impressionisti) la cronaca d’un salasso come la raccontò, anche con un corredo fotografico, un redattore de L’Unione Sarda quella volta del 1934, lui tutto preso dalla novità assoluta, dall’emozione del fatto… miracoloso e insieme spinto dal desiderio di tranquillizzare il lettore e magari spingerlo alla donazione:

«Abbiamo voluto assistere ad una operazione di trasfusione di sangue eseguita ieri l’altro nel nostro Ospedale Civile non per soddisfare ad una curiosità ma per renderci personalmente conto di un atto di alta umanità che i volontari del sangue compiono e che la scienza ha reso possibile nella sua applicazione.

«Prima di accingersi al lavoro il prof. Fois, giovane studioso che presiede la Sezione locale dei volontari del sangue, ci ha dato brevi ragguagli sulla malattia della degente, una giovane donna ma esangue dai patimenti di una peritonite alla quale occorreva dare circa mezzo litro di sangue buono per mettere in grado l’organismo di sopportare una operazione profonda e delicata unica speranza di salvezza. La donna ci guardava con occhioni grandi lucenti di febbre; il colore del viso e delle braccia si distingueva sul bianco lenzuolo per un colore giallino cartapecora, uniforme: dalle labbra nessuna traccia ché il poco sangue rimasto nelle vene non riusciva a giungervi.

«Nessun apparato speciale nella saletta. Accanto al lettino della degente un altro letto per il donatore di sangue. In mezzo un tavolino con i pochi e semplici strumenti necessari per l’operazione. Curata l’igiene e la pulizia più assoluta.

«E’ tutto pronto quando vien chiamato il donatore, il volontario donatore di sangue. L’ammalato non deve conoscere il nome del suo benefattore; noi non lo chiediamo. E’ un giovanottone robusto, sprizzante salute da tutti i pori. Lo guardiamo con un certo senso di invidia. Il medico infatti ci ha informato che i donatori di sangue vengono sottoposti ad una visita minuziosissima e che non si può trasfondere il sangue se non da individui sani in ogni parte dell’organismo, in ogni funzionalità degli organi; in una parola, individui perfetti, fisicamente.

«Il donatore prende posto nel lettuccio; il braccio destro vien legato con un laccio di gomma, così da impedire la circolazione. Le vene a poco a poco si inturgidiscono; il braccio acquista un color paonazzo; il sangue preme ormai con violenza sulle vene incordate a fior di pelle, basterà una semplice puntura d’ago perché il rosso liquore della vita sprizzi con violenza.

«Il braccio della malata, collocato accanto sul tavolo, pare un pezzo anatomico in cui debba esercitarsi il bisturi. Null’altro. Assistono l’operatore uno studente, un’infermiera. Anche una signorina, che ha trascorso qualche settimana all’ospedale ed è ormai in via di guarigione, presta gentilmente il suo aiuto con molta disinvoltura. La sua presenza è molto gradita all’ammalata ed anche agli altri, poiché essa porta una nota sorridente di gentilezza amorevole.

«L’atto operatorio è ridotto alla più estrema semplicità. Una siringa, a forma di ipsilon, viene innestata con due tubetti di gomma da un lato all’ago infilato nel braccio del donatore, dall’altro a quello infilato nel braccio della degente. Il medico aspira con lo stantuffo il sangue da trasfondere e quindi lo inietta nell’altra gamba della siringa. Movimento da farsi con grande celerità per evitare il coagulamento del sangue. Tutto procede nella massima regolarità e in cinque minuti l’operazione è eseguita. Trecento centimetri cubi di sangue son passati nelle vene esauste dell’ammalata senza il minimo dolore da parte dei due pazienti.

«Il donatore va via. L’ammalata gli porge un saluto ed un augurio di gratitudine infinita; il volontario del sangue se ne va con nell’animo la soddisfazione intima di aver offerto una mano al fratello pericolante sul ciglio della vita.

