Conosco chi li scrive, non li leggo». Francesco ai gesuiti in Cile e Perù: no ai religiosi che vivono da scapoloni pettegoli, di Antonio Spadaro

Pubblichiamo in anteprima alcuni estratti dei colloqui che papa Francesco ha avuto con i gesuiti del Cile  – avvenuto il 16 gennaio scorso – e del Perù – che ha avuto luogo tre giorni dopo, il 19 gennaio – durante il suo viaggio in Sud America. Le conversazioni sono trascritte dal direttore, padre Antonio Spadaro, sul prossimo numero de «La Civiltà Cattolica» uscito alla metà di gennaio. IL CORRIERE DELLA SERA 15 FEBBRAIO 2018

 

 

 

Santo Padre, quali sono state le grandi gioie e i grandi dispiaceri che lei ha avuto nel suo pontificato?

«Questo del pontificato è un periodo piuttosto tranquillo. Dal momento in cui in Conclave mi sono reso conto di quello che stava per succedere — una sorpresa istantanea per me —, ho provato molta pace. E fino ad oggi quella pace non mi ha lasciato.

È un dono del Signore, di cui sono grato. E davvero spero che non  lo tolga. Le cose che non mi tolgono la pace, ma sì mi addolorano, sono i pettegolezzi. E a me i pettegolezzi dispiacciono, mi rattristano. Accade spesso nei mondi chiusi. Quando accade in un contesto di sacerdoti o di religiosi, a me viene da chiedere: ma come è possibile? Tu che hai lasciato tutto, hai deciso di non avere accanto una donna, non ti sei sposato, non hai avuto figli… vuoi finire come uno scapolone pettegolo? Oh, mio Dio, che vita triste!».

 

Quali resistenze ha incontrato e come le ha vissute?

«Davanti alla difficoltà non dico mai che è una “resistenza”, perché significherebbe rinunciare a discernere, cosa che invece voglio fare. È facile dire che c’è resistenza e non rendersi conto che in quel contrasto può esserci anche un briciolo di verità. Questo mi aiuta anche a relativizzare molte cose che, a prima vista, sembrano resistenze, ma in realtà è una reazione che nasce da un fraintendimento… Quando invece mi rendo conto che c’è vera resistenza, certo, mi dispiace. Alcuni mi dicono che è normale che ci sia resistenza quando qualcuno vuol fare dei cambiamenti. Il famoso “si è sempre fatto così” regna dappertutto, è una grande tentazione che tutti abbiamo vissuto. Le resistenze dopo il Vaticano II, tuttora presenti, hanno questo significato: relativizzare, annacquare il Concilio. Mi dispiace ancora di più quando qualcuno si arruola in una campagna di resistenza. E purtroppo vedo anche questo. Non posso negare che ce ne siano, di resistenze. Le vedo e le conosco. Ci sono le resistenze dottrinali. Per salute mentale io non leggo i siti internet di questa cosiddetta “resistenza”. So chi sono, conosco i gruppi, ma non li leggo, semplicemente per mia salute mentale. Se c’è qualcosa di molto serio, me ne informano perché lo sappia. È un dispiacere, ma bisogna andare avanti. Quando percepisco resistenze, cerco di dialogare, quando il dialogo è possibile; ma alcune resistenze vengono da persone che credono di possedere la vera dottrina e ti accusano di essere eretico. Quando in queste persone, per quel che dicono o scrivono, non trovo bontà spirituale, io semplicemente prego per loro. Provo dispiacere, ma non mi soffermo su questo sentimento per igiene mentale».

In quali riforme possiamo appoggiarla meglio?

«Credo che una delle cose di cui la Chiesa oggi ha più bisogno, e questa cosa è molto chiara nelle prospettive e negli obiettivi pastorali di Amoris laetitia, è il discernimento. Noi siamo abituati al “si può o non si può”. Ho ricevuto anch’io, nella mia formazione, la maniera del pensare “fin qui si può, fin qui non si può”. Non so se ti ricordi di quel gesuita colombiano che venne a insegnarci morale al «Collegio Massimo»; quando si venne a parlare del sesto comandamento, uno si azzardò a fare la domanda: “I fidanzati possono baciarsi?”. Se potevano baciarsi! Capite? E lui disse: “Sì, che lo possono! Non c’è problema! Basta però che mettano in mezzo un fazzoletto”. Questa è una forma mentis del fare teologia in generale. Una forma mentis basata sul limite. E ce ne portiamo addosso le conseguenze».