«Nel pomeriggio abbiamo voluto chiedere notizia dell’ammalata. Alla reazione, fortissima, che ha fatto salire la temperatura oltre i quaranta gradi, è succeduto un miglioramento sensibile. Appena il nuovo sangue iniettato avrà dato una tonalità sufficiente al cuore, entreranno in funzione i chirurghi a tagliare dove è il male, a rassettare ove è necessario. La chirurgia ormai ha fatto così lungo cammino che non si tentenna neppure dinanzi al groviglio degli organi più delicati e più vitali.

«Il prof. Fois, tutto infervorato, ci prega di sorreggerlo nei primi inizi di attività della sezione cagliaritana dei donatori di sangue. La generosità con cui l’amministrazione ospitaliera ha ospitato la nascente sezione ha reso possibile il primo passo. Ad essa ha voluto dare tutto il suo valido appoggio il direttore del reparto medico ospitaliero prof. Setzu. I volontari del sangue non mancano specie fra i giovani poiché e dei giovani la generosità. Occorre propagandare questa nuova attività che in altri centri ha già raggiunto grande sviluppo. Occorre assicurare alla Sezione dei donatori di sangue i mezzi necessari al migliore espletamento di una funzione altamente umanitaria».

E quella seconda volta del 1935: 62 gli iscritti

Un anno dopo l’esordio, ecco, sul giornale, un primissimo consuntivo d’attività, e il gagliardetto e la sua benedizione, un numero unico tutto poesia-e-scienza ed una pubblica conferenza del professor De Lisi, celebrato neuropatologo e psichiatra giunto giovanissimo in Sardegna alla vigilia della grande guerra, da lui poi combattuta come ufficiale medico, che ad Emilio Lussu s’era legato, ancora giovanissimo, per idealità autonomistiche, con lui teorizzando, nei primissimi anni ’20, una sorta di sardismo sindacal-rivoluzionario…

«Fra qualche giorno, con solenne cerimonia che si svolgerà nel Politeama Regina Margherita, sarà benedetto il nuovo gagliardetto della Sezione cagliaritana dei Volontari del Sangue.

«“Volontari del sangue”, frase dal significato ancora oscuro per la maggioranza che a leggere quelle due parole accoppiate andrà almanaccando chissà quali ardimenti e terribili cimenti.

«Nulla di tutto questo invece: qui all’ardimento bisogna sostituire la carità più perfetta ed al pericolo la certezza del metodo scientifico. Nulla di balenante e di corrusco ma qualche cosa di infinitamente bello e di infinitamente buono che dice ancora una volta quanto sia profondamente radicato negli italiani il sentimento della solidarietà umana anche di fronte a quei nemici sempre in agguato che sono il male fisico e la morte.

«Spieghiamoci: molte vite si perdevano e si perdono purtroppo ancora perché non si è pensato o non si è potuta operare in tempo una trasfusione di sangue. Non è troppo limitato il campo di applicazione della trasfusione; le sue indicazioni si ritrovano non solo nella Clinica chirurgica, ma nella Clinica medica, in Ostetricia, in Pediatria, in Medicina del Lavoro, ecc. Talvolta essa costituisce un rimedio vero e proprio, talvolta è l’ausilio, il presupposto indispensabile per rendere possibile la cura medica o chirurgica, che condurrà alla guarigione. Ma il sangue, ricettacolo e veicolo di ogni energia, divenuto per virtù di scienza uno strumento docile e sicuro nelle mani del Sanitario, non è merce che si possa barattare ed acquistare come una scatola di pillole o quei pochi grammi di tintura in base ad una ricetta del dottore. Il sangue “vivo” ha bisogno di una creatura “viva” che possa e sia disposta a darlo.

«Per non tediare il lettore con lunghe dissertazioni, diremo come sia ormai regola riconosciuta unanimemente la necessità di organizzare coloro che alla offerta del sangue, per essere trasfuso al loro simile, sono disposti, e ciò per vare ragioni di cui le principalissime sono il carattere di urgenza, che ha quasi sempre la trasfusione del sangue, e la necessità di praticare preventivamente sul candidato datore diversi esami, che indichino la omogeneità del suo sangue con quello del ricevente e assicurino della sua immunità da malattie trasmissibili per via sanguigna. Ben poche trasfusioni si potrebbero fare in tempo se tutto ciò dovesse essere improvvisato al momento.

«Dove invece esiste una organizzazione adeguata si può con certezza affermare che la morte per emorragia può essere ridotta nei limiti in cui è oggi ridotta la morte per infezione e quindi quasi annullata.

«Per quanto riguarda la nostra città possiamo dire che tale organizzazione è davvero completa e adeguata alle necessità più urgenti, grazie alla fattiva opera del Dott. Enrico Fois, intelligente Direttore della Sezione dei Volontari del Sangue. Basteranno del resto poche cifre per mettere in evidenza questa azione altamente umanitaria che deve trovare il pieno consenso della cittadinanza.

«La Sezione di Cagliari dei Volontari del Sangue conta già a pochi mesi dalla data della sua costituzione ben 62 inscritti, fra questi cinque sono giovani donne. L’arruolamento dei volontari è stato fatto dopo un completo esame delle loro condizioni fisiche e su di essi viene continuamente esercitato un severo controllo sanitario e morale.

«Ben 31 trasfusioni di sangue sono state operate a cura della Sezione nella nostra città e in Provincia e precisamente per un quantitativo di undici litri di sangue trasfuso. Quattro chiamate urgenti la Sezione le ha avute, come abbiamo detto nell’interno e cioè due a Gonnosfanadiga, una a Mogoro ed una a Siliqua. Tutte le trasfusioni hanno ottenuto il miglior successo ridonando la vita ad ammalati che già ogni speranza di salvezza avevano perso. Una giovane donna per ben tre volte ha offerto il proprio sangue in casi disperati.

«Questa attività silenziosa quanto nobile e piena di bontà deve trovar largo appoggio nella cittadinanza che saprà certo corrispondere, come sempre, ad un’opera di solidarietà umana, di scienza, di poesia e di disinteresse.

«Come abbiamo detto, la cerimonia della benedizione del gagliardetto della Sezione Volontari del Sangue avrà luogo probabilmente al Politeama Margherita. Oratore ufficiale sarà il valoroso prof. Lionello De Lisi.

«Oggi domenica uscirà, a cura della Sezione, un elegante Numero Unico, ricco d’interesse per i chiari ragguagli che il dott. Enrico Fois ha dato intorno alla tecnica ed alla scienza della pratica trasfusionaria, ed al quale hanno collaborato con liriche e novelle l’on. Avv. Antonio Scano, Antonio Cabitza, il dott. Attilio Maccioni, il prof. Mario Valenti, Maria Luisa Fanciulli Cadeddu, Gemina Fernando, Paolo Ballero Pes».

Nel secondo dopoguerra e dopo ancora

Siglato E.F. – si direbbe Enrico Fois – uscì il 18 maggio 1946, come capocronaca, un colonnino titolato “I volontari del sangue” con una tutta una serie di motivi illustrativi e di indicazioni operative circa le attività avisine. Queste le righe conclusive che s’immagina ispirate o condizionate dall’inquietante panorama della città ancora segnata dalle macerie, materiali e immateriali, della guerra fascista: «Bisogna che il Popolo e le Autorità tutte si compenetrino che il plauso e la riconoscenza verbale oggi non è più sufficiente a nutrire, vestire, dare alloggio ai donatori i quali, nella loro innata generosità, si sono potuti sinora contenere [recte contentare] delle sole belle parole e di promesse quasi mai seguito dai fatti».