Che cosa dire (nella Compagnia) a coloro che vanno invecchiando e dietro loro vedono meno persone?

«Considerando la diminuzione di giovani e forze, si potrebbe entrare in desolazione istituzionale. No, non ve lo potete permettere. La desolazione ti tira verso il basso, è una coperta fradicia che ti tirano addosso per vedere come te la cavi, e ti porta all’amarezza, al disinganno. Io mi domando se Saverio, davanti al fallimento di vedere la Cina senza poterci entrare, fosse desolato. No, io immagino che egli si sia rivolto al Signore, dicendo: “Tu non lo vuoi, quindi ciao, va bene così”. Ha scelto di seguire la strada che gli veniva proposta, e in quel caso era la morte!… Ma va bene! Come Saverio alle porte della Cina, guardate sempre avanti… Sa Dio!».

Vorrei ci dicesse qualche parola sul tema degli abusi sessuali. Siamo molto segnati da questi scandali.

«È la desolazione più grande che la Chiesa sta subendo. Questo ci spinge alla vergogna, ma bisogna pure ricordare che la vergogna è anche una grazia molto ignaziana. E quindi prendiamola come grazia e vergogniamoci profondamente. Dobbiamo amare una Chiesa con le piaghe. Molte piaghe… Ti racconto un fatto. Il 24 marzo, in Argentina è la memoria del colpo di Stato militare, della dittatura, dei desaparecidos, e Plaza de Mayo si riempie per ricordarlo. In uno di quei 24 marzo, mentre stavo per attraversare la strada, c’era una coppia con un bambino di due o tre anni, e il bambino correva avanti. Il papà gli ha detto: “Vieni, vieni, vieni qua… Attento ai pedofili!”. Che vergogna ho provato! Che vergogna! Non si sono resi conto che ero l’arcivescovo, ero un prete e… che vergogna! A volte si tirano fuori “premi di consolazione”, e qualcuno perfino dice: «Guarda le statistiche.. il… non so… 70% dei pedofili si trova nell’ambito familiare, dei conoscenti. Poi nelle palestre, le piscine. La percentuale dei pedofili che sono preti cattolici non raggiunge il 2%, è dell’1,6%. Non è poi tanto…”. Ma è terribile anche se fosse uno solo di questi nostri fratelli! Perché Dio l’ha unto per santificare bambini e grandi, e lui li ha distrutti. È orribile! Bisogna ascoltare che cosa prova un abusato o un’abusata! Di venerdì – a volte lo si sa e a volte non lo si sa  .  mi incontro abitualmente con alcuni di loro. Il loro processo è durissimo, restano annientati. Per la Chiesa è una grande umiliazione. Mostra non solo la nostra fragilità ma anche, diciamolo chiaramente, il nostro livello di ipocrisia. È curioso: il fenomeno dell’abuso ha toccato alcune Congregazioni nuove, prospere. Lì l’abuso è sempre frutto di una mentalità legata al potere, che va guarita nelle sue radici maligne. Ci sono tre livelli di abuso che vanno insieme: abuso di autorità, sessuale, e pasticci economici. Il denaro c’è sempre di mezzo: il diavolo entra dal portafoglio».

Come vede che lo Spirito adesso stia muovendo la Chiesa verso il futuro?

«Riprendete in mano il Concilio Vaticano II, la Lumen gentium. Parlando ai vescovi cileni, li esortavo alla declericalizzazione. L’evangelizzazione viene fatta dalla Chiesa come popolo di Dio. A noi il Signore sta chiedendo di essere Chiesa in uscita, ospedale da campo… Una Chiesa povera per i poveri! I poveri non sono una formula teorica del partito comunista, sono il centro del Vangelo! È su questa linea che sento ci sta portando lo Spirito. Ci sono forti resistenze, ma per me il fatto che nascano è il segno che si va per la via buona. Altrimenti il demonio non si affannerebbe a fare resistenza».

 

 

 

 

 

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