“Venticinque anni di vita dell’A.V.I.S. nella esauriente relazione del dott. Enrico Fois” (con sommario “Dal 1931 ad oggi sono state effettuate 20mila trasfusioni. 520 volontari del sangue si sono avvicendati nella nobile missione”) titolava, aprendo la pagina della cronaca cittadina, L’Unione Sarda il 10 giugno 1955. Riportava così la relazione del dottor Enrico Fois svolta per “La giornata del donatore” al teatro Massimo («Attualmente risultano in piena attività trasfusionale 265 donatori che seguono tutti un ritmo di donazioni mensile in quanto le richieste superano la possibilità numerica della Associazione»). Dava conto anche dei medagliati, scaglionati fra le benemerenze, i bronzi e gli argenti, gli ori e le fronde, simboli più d’un vincolo sociale che non… scalettate espressioni quasi quasi vanagloriose.

Tre giorni prima, invece, il prof. Carlo Maxia, medico e antropologo, propose ancora su L’Unione, la sua relazione congressuale in un articolo dal titolo “Il mito del sangue”, puntualizzando «storicamente e scientificamente l’importanza benefica delle trasfusioni». Valgano anche qui le conclusioni (si tratta, bisogna insisterci, di affermazioni di oltre sessant’anni fa!): «Il mito del sangue ormai non è più tale: la scienza con la sua fredda tecnica ne ha rivelato molti segreti, che sembravano imperscrutabili. Ma il sangue, per il fatto di poter essere donato, conserverà sempre un suo meraviglioso potere morale, che irradierà beneficamente sui languenti corpi dei malati, riportando il calore della vita e della carità cristiana in essi. I doni che potrà darci l’albero della scienza, per quanto meravigliosi, non potranno superare il dono del sangue francescanamente datoci dal nostro prossimo» (cf. L’Unione Sarda, 7 giugno 1955).

Ancora l’anno successivo il dottor Fois prese pubblica posizione circa il reclutamento dei donatori. Offrì una larga informativa delle provvidenze protettive concesse tanto più ai dipendenti statali, a fronte di qualche impropria resistenza da parte dei datori privati, ed offrì altresì elementi tranquillizzanti di cultura sanitaria circa il rapido ripristino degli equilibri idraulici della massa sanguigna nei salassati – gli intervalli erano ancora, per un prelievo di 400 cc., di 40-60 giorni –, ma soprattutto ribadì, con spirito missionario, la sua lezione morale: «Se tutti si rendessero conto che la necessità di sangue incombe su ciascuno e da un momento all’altro, e che il dare oggi costituisce la garanzia di poter ricevere domani, in caso di bisogno, sono certo che il problema trasfusionale sarebbe risolto perché solo con la fraterna solidarietà si possono sperare quelle difficoltà organizzative che ostacolano la ascesa di questa che può essere considerata la più nobile e più umana delle carità» (cf. “La tutela morale e fisica dei donatori volontari di sangue”, in L’Unione Sarda, 26 maggio 1956).

Pressoché negli stessi giorni, nel giugno di quel 1956, si organizzò presso la grotta Marcello della piazza Yenne una gara alla “Lascia o raddoppia” con premi offerti da alcune delle maggiori ditte cittadine (Loddo e Pili, Bonarelli e Devoto, ecc.) e dalla ceramista Palomba: tutto a beneficio dell’AVIS cittadina. A seguire sarebbe venuta una raccolta fondi: ad ogni offerente sarebbe stato rilasciato un tagliando mediante cui avrebbe potuto ottenere gratuitamente la tipizzazione del proprio gruppo sanguigno. Iniziò allora quella questua sociale avente per maggior obiettivo l’acquisto di una modernissima autoemoteca.

Meriterebbe aggiungere che, ancora nello stesso periodo (precisamente attraverso un trafiletto a lui dedicato il 16 settembre 1956), una specie di celebrazione civile premiò un volontario cagliaritano, l’infermiere stampacino Giovanni Pisano «che ha versato dal 1934 ben 35 litri di sangue in più di cento trasfusioni». Questa una sua dichiarazione, in risposta alla sollecitazione, fra la cronaca e la pedagogia umanitaria, del giornale: «Due mesi fa sono stato chiamato a dare il sangue ad una partoriente in preda a un’imponente emorragia. Era nato da poco il piccolo e la poveretta era più di là che di qua. E’ stato un intervento in extremis, ma è riuscito. Il mio sangue ha restituito la vita alla sfortunata signora ed ha restituito la mamma al piccolo, i cui vagiti mi avevano intenerito. Sono stato veramente felice di appartenente alla Associazione dei Volontari del Sangue, quella notte».

Si costituì, presso la stazione dei Vigili del fuoco cagliaritani, un gruppo avisino nella primavera 1957; l’anno successivo la stampa riportò la toccante testimonianza di Aldo Porcu, un operaio cagliaritano che ringraziando per l’aiuto ricevuto, in un momento per lui disperato, da uno o più avisini, tramite il giornale si sdebitò con una piccola lampada da lui stesso forgiata: «Sono un operaio delle FF.SS. Cagliari. Quando l’undici di aprile c.a. colpito da favismo fui ricoverato… all’ospedale civile in gravissime condizioni per le emorragie sopraggiuntemi. I bravi medici interessatisi subito del mio caso, mi iniziarono le cure praticandomi ben sei trasfusioni nel corso della malattia… Appena ripresi la ragione il mio primo pensiero fu di dedicare il primo lavoro a coloro che col loro sangue mi ridiedero la vita» (cf. “Salvato dall’Avis”, in L’Unione Sarda, 4 agosto 1958).

Vicende personali e dibattito pubblico: in autunno dello stesso 1958 il Consiglio regionale fu interessato da un ordine del giorno recante la proposta di attivazione di un centro trasfusionale. I dati portati a suo sostegno precisavano lo scarto fra bisogni e disponibilità: a fronte dei dieci litri di plasma necessari quotidianamente in città la raccolta sarebbe stata di appena due (cf. “Chiesta la costituzione di un centro trasfusionale”, in L’Unione Sarda, 16 ottobre 1958).

Non si era riusciti, nel 1955, a radunare tante risorse quante ne sarebbero occorse per l’acquisto di una autoemoteca, intesa come ambulanza “volante della strada” e in qualche modo abbinata ai servizi di soccorso dell’ACI: si ricominciò dunque nel 1960 con l’obiettivo dei 3 milioni di lire, e subito iniziarono a giungere i primi contributi di privati ed enti pubblici. Il professor Francesco Alziator partecipò con un suo scritto di commento della festa di Sant’Efisio, diffuso nelle tribune del pubblico (da cui anche vennero all’AVIS, per delibera dell’ESIT distributore dei biglietti, risorse forse insperate). Fu allora, in quello stesso giugno, che i combattenti “per la Patria”, nell’occasione della firma della Carta delle Nazioni Unite, si affollarono presso il centro trasfusionale dell’Ospedale civile per una donazione che parve bello vedere come suggello del proprio trascorso impegno militare e democratico.

Giunse presto, stavolta, il risultato, e la l’autoemoteca cominciò a far servizio in piazza Dante (poi Giovanni XXIII), a Sant’Avendrace, ai giardini della Stazione ferroviaria…

Alle annuali assemblee degli iscritti puntuali giunsero sempre gli aggiornamenti dei dati statistici, rivelando la moltiplicazione delle donazioni (2.713 nel 1960…) e anche delle iniziative di propaganda, lezioni di vera e propria educazione civica: lo sguardo insieme ai corregionali e al vasto mondo.

I dipendenti della Regione fecero la fila infatti, nel settembre 1962, offrendosi all’autoemoteca ferma in viale Trento – sarebbero stati dieci litri a fine raccolta – per sovvenire alle urgenze della popolazione persiana sinistrata da un cataclisma, altri 5 litri di plasma sarebbero stati raccolti in piazza Matteotti. Con un bimotore della Croce Rossa Italiana partirono dalla base di Decimomannu 48 boccioni da 300 cc. (Numerose, purtroppo, le circostanze simili: sarebbe stato così a favore dei terremotati siciliani del tragico gennaio 1968, operative allora due autoemoteche…).

Andarono in successione, nei mesi e negli anni, nella sede gesuitica di via Ospedale, al cinema Adriano o al teatro Massimo, in altri spazi ancora, gli appuntamenti ora convegnistici, di riflessione collettiva sulle imprese associative (magari con corollario di premiazione dei virtuosi), ora di sensibilizzazione proselitistica, ad extra. Collaborarono spesse volte, con generosità, diversi artisti – Rosanna Rossi e Foiso Fois, Franco Lai e Valerio Pisano, e Pulli e Fara e Scasseddu, ecc. – che, donando (per la vendita) le loro opere, puntavano a sostenere i costi di gestione e programmazione del comitato avisino. Magnifiche (e di lancio) le recensioni su L’Unione Sarda a firma di Francesco Masala. E con le mostre di pittura anche qualche serata danzante, magari all’albergo ESIT del Poetto, e manifestazioni pubbliche le più varie.

Nel 1963, quando si contavano sei sezioni operanti nella provincia ben 1.400 iscritti, si raccolsero mille flaconi di sangue soltanto da parte dell’autoemoteca. Nel giugno dell’anno seguente fu premiato con la croce d’oro il brigadiere Angelo Caddeo (ben 465 donazioni dal 1935 al 1960) e con lui ebbe giusti riconoscimenti anche la signora Clelia Cintura che assommava oltre cento salassi… A fine 1964 si riferì di 1.500 soci (dei quali ottocento attivi nella sola Cagliari) e di 4.500 flaconi di plasma consegnati a cliniche ed ospedali…

Presenziò il ministro della Sanità Luigi Mariotti, alla “giornata del donatore” del 1965. E apprezzamenti doverosi vennero anche ai dirigenti del sodalizio (consiglio, probiviri e revisori), senza i quali la pur lodevole prestazione dei donatori abituali avrebbe rischiato, e sempre rischierebbe, in ogni stagione, dispersione irragionevole e sciagurata. Alcuni di lunga lena, altri in ricambio più rapido, tutti impegnati per il meglio. Flash dei mediani anni ‘60: Luigi Floris, Gaetano Opisso, Francesco Marras, Salvatore Salis, Wanda Masala, Gavino Dettori, Gianni Dessalvi, Michelangelo Cossu, Maria Bordin, Giuliano Testa, Aldo Costa, Mario Falchi, Agostino Calatri, Guido Concu, Aldo Casula, Salvatorangelo Deriu, Maria Teresa Puddu… Altri cento, altrettanto abili e prodighi, nel corso del tempo avvenire.

Su sette colonne così titolò, in cronaca, L’Unione Sarda del 15 settembre 1966: “Una media di venticinque donazioni giornaliere per alimentare le riserve della banca del sangue”. E nel sommario: “Al benemerito sodalizio che agisce su basi volontaristiche aderiscono oltre duemila soci, ma soltanto 1.229 possono presentarsi regolarmente ogni quarantacinque giorni al Centro trasfusionale ospedaliero per dare il loro prezioso contributo di sangue. Altri prelievi vengono fatti in un ambulatorio montato su quattro ruote dove ogni passante può compiere un gesto di solidarietà di profondo significato umano e sociale”.

Si tenne a Cagliari, nell’aprile 1967, il congresso nazionale. Intervennero 300 delegati da tutt’Italia (al cinema Olympia e all’auditorium della Clinica medica, e per uno spettacolo folcloristico nel teatro dei padri gesuiti; allungo di godimento archeologico a Barumini). In piazza Garibaldi fu benedetta l’autoemoteca acquistata ora con l’aiuto del ministero della Sanità. Primo salassato Pietro Moi, 52 anni, 375 donazioni (recordman in Italia!) con oltre cento litri donati all’umanità.

La statistica avisina nazionale era la seguente, nel 1967: mille sezioni territoriali (per 66 comitati provinciali) e 275mila donatori periodici; raccolti nel corso del 1966 ben 725mila flaconi di plasma…

Si sarebbe andati per implementazioni successive anche a Cagliari e in Sardegna, con la moltiplicazione degli iscritti e delle sezioni, con sempre nuove iniziative di raccolta-ed-educazione presso caserme e scuole, perfino presso la sede dei Lions… sarebbe venuta, imponendosi in termini perfino drammatici, la grande questione dei talassemici bisognosi di trasfusioni ravvicinate… Il nostro problema sardo: la talassemia!

In conclusione

Non intendevo qui, adesso, allungare troppo, dettagliando i passaggi temporali che poi significano gli avanzamenti associativi realizzati, avanzamenti sostanziali, organizzativi e di resa – di semina pedagogica civile e di risultato materiale – esito della fatica quotidiana di tanti operatori amministrativi e sanitari, da non comprimere troppo rispetto ai meriti degli altri, direi alla leggerezza volenterosa di chi si coricava, e si corica ancora, sul lettino ogni tre mesi o quando può.

Mi viene qui adesso, per indugiare ancora un ultimo momento sull’ingiallita emeroteca documentaria, fotografia scritta di quaranta o cinquant’anni fa, e ricollegarmi così ai miei timidi, ancora adolescenziali esordi avisini, recuperare qualche altro titolo dalla stampa cittadina, e così concludere, dando giusto riconoscimento anche alla funzione educativa della stampa: la cronaca può essere formativa, se fatta bene, con passione civile…

Eccoli altri titoli: “Insufficienti le scorte di sangue nonostante l’aumento dei donatori” (“Occorrerebbero almeno ventimila flaconi contro i dodicimila che si spera di raccogliere quest’anno. Un appello del sindaco a tutti i cittadini. Riconoscimenti a coloro che si sono distinti nella nobile gara. Rilevante l’apporto degli studenti e dei minatori”, L’Informatore del lunedì, 11 ottobre 1971); “Manca il sangue per le trasfusioni” (“L’andamento stagionale del favismo mette in pericolo molte vite. Mentre le scuole sono chiuse non si può far ricordo agli studenti impegnati in una generosa gara. Pressante appello dell’Avis”, L’Unione Sarda, 7 maggio 1972); “Manca il sangue per le trasfusioni” (“Raccolti dodicimila flaconi contro una richiesta di ventimila. Un appello a tutti i cittadini perché aderiscano all’iniziativa”, L’Informatore del lunedì, 9 ottobre 1972); “La giornata dei donatori di sangue” (“La celebrazione cade in un momento molto difficile della vita dell’Avis a Cagliari: il centro trasfusionale rischia la chiusura”, L’Unione Sarda, 13 ottobre 1974)…

Il 2 luglio 1973 L’Informatore del lunedì dedicò una pagina intera ai donatori, e, si direbbe, all’AVIS. Curata da Alberto Aime, la pagina costituisce una specie di mosaico, un collage di rappresentazioni le più varie delle necessità (ed urgenze) e delle risorse pronte o sperate ogni giorno: “Gli incidenti stradali più numerosi d’estate creano gravi problemi: parla il prof. Ferdinando Deriu”, “Il favismo colpisce un sardo su cinque”, “Nei casi urgenti si fa appello ai carabinieri: parla il prof. Giuseppe Saba”, “Centinaia di bambini possono sopravvivere solo con trasfusioni: parla il prof. Aniello Macciotta”, “Il dramma dei prematuri”, “In trentacinque anni ha dato quasi cento litri di sangue: il primato di un veterano dell’AVIS: il cavalier Pietro Moi”. In alto il titolo generale e l’occhiello lungo: “Sono gli ultimi altruisti: ogni giorno i donatori di sangue salvano decine di vite negli ospedali sardi”, e così il sommario: “Il sangue non basta mai: quando le riserve sono esaurite, si fa appello ai parenti ed agli amici dei malati. I volontari che si presentano periodicamente ai centri di trasfusione sono l’uno per cento della popolazione isolana. I consumi aumentano continuamente”.

 

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